Stati Moderni - Assolutismo

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
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Testo

Storia Assolutismo

Si definisce “stato moderno” la forma di organizzazione del potere politico nata in Europa nell’età moderna, intorno alle grandi monarchie nazionali.
Le caratteristiche fondamentali dello stato moderno sono l’unificazione territoriale e l’esercizio della sovranità.
La sovranità comprende diverse funzioni, quali l’elaborazione delle leggi e l’esecuzione della giustizia, il prelievo delle imposte, il mantenimento dell’ordine pubblico, l’organizzazione dell’esercito. Il requisito essenziale dello stato moderno è il monopolio della forza; solo lo stato ha il potere di stabilire le leggi e di impone il rispetto.
Nel processo di formazione dello stato moderno è stato decisivo il fenomeno dell’assolutismo (cioè che il sovrano ha potere in tutto il territorio nazionale) creatosi nel diciassettesimo secolo.
Le monarchie europee dei secoli sedicesimo e diciassettesimo sono comunemente designate dagli storici come monarchie nazionali, sia per le loro dimensione sia perché si posero le basi di un sentimento di appartenenza ad una comunità nazionale.
Il primo tratto distintivo delle monarchie moderne era l’unificazione territoriale. Nel Medioevo e fino alla metà del Quattrocento i grandi paesi europei erano frammentati e divisi.
All’inizio del Cinquecento la situazione si presentava molto diversa nell’occidente europeo: la resistenza dei territori autonomi venne a poco a poco piegata ed essi vennero sottoposti al potere centrare di un’unica monarchia.
Il processo di unificazione territoriale non coinvolse negli stessi tempi tutte le aree europee. L’Italia mostrava all’inizio del Cinquecento un assetto geopolitica frammentato in entità territoriali di dimensioni più ridotte, cittadine o regionali, le quali si sarebbero conservate fino all’unificazione nazione del 1861. Anche in Italia è possibile, comunque, individuare una tendenza all’unificazione territoriale analoga a quella delle grandi monarchie su scala, però, più ridotta. Questa tendenza condusse, nei secoli sedicesimo e diciassettesimo, gli stati più forti ad estendere il proprio controllo sulle entità minori.
L’area germanica presentava una situazione simile a quella italiana. Nelle frammentazioni territoriali il potere politico effettivo che l’imperatore esercitava nei confronti dei singoli principati era limitato.
All’unificazione territoriale si accompagnava, all’interno dei singoli stati, una tendenza all’accentramento del potere nelle mani dei re. Anche nel Medioevo non erano mancati i re impegnati ad affermare la propria supremazia nei confronti di altri centri di potere.
I re ed i principi rivendicavano a sé con maggior forza il monopolio del potere, per lo più appellandosi all’idea della sacralità del potere regio, investito della sovranità da Dio, fonte di ogni autorità, e dunque posto al di sopra di ogni altro potere civile e religioso e delle stesse leggi (assolutismo).
Alla base del rafforzamento dei re e dell’accentramento del potere nelle loro mani ci furono, innanzitutto, le guerre, nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, che opposero tra loro principi e monarchi in conflitti militari per la supremazia in Europa.
L’accentramento dello stato e la tendenza assolutistica dipesero dalla presenza di dinastie stabili, che aveva continuità grazie all’ereditarietà della funzione regia, cioè offriva la garanzia di un comando non interrotto. In questo modo è stato possibile il consolidamento delle strutture dello stato centrale in misura maggiore di quanto non lo permettesse il metodo dell’elezione del re da parte di assemblee nobiliari.
L’accentramento dei poteri nelle mani del principe fu accompagnato e favorito da un fenomeno di grande importanza storia: la nascita dei moderni apparati burocratici (deriva dal francese bureau: “ufficio”, e designa l’insieme dei funzionari e degli impiegati dell’amministrazione statale. Esso fu coniato nel Settecento dall’economista Vincent de Gourmay nell’ambito della contesa che egli conduceva contro l’assolutismo monarchico e l’apparato dipendente del re. Questo termine non ha alcuna accezione negativa) che aiutavano il principe a svolgere funzioni legate all’esercizio unificato della sovranità. La più importante delle funzioni sovrane di questo periodo era la conduzione della guerra. L’impiego dell’artiglieria ed il crescente ruolo della fanteria imposero una modifica radicale delle strategie militari, che fino all’inizio del Cinquecento erano ancora incentrate sulla cavalleria e richiesero un’organizzazione militare più complessa e nuove strutture. Vi era l’esigenza di un esercito permanente, cioè sempre al servizio dello stato.
Se il comando delle truppe restava per lo più affidato all’aristocrazia, la preparazione della guerra veniva contribuita da architetti, tecnici e scienziati che lavoravano alle dipendenze del principe. Lo sviluppo delle tecnologie legate alla guerra fu anche uno dei fattori da cui ricevette impulso la rivoluzione scientifica.
A causa dell’evoluzione della tecnologia bellica, la guerra divenne molto costosa, e altrettanto costosa divennero le spese per il mantenimento della corte.
A questi oneri, le monarchie fecero fronte in tre modi:
1. Attraverso metalli preziosi
2. Attraverso prestiti ottenuti dalle corone europee presso i grandi banchieri
3. Attraverso prelievi fiscali
Re e principi, inizialmente, si affidarono al sistema della vendita delle cariche: gli incarichi per l’esanzione delle tasse, cioè venivano appaltati dallo stato in cambio di denaro.
In Francia, un forte impulso all’ereditarietà delle cariche derivò dall’istituzione della paulette (1604), una tassa in cambio della quale i titolari di cariche furono autorizzati a trasmetterle in eredità ai propri discendenti; nacque così un nuovo ceto aristocratico, detto nobiltà di toga, che traeva origine dell’esercizio delle cariche pubbliche. In origine ben distinto dall’aristocrazia cavalleresca e feudale.
L’ereditarietà delle cariche limitava, però, la discrezionalità del re, che non poteva disporre a suo piacimento degli incarichi: la loro azione risultava vincolata, in contrasto con il programma assolutistico. Dalla prima metà del Seicento, i monarchi assoluti cominciarono ad affidarsi a funzionari dipendenti direttamente dal potere monarchico, le cui cariche non erano vendute. Funzionari con queste caratteristiche erano gli intendenti.
Vi fu anche una riorganizzazione dei vertici dello stato. L’azione di monarca tendeva ad esercitarsi attraverso la collaborazione di “ministri” di prestigio, di origine laica od ecclesiastica di estrazione aristocratica o borghese. Intorno a queste figure ruotava la vita politica e diplomatica degli stati.
I ministri erano responsabili solo verso il re e non verso parlamenti ed organi rappresentativi.
Un fondamentale ambito fu l’amministrazione della giustizia. I monarchi ed i teorici della supremazia regia privilegiavano il diritto romano, che poneva il re in una posizione di indiscussa superiorità, ritenendolo la fonte stessa del diritto. Sulla base di questa i re si sforzavano di imporre a tutto il territorio loro sottoposto una legislazione uniforme ed un’amministrazione omogenea della giustizia.
Facevano norme consuetudinarie create dalle corti di giustizia tradizionali a composizione prevalentemente aristocratica.
Il contrasto tra la giurisdizione regia e quella aristocratica non fu l’unica ragione di conflitto data dal programma assolutistico delle monarchie e dei principati, si scontrava con forti resistenze da parte di numerose istituzione che, vedevano ridursi le proprie prerogative ed i propri privilegi; il potere monarchico si trovò così coinvolto in continui conflitti e compromessi ciò avvenne con gli organismi giurisdizionali, cui la tradizione affidava il compito di legittimare gli atti del re.
Nei secoli sedicesimo e diciassettesimo, l’Europa era scossa da un violento conflitto religioso originato dalla riforma protestante. Il fattore religioso acquistò un forte rilievo anche politico ed i rapporti delle monarchie assolute con le chiese ed i movimenti religiosi venne ad assumere un’importanza fondamentale. In molti casi le chiese ostacolarono l’attuazione dell’assolutismo: esse rivendicavano l’autonomia della sfera religiosa, difendendo le “libertà” dei ministri del culto dall’invadenza del potere politico; pretendevano di subordinare a criteri etico-religiosi la politica. I sovrani cercarono di usare la religione come instrumentum regni, come strumento cioè del potere monarchico. Un po’ ovunque poi sorsero conflitti tra amministrazione stata della giustizia e giurisdizione ecclesiastica. Fonte di apri conflitti e di compromessi furono anche i rapporti tra monarchie e organi rappresentativi (parlamento in Inghilterra, stati generali in francia e cortes in spagna).
La facoltà del sovrano di imporre tasse per reclutare eserciti e varare flotte dipendeva, per tradizione, dal consenso di questi organismi. Gli organi rappresentativi difesero le proprie prerogative con alterna fortuna.
Nell’Inghilterra del Seicento, i tentativi dei re e della dinastia Stuart di sottrarsi dal controllo del Parlamento, evitandone la convocazione o sciogliendolo quando assumeva posizioni contrarie alla volontà del sovrano, produssero una forte reazione dei parlamentari. Fecero una rivoluzione antimonarchica che si concluse con la condanna a morte di re Carlo I e la proclamazione di un regime “repubblicano”. La forza del parlamento, si manifestò in modo definitivo alla fine del diciassettesimo secolo, con la seconda rivoluzione inglese che costituì un tratto peculiare e durature del sistema istituzionale inglese.

Capitolo 22

Alle soglie del sedicesimo secolo, le monarchie dell’occidente europeo avevano ormai raggiunto una dimensione “nazionale”, alcune delle dinastie regnanti (spagnola e francese) erano pronte ad usare anche all’esterno la potenza acquisita all’interno dei propri confini; da questo ne derivò una spinta espansiva che investì i territori d’oltreoceano, il continente europeo, e l’area mediterranea. Fu questo il motivo di fondo delle guerre del primo Cinquecento.
Al centro dello scenario politico europeo troviamo la Francia, lo stato più potente e popolato. Acquisirono il Ducato di Borgogna, della Bretagna e i domini provenzali, così la monarchia parigina aveva in gran parte completato l’unificazione del territorio appartenente all’attuale Francia.
Il regno di Portogallo si proiettava verso l’Atlantico, alla ricerca di nuove rotte e di nuovi approdi per i propri mercanti, le corone di Aragona e di Pastiglia unite dal matrimonio dei rispettivi regnanti avevano da poco completato la riconquista del territorio dell’Andalusia e si presentavano come una potenza emergente, destinata a giocare un ruolo decisivo nella storia europea del Cinquecento.
Lo spirito di corciata cattolica antimusulmana spingeva la Spagna oltre Gibilterra, alla ricerca di nuovi successi contro gli arabi e alla scoperta, alla conquista e all’evangelizzazione del Nuovo mondo.
Vi era, anche, la necessità di tutelare i possedimenti aragonesi nel Mediterraneo, le Baleari, la Sardegna e soprattutto la Sicilia, isola da cui proveniva il grosso dei rifornimenti di grano della penisola iberica.
L’Inghilterra era un tradizionale avversario della Francia: contro Parigi, gli inglesi avevano combattuto la lunghissima guerra dei Cent’anni. Il regno inglese appariva debole e poco propenso a farsi coinvolgere nelle vicende europee, anche perché esposto a nord all’ostilità del Regno di Scozia.
Nell’area germanica, il Sacro romano impero s presentava come un insieme di città autonome e di principati, ognuno geloso delle proprie prerogative e mal disposto

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