Il fu mattia Pascal

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Testo

IL FU MATTIA PASCAL
Di Luigi Pirandello

RIFLESSIONE SUL TITOLO
Secondo me il titolo non rivela nulla sul contenuto dell’opera di Pirandello, si può intuire che il racconto è basato sulla vita di questo Mattia Pascal indicato ma non certo che la storia sia così bella e articolata. Il titolo è veramente ben utilizzato perché svia un po’ i lettori sul contenuto del libro che vengono rimessi immediatamente sulla strada giusta dall’introduzione.

SPAZIO
L'avventura di Mattia-Adriano si svolge principalmente a Miragno, paesino della Liguria vicino a Genova, e a Roma, dove egli affitta una stanza; il protagonista compie inoltre un lungo viaggio che lo porta a visitare Torino, Milano, Venezia, Firenze e poi Colonia, Worms, Magonza...
Nonostante il gran numero di luoghi citati, l'autore non si sofferma mai a descriverli, lasciando che sia il lettore ad immaginarli.
Evidentemente per Pirandello gli scenari dove le sue marionette agiscono passano in secondo piano, né egli se ne serve per caratterizzare i personaggi, come invece fa la maggior parte degli scrittori.
TEMPO
Mancano del tutto riferimenti cronologici precisi ed espliciti; si può però dedurre, dalle notizie che Mattia legge su un giornale, che la vicenda si svolga tra la fine del secolo scorso e i primissimi anni del nostro:
-Lessi che l'imperatore di Germania aveva ricevuto a Potsdam, a mezzodì, l'ambasciata marocchina, e che al ricevimento aveva assistito il segretario di Stato, barone di Richtofen...
-Anche lo zar e la zarina di Russia avevano ricevuto a Peterhof una speciale missione tibetana che aveva presentato alle LL. MM. i doni del Lama.
Come per i luoghi, Pirandello non ha intenzione di rendere comprensibile il tempo in cui si svolgono i fatti, perché questa vicenda può accadere in qualsiasi epoca e paese. Come lo stesso autore ribadisce in una nota alla fine del libro, anni dopo la stesura de Il fu Mattia Pascal un uomo, che era stato rinchiuso in carcere, quando fu liberato scoprì che per legge egli era morto, riconosciuto erroneamente nel cadavere di un suicida, e nel frattempo sua moglie si era risposata...
NARRAZIONE
La narrazione è condotta in prima persona; a raccontare è Mattia Pascal, che scrive, su invito di don Eligio, la sua biografia sotto forma di diario, rivolgendosi direttamente al lettore, dialogando persino con lui.
L'ordine cronologico è regressivo, cioè lo scrittore ricorda fatti avvenuti in precedenza e va a ritroso nel tempo, salvo tornare al presente alla fine del racconto. L'io narrante è onnisciente e può anticipare al lettore, anche solo con brevi cenni, ciò che sta per succedere.
-Ecco: il mio caso è assai più strano e diverso; tanto diverso e strano che mi faccio a narrarlo./ Giacché, per il momento (e Dio sa quanto me ne duole), io sono morto, sì, già due volte, ma la prima per errore, e la seconda...sentirete.
-...giacché mio fratello ebbe la ventura di contrarre un matrimonio vantaggioso.
Il mio invece... -Bisonerà pure che ne parli, eh, don Eligio, del mio matrimonio?
Arrampicato là, su la sua scala da lampionajo, don Eligio Pellegrinotto mi risponde:
-E come no? Sicuro. Pulitamente...
-Ma che pulitamente! Voi sapete bene che...
Don Eligio ride, e tutta la chiesetta sconsacrata con lui.
STILE E LESSICO
La sintassi e il lessico de Il fu Mattia Pascal sono funzionali dal punto di vista della narrazione, che segue fedelmente i pensieri, i progetti, i ragionamenti del protagonista, dalla cui mediazione sono tra l'altro mediate le descrizioni di tutti gli altri personaggi. Di conseguenza, l'analisi dello stile è più o meno equivalente a quella del modo di ragionare di Mattia Pascal. Ad esempio possiamo notare che i pensieri di questi non sono mai eccessivamente articolati, ma seguono piuttosto la scia di sensazioni, impressioni, ricordi che sopraggiungono senza una logica precisa; del resto anche l'elaborazione di decisioni, quando non segue l'indole impetuosa, risponde ad esigenze pratiche e spesso inaspettate, per cui la risoluzione finale raramente è frutto di una ponderazione complessa e articolata. È proprio quando la meditazione si fa più prolungata, invece, che il protagonista tarda a trovare una via d'uscita.
Al di là di tutto ciò, comunque, bisogna dire che linearità e la sintesi sono caratteristiche intrinseche dello stile di Pirandello, assieme a quella colloquialità che semplifica le stesse riflessioni filosofiche, esemplificate e tradotte in immagini familiari.
In modo analogo, il lessico appare improntato alla quotidianità, pur essendo arricchito da quella coloritura di termini ed espressioni tipiche del parlato, oppure ottenuti con invenzioni talvolta bizzarre o con l'uso di diminutivi e accrescitivi. Questi contributi lessicali permettono allo stile di Pirandello -uno stile lineare, come già detto- di non essere monotono, e consentono al discorso ora di accelerare, ora di rallentare, ora di distendersi, ora di agitarsi, il tutto sempre in risposta allo stato d'animo del soggetto narrante.
PERSONAGGI
Si può dire che tante sono le stelle nel cielo, tanti sono i personaggi che Pirandello inventa, estrapolandoli dalla sua fantasia e collocandoli nella realtà (o viceversa?).
In questo libro ho contato circa trenta personaggi, ciascuno diverso dagli altri, ciascuno rispecchiante un modello diverso di vita; molti compaiono solo per una pagina, ma restano ugualmente negli occhi del lettore, perché sono descritti in un modo davvero originale e, il più delle volte, intervengono per ravvivare il racconto con battute di spirito e scene tragicomiche. Con le sue marionette, Pirandello intende rappresentare una piccola parte dell'umanità, che è estremamente eterogenea; bisogna guardarla in un caleidoscopio se si vuole comprendere veramente com'è, cioè estremamente variopinta.
Il protagonista è Mattia Pascal, uno di noi, uomo normale, né bello né ricco, che vive un caso eccezionale, morendo formalmente per due volte e scoprendo sulla sua pelle la nullità dell'uomo. La sua presentazione è diretta e molto originale; dopo aver detto il suo nome, per lui cosa non da poco, si descrive fisicamente:
-...m'afferrò per il mento, me lo strinse forte forte con le dita, dicendomi:
-Bellino! Bellino! Bellino!- e accostandomi, man mano che diceva, sempre più il volto al volto, con gli occhi negli occhi, finché emise una specie di grugnito e mi lasciò, ruggendo tra i denti: -Muso di cane!
Doveva essere la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale, non so perché, tendeva a guardare per conto suo, altrove. Erano per me, quegli occhiali, un vero martirio. A un certo punto li buttai via e lasciai libero l'occhio di guardare dove gli piacesse meglio. Tanto, se dritto, quest'occhio non m'avrebbe fatto bello. Ero pieno di salute, e mi bastava. A diciott'anni m'invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave./io avrei cambiato il mio volentieri, e così anche gli occhi e tante altre parti della mia persona. Ma sapendo bene che non si può, rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più che tanto.
A sconvolgere la sua monotona esistenza da bibliotecario arriva la sorte, che al Casinò di Montecarlo lo rende ricco e libero dalle preoccupazioni casalinghe.
All'improvviso Mattia si trova davanti a una vita tutta da ricominciare e da dedicare a se stesso, senza apparenti legami col passato; e mentre leggevo anch'io mi auguravo di trovarmi, un giorno, in una situazione simile, magari disperso su una barca nell'Oceano e naufrago in una terra lontana, pronto a vivere all'avventura e deciso a non sprecare un solo secondo della mia nuova esistenza...
Il prezzo che Mattia deve pagare è però altissimo: egli si trasforma in un uomo-invenzione, in una marionetta nelle mani degli altri, in un bugiardo che, costretto a portare sempre una maschera che dia una immagine diversa di lui, è vittima delle sue stesse menzogne.
-Or che cos'ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante che voleva e, del resto, doveva forzatamente stare per sé, pur calata nella realtà./
La mia vera, diciamo così, "estraneità" era ben altra e la conoscevo io solo: non ero più niente io; nessuno stato civile mi registrava, tranne quello di Miragno, ma come morto, con l'altro nome.
Adriano Meis è libero, ma per evitare di essere scoperto, evita rapporti durevoli e profondi con la gente che incontra e si ritrova inevitabilmente solo; in questo modo, priva di amicizia e amore, la sua vita non ha più senso ed egli ne è un impassibile spettatore.
-Ma la verità forse era questa: che nella mia libertà sconfinata, mi riusciva difficile continuare a vivere in qualche modo. Ma la vita, a considerarla così, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza costrutto e senza scopo.
-E che uomo dunque? Un'ombra d'uomo!E che vita! Finché m'ero contentato di star chiuso in me e di vedere vivere gli altri, sì, avevo potuto bene o male salvare l'illusione ch'io stessi vivendo un'altra vita.../ M'è sembrata una fortuna l'esser creduto morto? Ebbene, e sono morto davvero. Morto? Peggio che morto; me l'ha ricordato il signor Anselmo: i morti non debbono più morire, e io sì: io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita.
Per porre fine a un'esistenza da ombra, non gli resta che uccidere Adriano; con lui muore la maschera di Mattia, che può tornare a essere se stesso.
Egli si paragona alla torre di Pisa, perché come essa è nell'incertezza e non sa da quale parte pendere; tutte le sue sicurezze di gioventù sono svanite, non sa più chi è, qual è la sua funzione nel mondo, quale posizione dovrà assumere nella società. In un amaro finale, Mattia va al cimitero per vedersi là, morto e sepolto; è finito il gioco delle parti, egli si è tolto la maschera per la rappresentazione:
-Quello che vorremmo o dovremmo essere; quello che agli altri pare che siamo; mentre quel che siamo, non lo sappiamo, fino a un certo punto, neanche noi stessi; ciascuno è la marionetta di se stesso, finché non giunge un calcio che manda all'aria la baracca.
I TEMI FONDAMENTALI SONO:
a) il contrasto tra apparenza (o illusione) e realtà (o tra forma e vita), nel senso che l'uomo ha degli ideali che la realtà impedisce di vivere, poiché la realtà si ferma all'apparenza e non permette all'uomo di essere se stesso;
b) l'assurdità della condizione dell'uomo, fissata in schemi precostituiti (adultero, innocente, ladro, iettatore, ecc.): a ciò Pirandello cercherà di opporre il sentimento della casualità o imprevedibilità delle vicende umane; molte sue commedie rappresentano situazioni inverosimili o paradossali, proprio per mettere meglio in luce l'assurdità dei pregiudizi borghesi;
c) le molteplici sfaccettature della verità (tante verità quanti sono coloro che presumono di possederla) espresse col "sentimento del contrario" (che è alla base del suo umorismo e che viene utilizzato per vanificare ogni possibile illusione).

Pirandello ha una concezione relativistica dell'uomo, che ne esclude una conoscenza scientifica. L'uomo è troppo assurdo per essere capito (mentre la natura è più semplice, inconsapevole, felice, anche se resta un paradiso perduto e rimpianto). Il borghese si dibatte fra ciò che sente dentro (sempre mutevole) e il rispetto che deve alle convenzioni sociali (sempre fisse e stereotipate). La "forma" o "apparenza" è l'involucro esteriore che noi ci siamo dati o in cui gli altri ci identificano; la "vita" invece è un flusso di continue sensazioni che spezza ogni forma. Noi crediamo di essere "forme stabili" (personalità definite): in realtà tutto ciò è solo una maschera dietro cui sta la nostra vera vita, fondata sull'inconscio, cioè sull'istinto e sugli impulsi contraddittori. Parafrasando un titolo di un suo romanzo, si potrebbe dire che noi siamo "uno" (perché pretendiamo di avere una forma), "nessuno" (perché non abbiamo una personalità definita) e "centomila" (perché a seconda di chi ci guarda abbiamo un aspetto diverso).
L'uomo, in definitiva, è soggetto al caso, che lo rende una marionetta, che gli impedisce di darsi una personalità. Ogni personaggio teatrale è immerso in una tragica solitudine che non consente alcuna vera comunicativa: sia perché il dialogo non ha lo scopo di far capire le cose o di risolvere i problemi, ma solo di confermare l'assurdità della vita; sia perché ogni tentativo di comprendersi reciprocamente è fondato sull'astrazione delle parole (sofistica), che non riflettono più valori comuni, ma solo la comune alienazione (i dialoghi sono cervellotici e filosofici).
Nel testo compaiono alcune delle tematiche tipiche della produzione letteraria e non di Pirandello:
_E' estremizzato il bisogno dell'uomo di darsi una maschera per vivere in società, forma che oltre ad essere, secondo l'autore, necessaria è anche difficilmente sostituibile dato che l'individuo, o meglio la sua maschera, dal momento in cui nasce vanno a far parte di un gran meccanismo che non può rompersi e per questo, ognuno è costretto a recitare la sua parte senza neanche starsi a chiedersi il perché. Se in quest'immenso gioco si prova a bluffare, si è destinati a fallire e nel migliore dei casi bisogna tornare ad essere una delle tante pedine; l'unico modo per tirarsene fuori è non essere più utili per il proseguimento della partita, in altre parole o morire o impazzire, le sole condizioni in cui ci si può forse considerare liberi.
_La maschera, così come l'appartenere ad un gruppo, il calarsi in una trappola è inteso come necessario perché l'uomo come singolo non ha alcun valore se non per se stesso, e nessuna possibilità di essere veramente libero di decidere arbitrariamente o quasi della propria esistenza.
_La realtà è concepita unicamente come una formalità: non è tanto importante che una cosa sia vera ma basta che possa esserlo e si sfrutta ciò finché qualcuno non dimostra l'opposto; ad esempio nel racconto, a nessuno importa se Mattia sia morto veramente, l'importante che lui non torni (potrebbe anche essere morto davvero o no è uguale!) in modo che il nuovo matrimonio di Romilda non desti scandali, e quando lui torna, nessuno si meraviglia perché a questo punto che lui sia morto davvero o no non è più importante dato che ha deciso di non riprendersi la moglie. Adesso potrebbe anche morire veramente che sicuramente nessuno lo farebbe scrivere su un giornale dato che tutte le apparenze sono salve ed il grande mosaico della vita sociale non subirebbe contraccolpi.
L'autore in quest’opera affronta anche alcuni altri temi, primo di tutti quello della morte, che pone fine ad inutili vite in cui ognuno si affatica a raggiungere obiettivi tutto sommato inutili e per i quali lo ricorderanno a malapena i suoi cari, se mai ne ha avuti.
Altro argomento che affronta l'autore è quello della solitudine, ad esempio il protagonista del testo né nel matrimonio, né nella presunta amicizia con Pomino, né nel suo tentativo di costruirsi una nuova vita, riesce a trovare una persona che sia anche minimamente in grado di comprenderlo e di vedere le cose dal suo punto di vista.
Anche l'amore è visto come sentimento assurdo, infatti, Mattia non comprende a cosa sia dovuto e a quale scopo Pomino abbia per Romilda un tale sentimento, ed anche il suo Rapporto con Adriana, è vissuto dal protagonista in chiave molto egoistica e personale.
Concludendo penso che se la vita fosse completamente come descritta da Pirandello, non ci sarebbe ragione di viverla, e pur pensando che molte delle idee contenute né "Il fu Mattia Pascal'', si avvicinino alla realtà ''oggettiva'', credo che valga la pena di lottare contro il sistema, per far girare ognuno il meccanismo a proprio piacimento pur senza romperlo, per giungere al letto di morte con meno rimpianti possibile.
RIFLESSIONI PERSONALI
Il libro nel suo insieme non è male anche se la prima parte non mi così entusiasmata come l’ultima. Infatti il racconto è molto lento, senza suspence e avventura. Ho pensato anche di cambiare libro perché non mi “rapiva” il racconto, decidendo di andare avanti ho scoperto la bellezza di quest’opera. Consiglio di leggere questo libro con molta attenzione e ragionando sugli avvenimenti trattati da Pirandello.

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