Il fu Mattia Pascal

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura
Download:210
Data:06.02.2001
Numero di pagine:15
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
fu-mattia-pascal_2.zip (Dimensione: 13.95 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_il-fu-mattia-pascal.doc     45 Kb


Testo

IL FU MATTIA PASCAL
INTRODUZIONE
IL DECADENTISMO ITALIANO
Negli ultimi decenni dell'Ottocento ha inizio una corrente letteraria, artistica, spirituale e culturale che investe tutta l'Europa, caratterizzata da una netta contrapposizione alla letteratura, cultura e moralità verista.
In seguito si svilupperanno sulla scia del decadentismo altre correnti, per esempio in campo artistico, l'Impressionismo, il Cubismo, il Surrealismo, in campo filosofico, il Simbolismo e la Psicoanalisi, e in campo letterario, il Parnassianesimo.
Alla base di questo nuovo movimento sta una profonda crisi religiosa, che porta alla ripulsa di tutti i valori comunemente accettati, uguaglianza, democrazia, popolo, ideali di cui i decadenti sentono l'instabilità e la fragilità. Tutto ciò porta come conseguenza l'isolamento, sociale, morale e spirituale, e l'estremo distacco dalla società stessa e dal mondo. Nonostante l'universo si manifesti agli occhi dei decadenti come misterioso, inconoscibile, tuttavia essi sanno di dover unirsi ad esso in qualche modo: il proprio subconscio è un tramite, l'unico che con la poesia possa illuminare e portare all'intuizione. Non è quindi una vera conoscenza, ma solamente una pura intuizione, che porta all'immedesimazione, seppur istantanea, con il tutto.
A questi nuovi concetti, che nascono in campo morale, corrisponde anche lo sviluppo di innovazioni in campo letterario. L'analisi che i decadenti svolgono sul proprio io è estremamente lucida e sottile: contrariamente ai romantici, che privilegiavano la forza e la passionalità dei sentimenti, essi innalzano le sensazioni, colgono i sensi più vivi, gli istinti più personali, senza alcun freno morale o intellettuale. La poesia risente quindi di questo atteggiamento, e diventa l'espressione di ciò che gli autori sentono, momento per momento, con un rifiorire di figure simboliche e metaforiche, utilizzate con lo scopo di esprimere al meglio le proprie sensazioni; la tecnica poetica cerca quindi di raggiungere maggiori livelli stilistici, attraverso studi più approfonditi dell'espressione e della forma.
Il termine "decadentismo" fu coniato intorno al 1880, con significato polemico. Nei confronti sia della corrente sia del termine possono essere posti in rilevanza due atteggiamenti di fondo. Il primo, sostenuto da Flora (critico letterario) e Croce (filosofo), dà due interpretazioni, a secondo di come si analizzi il movimento: il decadentismo è positivo, se si guarda alla validità poetica, ma è profondamente negativo e disprezzabile se si sottolinea il suo aspetto moralmente spregevole di insieme di tendenze deteriori dell'età moderna. Il secondo, invece, ha uno sguardo generalmente più positivo, avanzato dal Russo: la corrente decadente viene da lui considerata infatti necessaria per allargare l'orizzonte provinciale della vita culturale del tempo. un'altra interpretazione positiva è quella del critico Walter Binni, secondo il quale non si trattava di una decadenza del romanticismo, bensì di una nuova concezione della poesia e della vita.
Secondo alcuni critici fu la Francia ad aver elaborato il decadentismo, a causa della sua resistenza passata al romanticismo, che non si era diffuso come in altri paesi, primo fra tutti l'Italia. Il rinnovamento che quindi non si era attuato nella prima metà del secolo, si esplicò alla fine, in questa forma. Altri vedono nella Francia la culla della nuova cultura, che tende più a ricevere che a creare in modo autonomo, spiegando così anche la limitata diffusione del romanticismo.
In Italia invece fu l'espansione del decadentismo ad essere difficoltosa. Ciò trova una spiegazione nell'indole stessa degli italiani, popolazione poco propensa a veloci cambiamenti e a facili rivoluzioni. possiamo comunque già trovare anticipazioni del pensiero decadente in quello degli Scapigliati, corrente milanese che fu caratterizzata dalla ribellione e dalla spregiudicatezza nei confronti della morale tradizionale.
Il decadentismo in Italia è legato ai nomi di Fogazzaro, D'Annunzio, Pascoli e Pirandello, che, sebbene con caratteristiche diverse e con accenti più o meno marcati su aspetti differenti, costituiscono i maggiori esponenti della corrente nella penisola. Gli iniziatori furono Pascoli e D'Annunzio, e nonostante la loro poetica sia ancora provinciale e ristretta, può dirsi animata dal nuovo spirito postromantico.
LUIGI PIRANDELLO
VITA E OPERE
Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 nei dintorni di Agrigento, nella villa detta "il Caos", da Stefano Pirandello, ex garibaldino, e da Caterina Ricci-Gramitto. Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Palermo, dove Luigi terminerà gli studi classici; nel 1886 si iscrive, nella stessa città, alla Facoltà di Lettere, ma l'anno dopo si reca a Roma presso uno zio per frequentare l'università romana. La Libreria Internazionale L. Pedone Lauriel di Palermo pubblica la sua prima raccolta di versi, Mal giocondo, nel 1889, anno in cui, a causa di un contrasto con un professore di latino, abbandona l'università e si trasferisce a Bonn, discutendo, in tedesco, una tesi dal titolo Suoni e sviluppi di suono della parlata di Girgenti. Tornato in Italia, nel 1893 si stabilisce a Roma, dove ha i primi contatti col mondo culturale romano: su consiglio di Luigi Capuana scrive il primo romanzo, L'esclusa (pubblicato nel 1901 su 2La Tribuna"). Nel 1894 sposa la figlia di un socio del padre, Maria Antonietta Portulano, dalla quale avrà tre figli: Stefano, romanziere e commediografo, Lietta, e Fausto, pittore. Scrive il romanzo Il turno (1895) e, con un gruppo di amici, fonda il giornale letterario "Ariel", sul quale pubblica il suo primo dramma, L'Epilogo. È il 1903 quando la miniera di zolfo, nella quale erano stati investiti il capitale del padre e la dote della moglie, viene distrutta da una frana: la moglie ne riporta un grave Shock e, costretta all'immobilità per una paresi alle gambe, manifesta i primi segni di paranoia. Assistendo la moglie scrive Il fu Mattia Pascal: grazie al successo del romanzo entra a far parte della casa editrice dei Fratelli Treves. Nel 1908 pubblica il saggio l'umorismo e diviene titolare della cattedra di Lingua Italiana all'Istituto Superiore di Magistero di Roma. Inizia a collaborare con "Il Corriere della Sera", collaborazione che durerà fino alla morte, e scrive il romanzo I vecchi e i giovani. Nel 1915 la vita famigliare è scossa dalla partenza per la guerra del figlio Stefano, che rimarrà prigioniero per tre anni, dalla morte della madre e dall'aggravarsi della malattia della moglie, che diviene esageratamente gelosa nei suoi confronti. Nel 1916 scrive ancora per il teatro, su suggerimento dell'amico Nino Martoglio: da una novella trae la commedia Pensaci, Giacomino! Che viene rappresentata al Teatro Nazionale di Roma da Angelo Musco; dello stesso anno è anche la prima di Liolà, commedia in dialetto agrigentino. È un periodo teatralmente fecondo:
Così è (se vi pare), del 1917, Il berretto a sonagli, Il giuco della parti, 1918. È poi costretto a far internare la moglie in una casa di cura, nel 1919. Nel 1920 vengono rappresentate Tutto per bene, Come prima, meglio di prima (primo grande successo), La signora Morli, una e due, e passa alla casa editrice Bemporad.
La "commedia da fare" Sei personaggi in cerca d'autore cade il 10 maggio 1921 al Valle di Roma, per trionfare poi il 27 settembre al Manzoni di Milano. Un successo è anche la prima di Enrico IV , nel 1922, sempre a Milano. L'anno successivo compie il primo viaggio all'estero per motivi artistici: alla Comédie des Champs Elysées va in scena Sei personaggi in cerca di autore con la regia di Pitoeff ed è l'inizio di un trionfale tour europeo che proseguirà poi a New York, dove verranno rappresentate tre commedie alla presenza dell'autore. Rientrato in Italia, termina il romanzo Uno, nessuno e centomila e diventa direttore artistico del "Teatro d'Arte di Roma", fondato da alcuni scrittori e dal figlio Stefano. La compagnia del teatro, nella quale viene scritturata Marta Abba, rappresenterà in Italia e all'estero molti dei suoi lavori. Nel settembre 1924, tre mesi dopo il delitto Matteotti, si iscrive al Partito Nazionale Fascista, con l'unico scopo di aiutarlo a rinnovare la cultura, non essendosi mai interessato di politica. Insieme a Paolo Giordani scrive un progetto di "Teatro di Stato". Mentre è a Berlino nel 1928 scrive Questa sera si recita a soggetto, e nel 1929 viene nominato Accademico d'Italia, massimo riconoscimento ufficiale per un artista italiano, del quale però non fu particolarmente entusiasta (definirà l'Accademia una "parata di scheletri"). Dopo aver deciso di affidare la pubblicazione delle sue opere all'editore Mondadori, nel 1930 è a Hollywood, per le riprese cinematografiche di Come tu mi vuoi con Greta Garbo. Il 10 dicembre 1934 è a Stoccolma, dove riceve il Premio Nobel per la letteratura, mentre nel 1935 è in America, dove incontra Albert Einstein. Durante le riprese cinematografiche de Il fu Mattia Pascal, che vengono effettuate a Roma, si ammala di polmonite e muore nella sua casa di via Antonio Bosio la mattina del 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto I giganti della montagna. Nelle sue ultime volontà aveva lasciato disposizioni per il funerale: "Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta". E così fu fatto. Nel venticinquesimo anniversario della morte le sue ceneri furono tumulate nella villa de "Il Caos" (1961).
IL FU MATTIA PASCAL
LA TRAMA
Il romanzo è centrato sulla figura di Mattia Pascal, narratore e protagonista, grande ragionatore, che analizza in modo quasi spietato la realtà e le vicende che vive, scomponendole alla luce delle apparenze e delle verità di cui sono fatte. Dopo un'infanzia e una giovinezza trascorse abbastanza felicemente e del tutto senza preoccupazioni di alcuna sorta, né economiche né morali, il fratello si sposa, trovando così una sistemazione agiata, che risolve tutti i suoi problemi: sebbene infatti inizialmente la famiglia Pascal non fosse povera, dopo la morte del marito, la madre di Mattia, donna fragile e sottomessa, non riesce a mantenere il patrimonio, affidandolo a un uomo corrotto e disonesto, il Malagna, che sperpera il denaro e specula su esso, cavandone profitti elevati per sé stesso. Mattia riesce a sposarsi, ma non migliora la propria vita, anzi, si sente sempre più oppresso dalla suocera assillante e piena di rimproveri, e, non trovando conforto né nel lavoro (è bibliotecario in una chiesetta fatiscente che nessuno frequenta), né nella famiglia (le due figlie nate muoiono perché troppo deboli e la moglie rimane distrutta e stanca), dopo un ennesimo litigio decide di partire e abbandonare quella vita che tanto lo soffoca. Viaggiando arriva a Montecarlo, dove gioca, vince e si ritrova con parecchio denaro. Trionfante decide di tornare a casa, ma apprende dai giornali che al suo paese è stato rinvenuto il cadavere di Mattia Pascal, riconosciuto dalla moglie e dalla suocera. Mattia vede questo avvenimento come un'occasione di riscatto per sé stesso: la possibilità di cambiare totalmente vita, ricco e libero, senza legami e costrizioni gli sembra la realizzazione di un sogno. Ma questa libertà non può essere completa, e se ne rende conto vivendola: il nuovo nome, Adriano Meis, la persona che rappresenta, e il passato che si è inventato non esistono, impedendogli per esempio di denunciare il ladro del suo portafoglio, perché Adriano Meis per la legge non esiste. Dopo aver viaggiato parecchio sente il bisogno di fermarsi in un posto stabilmente, e trova alloggio presso una famiglia di Roma. L'amore che nasce per la figlia del padrone di casa, amore sincero, ricambiato e impossibile, lo costringe però a una soluzione definitiva: Mattia finge il suicidio di Adriano Meis e torna a casa, sollevato e ansioso di riprendere la sua identità di Mattia Pascal. Arrivato al paese natio scopre che la moglie si è risposata con il suo migliore amico ed ha avuto una figlia: in un primo tempo si crede liberato dall'impegno del matrimonio e dall'incubo della suocera, ma poi viene a sapere che il secondo matrimonio di sua moglie verrebbe annullato in seguito al rinnegamento della sua morte. Frustrato da quest'ultima rivelazione che non gli permette di riprendere pienamente la sua identità e la sua personalità, frantumate per sempre, comprende che un uomo non può vivere al di fuori della sua "forma", e lo dimostra ironicamente, portando fiori alla sua tomba, e rispondendo a chiunque glielo chieda di essere "il fu Mattia Pascal".
I PERSONAGGI
MATTIA PASCAL: protagonista, simbolo di una identità distrutta e non autentica, espressione del falso rapporto tra l'uomo e il mondo: la sua vicenda è proprio la storia della distruzione dell'identità e la denuncia della falsità in cui l'uomo è costretto a vivere. Non vi sono più saldi fondamenti, principi e verità incrollabili, ma solo incertezza e insicurezza dell'uomo in sé stesso e nella realtà; la vita è insufficiente, non ha un centro, è privata di uno scopo e di qualsiasi valore, e l'uomo, il reale esterno non ha consistenza propria, ed è soggetto all'io che ragiona, analizza e conosce. In tutto il romanzo notiamo questo dubbio assillante che il protagonista si rivolge di continuo, e che rappresenta il tema di fondo. Mattia analizza tutte le situazioni in cui viene a trovarsi, esprime tutte le sue sensazioni e i suoi impulsi più nascosti, si fa domande sulla propria vita, cerca di trovare delle soluzioni, e si rende infine conto che non ce ne sono. La sua descrizione è la più completa, rispetto a tutti gli altri personaggi, perché tutto il romanzo si basa sulla sua personalità, anche se distrutta: Mattia cresce, durante la storia, e si descrive da sé, procedendo nel racconto. Anche il suo aspetto fisico è una componente rilevante, per capire meglio il suo pensiero. La sua prima descrizione è questa: "doveva esser la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale, non so perché, tendeva a guardare per conto suo, altrove...ma ero pieno di salute, e mi bastava. A diciott'anni mi invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave". Mattia avrebbe voluto fare qualcosa per il suo naso, ma "sapendo bene che non si può, rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più di tanto". Cambierà poi idea, riguardo all'occhio, quando si trasformerà in Adriano Meis; per operare questo cambiamento, e per cancellare l'immagine e la persona di Mattia Pascal, per prima cosa si farà radere la barba, crescere i capelli, e mettere gli occhiali. Dice infatti: "mi sarebbe piaciuto che, non solo esteriormente, ma anche nell'intimo, non rimanesse più in me alcuna traccia di lui". Ma quell'occhio storto era un segno che gli faceva sempre ricordare Mattia Pascal, così su consiglio della signorina Caporale si sottopose a un'operazione che finalmente lo sistemò. La questione dell'occhio risorse con la riapparizione di Mattia Pascal e la morte di Adriano Meis: rifatta crescere la barba e tagliati i capelli, quell'occhio non era più di Mattia: ma non rappresentava comunque un problema, anzi, migliorava e ringentiliva l'aspetto e il viso. Mattia dice a riguardo: "l'occhio...non era più quello caratteristico di Mattia Pascal. Ecco, qualche cosa d'Adriano Meis mi sarebbe tuttavia rimasta in faccia". Non ne parla quindi con rimorso, ma con tranquillità.
Alla fine della narrazione Mattia afferma di non "saper vedere che frutto se ne possa cavare", e don Eligio, che lavor con lui nella biblioteca, gli risponde: "intanto questo: che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere".
LA MADRE DI MATTIA: egli la descrive così: "d'indole schiva e placidissima, aveva così scarsa esperienza della vita e degli uomini! A sentirla parlare, pareva una bambina... Gracilissima di complessione, fu, dopo la morte di mio padre, sempre malferma in salute; ma non si lagnò mai de' suoi mali, né credo se ne infastidisse neppure con sé stessa, accettandoli, rassegnata, come una conseguenza naturale della sua sciagura... aveva per noi una tenerezza addirittura morbosa, piena di palpiti e di sgomento: ci voleva sempre vicini, quasi temesse di perderci... come una cieca si era abbandonata alla guida del marito; rimasta senza, si sentì sperduta nel mondo". Quando Mattia si sposa, porta la madre a vivere nella casa della moglie: il che suscita l'ira della suocera, la vedova Pescatore. Ma per il contegno e la presenza stessa della donna, la vedova Pescatore si trattiene ed è solamente a causa di un futile pretesto che alla fine lascia esplodere la sua ira. Mattia descrive così l'aspetto della madre in quel particolare frangente, ulteriore conferma del suo carattere: "spaventata, con le lagrime agli occhi, tutta tremante, si teneva aggrappata con ambo le mani all'altra vecchietta, come per ripararsi".
ZIA SCOLASTICA: sorella del padre di Mattia, è una donna energica e di carattere: "zitellona bisbetica, con un pajo d'occhi da furetto, bruna e fiera...io, da ragazzo, ne avevo una gran paura...specialmente quando la vedevo scattare in piedi e la sentivo gridare, pestando rabbiosamente un piede sul pavimento...ella aveva un sentimento aspro e dispettoso della giustizia". Quando viene a sapere il modo in cui la madre di Mattia viene trattata dalla vedova Pescatore, arriva "in gran furia, al solito", per portare la donna via con sé: la scena che segue è particolarmente vivace, e determinata dallo scontro di due personalità forti come quelle di Zia Scolastica, che "parlava a scatti, e il naso adunco e fiero, nella faccia bruna, itterica, le fremeva, le si arricciava di tratto in tratto, e gli occhi le sfavillavano", e della vedova Pescatore.
ROMILDA: moglie di Mattia, dopo il matrimonio e in particolare dopo la morte delle due figlie, si lascia andare, senza curarsi più né del marito, né di sé stessa. È succube della madre, e addirittura arriva a pregare Mattia, prima del matrimonio, di portarla via, di avere pietà di lei, "di toglierla comunque... purché lontano da quella sua casa, lontano da quella sua madraccia, da tutti, subito". La morte delle figlie la distrugge radicalmente, come osserva lo stesso Mattia, che pone l'accento sulla diversità fra la bella Romilda che aveva sposato e la donna stanca, "rivoltata dalle continue nausee, pallida, disfatta, imbruttita, senza più un momento di bene, senza più voglia neanche di parlare o d'aprire gli occhi". La descrizione di Romilda precedente era completamente diversa: aveva un "simpatico sorriso che prometteva cordiale accoglienza e uno sguardo, dolce e mesto a un tempo, di quegli occhi che mi fecero fin dal prim vederla una così forte impressione: d'uno strano color verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia, tra due bande di capelli neri che le scendevano sulla fronte e sulle tempie, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza de la pelle".
MARIANNA DONDI, VEDOVA PESCATORE: il primo attributo che Mattia le rivolge è "la strega". La consapevolezza della cattiveria e arroganza della vedova lo accompagnerà sempre, segnando la sua vita. Possiamo capire la natura di questa donna anche solo dalla descrizione di una mano: "gelida, secca e nodosa, gialliccia", approfondendola poi con l'analisi del suo comportamento: sempre "indispettita", "diventava di giorno in giorno più cupa e di fosche maniere". Mattia arriva addirittura a dire: "quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta".
IL MALAGNA: "Zia Scolastica lo chiamava "talpa", perché "scavava di soppiatto la fossa sotto i piedi" della famiglia Pascal. Era l'amministratore dei suoi beni, ma invece di provvedere agli interessi della famiglia, badava ai suoi profitti personali, arricchendosi a spese di quella. La sua descrizione è quella di "un pagliaio nano e panciuto...sudato e sbuffante, scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione, di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolavano all'attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme, quasi fino a terra, perché data l'imminenza di esso sulle gambette tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai agiati i calzoni; cosicchè da lontano, pareva che indossasse, bassa bassa, una veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra...andava piano...sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle, miagolante!".
ANSELMO PALEARI: padrone di casa di Mattia quando egli decide di fermarsi a Roma. È un uomo anziano, legatissimo all'unica figlia rimastagli, ma di indole credulona, semplice. La prima impressione che Mattia riceve dal vecchio uomo non è delle migliori, anzi, "fu poco favorevole", tanto che rimase "a lungo perplesso se non gli convenisse cercare ancora"; la descrizione è infatti questa: "un vecchio su i sessant'anni, in mutande di tela, coi piedi scalzi antro un paio di ciabatte rocciose, nudo il torso roseo, ciccioso, senza un pelo, le mani insaponate e con un fervido turbante di spuma in capo". Più avanti dice ancora: "aveva pure così, come di spuma, il cervello", indicando senz'altro sia l'inavvedutezza con cui l'uomo si affidava al genero per le questioni economiche, sia il suo atteggiamento sempre un po' inavveduto, lo sguardo perso, la partecipazione alle sedute spiritiche organizzate dal genero stesso, i discorsi, talvolta senza capo né coda, talvolta su argomenti elevati, filosofici e profondi.
ADRIANA: figlia di Anselmo Paleari, donna per cui Mattia proverà un amore sincero e impossibile, che lo costringerà a inscenare il suicidio e ad allontanarsi da Roma. Adriana è una donna minuta, "piccola piccola, bionda, pallida, dagli occhi ceruli, dolci e mesti, come tutto il volto". In un primo momento sembra a Mattia una ragazzetta, con una veste da camera che rende "un po' goffa" la sua figura, perché non si adatta "alle fattezze di lai così piccolina". Sguardo fuggevole, "sorriso lieve lieve, e mesto", Ariana parla pianissimo, con "tanta serietà", che colpisce Mattia. Tutto il peso della casa era sulle sue spalle, a causa dell'inadeguatezza del padre: "istintivamente buona e anzi troppo savia", sembra una "piccola mammina", che si prende cura del padre, della casa e della signorina Caporale.
SILVIA CAPORALE: era un'insegnante di pianoforte, aveva più di quarant'anni, e il signor Anselmo l'aveva accettata presso casa sua per le sue capacità medianiche, che, sebbene "non ancora bene sviluppate, per dire la verità, si sarebbero senza dubbio sviluppate, col tempo e con l'esercizio". Mattia dice di non aver mai visto in una "faccia volgarmente brutta, da maschera carnevalesca, con un bel pajo di baffi sotto il naso a pallottola, sempre acceso,... un pajo d'occhi più dolenti" dei suoi: "eran nerissimi, intensi, ovati, e davan l'impressione che dovessero aver dietro un contrappeso di piombo, come quelli delle bambole automatiche". La povera donna era consapevole della sua bruttezza, "era arrabbiata d'amore", e continuava a bere, per disperazione. Quando la sera arrivava a casa in "uno stato veramente deplorevole", era Adriana a doverla consolare, e a farle promettere di non bere più, anche se la volta seguente sarebbe successa la stessa cosa.
TERENZIO PAPIANO: era il genero di Anselmo Paleari, avendo sposato una delle sue due figlie, che era però morta pochi anni prima. Da come fanno intendere le parole di Adriana e della signorina Caporale, Mattia capisce che egli "non doveva aver l'aria del vedovo compunto", cosa che scopre in seguito, dopo il suo incontro con Papiano stesso. L'incontro avviene una notte, in condizioni abbastanza singolari: Mattia sente delle voci concitate e scopre Papiano, in modo scocciato e scontroso, e la Caporale che parlano di lui. Poi Papiano fa chiamare Adriana, ma dopo il suo tentativo di avvicinarla a sé, Mattia non sa trattenersi ed esce allo scoperto. La reazione di Papiano è sconcertante: inizia a parlare, "strisciando una riverenza, e stringendogli calorosamente la mano", e "non la finì più". In seguito Mattia si chiederà spesso il motivo di questa finta amicizia, rispondendosi a ragione che l'uomo voleva cercare di allontanarlo dalla casa subdolamente, in quanto rappresentava un pericolo per le sue mire sull'abitazione.
COMMENTO AL ROMANZO
"Il fu Mattia Pascal" è un romanzo profondamente introspettivo, anche se non mancano scene di movimento. Nella prima parte l'esame delle proprie sensazioni e delle proprie riflessioni, è stato particolarmente evidente per la mia attenzione, forse perché non avevo mai fatto letture del genere, ma letto solamente romanzi d'avventura e di movimento. Comunque con il procedere della narrazione, ci si rende conto anche dell'accento posto sulle varie descrizioni di azioni, utili anch'esse per capire il pensiero dell'autore, in quanto analizzate e scomposte in tutte le loro parti, ma in modo naturale, spontaneo, così che la narrazione non risulta appesantita, ma anzi, anche più interessante. Mi sono spesso meravigliata, leggendo, della grande capacità dell'autore di esprimere in qualunque situazione ciò che provava il protagonista, e ho ammirato l'efficacia delle descrizioni, che ponevano in luce perfino gli aspetti del carattere. Sebbene quindi prima della lettura fossi svogliata e demotivata, man mano che il racconto procedeva aumentavano il mio interesse e la mia attenzione.
La forma del romanzo ed il suo contenuto sono quindi ammirevoli, e anche se i punti di vista di lettore e protagonista spesso non coincidono, credo che la vicenda di Mattia Pascal possa costituire uno spunto di riflessione utile: non mi è capitato di ripensarci o di ragionarci sopra dopo averlo letto, ma proprio durante la lettura, mi sorprendevo della somiglianza delle reazioni che credevo avrei provato io in quelle situazioni e di quelle che aveva il personaggio e altre volte mi chiedevo come fosse possibile che invece il personaggio si comportasse in quel modo. Tutto sommato lo ritengo perciò un romanzo interessante, non ripetitivo o noioso, e consigliabile a chiunque abbia un po' di conoscenza del periodo storico in cui è collocato.

Esempio