Tsunami a Sumatra

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Testo

Tragedia biblica, catastrofe immane, apocalisse, infarto della Terra: non ci sono più iperboli sufficienti per descrivere quel che è stato causato, da Papua allo Yemen, dal primo poderoso terremoto subacqueo al largo di Sumatra – nono grado della scala Richter - e dal successivo maremoto di onde alte anche 15 metri e con una velocità di spostamento di oltre 800 chilometri l’ora. Anche le cifre sul numero di morti , feriti e senzatetto, continuando ad aumentare di ora in ora – fino a un’ipotesi di 100.000 morti – sembrano fare tragicamente a gara con il vocabolario dei mezzi d’informazione. Lo scenario che le immagini televisive forniscono è in qualche modo apocalittico. Ma, quasi anestetizzati come siamo da immagini tragiche di guerra e di disperazione – basti pensare ai filmati dall’Iraq dal marzo 2003 - non è tanto il grande e fuggevole scenario complessivo delle immagini quanto la piccola cronaca fatta con parole semplici che può restituire il senso della tragedia.“Una citta' fantasma, con tutti gli edifici nel raggio di 300 metri dalla spiaggia distrutti, auto e bus scaraventati nei negozi, barche appoggiate agli alberi e cadaveri, tanti cadaveri in strada. Si presenta cosi' questa mattina la piccola citta' di Galle, nel sud dello Sri Lanka, al team della protezione civile che vi e' giunto all'alba di oggi, a circa 48 ore dal maremoto.” Lo scrive l’agenzia di stampa italiana Ansa, in base a notizie fornite dalla squadra italiana di soccorso. Un sito internet del paese diffonde intanto la notizia che le vittime locali dello “tsunami”, il terra-maremoto che ha seminato tanta distruzione, sono ormai certamente più di 13.000. “Surreale l' atteggiamento della gente: si continua a vivere – aggiunge la cronaca dell’Ansa - come se nulla fosse, girando in bicicletta con i bambini tra i cadaveri. Polizia ed esercito presidiano la citta' di Galle ma non intervengono nei soccorsi e, di fatto, gli unici a tentare di estrarre i corpi dalle macerie sono gli stessi cittadini, senza alcun mezzo tecnico.” Contemporaneamente dall’Indonesia giunge notizia che, secondo il vice-presidente Yusuf Kalla, i morti indonesiani sarebbero almeno 25.000; nella sola Banda Aceh, dove il minareto di una moschea costruita 125 anni fa potrebbe crollare da un momento all’altro, le vittime sarebbero non meno di 3000. Solo tra Indonesia a Sri Lanka sarebbero almeno due milioni i senzatetto. Ma hanno veramente senso queste cifre? I morti per ora accertati sfiorano stamattina i 28.000 ma la cifra viene subito inseguita da una nuova previsione ritenuta attendibile di almeno 57.000. E dopo Sri Lanka e Indonesia, anche l’India conta già almeno 10.000 morti – ma nel solo arcipelago delle Andatane sarebbero non meno di 5.000 - e in Thailandia se ne calcolano 2.000. Che alla fine siano trentamila o centomila i morti e uno o 10 milioni i senzatetto – e a qualsiasi piccolo o grande paese appartengano - è certo che un’enorme parte del pianeta Terra ha sofferto una lesione di cui porterà a lungo il segno. “Il costo della devastazione sarà nell’ordine di miliardi di dollari” ha detto Jan Egeland, capo dell’ Ocha, l’ “Ufficio di Coordinamento delle attività umanitarie” dell’Onu aggiungendo subito: “ Insondabili sono comunque i costi di queste povere società e dei pescatori senza nome e dei loro villaggi completamente spazzati via. Centinaia di migliaia di vite sono andate…”. Sarà indispensabile un prolungato sforzo planetario di convinta e generosa solidarietà per dare sollievo ai milioni di persone che concludono l’anno in maniera disperata. Sarà necessario che ognuno nel mondo, ma soprattutto coloro che più possono in danaro e in potere, contribuisca a lenire al più presto questa spaventosa lacerazione che il pianeta intero ha subito. Altrimenti questo mostruoso ‘tsunami’, questa gigantesca onda assassina non si fermerà mai. Né per i tanti paesi colpiti né per il resto del mondo già piagato da guerre evitabili, divisioni inutili e malanni pur curabili con pochi spiccioli. Non sarebbe questo il momento di sospendere , congelare almeno per un po’ qualsiasi conflitto e qualsivoglia commercio di armi per concentrare tutte le risorse in una grande straordinaria opera capace di trasformare almeno per un po’ tutto il mondo in un’unica Società veramente Civile? Mai come in questi momenti il “villaggio” planetario è e deve essere davvero villaggio, nel senso antico e migliore del termine, nel profondo di ogni coscienza. Villaggio sì globale, ma soprattutto globalmente solidale. (Pietro Mariano Benni)

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