Il brigantaggio e il fenomeno Bulla

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Testo

Brigantaggio
La parola “brigantaggio” vuol dire: insieme delle azione delittuose, contro proprietà private e persone, compiute da bande di briganti a mano armata. Il fenomeno del brigantaggio ha radici antichissime. Inizia ad affermarsi all’età dell’impero romano, quando i piccoli proprietari terrieri, pur di non cadere vittime dei grandi latifondisti, si davano a queste forme di banditismo. In questi anni la figura di maggiore spicco è il brigante Bulla.

Il fenomeno Bulla
Il fenomeno Bulla nel 207 cessa, dopo aver vissuto dal 202. Viene finalmente catturato e ucciso.
Nel 201 perfino gli onesti dovevano rubare per andare a pari di quanto veniva a loro rubato con le angherie di certi funzionari che più che incassare soldi per lo stato pensavano prima di tutto ad arricchirsi loro. E questo non era un incentivo a darsi da fare nelle varie attività. Tutti volevano avere soldi in tasca ma nessuno faceva qualcosa per ottenerli. Questi rampanti senza scrupoli che vestivano bene e conducevano apparentemente una vita perbene pensavano solo alla corruzione. Poi ad aggiungersi a loro c'erano i diseredati, i disertori di certe guerre stupide dove spesso non ne capivano l'utilità; costoro ricorrevano a una sola tecnica: organizzarsi in piccole bande di scippatori, di rapinatori, di ladri, e di banditi che ormai a Roma e dintorni aumentavano ogni giorno.
La delinquenza inizia prima a dilagare col singolo, poi va a formare grosse bande. La più famosa quest'anno è quella di un certo FELIX BULLA. Ha una banda di 600 uomini, 600 briganti che bloccano i viaggiatori nelle strade che conducono a Roma, depredandoli; assaltando i carri merci, svuotando le isolate ville dei signori. Si spostavano da un posto all'altro con rapidità, e seminarono il terrore per ben due anni, diventando inafferrabili. E non sono solo loro, anche se in gruppi meno numerosi, ci sono altre bande formate dai disertori, quelle formati dai profughi arrivati a Roma senza un mestiere, senza una attività, un tetto; provengono da ogni parte e per sopravvivere entrano nella malavita che diventa sempre più organizzata, quella che conosce le abitazioni dei ricchi, sa dove sono le ville dei benestanti, sa dove ci sono magazzini dove rubare, dove sono i gioiellieri, i mercanti di seta, o gli strozzini che prestano soldi a chi vive al di sopra dei propri mezzi, arricchendosi.
Il fenomeno Bulla più che vera e propria criminalità fu in sostanza una disperata lotta sociale di una categoria di poveri diseredati; una rabbia che era arrivata allo stadio delinquenziale dopo la prima fase, che era stata quella della disperazione e che traeva origine sia dal profondo disagio dovuto ai rapporti di proprietà causate da quelle espropriazioni nelle campagne di cui abbiamo parlato negli scorsi anni, sia anche dalla delusione dopo tante speranze nate nelle conquiste di quei ultimi 200 anni. Il benessere insomma toccava solo un certo ceto.
Le vittorie si celebravano con tante feste, con monumenti di ogni sorta (archi, colonne, statue, bassorilievi) in ogni angolo della città, che più che ricordare i fasti ricordavano i tanti sacrifici imposti per ottenerle quelle vittorie. Queste avevano sempre poi portato a una disparità di trattamento gli uomini che, o non avevano partecipato alle conquiste (e venivano disprezzati come imboscati dai reduci che ritornavano) o vi avevano partecipato ma poi a cose finite si vedevano riconoscere una volta congedati
un bel nulla. Se poi la guerra era finita senza un successo, uno irrideva l'altro per essersi illuso, per avervi partecipato, come se non bastasse l'onta della sconfitta o una vittoria mutilata con i vari compromessi, patti, trattati. Roma conquistava città millenarie come Babilonia, donava ai suoi generali mattonelle d'oro, mentre dentro e fuori nelle borgate romane c'era l'attesa di un salvatore di poveri che spazzasse tutto e tutti. Anche se Bulla e compagni non regalavano ciò che rapinavano ai ricchi, lui e i suoi fuorilegge erano sempre considerati eroi e si guardava a loro come dei fustigatori della corruzione, i vendicatori della arroganza e della prepotenza. L'ostentazione delle bravate che andava compiendo, il coraggio che Bulla faceva sfoggio, erano virtù nella quale la popolazione di diseredati trovava motivi per immedesimarsi in lui. Ognuno sognava di essere capace e coraggioso come Bulla. Dicevano che Roma era grande, bella, opulenta, ricca, operosa, ma i poveri tutto questo non lo vedevano, rimanevano a lottare per il quotidiano, che voleva dire fame e angherie. In questa loro condizione, come se fosse una vendetta personale, gioivano alle sue imprese, si esaltavano quando venivano a sapere che Bulla aveva spogliato la casa di quel nobile, portato via i soldi a uno strozzino o aveva umiliato un ricco commerciante speculatore.
Perfino in mezzo ai ragazzini si diffuse questa desiderio-ammirazione riflessa dai genitori; portando il brigante Bulla un ciondolo rotondo di cuoio (una specie di borchia infissa in un nastro di pelle) appeso al collo con un una cordicella di cuoio, lo adottarono e lo indossarono come simbolo per essere filo-bulliani, spavaldi, selvaggi, arroganti, temerari; fare il Bullo dava a loro la sicurezza ed era un marchio identificativo che permetteva di formare dei clan, delle bande, con le stesse affinità del Bullo vero.

In seguito, anche nel Medioevo si diffonde il Brigantaggio e diventa difficile stabilire una chiara differenza tra le rapine portate a termine dai ladri di strada e quelle compiute dai “nobilotti” locali e dai tanti “milites.
Un brigantaggio dagli aspetti più definiti comincia a diffondersi dal XIII secolo e sin da quel periodo un elemento importante fu costituito dalla numerosa presenza di “banditi” ed “esuli”. Nella città in quell’epoca si ricorreva facilmente al “bando” dei criminali, perché tale provvedimento permetteva di sequestrare i loro patrimoni.
Così in occasione delle periodiche gravi carestie, per evitare appunto fenomeni di banditismo, gli esponenti delle classi più agiate cercavano di alleviare le sofferenze delle classi sociali più disagiate.
Oggetto degli agguati erano un po’ tutti i viandanti, fossero essi mercanti, viaggiatori stranieri o personalità di alto rango.

Bibliografia
Le notizie qui riportate sono state prese da più libri, ma maggiormente i due seguenti:
• “Dal testo alla storia dalla storia al testo” di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria;
• “Enciclopedia Rizzoli”;
• “Noi e il lontano passato”.

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