il fenomeno della luce

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Testo

luce s.f. (lat. lux, lucis). Radiazione elettromagnetica di frequenza tale da essere percepita dall'occhio umano. (V. parte encicl., Fis.)
→ Fis. Luce monocromatica, luce costituita da un'onda sinusoidale di determinata frequenza. Luce polarizzata, luce il cui piano di polarizzazione è costante. Luce fredda, denominazione con la quale si indica talvolta la luce proveniente da fenomeni di luminescenza. Luce bianca, radiazione luminosa nella quale sono presenti tutte le componenti cromatiche dello spettro visibile (Tale è, per es., la luce solare). Luce nera, irraggiamento ultravioletto (ottenuto, ad es. mediante una lampada a mercurio dotata di un filtro per la radiazione visibile) che, pur essendo invisibile all'occhio umano, può eccitare la luminescenza di certe sostanze. Luce selettiva, luce nel cui spettro sono escluse determinate lunghezze d'onda. (Fari a luce selettiva gialla sono spesso montati sugli autoveicoli poiché la luce gialla da essi emessa, assolutamente priva di radiazioni blu o violette, è più visibile, nella nebbia, della luce bianca.) Luce di Wood, radiazione ultravioletta ottenuta filtrando attraverso un vetro all'ossido di nichel la luce emessa dall'arco a mercurio in un tubo di quarzo. Quantità di luce, prodotto del flusso luminoso emesso di una sorgente di luce per la durata dell'emissione. (Tale grandezza esprime in unità fotometriche l'energia totale irradiata in un certo tempo da una sorgente di luce.) Luce di sincrotrone, radiazione elettromagnetica emessa da particelle cariche che si muovono su di una traiettoria curva.
→ Fisica
1 Rifrazione
La fisica moderna ha ricondotto il concetto di luce a quello più generale di energia raggiante: la luce corrisponde semplicemente alle radiazioni elettromagnetiche di frequenza tale da eccitare le facoltà di percezione dell'occhio umano; il significato e la natura della moderna concezione potranno essere meglio compresi con un rapido esame dello sviluppo storico delle teorie sulla luce.
 Produzione della luce
A causa della relazione che lega radiazione emessa e transizioni energetiche, perché una sostanza possa essere sorgente di luce occorre che essa si trovi in uno stato eccitato di energia, sicché da questo possa tornare al livello normale di energia emettendo fotoni: se ad es. si riscalda un corpo, l'eccitazione termica lo rende luminoso quando la temperatura è abbastanza elevata. Nelle varie sorgenti di luce più in uso, sono utilizzati anche diversi metodi elettrici di eccitazione. Alcune sostanze sono anche sorgenti di luce per luminescenza: sottoposte a talune radiazioni (specialmente nella regione dell'ultravioletto) emettono luce visibile; se l'emissione cessa quasi al cessare dell'eccitazione, la sostanza è detta fluorescente; se invece può durare ancora per un certo tempo, è detta fosforescente.
→ Propagazione e assorbimento della luce
Nello studio della propagazione, si distinguono in genere due campi di fenomeni abbastanza nettamente separati, oggetto rispettivamente dell'ottica geometrica e dell'ottica ondulatoria: la prima si basa sul concetto della propagazione rettilinea dei raggi in un mezzo omogeneo e studia in special modo la riflessione e la rifrazione della luce. La seconda abbraccia tutti i casi in cui la natura ondulatoria della luce non è trascurabile e quindi particolarmente i fenomeni dovuti alla presenza nel mezzo di ostacoli o inomogeneità, di dimensioni comparabili con la lunghezza d'onda della luce stessa: l'interferenza e la diffrazione ne sono tipici esempi. Infine, quando la luce cade su un corpo, in parte è riflessa alla superficie di questo e in parte penetra nel corpo stesso: la riflessione, variabile a seconda della frequenza della radiazione incidente, è in genere massima sulla superficie dei metalli (riflessione metallica), che sono caratterizzati da una grande opacità rispetto alle radiazioni visibili; è minore alla superficie di corpi trasparenti (quali il vetro: riflessione vetrosa); e diventa una diffusione quando la superficie del corpo non è levigata, ma piuttosto scabra. La radiazione che penetra nel corpo può essere in parte trasmessa e in parte assorbita, a seconda dei fenomeni di eccitazione che può provocare nella sostanza: l'assorbimento è quindi diverso al variare della frequenza della luce.

spèttro
— Astron. Spettro solare, v. SOLE . Spettro stellare, v. STELLA .
— Fis. Insieme dei valori assunti da una o più grandezze fisiche associate a una data radiazione corpuscolare od ondulatoria, o, più generalmente, a un dato sistema fisico: per es., insieme delle frequenze e delle relative intensità che caratterizzano un suono complesso o una data radiazione luminosa. (Se la grandezza considerata assume tutti i valori compresi in un dato intervallo, lo spettro si dice continuo in quell'intervallo; se esistono degli intervalli in cui non cade nessun valore della grandezza, lo spettro è discontinuo; se infine i valori assunti formano un insieme di punti isolati, lo spettro è discreto. Si indica col nome di spettro anche ogni rappresentazione grafica dell'insieme suddetto e in partic. l'immagine ottenuta con uno spettroscopio.) [V. parte encicl.] → Spettro di assorbimento, spettro di una radiazione elettromagnetica o di altra natura assorbito da una data sostanza. (Viene ottenuto irraggiando la sostanza in esame con una radiazione a spettro continuo; lo spettro della radiazione che viene trasmessa differisce da quello iniziale per la presenza di righe o bande più scure che costituiscono le righe e le bande di assorbimento.) → Spettro di emissione, spettro della radiazione elettromagnetica emesso da una sostanza in determinate condizioni. Spettro acustico, spettro delle frequenze dei suoni semplici che compongono un dato suono complesso. Spettro di un rumore, insieme delle componenti spettrali di un rumore. (Poiché un rumore ha uno spettro continuo, la sua analisi spettrale viene eseguita per bande di dato intervallo, di cui lo spettro risulta funzione; lo spettro quindi si presenta come discreto.) → Spettro elettromagnetico, spettro di una radiazione elettromagnetica. Spettro atomico, spettro elettromagnetico di emissione o di assorbimento della radiazione emessa o assorbita dagli atomi nelle transizioni tra livelli energetici differenti. (È uno spettro discreto che si può ottenere scomponendo con uno spettroscopio l'immagine di una fenditura illuminata da un gas incandescente ed è costituito da diverse serie di righe spettrali [spettro a righe] le cui frequenze sono legate tra loro da semplici formule [v. BALMER (formula di)] : le righe spettrali di maggior intensità sono di solito comprese nella regione visibile o ultravioletta dello spettro.) Spettro di incandescenza, spettro elettromagnetico emesso da un corpo incandescente. (Se il corpo è solido lo spettro è continuo con un massimo di intensità a una frequenza che cresce al crescere della temperatura; → se il corpo assorbe integralmente ogni radiazione elettromagnetica che lo colpisce, il suo spettro di emissione è descritto dallo spettro del corpo nero.) Spettro ottico, parte dello spettro elettromagnetico compresa nella zona visibile. → (Spesso si designa con questo termine uno spettro leggermente più ampio, comprendente le radiazioni infrarosse e ultraviolette, mentre la parte a cui l'occhio è sensibile è detta più specificamente spettro visibile o luminoso.).
→ Fisica
1 Disco di Newton
1 Rifrazione
1 "Teoria dei colori"
5 Arcobaleno, la formazione
Quando un pennello di luce bianca è inviato attraverso una fenditura sottile su un prisma trasparente il cui asse è parallelo alla fenditura, la luce rifratta esce deviata dalla sua direzione iniziale e la deviazione è funzione della lunghezza d'onda dei raggi incidenti. Il fascio rifratto può far apparire così su uno schermo lo spettro luminoso della luce che si esamina: per esempio, si può ottenere in tal modo lo spettro solare. Convenzionalmente si ammette che i colori delle diverse radiazioni, di cui la luce bianca è la sovrapposizione, siano i sette colori dell'iride che si susseguono per lunghezze d'onda decrescenti nell'ordine seguente: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Con procedimento inverso a questo, che dà l'analisi spettroscopica, si possono sovrapporre le varie radiazioni e riottenere luce bianca: per es., se si osserva un disco, diviso in settori opportunamente colorati, che sia fatto ruotare abbastanza rapidamente (disco di Newton), si ha la percezione di luce bianca, per la persistenza sulla retina delle impressioni luminose. Lo spettro visibile non è però composto da una successione discontinua di sette colori distinti, ma da tutte le radiazioni comprese tra due lunghezze d'onda estreme situate intorno a 4.000 Å (per il violetto) e 8.000 Å (per il rosso). Al di là di questi limiti si incontrano le radiazioni ultraviolette e i raggi X per lunghezze d'onda inferiori, la radiazione infrarossa per lunghezze d'onda superiori. Le radiazioni ultraviolette sono rilevabili mediante la loro proprietà di impressionare le lastre fotografiche, i raggi X mediante l'uso di reticoli cristallini, i raggi infrarossi mediante l'uso di termocoppie.

dispersióne
— Fis. In acustica, separazione di un'onda complessa nelle sue componenti spettrali, dovuta generalmente alla variazione della velocità di propagazione nel mezzo, con la lunghezza d'onda della componente. → In ottica e in elettromagnetismo, fenomeno consistente nella variazione dell'indice di rifrazione assoluto di un mezzo al variare della lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica monocromatica incidente.
→ Fisica
Ogni radiazione elettromagnetica passando da un mezzo a un altro di diversa densità subisce una rifrazione di un angolo che dipende dalla frequenza della radiazione stessa: maggiore infatti è la frequenza della radiazione incidente, maggiore è la deviazione che il raggio subisce. Per tale motivo ad es. le diverse radiazioni monocromatiche che compongono una radiazione luminosa bianca deviano ciascuna di un angolo diverso nell'attraversare un prisma: ciò permette di ottenere uno spettro in cui la luce bianca è decomposta in violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione e rosso.
La dispersione è misurata dal potere dispersivo o dal suo inverso detto numero di Abbe.

Secondo la Bibbia Dio creò per prima la luce: “Sia fatta la luce”. Gli antichi non sapevano quale natura attribuire alla luce: i Greci, a partire da Pitagora, pensavano che fosse formata da particelle emesse dallo stesso occhio. Essi costruirono un’ottica geometrica che analizzava il comportamento della luce: studiarono la direzione rettilinea e le leggi di riflessione e rifrazione.
I primi esperimenti importanti furono fatti da Newton nel Seicento: egli sostenne la natura corpuscolare della luce. Nello stesso secolo l’astronomo olandese Huygens formulò invece un’ipotesi ondulatoria che prevalse fino alla fine dell’Ottocento, quando la teoria dei quanti di Planck rimise tutto in gioco. La fisica quantistica e la teoria della relatività di Einstein condussero alla formulazione del principio di complementarità di Bohr che in un certo modo istituzionalizza il dualismo onda-particella.

 La natura della luce
→ L'ipotesi corpuscolare
1 Isaac Newton
1 "Teoria dei colori"
→ Nel 1666 Isaac Newton riuscì a scomporre la luce, lasciando passare un raggio solare attraverso una fessura e facendolo incidere obliquamente su una faccia di un prisma triangolare di vetro. La doppia rifrazione nella stessa direzione produceva uno spettro di colori: dal rosso al viola, passando per l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro e il blu indaco.
Egli ne dedusse che la luce è costituita da corpuscoli che si spostano ad altissima velocità: si muovono in linea retta, si riflettono quando rimbalzano su una superficie e deviano quando penetrano in un mezzo rifrangente come l’acqua o il vetro, perché cambiano velocità.
Rimanevano, però, alcuni dubbi a proposito dell’ipotesi corpuscolare: sul perché, ad esempio, la banda verde si rifrange più di quella gialla o sul perché due fasci di luce possono incrociarsi senza determinare alcuna collisione tra le particelle.
 La crisi del modello ondulatorio della luce
 L'etere luminifero
1 Disco di Newton
1 James Clerk Maxwell
La natura ondulatoria della luce era universalmente accettata dalla comunità scientifica alla fine del XIX secolo, ma rimaneva aperta una questione fondamentale: su come poteva la luce propagarsi nel vuoto cosmico. All’interno della fisica classica newtoniana era molto difficile dare ragione dei fenomeni a distanza. Lo stesso Newton, per spiegare l’azione della forza di gravità attraverso lo spazio, aveva ripreso l’antico concetto di etere, caro ai Greci che respingevano sia l’idea dell’infinito attuale che quella del nulla. I fisici ipotizzarono così l’esistenza di un etere luminifero che avrebbe permesso la trasmissione della luce anche nel cosmo.
Ma anche accettando l’idea di un etere luminifero, era difficile capire come la luce, che si propaga attraverso onde trasversali, potesse raggiungere una velocità così elevata, se non attraverso un mezzo solido e molto rigido.
L’etere, insomma, avrebbe dovuto essere solido - non gassoso o liquido - e molto più rigido dell’acciaio; inoltre avrebbe dovuto permeare tutta la materia - lo spazio cosmico, i gas, l’acqua, il vetro - che si lascia attraversare dalla luce; e infine avrebbe dovuto essere completamente privo di attrito per non interferire minimamente con il movimento di qualunque corpo.
Gli esperimenti e le analisi sulle radiazioni elettromagnetiche di Maxwell negli anni Sessanta dell’Ottocento, tuttavia, rafforzarono ancora l’ipotesi ondulatoria: Egli, infatti, scoprì che la luce è una radiazione elettromagnetica accanto alle altre. Per gli scienziati di quei tempi tutte le radiazioni presupponevano invece l’esistenza dell’etere.
 L'esperimento di Michelson e Morley
1 Albert Abraham Michelson
Nel 1887 due scienziati statunitensi, A.A. Michelson e E.W. Morley, realizzarono un importante esperimento per misurare la velocità della luce. Michelson, fisico, era di origine tedesca e proveniva da una famiglia ricca: era un uomo brillante e fu il primo americano insignito del premio Nobel nel 1907. Morley, chimico e pastore della Chiesa congregazionalista era un uomo discreto e ossessionato dalla precisione. Due uomini così diversi avevano in comune, oltre l’attività scientifica a livello accademico, anche la convinzione dell’esistenza dell’etere luminifero. Essi pensavano che se la luce era dovuta alla propagazione di onde in un etere stazionario, allora questo etere doveva funzionare come una sorta di sfondo immobile, di spazio assoluto, rispetto al quale si potevano misurare tutti i movimenti in termini di moto assoluto.
Michelson progettò un metodo ingegnoso: egli pensò che, a parità di distanza, un raggio luminoso che viaggiasse nella direzione del suo moto dovesse impiegare un tempo inferiore a quello di un raggio diretto perpendicolarmente alla direzione di moto.
Ma l’esperimento accuratamente preparato con una serie di accorgimenti piuttosto sofisticati per quell’epoca diede risultato zero: non si rilevò alcuna differenza tra i due tipi di raggi di luce.
All’interno della comunità scientifica iniziò a serpeggiare il dubbio che l’etere non esistesse affatto e che non avesse senso cercare uno spazio assoluto o un moto assoluto.
La fisica newtoniana vacillava o, almeno, si limitava a spiegare i fenomeni del mondo ordinario, ma era incompleta e incapace di interpretare altri fenomeni più complessi: gli scienziati dovevano, quindi, prepararsi a scoprire, lungo l’itinerario della loro ricerca, fatti che non avrebbero obbedito alle leggi della fisica classica.
 La radiazione e la teoria dei quanti
 Le equazioni di Lorentz-FitzGerald
1 George Francis Fitzgerald
Alla fine del XIX secolo il fisico irlandese FitzGerald, nell’estremo tentativo di salvare il concetto di etere, propose una nuova spiegazione dei risultati dell’esperimento di Michelson e Morley : egli sostenne che la materia si contrarrebbe in direzione del suo moto e che questa contrazione sarebbe proporzionale alla velocità. Le equazioni della contrazione di FitzGerald indicavano che a 150.000 chilometri al secondo la contrazione raggiungerebbe il 15%, a 262.000 chilometri al secondo arriverebbe al 50% e infine alla stessa velocità della luce la lunghezza nella direzione del moto sarebbe nulla.
Il fisico olandese H. A. Lorentz, in seguito ai suoi studi sui raggi catodici, sviluppò ulteriormente i ragionamenti di FitzGerald: egli sostenne che una particella in moto veloce, soggetta alla contrazione di FitzGerald nella direzione del suo moto, avrebbe subito anche un aumento della propria massa.
Le sue equazioni dettero risultati simili a quelle di FitzGerald: alla velocità di 150.000 chilometri al secondo la massa aumenterebbe del 15%; a 262.000 chilometri al secondo raddoppierebbe e alla velocità della luce diventerebbe infinita.
La velocità della luce si presentava ancora una volta come un limite invalicabile, come una sorta di soglia dei paradossi, oltre la quale le dimensioni sarebbero diventate negative e la massa più che infinita. Nel tentativo di difendere i presupposti della fisica classica newtoniana gli scienziati cominciavano ad addentrarsi su un terreno inesplorato e inquietante.
 La teoria della relatività
1 Manoscritto di Einstein
La teoria di Einstein nega l’esistenza dello spazio assoluto e del tempo assoluto: essa è figlia, perciò, della caduta dell’ipotesi dell’etere luminifero che si muoveva proprio in direzione opposta, cercando un riferimento fisso e stabile.
Qualunque sistema di riferimento si assuma arbitrariamente, esso è valido, ma non per questo più vero di un altro: le misurazioni dello spazio e del tempo, dunque, sono relative a un sistema di riferimento scelto arbitrariamente e non hanno alcun valore assoluto. È questo il nocciolo della teoria della relatività. D’altra parte un uomo è piccolo rispetto a un capodoglio e grande in confronto ad una formica: che senso ha chiedersi se esso è grande o piccolo in assoluto?
La teoria della relatività è complementare, non alternativa, rispetto alla fisica classica newtoniana: quest’ultima spiega benissimo i fenomeni della vita ordinaria e dell’astronomia comune. Ma la fisica delle radiazioni e delle particelle per essere compresa e interpretata correttamente ha bisogno dei concetti della fisica quantistica e della teoria della relatività.
 La gravità e la teoria della relatività generale
Nel 1915 Einstein pubblicò la teoria della relatività generale, occupandosi dei problemi fisici legati alla gravitazione. Da più di cinquant’anni gli astronomi non riuscivano a spiegarsi in base ai concetti della fisica newtoniana della gravitazione, il progressivo spostamento del perielio di Mercurio. Infatti il punto dell’orbita in cui questo pianeta si trova più vicino al Sole - il perielio, appunto - si sposta in avanti lungo l’orbita ad ogni rivoluzione. Questo avanzamento è dell’ordine di 43 secondi di arco per secolo: molto poco, in realtà, ma sufficientemente ampio da essere apprezzato e da sconvolgere i calcoli e le previsioni degli astronomi.
In base alla sua teoria Einstein dimostrò che qualsiasi corpo interessato da un moto di rivoluzione deve avere un altro movimento, responsabile dello spostamento in avanti del punto analogo al perielio per i satelliti solari, e che questo movimento è minore a mano a mano che ci si allontana dal corpo attorno al quale opera il moto di rivoluzione.
La teoria della relatività considera, quindi, la gravitazione una proprietà dello spazio piuttosto che una forza di attrazione tra i corpi, com’è nella fisica classica newtoniana.
Einstein aveva previsto che un forte campo gravitazionale avrebbe rallentato le vibrazioni degli atomi e determinato radiazioni con maggiore lunghezza d’onda e perciò spostate verso il rosso delle righe spettrali. Gli astronomi dell’inizio del XX secolo pensarono alle nane bianche che hanno un forte campo gravitazionale: nel 1925 W.S. Adams verificò sperimentalmente quanto previsto da Einstein, analizzando le righe spettrali della luce che arrivava da una lontana stella nana bianca.
La teoria della relatività generale prevede che i raggi luminosi s’incurvino in presenza di un campo gravitazionale: Einstein aveva addirittura calcolato che un raggio luminoso che sfiorasse il sole si sarebbe incurvato rispetto alla direzione rettilinea di 1,75 secondi di arco.
Nel 1919 la Royal Astronomical Society inglese organizzò una spedizione sull’isola portoghese di Principe, al largo della costa occidentale dell’Africa, per assistere ad un’eclissi totale di sole: in tali condizioni era possibile osservare le stelle che si trovano alla nostra vista molto vicine al disco solare. La spedizione inglese verificò sul campo un effettivo cambiamento di posizione delle stelle coerente con le previsioni di Einstein.
luce

luce s.f. (lat. lux, lucis). Radiazione elettromagnetica di frequenza tale da essere percepita dall'occhio umano. (V. parte encicl., Fis.)
→ Fis. Luce monocromatica, luce costituita da un'onda sinusoidale di determinata frequenza. Luce polarizzata, luce il cui piano di polarizzazione è costante. Luce fredda, denominazione con la quale si indica talvolta la luce proveniente da fenomeni di luminescenza. Luce bianca, radiazione luminosa nella quale sono presenti tutte le componenti cromatiche dello spettro visibile (Tale è, per es., la luce solare). Luce nera, irraggiamento ultravioletto (ottenuto, ad es. mediante una lampada a mercurio dotata di un filtro per la radiazione visibile) che, pur essendo invisibile all'occhio umano, può eccitare la luminescenza di certe sostanze. Luce selettiva, luce nel cui spettro sono escluse determinate lunghezze d'onda. (Fari a luce selettiva gialla sono spesso montati sugli autoveicoli poiché la luce gialla da essi emessa, assolutamente priva di radiazioni blu o violette, è più visibile, nella nebbia, della luce bianca.) Luce di Wood, radiazione ultravioletta ottenuta filtrando attraverso un vetro all'ossido di nichel la luce emessa dall'arco a mercurio in un tubo di quarzo. Quantità di luce, prodotto del flusso luminoso emesso di una sorgente di luce per la durata dell'emissione. (Tale grandezza esprime in unità fotometriche l'energia totale irradiata in un certo tempo da una sorgente di luce.) Luce di sincrotrone, radiazione elettromagnetica emessa da particelle cariche che si muovono su di una traiettoria curva.
→ Fisica
1 Rifrazione
La fisica moderna ha ricondotto il concetto di luce a quello più generale di energia raggiante: la luce corrisponde semplicemente alle radiazioni elettromagnetiche di frequenza tale da eccitare le facoltà di percezione dell'occhio umano; il significato e la natura della moderna concezione potranno essere meglio compresi con un rapido esame dello sviluppo storico delle teorie sulla luce.
 Produzione della luce
A causa della relazione che lega radiazione emessa e transizioni energetiche, perché una sostanza possa essere sorgente di luce occorre che essa si trovi in uno stato eccitato di energia, sicché da questo possa tornare al livello normale di energia emettendo fotoni: se ad es. si riscalda un corpo, l'eccitazione termica lo rende luminoso quando la temperatura è abbastanza elevata. Nelle varie sorgenti di luce più in uso, sono utilizzati anche diversi metodi elettrici di eccitazione. Alcune sostanze sono anche sorgenti di luce per luminescenza: sottoposte a talune radiazioni (specialmente nella regione dell'ultravioletto) emettono luce visibile; se l'emissione cessa quasi al cessare dell'eccitazione, la sostanza è detta fluorescente; se invece può durare ancora per un certo tempo, è detta fosforescente.
→ Propagazione e assorbimento della luce
Nello studio della propagazione, si distinguono in genere due campi di fenomeni abbastanza nettamente separati, oggetto rispettivamente dell'ottica geometrica e dell'ottica ondulatoria: la prima si basa sul concetto della propagazione rettilinea dei raggi in un mezzo omogeneo e studia in special modo la riflessione e la rifrazione della luce. La seconda abbraccia tutti i casi in cui la natura ondulatoria della luce non è trascurabile e quindi particolarmente i fenomeni dovuti alla presenza nel mezzo di ostacoli o inomogeneità, di dimensioni comparabili con la lunghezza d'onda della luce stessa: l'interferenza e la diffrazione ne sono tipici esempi. Infine, quando la luce cade su un corpo, in parte è riflessa alla superficie di questo e in parte penetra nel corpo stesso: la riflessione, variabile a seconda della frequenza della radiazione incidente, è in genere massima sulla superficie dei metalli (riflessione metallica), che sono caratterizzati da una grande opacità rispetto alle radiazioni visibili; è minore alla superficie di corpi trasparenti (quali il vetro: riflessione vetrosa); e diventa una diffusione quando la superficie del corpo non è levigata, ma piuttosto scabra. La radiazione che penetra nel corpo può essere in parte trasmessa e in parte assorbita, a seconda dei fenomeni di eccitazione che può provocare nella sostanza: l'assorbimento è quindi diverso al variare della frequenza della luce.

spèttro
— Astron. Spettro solare, v. SOLE . Spettro stellare, v. STELLA .
— Fis. Insieme dei valori assunti da una o più grandezze fisiche associate a una data radiazione corpuscolare od ondulatoria, o, più generalmente, a un dato sistema fisico: per es., insieme delle frequenze e delle relative intensità che caratterizzano un suono complesso o una data radiazione luminosa. (Se la grandezza considerata assume tutti i valori compresi in un dato intervallo, lo spettro si dice continuo in quell'intervallo; se esistono degli intervalli in cui non cade nessun valore della grandezza, lo spettro è discontinuo; se infine i valori assunti formano un insieme di punti isolati, lo spettro è discreto. Si indica col nome di spettro anche ogni rappresentazione grafica dell'insieme suddetto e in partic. l'immagine ottenuta con uno spettroscopio.) [V. parte encicl.] → Spettro di assorbimento, spettro di una radiazione elettromagnetica o di altra natura assorbito da una data sostanza. (Viene ottenuto irraggiando la sostanza in esame con una radiazione a spettro continuo; lo spettro della radiazione che viene trasmessa differisce da quello iniziale per la presenza di righe o bande più scure che costituiscono le righe e le bande di assorbimento.) → Spettro di emissione, spettro della radiazione elettromagnetica emesso da una sostanza in determinate condizioni. Spettro acustico, spettro delle frequenze dei suoni semplici che compongono un dato suono complesso. Spettro di un rumore, insieme delle componenti spettrali di un rumore. (Poiché un rumore ha uno spettro continuo, la sua analisi spettrale viene eseguita per bande di dato intervallo, di cui lo spettro risulta funzione; lo spettro quindi si presenta come discreto.) → Spettro elettromagnetico, spettro di una radiazione elettromagnetica. Spettro atomico, spettro elettromagnetico di emissione o di assorbimento della radiazione emessa o assorbita dagli atomi nelle transizioni tra livelli energetici differenti. (È uno spettro discreto che si può ottenere scomponendo con uno spettroscopio l'immagine di una fenditura illuminata da un gas incandescente ed è costituito da diverse serie di righe spettrali [spettro a righe] le cui frequenze sono legate tra loro da semplici formule [v. BALMER (formula di)] : le righe spettrali di maggior intensità sono di solito comprese nella regione visibile o ultravioletta dello spettro.) Spettro di incandescenza, spettro elettromagnetico emesso da un corpo incandescente. (Se il corpo è solido lo spettro è continuo con un massimo di intensità a una frequenza che cresce al crescere della temperatura; → se il corpo assorbe integralmente ogni radiazione elettromagnetica che lo colpisce, il suo spettro di emissione è descritto dallo spettro del corpo nero.) Spettro ottico, parte dello spettro elettromagnetico compresa nella zona visibile. → (Spesso si designa con questo termine uno spettro leggermente più ampio, comprendente le radiazioni infrarosse e ultraviolette, mentre la parte a cui l'occhio è sensibile è detta più specificamente spettro visibile o luminoso.).
→ Fisica
1 Disco di Newton
1 Rifrazione
1 "Teoria dei colori"
5 Arcobaleno, la formazione
Quando un pennello di luce bianca è inviato attraverso una fenditura sottile su un prisma trasparente il cui asse è parallelo alla fenditura, la luce rifratta esce deviata dalla sua direzione iniziale e la deviazione è funzione della lunghezza d'onda dei raggi incidenti. Il fascio rifratto può far apparire così su uno schermo lo spettro luminoso della luce che si esamina: per esempio, si può ottenere in tal modo lo spettro solare. Convenzionalmente si ammette che i colori delle diverse radiazioni, di cui la luce bianca è la sovrapposizione, siano i sette colori dell'iride che si susseguono per lunghezze d'onda decrescenti nell'ordine seguente: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto. Con procedimento inverso a questo, che dà l'analisi spettroscopica, si possono sovrapporre le varie radiazioni e riottenere luce bianca: per es., se si osserva un disco, diviso in settori opportunamente colorati, che sia fatto ruotare abbastanza rapidamente (disco di Newton), si ha la percezione di luce bianca, per la persistenza sulla retina delle impressioni luminose. Lo spettro visibile non è però composto da una successione discontinua di sette colori distinti, ma da tutte le radiazioni comprese tra due lunghezze d'onda estreme situate intorno a 4.000 Å (per il violetto) e 8.000 Å (per il rosso). Al di là di questi limiti si incontrano le radiazioni ultraviolette e i raggi X per lunghezze d'onda inferiori, la radiazione infrarossa per lunghezze d'onda superiori. Le radiazioni ultraviolette sono rilevabili mediante la loro proprietà di impressionare le lastre fotografiche, i raggi X mediante l'uso di reticoli cristallini, i raggi infrarossi mediante l'uso di termocoppie.

dispersióne
— Fis. In acustica, separazione di un'onda complessa nelle sue componenti spettrali, dovuta generalmente alla variazione della velocità di propagazione nel mezzo, con la lunghezza d'onda della componente. → In ottica e in elettromagnetismo, fenomeno consistente nella variazione dell'indice di rifrazione assoluto di un mezzo al variare della lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica monocromatica incidente.
→ Fisica
Ogni radiazione elettromagnetica passando da un mezzo a un altro di diversa densità subisce una rifrazione di un angolo che dipende dalla frequenza della radiazione stessa: maggiore infatti è la frequenza della radiazione incidente, maggiore è la deviazione che il raggio subisce. Per tale motivo ad es. le diverse radiazioni monocromatiche che compongono una radiazione luminosa bianca deviano ciascuna di un angolo diverso nell'attraversare un prisma: ciò permette di ottenere uno spettro in cui la luce bianca è decomposta in violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione e rosso.
La dispersione è misurata dal potere dispersivo o dal suo inverso detto numero di Abbe.

Secondo la Bibbia Dio creò per prima la luce: “Sia fatta la luce”. Gli antichi non sapevano quale natura attribuire alla luce: i Greci, a partire da Pitagora, pensavano che fosse formata da particelle emesse dallo stesso occhio. Essi costruirono un’ottica geometrica che analizzava il comportamento della luce: studiarono la direzione rettilinea e le leggi di riflessione e rifrazione.
I primi esperimenti importanti furono fatti da Newton nel Seicento: egli sostenne la natura corpuscolare della luce. Nello stesso secolo l’astronomo olandese Huygens formulò invece un’ipotesi ondulatoria che prevalse fino alla fine dell’Ottocento, quando la teoria dei quanti di Planck rimise tutto in gioco. La fisica quantistica e la teoria della relatività di Einstein condussero alla formulazione del principio di complementarità di Bohr che in un certo modo istituzionalizza il dualismo onda-particella.

 La natura della luce
→ L'ipotesi corpuscolare
1 Isaac Newton
1 "Teoria dei colori"
→ Nel 1666 Isaac Newton riuscì a scomporre la luce, lasciando passare un raggio solare attraverso una fessura e facendolo incidere obliquamente su una faccia di un prisma triangolare di vetro. La doppia rifrazione nella stessa direzione produceva uno spettro di colori: dal rosso al viola, passando per l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro e il blu indaco.
Egli ne dedusse che la luce è costituita da corpuscoli che si spostano ad altissima velocità: si muovono in linea retta, si riflettono quando rimbalzano su una superficie e deviano quando penetrano in un mezzo rifrangente come l’acqua o il vetro, perché cambiano velocità.
Rimanevano, però, alcuni dubbi a proposito dell’ipotesi corpuscolare: sul perché, ad esempio, la banda verde si rifrange più di quella gialla o sul perché due fasci di luce possono incrociarsi senza determinare alcuna collisione tra le particelle.
 La crisi del modello ondulatorio della luce
 L'etere luminifero
1 Disco di Newton
1 James Clerk Maxwell
La natura ondulatoria della luce era universalmente accettata dalla comunità scientifica alla fine del XIX secolo, ma rimaneva aperta una questione fondamentale: su come poteva la luce propagarsi nel vuoto cosmico. All’interno della fisica classica newtoniana era molto difficile dare ragione dei fenomeni a distanza. Lo stesso Newton, per spiegare l’azione della forza di gravità attraverso lo spazio, aveva ripreso l’antico concetto di etere, caro ai Greci che respingevano sia l’idea dell’infinito attuale che quella del nulla. I fisici ipotizzarono così l’esistenza di un etere luminifero che avrebbe permesso la trasmissione della luce anche nel cosmo.
Ma anche accettando l’idea di un etere luminifero, era difficile capire come la luce, che si propaga attraverso onde trasversali, potesse raggiungere una velocità così elevata, se non attraverso un mezzo solido e molto rigido.
L’etere, insomma, avrebbe dovuto essere solido - non gassoso o liquido - e molto più rigido dell’acciaio; inoltre avrebbe dovuto permeare tutta la materia - lo spazio cosmico, i gas, l’acqua, il vetro - che si lascia attraversare dalla luce; e infine avrebbe dovuto essere completamente privo di attrito per non interferire minimamente con il movimento di qualunque corpo.
Gli esperimenti e le analisi sulle radiazioni elettromagnetiche di Maxwell negli anni Sessanta dell’Ottocento, tuttavia, rafforzarono ancora l’ipotesi ondulatoria: Egli, infatti, scoprì che la luce è una radiazione elettromagnetica accanto alle altre. Per gli scienziati di quei tempi tutte le radiazioni presupponevano invece l’esistenza dell’etere.
 L'esperimento di Michelson e Morley
1 Albert Abraham Michelson
Nel 1887 due scienziati statunitensi, A.A. Michelson e E.W. Morley, realizzarono un importante esperimento per misurare la velocità della luce. Michelson, fisico, era di origine tedesca e proveniva da una famiglia ricca: era un uomo brillante e fu il primo americano insignito del premio Nobel nel 1907. Morley, chimico e pastore della Chiesa congregazionalista era un uomo discreto e ossessionato dalla precisione. Due uomini così diversi avevano in comune, oltre l’attività scientifica a livello accademico, anche la convinzione dell’esistenza dell’etere luminifero. Essi pensavano che se la luce era dovuta alla propagazione di onde in un etere stazionario, allora questo etere doveva funzionare come una sorta di sfondo immobile, di spazio assoluto, rispetto al quale si potevano misurare tutti i movimenti in termini di moto assoluto.
Michelson progettò un metodo ingegnoso: egli pensò che, a parità di distanza, un raggio luminoso che viaggiasse nella direzione del suo moto dovesse impiegare un tempo inferiore a quello di un raggio diretto perpendicolarmente alla direzione di moto.
Ma l’esperimento accuratamente preparato con una serie di accorgimenti piuttosto sofisticati per quell’epoca diede risultato zero: non si rilevò alcuna differenza tra i due tipi di raggi di luce.
All’interno della comunità scientifica iniziò a serpeggiare il dubbio che l’etere non esistesse affatto e che non avesse senso cercare uno spazio assoluto o un moto assoluto.
La fisica newtoniana vacillava o, almeno, si limitava a spiegare i fenomeni del mondo ordinario, ma era incompleta e incapace di interpretare altri fenomeni più complessi: gli scienziati dovevano, quindi, prepararsi a scoprire, lungo l’itinerario della loro ricerca, fatti che non avrebbero obbedito alle leggi della fisica classica.
 La radiazione e la teoria dei quanti
 Le equazioni di Lorentz-FitzGerald
1 George Francis Fitzgerald
Alla fine del XIX secolo il fisico irlandese FitzGerald, nell’estremo tentativo di salvare il concetto di etere, propose una nuova spiegazione dei risultati dell’esperimento di Michelson e Morley : egli sostenne che la materia si contrarrebbe in direzione del suo moto e che questa contrazione sarebbe proporzionale alla velocità. Le equazioni della contrazione di FitzGerald indicavano che a 150.000 chilometri al secondo la contrazione raggiungerebbe il 15%, a 262.000 chilometri al secondo arriverebbe al 50% e infine alla stessa velocità della luce la lunghezza nella direzione del moto sarebbe nulla.
Il fisico olandese H. A. Lorentz, in seguito ai suoi studi sui raggi catodici, sviluppò ulteriormente i ragionamenti di FitzGerald: egli sostenne che una particella in moto veloce, soggetta alla contrazione di FitzGerald nella direzione del suo moto, avrebbe subito anche un aumento della propria massa.
Le sue equazioni dettero risultati simili a quelle di FitzGerald: alla velocità di 150.000 chilometri al secondo la massa aumenterebbe del 15%; a 262.000 chilometri al secondo raddoppierebbe e alla velocità della luce diventerebbe infinita.
La velocità della luce si presentava ancora una volta come un limite invalicabile, come una sorta di soglia dei paradossi, oltre la quale le dimensioni sarebbero diventate negative e la massa più che infinita. Nel tentativo di difendere i presupposti della fisica classica newtoniana gli scienziati cominciavano ad addentrarsi su un terreno inesplorato e inquietante.
 La teoria della relatività
1 Manoscritto di Einstein
La teoria di Einstein nega l’esistenza dello spazio assoluto e del tempo assoluto: essa è figlia, perciò, della caduta dell’ipotesi dell’etere luminifero che si muoveva proprio in direzione opposta, cercando un riferimento fisso e stabile.
Qualunque sistema di riferimento si assuma arbitrariamente, esso è valido, ma non per questo più vero di un altro: le misurazioni dello spazio e del tempo, dunque, sono relative a un sistema di riferimento scelto arbitrariamente e non hanno alcun valore assoluto. È questo il nocciolo della teoria della relatività. D’altra parte un uomo è piccolo rispetto a un capodoglio e grande in confronto ad una formica: che senso ha chiedersi se esso è grande o piccolo in assoluto?
La teoria della relatività è complementare, non alternativa, rispetto alla fisica classica newtoniana: quest’ultima spiega benissimo i fenomeni della vita ordinaria e dell’astronomia comune. Ma la fisica delle radiazioni e delle particelle per essere compresa e interpretata correttamente ha bisogno dei concetti della fisica quantistica e della teoria della relatività.
 La gravità e la teoria della relatività generale
Nel 1915 Einstein pubblicò la teoria della relatività generale, occupandosi dei problemi fisici legati alla gravitazione. Da più di cinquant’anni gli astronomi non riuscivano a spiegarsi in base ai concetti della fisica newtoniana della gravitazione, il progressivo spostamento del perielio di Mercurio. Infatti il punto dell’orbita in cui questo pianeta si trova più vicino al Sole - il perielio, appunto - si sposta in avanti lungo l’orbita ad ogni rivoluzione. Questo avanzamento è dell’ordine di 43 secondi di arco per secolo: molto poco, in realtà, ma sufficientemente ampio da essere apprezzato e da sconvolgere i calcoli e le previsioni degli astronomi.
In base alla sua teoria Einstein dimostrò che qualsiasi corpo interessato da un moto di rivoluzione deve avere un altro movimento, responsabile dello spostamento in avanti del punto analogo al perielio per i satelliti solari, e che questo movimento è minore a mano a mano che ci si allontana dal corpo attorno al quale opera il moto di rivoluzione.
La teoria della relatività considera, quindi, la gravitazione una proprietà dello spazio piuttosto che una forza di attrazione tra i corpi, com’è nella fisica classica newtoniana.
Einstein aveva previsto che un forte campo gravitazionale avrebbe rallentato le vibrazioni degli atomi e determinato radiazioni con maggiore lunghezza d’onda e perciò spostate verso il rosso delle righe spettrali. Gli astronomi dell’inizio del XX secolo pensarono alle nane bianche che hanno un forte campo gravitazionale: nel 1925 W.S. Adams verificò sperimentalmente quanto previsto da Einstein, analizzando le righe spettrali della luce che arrivava da una lontana stella nana bianca.
La teoria della relatività generale prevede che i raggi luminosi s’incurvino in presenza di un campo gravitazionale: Einstein aveva addirittura calcolato che un raggio luminoso che sfiorasse il sole si sarebbe incurvato rispetto alla direzione rettilinea di 1,75 secondi di arco.
Nel 1919 la Royal Astronomical Society inglese organizzò una spedizione sull’isola portoghese di Principe, al largo della costa occidentale dell’Africa, per assistere ad un’eclissi totale di sole: in tali condizioni era possibile osservare le stelle che si trovano alla nostra vista molto vicine al disco solare. La spedizione inglese verificò sul campo un effettivo cambiamento di posizione delle stelle coerente con le previsioni di Einstein.
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