POSITIVISMO NATURALISMO E VERISMO

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
Download:5654
Data:06.02.2006
Numero di pagine:6
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
positivismo-naturalismo-verismo_3.zip (Dimensione: 8.78 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_positivismo-naturalismo-e-verismo.doc     36 Kb


Testo

Positivismo, Naturalismo, e Verismo
In Europa, nella seconda metà dell’Ottocento, si va affermando un distacco polemico dal Romanticismo, che coinvolge tutti i suoi aspetti più deteriori e manieristici: sentimentalismo, soggettivismo esasperato, esotismo e medievalismo.
Un’importanza determinante in questa svolta assume la diffusione della filosofia positivistica, che investe anche la mentalità comune.
Il Positivismo
Il Positivismo nacque in Francia ad opera di Auguste Comte (1798-1858), e prese il nome di “positivismo”appunto dall’espressione “filosofia positiva”, utilizzata da Comte per indicare una riflessione filosofica volta all’esame del dato di fatto, di ciò che è concreto e positivo. Il Positivismo è infatti caratterizzato dalla tendenza a considerare base di ogni autentica conoscenza solo i dati reali e concreti e dall’invito a prendere in esame solo i fatti reali ed ad analizzarli in modo scientifico. Alla scienza, in particolare, il Positivismo attribuisce il compito di individuare le leggi che governano la realtà naturale, umana e sociale, evitando ogni speculazione sull’esistenza di entità superiori e sulle cause ultime dell’essere. A partire appunto dalla scienza, la filosofia positivista si propone di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. I Positivisti espressero la convinzione che il genere umano procedeva in modo continuo ed inarrestabile verso un grado sempre maggiore di giustizia e di benessere: il movimento positivista si rivelò così caratterizzato da una sorta di ottimismo acritico, in parte comprensibile se si tiene conto dei grandi progressi tecnici e scientifici dell’epoca. L’ottimismo positivista riflette di fatti la sicurezza della borghesia.
Il Positivismo tentò di applicare i principi e i metodi delle scienze naturali allo studio della società e dell’uomo: così il suo fondatore, il francese August Comte è anche il fondatore della moderna sociologia, cioè della disciplina che studia in modo scientifico la società, come se si trattasse di un organismo naturale.
Sempre partendo dai presupposti del Positivismo, il filosofo e naturalista inglese Charles Darwin (1809-1892) arrivò a formulare la rivoluzionaria teoria biologica dell’evoluzione naturale degli esseri viventi, che studia anche l’uomo, ultimo anello della catena naturale. Secondo Darwin, infatti, all’interno delle varie specie viventi avviene un vera propria lotta per l’esistenza; a causa di essa, si determina una selezione naturale, in virtù della quale sopravvivono solo gli individui dotati di caratteristiche particolari, che consentono un migliore adattamento all’ambiente. Gli individui sopravvissuti trasmettono poi ai discendenti le loro particolari caratteristiche, cosicché la specie subisce con il tempo modificazioni permanenti. Anche l’uomo deve considerarsi il risultato di alcune modificazioni intervenute all’interno di una specie animale, quella delle scimmie. Tali idee, divulgate attraverso due opere famose – “L’origine della specie” (1859) e “L’origine dell’uomo”(1871) – suscitarono vivaci polemiche.
Il Positivismo investì anche la sfera dell’estetica. Il pensatore francese Hyppolite Taine (1828-1893) affermò che l’attività artistica, come la vita spirituale dell’uomo, dipende da fattori naturali e sociali. Secondo Taine perciò l’artista deve limitarsi a registrare i dati reali, mettendo in evidenza gli elementi oggettivi che condizionano il comportamento e da cui egli stesso è condizionato: la race (“la razza”); il milieu ( “l’ambiente”); e il moment (“il momento”). Le teorie di Taine influenzarono notevolmente gli scrittori del Naturalismo francese e anche, sia pure in modo mediato, i veristi italiani.
Ma in Italia la filosofia del positivismo non registrò molto successo: infatti l’Italia non aveva ancora raggiunto, alla metà dell’Ottocento, un significativo sviluppo industriale e perciò ancora scarse erano le sollecitazioni concrete verso la dimensione tecnico-scientifica. Inoltre, il pensiero filosofico continuava a subire condizionamenti di ordine religioso. Comunque, ad introdurre in Italia i temi del Positivismo contribuirono soprattutto il filosofo Roberto Ardirgò e lo psichiatra Cesare Lombroso, fondatore dell’antropologia culturale.
Il Naturalismo
Il Naturalismo nacque in Francia attorno alla metà dell’Ottocento, per opera di scrittori come Flaubert, Zolà, e Maupassant. Tale corrente letteraria, in realtà, aveva già avuto, nella prima metà del secolo, un illustre precursore in Honorè de Balzac, che, con la sua “Commedia umana”, un grandioso affresco della società francese dalla Rivoluzione al 1848, aveva offerto un primo esempio di realismo sociologico. Tuttavia, il vero caposcuola
dei naturalisti francesi e il maggiore teorico del movimento fu Emile Zolà, che ne fissò i principi nella teoria del “romanzo sperimentale”, prendendo a prestito dalla scienza il metodo della osservazione diretta. Secondo Zola lo scrittore non doveva scrivere stando seduto al tavolo di lavoro, chiuso nel suo studio, ma sarebbe dovuto uscire in mezzo alla gente, “sperimentare”le azioni, frequentare i luoghi dove avrebbe inserito i personaggi del suo romanzo. Poi, una volta a casa, lo scrittore doveva limitarsi a trascrivere sulla pagina, con distacco ed imparzialità, ciò che aveva visto e sentito, come uno scienziato riferisce dell’esperimento appena terminato. Lo scrittore doveva individuare i moventi delle azioni umane e doveva andarli a cercare nella dipendenza di ogni individuo dall’ambiente in cui vive e dalle tare ereditarie che porta con sé. E ciò in piena adesione all’estetica naturalistica, per cui l’opera d’arte doveva appunto mettere in evidenza i condizionamenti oggettivi dell’uomo, e cioè quelli della razza, dell’ambiente e del momento storico, come affermava Taine. Perciò l’attenzione di Zolà e degli altri naturalisti è incentrata sugli aspetti meno gradevoli della realtà sociale, e in particolare sulla plebe parigina, sui diseredati che vivono nei bassifondi delle grandi città, sui minatori, e sul proletariato in genere, tutti analizzati in stretto rapporto con l’ambiente in cui si muovono.
PRINCIPI DEL NATURALISMO
I principi del Naturalismo definiti da Zolà possono essere così sintetizzati:
1) lo scrittore deve essere simile ad uno scienziato sperimentatore e riprodurre nella sua opera l’esperienza reale e vissuta;
2) l’argomento dell’opera letteraria deve essere la realtà sociale, studiata nel rispetto nelle leggi scientifiche che la governano, e soprattutto quella della ereditarietà e del condizionamento ambientale;
3) la pagina scritta deve riflettere la realtà, assumendo l’aspetto di un documento oggettivo e non lasciare mai trasparire la soggettività e l’opinione dell’autore.
Gli scrittori naturalisti, mentre denunciano gli aspetti più negativi della società e la penosa condizione degli emarginati e dei diseredati, manifestano al tempo stesso la volontà di contribuire a renderla migliore, anche a costo di battaglie personali.
Il Verismo
Anche in Italia, intorno al 1870, e dietro la spinta del Naturalismo, si impose la tendenza al reale dando vita al Verismo, che dal movimento francese prendeva le caratteristiche fondamentali, calandole però in una situazione storica ben diversa. In Italia, infatti, la rivoluzione industriale era solo agli inizi, mentre la raggiunta unità politica aveva aggravato problemi già esistenti. Affliggeva la nostra nazione, infatti, la “questione meridionale”, prodotta da una netta spaccatura tra il nord, già sulla via dell’industrializzazione, e il sud, ancora legato al sistema del latifondo e afflitto dalle piaghe della miseria e del brigantaggio. E gli scrittori veristi, per la maggior parte uomini del sud, pur essendo il movimento nato a Milano, assunsero ad argomento delle loro opere proprio le dolorose condizioni delle loro terre d’origine. Così il verismo acquistò un carattere regionalistico, poiché la realtà italiana, pur uguale nell’arretratezza, presentava caratteristiche diverse da regione a regione.
PRINCIPI DEL VERISMO
Il maggiore teorico del Verismo fu Luigi Capuana (1839-1915), coetaneo e conterraneo di Verga, che fissò i principi teorici del movimento in tre punti fondamentali:
1) la necessità di scrivere ritraendo la vita direttamente dal vero: la materia è offerta dal “fatto di cronaca” e la pagina letteraria deve essere un documento umano;
2) la rappresentazione della realtà non deve essere fatta dall’esterno, ma dall’interno, ottenuta cioè ricostruendo i fatti secondo il loro processo genetico, secondo le leggi naturali e sociali che presiedono al loro svolgimento. La scientificità delle rappresentazioni richiede anche l’impersonalità dello scrittore, la cui presenza nella narrazione deve essere assolutamente invisibile;
3) la lingua e lo stile devono essere aderenti ai fatti, devono abbandonare le forme vaghe ed indefinite care alla tradizione romantica, devono rifiutare ogni enfasi ed eleganza retorica. La lingua, in particolare, deve essere “l’espressione sostanzialmente obiettiva del mondo rappresentato”, deve aderire con la mentalità dei personaggi, e, quindi, deve comprendere anche elementi dialettali, come documenti ineliminabili della realtà descritta.
Gli scrittori veristi non hanno interessi politici o sociali, ma solo narrativi: il verismo, pertanto, non ebbe, se non implicitamente, il valore di denuncia che espressa dai contemporanei naturalisti francesi.
Il limite dei nostri veristi fu, semmai, il carattere sostanzialmente bozzettistica ed esteriore della loro rappresentazione della realtà regionale e contadina: essi guardarono sempre dall’esterno il mondo degli umili che rappresentarono, mostrarono sì una forte carica di simpatia e di pietà per la loro esistenza e per la loro miseria, ma quasi mai seppero capire la profonda umanità dei semplici sentimenti e la particolare civiltà che essi esprimevano.
Uno solo tra i veristi seppe calarsi all’interno dei personaggi che rappresentò, esprimerne i sentimenti quasi con il loro stesso punto di vista verso l’esistenza, con lo stesso loro linguaggio: Giovanni Verga. Per questo egli appare come un caposcuola, la personalità letteraria più grande e rappresentativa della seconda metà dell’Ottocento.

1

Esempio