Il tempo è la misura del movimento

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Testo

Il significato più esatto della parola tempo è forse quello dato da Aristotele
“Il tempo è la misura del movimento”.
Con la parola tempo si esprime il concetto fisico che viene utilizzato per stabilire la contemporaneità o l'ordine di una serie di eventi. Nella sua accezione più ampia, con il termine di "storia", invece, s’intende il complesso di tutti gli eventi del passato. Possiamo quindi affermare che questi due termini possono essere tra loro complementari.
Il decennio del novecento che è stato forse più ricco d’eventi sia positivi che negativi è quello che va dal 1955 al 1965. Tale decennio inizia in Italia con la produzione delle 600 e delle prime Vespe. Ciò porta alla motorizzazione di massa e dà inizio ad un’espansione dei beni di consumo durevoli, creando il mito dell’americano, cioè del progressivo adeguamento al modello della società americana considerata da tempo ampiamente liberale.
Ma dietro questo sfarzo apparente l’Italia, sebbene avesse grandi territori per i pascoli, le braccia da lavoro e terreni per ricche piantagioni, aveva gli alimenti come il terzo mondo, e nelle campagne per arare e seminare si usavano le vacche bianche come in India. Non c’erano, infatti, gli strumenti per far progredire l’agricoltura anche perché si puntava più sull’importazione e l’esportazione che sulla produzione propria.
Nel corso degli anni cinquanta lo sviluppo della società italiana fu, infatti, profondamente condizionato dalle vicende della guerra fredda(scontro senza armi tra Urss comunista e Usa capitalista iniziato nel 1947 dato dalla cortina di ferro che l’unione sovietica aveva sull’Europa orientale e dalla politica espansionistica del governo sovietico con la conseguente intolleranza degli Usa alla diffusione del comunismo; ciascuna delle due superpotenze dà il via alla rincorsa alle armi chimiche e nucleari). La vita politica italiana fu attraversata da una serie di tensioni che riflettevano il conflitto tra due ideologie contrapposte, incarnate dai partiti maggiori: la democrazia cristiana guidata da De Gasperi e il partito comunista di Togliatti. I risultati delle elezioni politiche del 1953 e del 1958 confermarono la maggioranza della forza centrista. Questa continuità democristiana fu però travagliata da ricorrenti crisi di governo: nell’arco di 12anni si susseguirono ben 12 esecutivi differenti, ciò in conseguenza ai contrasti sorti tra la Dc e gli altri partiti e all’interno dello stesso partito per scontri tra correnti di diversa ispirazione.
Nel resto del mondo il quadro politico non era certo migliore.
Per impedire l’esodo dei propri cittadini verso Berlino ovest, il governo della Repubblica democratica tedesca impone la costruzione di un muro di separazione tra le due zone della città(est-comunista/ovest-democratico) durante la notte del 13 agosto 1961 lungo 47 km e alto 4 m, che sarà per 28 anni il simbolo della Guerra Fredda e della divisione ideologica tra occidente e blocco comunista. È stato calcolato che, tra il 1961 e il 1989(9 novembre 1989 crolla il muro di Berlino in un clima d’entusiasmo generale), almeno settanta persone sono state uccise mentre cercavano di attraversare il confine.
Nei paesi-satelliti dell’Urss c’erano continue rivolte. Nel 1953, infatti, con la morte di Stalin(uomo politico sovietico, capo dello stato, la cui storia personale s’identificò per oltre trent'anni con quella dell'urss che con il suo peso politico e militare, fece dell'Unione Sovietica la seconda potenza mondiale; la sua azione e la sua influenza furono decisive per la diffusione del modello comunista e impressero il loro segno nell'Europa postbellica)si andò incontro ad un processo di destalinizzazione guidato da Chruscev che sebbene portò sul piano politico ad un’attenuazione delle pressioni, soprattutto poliziesche, e su quello economico ad una crescita dei beni di consumo, rimase pressoché invariato il fatto che il potere fosse concentrato nelle mani di pochi capi comunisti.
-nel giugno 1956 le rivolte in Polonia furono represse dalle truppe sovietiche;
-nell’ottobre dello stesso anno ci fu la rivolta d’Ungheria contro il regime; l’esercito sovietico intervenne occupando l’Ungheria in base al patto di Varsavia del 14maggio 1955 in cui un gruppo di paesi socialisti(Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Repubblica democratica tedesca, Ungheria, Polonia, Romania e Unione delle repubbliche socialiste sovietiche) firmò un’alleanza militare il cui comando fu affidato all’Unione Sovietica. Il patto di Varsavia cesserà ufficialmente di esistere nell’aprile 1991, in seguito alla dissoluzione dei regimi comunisti dell’Europa orientale.
Nel Vietnam diviso temporaneamente nel 1954 scoppia una guerra che oppose il regime sudvietnamita al Fronte nazionale di liberazione sostenuto dal Vietnam del Nord e che vide l'intervento diretto degli Stati Uniti che voleva impedire il dilagare del comunismo in Asia. Iniziato dal tentativo messo in atto dalla guerriglia comunista (Vietcong) di rovesciare il governo sudvietnamita, degenerò in una guerra civile tra il Vietnam del Sud e il Vietnam del Nord, e quindi in un conflitto internazionale quando i sudvietnamiti ottennero l'appoggio degli Stati Uniti e di altre nazioni loro alleate, mentre i nordvietnamiti venivano riforniti di armi dall'Unione Sovietica.
Il conflitto terminò quando tutte le truppe americane lasciarono il paese sotto la spinta dei vietcong che occuparono il Vietnam del Sud e la capitale Saigon.
La guerra del Vietnam segnò un punto di svolta nella storia della guerra convenzionale moderna. Fu, infatti, essenzialmente una guerra di popolo, data l'impossibilità di distinguere i guerriglieri dai civili non combattenti; la popolazione vietnamita ne fu così la vittima principale, soffrendo perdite pesantissime.
Negli Stati Uniti nel 1960 fu eletto presidente Kennedy,il cui programma era basato su una politica di distensione e di riforme sociali;egli varò un vasto piano di assistenza per sostenere i lavoratori e i ceti più disagiati,ma rimase in carica solo due anni, poiché nel 1963 fu ucciso a Dallas (Texas) da uno squilibrato in circostanze non del tutto chiarite.
Il decennio non fu però segnato solo da eventi negativi.
Già con il Concilio Vaticano II indetto da Papa Giovanni XXIII si va incontro a situazioni positive. Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo ed uno dei più importanti concilii della Chiesa cattolica.
Il Concilio fu aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da Papa Giovanni XXIII all'interno della Basilica Vaticana. Fu la prima vera occasione per conoscere realtà ecclesiali fino a quel momento rimaste ai margini della Chiesa.
Infatti nel corso dell'ultimo secolo la Chiesa cattolica da eurocentrica si era andata caratterizzando sempre più come una Chiesa universale, soprattutto grazie alle attività missionarie.
Il concilio si caratterizzò subito per una marcata natura "pastorale". Non si proclamarono nuovi dogmi, ma si volle "aprire la Chiesa alla lettura dei segni dei tempi". La morte di papa Giovanni XXIII spinse, vista la ritrosia di alcuni vescovi "tradizionalisti" di continuare nelle discussioni, a ritenere opportuno di sospenderne i lavori. Il nuovo papa Paolo VI, invece, fece propria la volontà del precedente di "aprire le finestre per far entrare aria nuova nella Chiesa". I padri conciliari posero l'attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. Il mondo, pur se lontano spesso dalla morale cristiana, era pur sempre opera di Dio e quindi luogo in cui Dio manifestava la sua presenza.
Si considerò pertanto compito della Chiesa riallacciare profondi legami con gli uomini soprattutto nell'impegno comune per la pace, la giustizia, le libertà fondamentali, la scienza.
Ci fu il riconoscimento delle lingue nazionali come "adatte" per la celebrazioni eucaristiche. Il latino rimaneva la lingua ufficiale della Chiesa e della Messa, ma alcune parti si sarebbero potute pronunciare nelle lingue nazionali.
Si creò una nuova Messa, abolendo, di fatto, il latino ed eliminando alcune parti che nella Messa precedente venivano considerate fondamentali per la fede cattolica.
Si riconobbe la presenza di "semi di verità" anche nelle altre Chiese cristiane e nelle altre confessioni religiose.
Si ribadì che Cristo era la Verità e l'unica Via per giungere al Padre, ma si riconobbe il ruolo delle altre realtà religiose nel contribuire alla elevazione morale del genere umano. Il Concilio fu una vera e propria rivoluzione nella Chiesa.
Anticipò di poco la "rivoluzione giovanile" del 1968 e da molti "progressisti" fu visto come il rifiuto di secoli di tradizione; analoga reazione suscitò in molti tradizionalisti.
Oltre il Concilio che aprì nuove strade di tolleranza e modernizzazione molti progressi vennero fatti anche dalla scienza.
Nel 1964 un rapporto pubblicato negli Stati Uniti evidenzia per la prima volta la correlazione tra fumo e cancro del polmone, e dà inizio a campagne di prevenzione sui rischi del tabagismo.
DeBakey e la sua èquipe eseguono il primo intervento di by-pass coronarico, impiegando un tratto di una vena della gamba dello stesso paziente.
04 ottobre 1957 inizia l'era spaziale, parte infatti alla volta dello spazio il primo satellite artificiale della storia. Si tratta della navicella sovietica Sputnik , che apre l’era dell’esplorazione spaziale con un volo orbitale intorno alla Terra durato 57 giorni.
01 aprile 1960 ci fu il lancio del primo satellite meteorologico, il Tiros, portato in orbita dalla NASA e il 12 aprile 1961 il primo uomo esplora lo spazio a bordo della navicella spaziale Vostok, si tratta di Gagarin che in 1 ora e 48 minuti compirà un’intera orbita intorno alla Terra.
Nel 1957, con la messa in orbita dello Sputnik, l’Unione sovietica sembrò vincere la “corsa allo spazio” ingaggiata con gli Stati Uniti. Questo provocò nella cultura americana un dibattito sull’efficacia del proprio sistema educativo. Venne così organizzata una conferenza a cui presero parte numerosi studiosi di problemi socio-pedagogici, diretti da Bruner, che da questo momento diventò una delle figure più rilevanti del pensiero pedagogico statunitense.
Jerome Bruner nato a New York nel 1915, fu docente all’università di Harvard e in quella di Oxford. Con la pubblicazione nel 1961 di Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, egli delinea il proprio pensiero pedagogico che prevede la revisione della concezione esposta da Dewey nel Credo pedagogico il quale affermava che l’istruzione è un processo sociale, frutto della progressiva partecipazione dell’individuo al patrimonio comune del genere umano e fondamento del progresso sociale e politico;fulcro di questo processo è la scuola, e il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo. L’educazione mira a suscitare la capacità di comprendere e di saper cambiare,all’occorrenza, la società di cui fa parte; tale finalità educativa è propria della società americana, caratterizzata dall’assenza di gerarchie naturali tra chi occupa posti di rilievo e gli altri membri della società.
Bruner, invece, afferma che l’istruzione non è solo partecipazione alla cultura ma anche sviluppo dei processi cognitivi e che l’adattamento alla società deve essere costituito da una formazione alle competenze e all’eccellenza individuale.
Bruner teorizza una programmazione dell’apprendimento da parte dell’insegnante incentrata sulla categoria di struttura. A suo parere ogni disciplina possiede una struttura fondamentale di idee-guida; a sua volta la mente si sviluppa attraverso una capacità di strutturazione. Occorre quindi far apprendere innanzitutto le strutture delle discipline che favoriscono l’organizzazione cognitiva, anziché un affastellamento di nozioni. L’ apprendimento delle strutture consente all’alunno di sviluppare capacità di scoperta che gli permettono di andare al di là dell’informazione data.
Bruner ritiene che si possa insegnare tutto a tutti a qualunque età con la struttura e i linguaggi adeguati. Man mano che lo sviluppo procede le strutture delle discipline vanno riproposte con nuovi linguaggi. Tutto ciò implica la figura di un insegnante programmatore che sia competente riguardo alle strutture disciplinari, allo sviluppo intellettivo del bambino e alla costruzione di percorsi didattici adeguati per l’apprendimento della classe.
Nell’opera Verso una teoria dell’istruzione Bruner affronta il tema di una teoria che fornisca i criteri per procedere alla costruzione di un curricolo, inteso come “blocco di apprendimento”, come “percorso” per il raggiungimento di determinate competenze e strutture. Secondo Bruner la costruzione di un curricolo richiede tutta una serie di operazioni che limitano lo spontaneismo e l’improvvisazione: la scuola deve, infatti, fornire allo studente strumenti e capacità che lo gettonano in condizione di “imparare ad imparare”, cosicché possa padroneggiare la complessità che lo circonda. Prima di attivare le varie procedure attinenti l’organizzazione del curricolo, occorre esaminare la natura dello sviluppo del soggetto, innanzitutto per quanto concerne i “sistemi di rappresentazione” (attivo, iconico, simbolico) con cui gli individui imparano progressivamente ad immagazzinare l’esperienza. Se, infatti, i bambini più piccoli tendono a rappresentarsi mentalmente la realtà principalmente attraverso le azioni, per giungere successivamente a un uso sempre più consistente delle immagini e infine dei simboli(in particolare dei simboli linguistici), la scuola deve fornire tutti e tre questi tipi di rappresentazione.
Bruner e i suoi colleghi offrono un’esemplificazione concreta di cosa intendono per curricolo; essi fanno riferimento a un “corso di studi sull’uomo” che si propone di far sviluppare ai bambini di una quinta elementare la risposta a domande come: “cosa vi è di umano negli esseri umani?”. In risposta a simili quesiti gli studiosi individuano le “cinque grandi forze di umanizzazione”: la costruzione di strumenti, il linguaggio, l’organizzazione sociale, la prolungata infanzia e il suo impiego ai fini pedagogici e il bisogno umano di spiegare la realtà. Individuati i contenuti essenziali di ciascun ambito, si provvede a ipotizzare le difficoltà, ad approntare materiali, esercizi e metodi. Secondo Bruner è proprio lo spiazzamento prodotto da una situazione inconsueta che aiuta a cogliere meglio gli aspetti generali e strutturali della realtà studiata.
Bruner approfondisce l’analisi del ruolo dei fattori sociali e culturali dello sviluppo; analizza il modo in cui i contesti sociali istituiscono le condizioni per cui gli individui sviluppano la conoscenza e la comprensione del mondo, dando un senso a se stessi e alla propria esperienza. In opere come La mente a più dimensioni o La cultura dell’educazione, Bruner sottolinea che quanto siamo e diventiamo si risolve sempre in un determinato contesto culturale, all’interno di un gruppo che condivide con noi e ci comunica un insieme di significati, sia esso la società o una classe scolastica.
Tale consapevolezza implica la necessità , secondo Bruner, di affrontare le attività educative come azioni prodotte all’interno di una cultura, e che quindi presuppongono sempre scelte precise, orientate a riprodurre o a modificare la realtà sociale di cui fanno parte.
Strettamente legato al nostro tempo è il concetto di comunicazione. La “comunicazione” è, infatti, il termine più usato ai giorni nostri: si parla di comunicazione a proposito del linguaggio animale e umano, dei media, della cultura, dell’arte, della politica, della pubblicità…La comunicazione viene considerata anche dalle scienze sociali, le quali mettono in evidenza l’importanza di tutte le forme di comunicazione e dei linguaggi. Secondo la teoria della comunicazione, essa è un processo complesso che richiede 5elementi indispensabili: due soggetti comunicanti, un messaggio, un medium, un contesto e un codice. I due soggetti sono il trasmittente e il ricevente. Affinché si abbia la comunicazione è necessario che il ricevente divenga a sua volta trasmittente e risponda alla comunicazione ricevuta. Infatti la comunicazione non può essere unilaterale. Il messaggio presenta un contenuto di informazione e rappresenta l’oggetto della comunicazione. Questo contenuto può essere semplice o complesso, secondo la struttura ed il numero delle informazioni contenute nel messaggio. Il medium è lo strumento della comunicazione, il mezzo intermedio che la rende possibile e che influenza anche il modo in cui il messaggio viene trasmesso. Ad esempio senza aria non si può realizzare la comunicazione verbale, se non ricorrendo, ad esempio nello spazio, a strumenti tecnologici alternativi. Il contesto è rappresentato da particolari condizioni ambientali nelle quali il messaggio viene trasmesso e ricevuto. Esso è influenzato dalle condizioni nelle quali si svolge il processo di comunicazione. Ad esempio ciò che normalmente è ricevuto come un complimento, in particolari contesti ambientali può essere percepito addirittura come un’offesa. Il codice rappresenta la forma particolare nella quale il messaggio deve essere codificato per poter venir trasmesso ed interpretato. Ad esempio se si utilizza il telegrafo, bisogna conoscere il codice Morse. Un importante studioso inglese del linguaggio, Bern Stein, ha enunciato negli anni ’60 l’importante distinzione tra codice ristretto e codice elaborato. Il primo consisterebbe in un linguaggio povero nella grammatica e nella sintassi, nel numero di frasi, e nel loro coordinamento sintattico, un linguaggio inoltre indeterminato, allusivo e ripetitivo, che riflette le condizioni di vita e di lavoro delle classi sociali operaie e contadine. Il secondo invece, tipico delle classi medio-alte e delle loro necessità professionali, fatto proprio dalla scuola, sarebbe un linguaggio completo nell’organizzazione strutturale delle frasi, nel coordinamento di quelle principali con le secondarie caratterizzato dal rispetto delle regole linguistiche, attento alla forma e non solo al contenuto delle informazione trasmesse. In passato il linguaggio verbale era considerato come la forma fondamentale della comunicazione. Alle insegnanti di scuola materna era prescritto di stimolare il linguaggio infantile, verificando il numero delle parole in possesso del bambino e le capacità verbali che egli era in grado di offrire. Oggi, invece, viene messa in evidenza non solo la padronanza verbale e il possesso quantitativo delle parole, ma anche soprattutto la qualità del discorso e la capacità cognitiva di interazione comunicativa e linguistica. La mente umana è vista come una struttura aperta all’ambiente ed interagente con le strutture educative che stimolano i processi cognitivi. La comunicazione consiste appunto in uno scambio di informazioni con l’ambiente, capaci di attivare i processi cognitivi. Nella prima metà del ‘900 al linguaggio verbale non era attribuita grande importanza. Ad esempio Piaget riteneva che il linguaggio verbale fosse un’attività psicomotoria come il gioco, manifestazione esterna dei processi di sviluppo cognitivo, tipica del passaggio dalla fase senso-motoria a quella rappresentativa dello sviluppo dell’intelligenza. In questo, secondo Piaget il simbolismo presente anche nel gioco di finzione e nell’attività ludica simbolica, si esprime ancora con maggior evidenza nel linguaggio verbale. L’unico psicologo e psicopedagogista ad insistere invece sull’importanza centrale e determinante sia per il comportamento che per la maturazione intellettiva del linguaggio è stato Vigotsky. Egli ha evidenziato non tanto gli aspetti comunicativi del linguaggio, bensì quelli sociali di regolazione del comportamento collettivo, processo che si verifica per lui mediante l’interiorizzazione da parte del bambino e la maturazione del linguaggio come pensiero. Dopo la svolta cognitiva degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso è maturata soprattutto per merito di Bruner una nuova attenzione per gli aspetti comunicativi del linguaggio. Egli ha sviluppato la nuova visione del bambino competente e comunicativo, capace di elaborare strategie di sviluppo cognitivo in forma linguistica. Secondo Bruner l’intelligenza ha sempre carattere cognitivo e si produce nelle sue strutture in tre fasi: quella attiva, quella iconica, e soprattutto quella simbolica del linguaggio. Per Bruner esso non è un prodotto dell’intelligenza come per Piaget, bensì è la stessa intelligenza cognitiva al suo massimo livello. Perciò la padronanza da parte di un bambino di un linguaggio complesso ed articolato dimostra il livello da lui raggiunto di complessità strutturale della sua intelligenza. Bisogna considerare infine che oggi la comunicazione non presenta più, come in passato, la prevalente centralità assegnata al linguaggio verbale rispetto alle altre forme della comunicazione. Infatti essa si esprime attualmente in molteplici forme di comunicazione linguistica.
Se si va di un secolo indietro ci si può rendere conto che il tempo è stato comunque presente nel pensiero di molti poeti. Prendiamo ad esempio Leopardi.
Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837), è uno dei maggiori poeti dell’800. Primo di otto figli, studiò privatamente, dapprima sotto la guida di due sacerdoti e poi da solo, per sette anni da lui definiti “di studio matto e disperatissimo” , attingendo alla ricchissima biblioteca paterna. Imparò il latino, il greco, l'ebraico e alcune lingue moderne. A diciotto anni era già un erudito dall'eccezionale formazione filologica, ma la sua salute era ormai compromessa per sempre. Già nel 1816 Leopardi cadde in un periodo di crisi, durante il quale mise in discussione tutta la sua formazione: del 1816 è infatti L'appressamento della morte, una cantica in terzine in cui il poeta sente la morte, che crede imminente, come un conforto.
In questi anni cominciarono sofferenze fisiche e una preoccupante malattia agli occhi che nel 1819 lo costrinse a interrompere lo studio. Nel suo carattere, intanto, si andava sviluppando la presa di coscienza del lacerante contrasto tra l'intensità della sua vita interiore e la sua incapacità di manifestarla nei rapporti con gli altri.
In seguito a una sorta di conversione letteraria, abbandonò gli studi filologici e si accostò alla poesia, attraverso la lettura degli autori italiani del Trecento, del Cinquecento e del Seicento, e dei suoi contemporanei. Grazie all'amicizia con Pietro Giordani, con il quale nel 1817 iniziò una feconda corrispondenza, il distacco dal conservatorismo paterno si fece più netto: all'anno seguente risalgono All'Italia e Sopra il monumento di Dante, canzoni patriottiche molto retoriche e classicheggianti nelle quali Leopardi espresse la sua adesione alle idee liberali di stampo laico.
In quegli anni Leopardi elaborò il proprio sistema di pensiero, imperniato su una concezione pessimistica della realtà che espose nelle pagine dello Zibaldone (1817-1832), appunti e pensieri morali scritti senza l'intenzione di formare un'opera organica e pubblicati postumi nel 1898 in occasione del centenario della nascita del poeta. Nello Zibaldone, Leopardi mise a confronto l'innocente e felice stato di natura con la condizione attuale dell'uomo, corrotta dalla ragione che, rifiutando l'illusione e svelando il vero, genera l'infelicità. Il concetto si amplia e si radicalizza nelle Operette morali (1824-1835), dove la Natura stessa, prima dipinta come madre benefica, si trasforma in una matrigna che spinge l'uomo al conseguimento di una felicità irraggiungibile e insieme gli procura una sofferenza insanabile proprio perché connaturata nella condizione umana. È in questo periodo che trova sfogo una delle vene liriche più autentiche della poesia leopardiana, quella meditativa e malinconica: nascono i piccoli idilli: L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria (1819-1821). Sempre nel periodo tra il 1820 e il 1822 Leopardi scrisse anche canzoni di argomento filosofico: Ad Angelo Mai, Bruto minore e Ultimo canto di Saffo, accomunate da una rivolta contro la tirannia del destino e le oppressive leggi universali. In Alla sua donna (1823) la figura femminile è dipinta come evanescente e irraggiungibile. È il primo nucleo di componimenti che andrà a costituire la raccolta dei Canti, 41 poesie in tutto, scritte dalla giovinezza fino alla morte.
L'infinito è il primo degli idilli, nonché una delle liriche più note del Leopardi. Le riflessioni del poeta sul rapporto fra il pensiero umano e l'infinità dell'universo sia nello spazio che nel tempo si traducono non in filosofia in versi ma in autentica poesia. Inoltre, in questo componimento prende forma la poetica del vago e dell'indefinito. In un primo momento per il Leopardi il tempo è una forza negativa, antagonista delle speranze umane, che distrugge in continuazione e senza motivo ciò che creiamo e tutto quello in cui crediamo.
In seguito però si distaccherà da questa visione e troverà nel tempo un prezioso alleato per arrivare alle risposte che sta cercando, infatti diviene l'elemento che gli permette di vedere l'inutilità del presente e dimostrare lo sbaglio del passato e, di conseguenza, l'inganno della vita.
L'uomo può ingannare il tempo impossessandosi di quella parte di passato che ci interessa particolarmente conoscere e poi, grazie al ricordo, conservarla e mantenerla viva, sottraendola alla istantaneità che il tempo conferisce a tutte le cose.
Per il Leopardi assume particolare importanza il concetto di "rimembranza", per usare un suo termine, intendendo che nel ricordo c'è qualcosa in più, di struggente e suasivo, che rende piacevoli anche le cose negative.
In effetti con il ricordo possiamo fermare il tempo e in questa ideale situazione tanto le gioie come i dolori perdono la loro consistenza, diventano puri, oggettivi modi di essere e non possono pertanto farci soffrire. Il tempo inizia ad assumere il ruolo del vero responsabile dei nostri piaceri ed affanni.
Da queste considerazioni nasce la conclusione che sarebbe saggio non vivere il tempo, ma lasciar scorrere la vita, e lasciarla passare senza provare alcuna speranza o emozione, in maniera apatica, poiché solo cosi evitiamo la delusione di vedere annullato tutto quello che di bello abbiamo immaginato.
A questo punto però abbiamo la svolta: il crudele tempo ci ha, si, distrutto le speranze del passato, ma ci ha anche svelato la verità oggettiva che per lui rappresenta l'unica certezza, l'unica strada da seguire per dare un senso ed un fine ad una, ricerca che gli è costata il prezzo della vita: se il tempo distrugge con il presente tutte le speranze del passato, il poeta può ragionevolmente affermare l'inutilità del futuro.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
La poesia esprime mirabilmente l'ansia romantica di superare il limite razionale delle cose materiali per proiettarsi nella dimensione parallela ed irrazionale delle nostre emozioni. In questo componimento il Leopardi si getta in una sensazione metafisica, atemporale, grazie all'effetto oscurante di una siepe la quale, lasciando immaginare al di là "interminati spazi ... sovrumani silenzi e profondissima quiete", determina la verticalizzazione "io nel pensier mi fingo"; il poeta esce cioè dalla realtà dello spazio e del tempo.
Il poeta vuole percepire la sensazione di assenza dal tempo nel momento in cui ci si trova e non dopo, quando, avendo ripreso il contatto con la realtà temporale, è automaticamente uscito da quella sensazione atemporale.
Leopardi riesce perfettamente a vivere la sensazione cosmica dell'infinito: quando il rumore delle piante (realtà fisica) attiva la percezione acustica, il poeta, che si trova nella realtà metafisica, al di là della siepe, riesce a rimanere in bilico ("vo comparando") tra le due realtà, di qua e di là dalla siepe.
Ecco allora la percezione dell'infinito: riuscire ad essere fuori dal tempo con il pensiero, ed avere la prova tangibile (grazie al rumore delle piante) di esserci.
Quello che il Leopardi scopre in questa nuova dimensione, è un infinito pieno, dentro al quale il poeta naufraga piacevolmente spaziando nel passato e nel futuro, padrone della situazione, alla scoperta di un mondo nuovo, enorme, affascinante, smisurato che in seguito, purtroppo, si dimostrerà vuoto, privo di un senso logico e di un senso storico.
Senza il tempo ogni sensazione non avrebbe inizio né fine e sarebbe un normale stato di essere senza distinzione da altre sensazioni. La stessa sensazione (bella o brutta che sia poco conta) diventa piacevole, se inserita nel tempo passato, nel ricordo; pessima nel presente, perché cosi rivela la sua vera natura; ambigua se riferita al futuro, perché da una parte la fantasia la concepisce bella, dall'altra la ragione non può prescindere dal dato oggettivo del passato.
A differenza del Leopardi, un altro tra i maggiori poeti dell’800, Giovanni Pascoli affronta la tematica del tempo anche se in modo molto diverso dal suo predecessore.
Un tragico evento toccò l’infanzia del Pascoli (San Mauro di Romagna, Forlì 1855 - Bologna 1912) nel 1867 il padre fu assassinato in circostanze mai chiarite. L'episodio segnò indelebilmente la sensibilità del piccolo Giovanni, che perdette in breve tempo altri familiari: la madre, la sorella maggiore, i fratelli Luigi e Giacomo. Molto presente nella poetica pascoliana sarà il tema del “nido” che costituisce uno dei veri leitmotiv della poesia del Pascoli: costantemente il poeta lo ricorda, lo rimpiange, si rifugia nel “nido” dell’infanzia e rifiuta il mondo perché questo gli fa paura. La stessa funzione del “nido” viene svolta in Pascoli dalla campagna, che è ben diversa da quella verghiana percorsa dalla malaria, dalla dura fatica, dalle imprecazioni dei lavoratori; la campagna, in Pascoli, diventa il rifugio dalle tempeste della vita.
Giovanni Pascoli è uno scrittore che per tutto il corso della sua vita ha mantenuto con il tempo un rapporto di tipo conflittuale, nel senso che vi instaura dei legami e delle complicità, che rendono originale, e sotto alcuni aspetti anche geniale, la sua visione del mondo e della vita in genere.
Dobbiamo premettere che il Pascoli vive in un periodo storico-culturale nel quale lo slancio ottimistico di poter spiegare i misteri del mondo (Illuminismo) e l'inquietudine di allargare il perimetro delle nostre conoscenze al di là del confine della ragione (Romanticismo), hanno già da tempo ceduto il passo alla fredda ed inequivocabile constatazione della realtà oggettiva (Realismo) che porta con sé tutta la delusione degli ideali non realizzati o, comunque, solo parzialmente conseguiti.
In questo periodo di fine secolo, mentre il quadro politico-sociale è scosso da numerose tensioni di varia natura e finalità, ecco che si aprono le porte del Decadentismo, la risposta degli intellettuali ed artisti che non si rassegnano ad accettare il dato oggettivo della realtà e continuano ad inseguire valori ed ideali nuovi, pur avendo la percezione che non esistano più certezze assolute e che, al massimo, si possa intraprendere una ricerca limitata al dato personale, all'interno del proprio bagaglio affettivo e cognitivo.
In questo nuovo contesto di smarrimento, di assenza di punti di riferimento stabili, lo scrittore si trova incanalato in una ricerca che lo porta ancor dì più dentro se stesso e vicino a delle conclusioni, generalmente non previste o dichiarate, che ruotano intorno alla definizione del tempo.
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!
Il 10 Agosto 1867, al non ancora dodicenne "Zìvanì", come lo chiamavano in famiglia, venne a mancare la presenza fisica e l'affetto del padre; da lì a poco altri gravi lutti familiari disgregarono l'unità della famiglia Pascoli.
Da quel momento succede qualcosa di sconvolgente: quel brutto momento si fissa dentro di lui e rappresenta un freno tenace al tempo che scorre per gli anni a venire.
Il Pascoli rifiuta la realtà futura a tal punto di vivere il resto degli anni ancorato a quella data: continua a crescere, ma rimane sempre dentro quel momento, cioè a dodici anni.
Quell'evento è cosi importante che non lo abbandona per tutto il resto della vita, diviene un attimo-eternìtà che assorbe tutta la sua vita futura.
Il poeta non ferma il tempo per uscirne momentaneamente fuori, per affacciarsi in dimensioni più ampie e soddisfacenti, il poeta vuol vivere il tempo che scorre, è attaccato alle vicende concrete della vita che scorre, solo che il tempo nel quale è immerso si sviluppa in una dimensione parallela, non coincidente assolutamente con quella degli altri e di tutto il resto.
Il Pascoli non accetta la dura legge del tempo che gli ha portato via il valore più grande che possedeva: il calore dell'unità familiare.
Il poeta si trova pertanto a dover operare una scelta: oltrepassare il trauma del 10 Agosto, affrontando il tempo futuro senza indugiare su quello trascorso, oppure rimanere al di qua dell'ostacolo, verticalizzando la propria attenzione alla ricerca di nuove certezze o risposte ai numerosi interrogativi: il poeta sceglie la seconda strada ma elabora una teoria tutta sua.
L'ostacolo che ha interrotto il tranquillo scorrere della sua vita, la morte del padre, determina un effetto boomerang, nel senso che (e qui sta la sua peculiarità) trasporta il poeta indietro negli anni trascorsi.
Il 10 Agosto rappresenta per lo scrittore il punto d'arrivo del tempo nel quale vuole vivere; quello che viene dopo è un percorso a ritroso che procede nel passato ricercando le cause e le risposte alle domande che non hanno avuto spiegazione.
Il poeta va indietro nel proprio tempo, vivendo da adulto la realtà di quando era fanciullo e, cosi facendo, scopre un mondo nuovo, che lo appaga, che gli permette di oltrepassare, con l'intuizione, quell'ostacolo altrimenti invalicabile; finalmente può affrontare la realtà di tutti i giorni con la sensibilità e la comprensione folgorante del "fanciullino".(Quella del fanciullino è l’altra tematica della poesia pascoliana.Pascoli afferma che il poeta coincide col fanciullo che ogni uomo ha dentro di sé, per cui il poeta-fanciullo è attratto da vive curiosità verso tutti gli aspetti della realtà; la poesia, allora, non si inventa, ma si scopre nella natura, anche nei suoi aspetti più modesti e trascurati; il poeta-fanciullo, grazie alla sua ingegnosa curiosità è in grado di andare oltre l’apparenza e di cogliere i legami analogici, le relazioni segrete tra le cose).
La cosa non avviene certo in maniera automatica ed immediata, infatti il poeta cerca negli anni futuri di confrontarsi con i nuovi tempi e i nuovi ideali dell'epoca, ma dopo il fallimento di questo incontro maturerà, gradualmente, quell'effetto boomerang che caratterizza tutta la sua ricerca futura.
Più si allontana dall'ostacolo, più riesce a vedere oltre questo, la comprensione aumenta col crescere della distanza: un regredire per progredire nella conoscenza della verità e ottenere, magari, anche una spiegazione altrimenti irraggiungibile.
Il tema del tempo è presente anche nella letteratura inglese. Già partendo dal 1500 con Shakespeare si nota che il tempo è una delle tematiche presenti in molte delle opere dei più grandi scrittori.
William Shakespeare was born in 1564 at Stratford-Upon-Avon. His father was a dealer in wool, so William attended the local grammar school. Then he married Anne Hathaway when he was only 18. In 1584 he went to London. There he became the most important playwright of London, when he was at the service of the Earl of Southampton. When he became an old man, he decided to come back in his native town. He died when he was 52 years old in 1616.
Shakespeare is very famous for his sonnets. The English sonnet was brought to perfection with Shakespeare. He wrote 154 sonnets. Most of them are dedicated to a woman called “Dark Lady”. The reason why she has this nickname is that she was dark in her hair and in all her complexion. The other part of Shakespeare’s sonnets is dedicated to a young man; his name is unknown, but we know its initial words: W.H. From his sonnet we can say that there was a homosexual feeling between Shakespeare and this young man.
Shakespeare's sonnets have aroused more controversy than any other collection of poetry in the English language. The date of composition, whether or not they are autobiographical, the question of if they were mere literary exercises or not, have provoked more comment than critical evaluations of them as poems. They belong to the decade from 1590 to 1600 if we accept the evidence of Francis Meres, who in 1598 referred to Shakespeare's “sugared Sonnets among his private friends”.
The whole collection, a hundred and fifty-four in number, was not published until 1609 when Thomas Thorpe published them, with Shakespeare's name, but without any sign of recognition from him; we do not know whether he authorised or approved the publication.
Time is one of the main themes in the Shakespeare’s production. Among his sonnets, the sonnet XVIII is the one that is more useful to explain his conception of time is.
Sonnet XVIII
Shall I compare thee to a summer's day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer's lease hath all too short a date:
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed,
And every fair from fair sometime declines,
By chance, or nature's changing course untrimmed:
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow'st,
Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow'st,
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.

Dovrò dunque assembrarti al dì d’estate?
Più amabile tu sei, più temperato:
Gemme di maggio dai venti sferzate,
Troppo breve è l'estate in sua durata:
Splende l'occhio del cielo troppo ardente,
Ed il volto suo d'oro è spesso ombrato.
Ogni bellezza di bellezza è spenta,
Per natura o per caso intorbidata:
Ma l'estate tua eterna non si adombra,
Né perderà lo splendore tuo interno,
Né Morte vanterà di averti in ombra,
Crescerai tu nel tempo in versi eterni.
Quanto respiro ed occhio umano hanno vita,
Tanto vivrà il mio verso, a te pur vita.
In that Shakespeare explains the quick movement of the time: it is destructive about the material things, in particularly for the body and its beauty.
In fact he said “…Rough winds do shake the darling buds of May, and the summer’s lease hath all too short a date…”
The darling buds represent the flower of the Youth and the beauty of the life; meanwhile the winds despite the passage of the days are rough and with its strength shake, ruin and pull down.
But there is a way to escape from the destructive fate: the poetry, it is immortality.
“Nor shall death brag thou wander’st in his shade”: the death can’t hide this young man because his beauty continue to live in this words.
We can relish his beauty because Shakespeare has incised it in a piece of paper and now we can read it, so we give life to the young in our imagination.
Then “So long as men can breathe or eyes can see, So long lives this, and this gives live to thee”: practicability, till the men can live or can read and understand this word, they live.
Another sonnet, sonnet XIX, is considered an invocation to time.

Devouring time, blunt thou the lion's paws,
And make the earth devour her own sweet brood;
Pluck the keen teeth from the fierce tiger's jaws,
And burn the long-lived phoenix in her blood.
Make glad and sorry seasons as thou fleet'st,
And do whate'er thou wilt, swift-footed time,
To the wide world and all her fading sweets.
But I forbid thee one most heinous crime:
O, carve not with thy hours my love's fair brow,
Nor draw no lines there with thine antique pen.
Him in thy course untainted do allow
For beauty's pattern to succeeding men.
Yet do thy worst, old time; despite thy wrong
My love shall in my verse ever live young.

Tempo avido, gli artigli al leone spunta
E la terra divori la sua prole;
Strappa alla tigre le sue zanne a punta,
Nel cui sangue arder la Fenice vuole.
Alterna le stagioni liete e scure
E fa’ quanto tu sai, tempo veloce,
Al vasto mondo e a tutte le creature,
Ma ti vieto il delitto più feroce:
Non scolpire le ore sul mio onesto amore,
E non toccarlo con la penna fiera.
Lascialo intatto nel suo grande splendore:
Per noi un modello nella tua carriera.
Ma vecchio tempo, nonostante l’inverno,
Fa’ che nei versi miei l’amore sia eterno.
Shakespeare’s sonnet was recovered in the XX century by writers like Virginia Woolf.
She was born in London in 1882 and grew up in a highly cultivated atmosphere. After father’s death she lives in the Bloomsbury district famous for its circle of artist of unconventional ideas and anticonformist attitudes. Her brother Thoby died in1906 and she suffered a prolonged mental breakdown as a result. For the rest of her life she would suffer from period of depression and mental illness given specially by her mother’s death. She used Shakespeare’s XXC sonnet in To the lighthouse (1927), the work that consolidated her reputation as a leading experimental writer.
To the lighthouse tells the story of Ramsays. They are passing their summer holidays at a large rented house in Scotland with some friends. As the hours go by, the various members of the family and their guest pass the time in different ways. The central character is Mrs Ramsay, a very beautiful and melancholic woman. The multiple angles by which Mrs Ramsay is observed, or rather the various consciences, the various persons around her and the “stream of consciousness” of the Mrs Ramsay herself, constitute a very representation of the difference between chronological and interior time. It is a representation of the flight of the memory that connects the fragments of the existence and closes them in a circle that is destinated to shatter in the following instant. Mrs Ramsay reads Shakespeare’s sonnet while her husband looks her; he’s thinking that her wife didn’t understand what she’s reading. This analyzes the difference between female and male personality and the contrast between Mr Ramsay, concise and interested in history (he reads the novel of Sir W.Scott) and Mrs Ramsay emotional and sensitive (she reads Shakespeare).
Virginia Woolf embodied the modernist experimental spirit. She was dissatisfied with the conventional novel. She shifted the focus of novels from plot and action to thought, memory and feeling. Her novels aimed to create a truer picture of human experience and relations. She is considered the other great introspective novelist in the language after Joyce.
James Joyce is another writer of XX century. The importance of Joyce is that he had renewed the literature. His books are very different from the tradition. Joyce uses the technique of the manipulation of time and he doesn't respect the chronological order; he uses the association of ideas and flashback. In his stories there isn't only one point of view, but he expresses the points of view of many characters. He became famous with his neologism and his "exploration" of the language, but he always uses the same theme: the dryness of his time.
Ulysses, one of his works, is the story of Bloom and his friend's Dedalus (Joyce projection, often used in his books). They are wandering through Dublin on June 16th 1904. This is a link with the journey of Ulysses by Omero. Ulysses represents the prototype of the complete man: son, father and husband. Bloom is an anti-hero used by Joyce as a constant reminder of the decadence of our modern age. Other people say that Bloom is a hero, with positive qualities, such as sympathy, generosity and faith in human progress. Joyce shows us Bloom’s life from many angles, from the interior monologue to a "mini-drama". Bloom’s day is told as the story of Ulysses, and each scene in the book is related to a specific episode of the Odyssey. In the first part of the book Dedalus, come back home from Paris, set off to find his friend and "spiritual father" Bloom, who is in search of a "spiritual son". When the two friends meet, Bloom "adopt" Dedalus and offers to take him home and give him shelter. At home Molly Bloom waits for them, like Penelope, thinking of her past and present life, with a mental, interior monologue. This "river of words" called "stream of consciousness" ends with the words "yes", like a total, non-judgemental, acceptance of life. Ulysses caused a great scandal when it was published in Paris for his technical innovations and for his explicit language. It was banned for a long time in England and in the U.S.A. The sexual frankness of Leopold Bloom, an unsuccessful middle-aged married man, and of his wife Molly, is a necessary part in the complete rendering of their mental life. Joyce has shown all human history in one day, one set of events, past and present, significant and insignificant, trivial and heroic, familiar and exotic; it’s just a matter of points of view, and author has none and all of them.
Come in quella italiana e inglese anche nella letteratura latina abbiamo personaggi di rilievo che si sono occupati delle tematiche più svariate.
"Non riceviamo una vita breve, ma tale la rendiamo: e non siamo poveri quanto alla vita, ma la sprechiamo con prodigalità" (De Brevitate Vitae )
Lucio Anneo Seneca è forse la personalità di maggior rilievo dell’età neroniana Nato in Spagna, trascorre gran parte della sua vita a Roma, dove opera attivamente in politica, come precettore e consigliere di Nerone, nel 62 d.C. si allontana dalla gestione politica dell’impero e nel 65 è costretto al suicidio in seguito alla congiura dei Pisoni. Ha lasciato una vastissima produzione letteraria che comprende opere filosofiche (dieci Dialoghi e due trattati), dieci tragedie, un’opera satirica (Apokolokyntosis), un epistolario e un’opera di carattere scientifico (Naturales Quaestiones), questa ricchezza e varietà di opere rispecchia la sua ampiezza di interessi, che comprendono la filosofia, la politica, la scienza e la letteratura, senza dimenticare l’attenzione alla società in cui vive e l’applicazione pratica della virtù, e testimoniano una cultura vasta e multiforme, nata dallo studio critico di varie ideologie, fra cui spicca sicuramente la dottrina stoica.
Uno dei temi presenti nella trattazione senecana è la riflessione sul tempo, che assume una connotazione etica ed è visto in relazione all’uso che ne viene fatto e all’avvicinarsi della morte. Questa è una delle tematiche che appare trasversalmente in quasi tutta la sua produzione, in particolare il De brevitate vitae (trattato in forma dialogica) è interamente dedicato all’uso (e allo spreco) che viene fatto del tempo, con una riflessione sulla durata della vita; lo stesso tema e presente nel sesto libro delle Naturales Quaestiones, dedicato ai terremoti e ai vulcani, in cui riflette sulla morte, e in alcune delle Epistulae ad Lucilium (in particolare le epistole 1, 12, 49, 76, 93 e 101). Le epistole sono in tutto 124 dedicate a Lucilio, personaggio fittizio di cui non è certa l’identità; non si sa, infatti, se si tratta di un amico o di un escamotage per far conoscere il suo pensiero. Dalla lettura di queste parti emerge un senso di fuga del tempo e precarietà delle cose; “il tempo fugge con la massima velocità […], mentre siamo intenti alle cose presenti non ce ne accorgiamo, tanto lieve passa nella sua corsa precipitosa”, scrive all’amico Lucilio, dimostrando di vivere il tempo nel timore che non sia sufficiente all’uomo (“il tempo scorre veloce e ci lascia avidissimi di sé, né il futuro, né il passato sono in mio potere: io sto sospeso all’attimo fuggente”), con un’inquietudine sempre viva che si traduce nell’immagine del tempo paragonato ad un fiume in piena. Il risultato è quindi un’ammonizione a fare un uso attento e consapevole del tempo, infatti, dichiara: “sono tanto più indignato nel vedere che alcuni sprecano in cose inutili la maggior parte di questo tempo, che non basta neppure per le cose necessarie, anche quando è speso con molta cura”. Secondo Seneca gli uomini perdono il loro tempo in occupazioni vane e si accorgono di quanto esso sia prezioso solo quando si vedono vicini alla morte, il saggio invece amministra con cura ogni momento che gli è concesso, e vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, consapevole che “omnia aliena sunt, tempus tantum nostrum est”, tutte le cose appartengono a altri, solo il tempo è nostro, mentre gli altri concedono il loro tempo ad altri senza dargli peso (“re omnium preziosissima luditur”, si gioca con la cosa più preziosa di tutte).
Seneca vuole far notare, come la maggior parte degli uomini non sia consapevole di quanto sia prezioso il tempo e come esso debba essere usato in modo da vivere veramente fino in fondo ogni secondo;infatti mentre siamo gelosissimi di tutto il resto il tempo lo regaliamo a destra e a manca senza tenere conto del suo valore…Seneca è infatti convinto innanzitutto del fatto che la vita non sia affatto breve come molti affermano ma che anzi sia lunga se il tempo viene gestito bene, e il tempo è più che sufficiente per compiere anche i più alti e nobili propositi. Infatti, una gran parte del nostro tempo ci sfugge mentre siamo impegnati a fare nulla o a farlo male,quando non ci rendiamo conto che mentre il tempo passa moriamo sempre un pò, perché infatti tutti i giorni che abbiamo già vissuto sono alle nostre spalle e sono già morti.
Il punto di vista di Seneca è chiaro e di facile realizzazione: è necessario vivere pienamente l’oggi, vivere quindi il presente senza fare grandi progetti per il futuro considerando l’oggi come una vita intera.
La concezione stoica del tempo visto nel suo dinamismo viene quindi ripresa da Seneca che vede il tempo nell’unica dimensione del presente, solo in esso può essere colta con pienezza la vita, “[la vita] di cui non ci rendiamo conto mentre procedeva, ci accorgiamo che è passata”. Per questo l’invito di Seneca è protinus vive, vivi adesso, non più tardi.
Le tematiche analizzate da Seneca sono la testimonianza del fatto che egli condusse un’indagine filosofica originale e per molti aspetti moderna. Con Seneca si prende in considerazione il mondo psicologico ed esistenziale dell’uomo; è possibile trovare in lui la nozione di noia radicale (connessa cioè al semplice fatto di vivere) quale ci viene descritta da Martin Heidegger. L’opera principale di questo esistenzialista con il suo titolo Essere e tempo fa tornare alla mente talune epistole di Seneca e soprattutto il suo De brevitate vitae.
Martin Heidegger, la cui filosofia è forse la più importante del nostro secolo per l’influenza ampia e decisiva che ha esercitato ed esercita ancora su tutto il pensiero contemporaneo,è il massimo esponente di quello che si usa chiamare esistenzialismo. Egli ripensa l’esistenza nel suo rapporto con l’essere e interpreta la vera storia della filosofia alla luce di questo rapporto.
Heidegger nasce nel Baden nel 1889. Divenne assistente di Husserl a Friburgo e visse in stretto contatto con lui. Dopo aver aderito al nazismo si distaccò da Husserl che era ebreo. Nel 1923 divenne docente presso l’università di Marburgo. Morì nel 1976.
Heidegger parte dal presupposto che, per poter porre correttamente la domanda su cos’è l’essere bisogna partire stabilendo chi è che pone tale domanda.
L’uomo non è solo quell’ente che pone la domanda su che cosa è l’essere; egli è anche quell’ente che pone in crisi il concetto di essere, poiché esso non lo soddisfa.
La nozione di essere che la filosofia ha sempre accettato e sviluppato è quella che identifica l’essere con l’oggettività, cioè con la semplice presenza. Il processo è: mi domando cosa significa essere; guardandomi intorno vedo che a parte le caratteristiche peculiari di ognuna, le cose possiedono una qualità che le accomuna tutte:sono presenti davanti a me (ob-jecta); la conclusione è che il significato dell’essere è esser presente.
La nozione tradizionale di essere come semplice presenza non si lascia applicare all’uomo perché l’esistenza dell’uomo è un nesso di passato, presente e futuro.
Per Heidegger la caratteristica dell’uomo è quella di essere un progetto. L’uomo esiste come un continuo tendere verso una diversa sistemazione della realtà. L’espressione che riassume questa natura dell’uomo è Dasein:esser-ci. Il termine esserci indica il fatto che l’uomo esiste. La semplice presenza e obiettività, che costituisce il modello del concetto tradizionale di essere, appare come strumento della generale strumentalità delle cose; esse sono, anzitutto ed essenzialmente strumenti. Ma uno strumento è sempre strumento per qualcos’altro, non può quindi essere considerato singolarmente. La totalità degli strumenti è il mondo.
Il primo risultato dell’ontologia fondamentale è che le cose diverse dall’uomo, quelle che Heidegger chiama enti intramondani, sono in virtù del fatto che c’è l’uomo.
Il problema fondamentale di Heidegger era quello di riportare la coscienza idealista alla concretezza dell’esistenza. L’esserci che progetta il mondo è coinvolto nelle sue vicende. Progettando, l’uomo progetta e quindi rischia, anzitutto se stesso. Essere e tempo esprime ciò nel dire che l’esserci è un progetto gettato. L’uomo progettando fa venire le cose all’essere; ma il suo progetto ha dei limiti invalicabili:l’uomo nasce e muore, si trova ad essere senza averlo deciso. Ad Heidegger interessa vedere come la finitezza dell’esistenza influisca sulla struttura del progetto. Il filosofo vuole mostrare che l’uomo può essere progetto; solo perché è chiuso tra la nascita e la morte, l’uomo può istituire quella totalità di strumenti che è il mondo e dar luogo alla storia.
Nel progettare il mondo e se stesso l’uomo si trova di fronte a delle possibilità. Queste possibilità non sono tutte equivalenti, ce n’è una che si distingue dalle altre perché è una possibilità a cui non si può sfuggire:è la morte. Essa resta permanentemente una possibilità; quando diventa realtà, l’esistente non c’è più. Rispetto a tutte le altre possibilità che costituiscono l’esistenza, essa si comporta come la possibilità che fa si che tutte le altre possibilità divengano impossibili.
Su questa base si sviluppa il concetto di esistenza autentica e in autentica, che Heidegger riprende dalla tradizione esistenzialistica precedente, attribuendole un significato del tutto nuovo. L’uomo può infatti scegliere di progettare la propria vita e il proprio mondo assumendo come fondamentale e costitutiva una qualche possibilità particolare: dedicare la vita alla famiglia, al lavoro, al piacere…Assumendo come decisive e fondamentali queste possibilità, l’uomo sceglie un’esistenza in autentica, si disperde e si irrigidisce. Esistere autenticamente significa invece assumere come possibilità base la morte. La morte, per Heidegger, ha la funzione di aprire l’esistenza come possibilità di continuo trascendimento delle sue realizzazioni particolare. Per Heidegger esistere ed essere-per-la-morte sono la stessa cosa; la morte è anche quella che fonda la storicità dell’esistenza, il fatto che questa sia un processo e un divenire.
Il tema del rapporto fra tempo ed essere costituisce il problema a cui è dedicata la prima opera fondamentale di Heidegger. Della prima parte esistono solo le due prime sezioni, mentre manca la terza che doveva avere per titolo Tempo ed essere.
L’essere delle cose e dell’uomo stesso si attua nel progetto temporale e storico dell’uomo stesso. La decisione anticipatrice(l’essere per la morte, mentre consente di comprendere l’esistenza come un tutto, ne svela un ultimo e decisivo momento: la temporalità. È il tempo che definisce l’essere in generale. Se dunque grazie alla decisione anticipatrice si perviene alla possibilità di realizzare l’esistenza come un tutto unitario, è però la temporalità ciò che fonda questa possibilità. Per Heidegger il significato del tempo si coglie solo a partire dall’uomo, ma non nel senso di una contrapposizione di interiorità ed esteriorità. A questa distinzione Heidegger ha sostituito quella di autentico e in autentico. Per Heidegger la temporalità non è fondata sull’esistenza, ma piuttosto è da essa soltanto manifestata. Il tempo è scoperto come ciò che rende possibile sai la decisione sia il modo inautentico di esistere:il tempo è il senso dell’esserci.
Essere e tempo rimase incompiuto per il venir meno del linguaggio, cioè per l’impossibilità di proseguire la ricerca disponendo solo della metafisica tradizionale. Il linguaggio non è uno strumento che possiamo maneggiare e adattare alle nostre esigenze,esso condizionano la nostra possibilità di fare esperienza del mondo e di elaborare i problemi. Ogni conoscenza e ogni scelta che l’uomo compie nel mondo sono possibili perché egli si trova già ad essere in un determinato rapporto con le cose. L’essere non sono le cose-oggetto;ma non è nemmeno l’uomo progetto: l’essere può pensarsi piuttosto come la luce entro cui cose e uomo divengono visibili e incontrabili.
Da Platone in poi l'uomo ha concepito l'essere in funzione dei suoi enti, non si è più ricercata la sua vera essenza, e la metafisica è stata quindi ridotta a fisica perchè il suo oggetto non era l'essere ma gli enti. L'essere è un disvelarsi: alethèia. L'essere si manifesta all'uomo attraverso il linguaggio poetico, in quanto questo ha una certa forma di sacralità, di sintesi e nel contempo analisi, che lo rendono il miglior mezzo per essere recepito dall'uomo. Questi deve quindi mettersi in silenzio e ascolto perchè l'essere gli si manifesti, in quanto l'uomo ha nessun altro potere di fronte all'essere: è l'essere stesso che si svela (a chi lo sa ascoltare e recepire). La scienza e la tecnica si sono sviluppate da un modo di vita inautentico, basato sugli oggetti e sulla convinzione di poterli dominare e manipolare, dall'errata coincidenza essere=ente.
Il concetto di tempo è presente anche nell’arte.
Fino all’Ottocento la pittura ha tentato di riprodurre sulla tela una realtà a tre dimensioni, cercando di dare l’illusione della profondità. A partire dalla fine del secolo, la rappresentazione esatta della realtà è sentita come limitazione della libera creatività artistica, si cercano quindi nuovi modi di rappresentare la realtà introducendo la quarta dimensione: il tempo.
In Francia nella seconda metà dell'Ottocento, in contrapposizione alle tradizioni pittoriche contemporanee e dello stile promosso dall'Accademia delle belle arti di Parigi, si sviluppa la corrente impressionista.
Tradizionalmente l'Accademia imponeva i modelli ai quali tutta l'arte francese avrebbe dovuto uniformarsi, gli impressionisti rifiutano questi dettami.
L’impressionismo nasce dall’aggregazione spontanea da parte di un gruppo d’artisti, i quali non avevano la possibilità di esporre al Salon ( l’esposizione ufficiale che consacrava la fama degli artisti e dava loro la possibilità di trovare acquirenti) poiché le loro opere erano respinte sulla base della loro eccessiva originalità, infatti la caratteristica fondamentale del Salon era proprio l’accademismo. Il nome impressionismo deriva dal titolo dei due celebri quadri di Monet dal titolo Impressione. Il levar del sole ed Impressione. Il tramonto del sole.
CLAUDE MONET : IMPRESSION, SOLEIL LEVANT

Questo nuovo gruppo, i primi tempi, amava radunarsi al caffè Guerbois.
Il gruppo successivamente diede vita ad una propria esposizione nelle sale fornite dal fotografo Nadar che sancisce la nascita della nuova corrente il 15Aprile 1874, mostra che però ebbe scarso successo; tanto che un celebre critico, Leroy, scrisse un articolo su un celebre giornale satirico, con il quale trattava del gruppo appena nato definendolo in modo spregiativo:le impressioni sono superficiali mancano di razionalità, non vanno a definire, quindi non hanno la sufficiente levatura per poter essere definite pittura.
Il pittore impressionista si contraddistingue per il voler rendere la realtà in ogni suo aspetto ,senza fare una scelta, andando a riportare anche l’elemento apparentemente meno significativo. Il quadro che suscitò più scandalo e quello che rappresenta di più la corrente impressionista è di Manet.
Edouard Manet : Le déjeuner sur l'herbe

Il quadro suscitò molto scalpore e grande scandalo quando venne esposto al pubblico per la prima volta, nel 1863, a causa del suo nudo femminile "troppo" realistico. Manet sostenne che il vero soggetto del quadro era la luce.
Qui sta tutta la modernità degli impressionista che si rendono conto che noi non percepiamo la realtà in frammenti isolati ma che ne sentiamo la sua continuità e il suo fluire. Nessun elemento vive da solo ma tutto vive in un contesto; così nulla può essere definito, neppure lo spazio.
Il tentativo è quindi quello di andare a cogliere la sostanza della realtà che verrà resa sulla tela tramite pennellate veloci e lunghe , tramite le quali si andrà proprio a definire l’impressione che l’artista ha ricevuto da un ambiente, tanto che la maggior parte di questi artisti iniziò a dipingere en plein air.
Risulta, in fine, essere di fondamentale importanza anche in questo caso l’uso della luce; che colpisce le cose andando a scomporsi ed a colmarsi di riflessi che creano continuità tra gli elementi che formano l’opera.
L’altro elemento che contraddistingue la corrente impressionista è il colore, l’impressionismo infatti è il trionfo del colore (anche le ombre sono colore).
Protagonista di questo movimento è senza dubbio Claude Monet, che esalta l’importanza della percezione visiva come atto fondamentale per la realizzazione del quadro. Tra le sue numerose opere, fra il 1892 e il 1894 egli esegue una serie di dipinti (circa 50), che ritraggono una parte della facciata della cattedrale di Rouen in diverse ore del giorno e in diversi periodi dell’anno.

Egli ritrae sempre lo stesso soggetto, ma non è interessato alla cattedrale (ne riprende infatti solo una porzione) quanto alla luce che vi si riflette in modo sempre diverso, in ogni quadro cambia l’ora, la luce l’istante “le tele avrebbero potuto essere cinquanta, cento, mille, quante i minuti della nostra vita”, ogni tela è unica perché rappresenta un momento unico in cui la cattedrale viene osservata.
Per quanto riguarda l’Italia l’avanguardia artistica che ebbe maggior successo fu senza dubbio il futurismo. Il futurismo ha in ogni campo fra i suoi temi fondamentali quello della dinamicità e del movimento, ma uno studio più approfondito sulla dimensione tempo si ha soprattutto nella pittura. Anche i pittori futuristi italiani, che individuano nella velocità una caratteristica del modo moderno, scompongono e ricostruiscono le immagini della realtà per renderne il dinamismo, il movimento.
Per gli artisti futuristi il problema era catturare la forma unitaria del corpo che si muove e dello spazio in cui si muove, rappresentare la vita nel suo infinito succedersi, “Per noi il quadro - scrive Boccioni - è la vita stessa intuita nelle sue trasformazioni dentro all’oggetto e non fuori” nel Manifesto Tecnico dei Pittori Futuristi (1910). L’artista vuole quindi penetrare l’intima realtà delle cose, non più fermare l’attimo ma esprimerne il dinamismo, mettendo l’osservatore “dentro” la tela.
U. Boccioni - Forme uniche nella continuità dello spazio (1913),Civico museo d'arte contemporanea (CIMAC) di Milano
(La nike di Samotracia Museo del Louvre)
L'opera, una delle più famose dell'itinerario creativo dell'artista, si caratterizza per la compenetrazione dei piani e per la dinamicità delle forme che fendono lo spazio. Raffigura un corpo umano in movimento con vedute simultanee. La figura si sta spostando velocemente ed in maniera continuativa. La simultaneità delle vedute conduce alla compenetrazione dei piani
È singolare per un artista sinceramente "futurista", come fu Boccioni, che sia giunto a uno dei massimi risultati della sua scultura, cantando la velocità non attraverso l'immagine di una automobile o di un aeroplano, ma di un uomo che cammina.
Anche nella scultura, che più di ogni altra forma artistica corre il rischio di cristallizzarsi in canoni e forme statiche, è possibile dunque esprimere la nuova bellezza del mondo: il movimento, il ritmo, la velocità. È il concetto stigmatizzato nel Manifesto del Futurismo: “un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”.( La Nike di Samotracia é una delle piú celebri sculture del Louvre ove ha una posizione di primo piano, alla sommitá di una scalinata. E' stata rinvenuta nel 1863 nell'isola di Samotracia dalla quale trae il nome. Risalente al periodo ellenistico e posta originariamente su una nave, la nike interpreta il ruolo della vittoria alata in occasione (probabilmente) della vittoria di Rodi su Antioco III re di Siria. Recentemente sono stati rinvenuti frammenti delle braccia e delle mani, che ora sono custoditi a Vienna).
Umberto Boccioni- La città che sale olio su tela 1910 New York, The Museum of Modern Art
Il motivo di quest'opera, di cui esistono molti studi preparatori, è sentito profondamente da Boccioni: per il senso dinamico del cavallo, che diventa marea in ascesa, e lo sfondo della città con le case in costruzione, simbolo tipicamente moderno.
Nel manifesto del 1910 il manifesto dei pittori futuristi dichiara guerra al passato e indica i nuovi temi dell'arte futurista nella "frenetica attività delle grandi capitali", nelle "rete di velocità che avvolge la Terra". "Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido (...), le cose in movimento si moltiplicano, si deformano susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono".
Con questo dipinto Boccioni presenta appunto l'immagine della città moderna di cui vuole cogliere l'intero dinamismo. Abbandona ogni verosimiglianza naturalistica, presente ancora nelle prime prove, per privilegiare la sensazione di crescita e di sviluppo ed esprimere in immagini intensamente vitalistiche l'energia che pervade la metropoli industriale. Sono riconoscibili solo poche rapide sagome, come gli uomini disfatti dalla fatica e soprattutto il grande cavallo in diagonale che traina il carro, reso attraverso macchie violente di colori (la criniera fulva e il blu della sella). Il motivo del cavallo, simbolo di vitalità e di forza, è ripreso in altre due immagini, mentre sullo sfondo emergono impalcature, ciminiere, altri uomini al lavoro. La nota dominante è il movimento, inteso come sintesi simultanea che travolge, in un unico turbine ascensionale, uomini, cavalli e cose, tutti pervasi da uno stesso slancio creativo.
Prima dei futuristi un celebre artista spagnolo, Salvador Dalì, aveva realizzato una tela che esprimeva al meglio il concetto di tempo.
Nella sua pittura, l'artista ritrae elementi del mondo onirico, e rivela il suo interesse per l'analisi dell'inconscio compiuta dalla psicanalisi. L'atmosfera è quella allucinata dei sogni, in cui oggetti reali assumono aspetti distorti, come per esempio gli orologi distesi sulla tavola e sul ramo spoglio, oppure si mostrano in forme che alludono ad altre forme, secondo lo spirito del surrealismo: la sagoma grigia al centro del dipinto, in questo caso, richiama l'immagine di un cavallo dormiente, su cui un altro orologio è posato come una sella. Il titolo è
La persistenza della memoria
olio su tela, New York, Museum of Modern art
La memoria è la capacità di conservare le informazioni nel tempo. La memoria è una delle capacità più importanti nell'uomo. Perdere la memoria significa perdere la propria storia personale e la propria identità.
Le reti nervose e quindi le sinapsi non sono fisse e immutabili neppure quando lo sviluppo è stato completato: esse si modificano in risposta all’ambiente e in seguito all’esperienza. Così si hanno modificazioni (allungamento o rimozione di dentriti, formazione di sinapsi) che si indicano come plasticità neuronale. Anche la memoria è un aspetto di questa proprietà: nella memoria a breve termine si stabilizza una proteina già presente, in quella a lungo termine
Si costruisce una nuova proteina e si ha l’arborizzazione del neurone. Gli stimoli provenienti dall’esterno modificano la membrana dei neuroni e i sistemi intracellulari agiscono come secondi segnali. Questi raggiungono il nucleo e inducono la sintesi di molecole proteiche specifiche. Queste molecole rimodellano le sinapsi e rappresentano lo stato fisico del ricordo mnemonico.
L'encefalo è in grado di astrarre impressioni figurate, verbalizzare quanto appreso e associarlo con informazioni precedenti. Maggiori sono le possibili associazioni e più è facile che quanto appreso sia ricordato per tempi più lunghi.
Le informazioni sono trattenute nella memoria primaria per un periodo variabile tra pochi secondi e alcuni minuti. La trasmissione di un'informazione della memoria primaria a quella secondaria è un processo delicato che si svolge nell’ippocampo.
L'ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore dei ventricoli laterali, sopra il cervelletto. L'ippocampo fa parte del "sistema limbico" che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni.Oltre all'ippocampo, appartengono al sistema limbico la circonvoluzione che lo ricopre (circonvoluzione para-ippocampale), la circonvoluzione del cingolo al di sopra del cosiddetto "corpo calloso" e il fornice. Tutte le componenti del sistema limbico (strettamente collegate all'ipotalamo) regolano i comportamenti relativi ai "bisogni primari" per la sopravvivenza dell'individuo e della specie: il mangiare, il bere, il procurarsi cibo e le relazioni sessuali nonché, per una specie evoluta come l'uomo, l'interpretazioni dei segnali provenienti dagli altri e dall'ambiente.
Questa zona del cervello gestisce le emozioni, i sentimenti e perciò anche la nostra percezione della realtà.
Poiché l'ippocampo si occupa della funzione di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative.
Si è constatato che se parti dell'encefalo vengono distrutte da un ictus, non vengono cancellate informazioni specifiche memorizzate. Non esistono cioè delle zone dove vengono memorizzati singoli dati, come in un disco fisso di un computer. Ogni informazione è ripartita attraverso un intero complesso di cellule della memoria. Se si richiama alla memoria un dato è sufficiente presentare una piccola parte del modello (una associazione) e l'intero modello viene ricostruito.L'encefalo, in conclusione, non memorizza i dati come fossero una fotografia, ma attraverso associazioni, è quindi possibile, anche quando non tutti i dati vengono richiamati, ottenere comunque un'immagine intera, anche se sfocata.
Ci sono due meccanismi di immagazzinamento delle informazioni, uno per la memoria a breve termine (MBT) e uno per la memoria a lungo termine (MLT).
Nelle memoria temporanea (a breve termine) si verifica un rapido deterioramento delle informazioni, mentre la memoria a lungo termine conserva le informazioni in modo sostanzialmente stabile.
L'informazione che arriva alla MBT, se non è oggetto di attenzione, comincia subito a cancellarsi anche se, mediante una ripetizione, può essere restaurata.
La capacità della memoria a breve termine è quindi limitata: se un'informazione non viene ripetuta con sufficiente frequenza, scompare. Il complesso dei dati presenti in ogni istante nella memoria a breve termine viene detto "cuscinetto di ripetizione". L'informazione viene conservata nel "cuscinetto" finché non è trasferita nella memoria a lungo termine o finché non è rimpiazzata da una nuova.
La memoria a lungo termine si considera essere virtualmente illimitata, ma la riattivazione di un'informazione può essere impedita dall'incompletezza delle associazioni necessarie alla sua identificazione.
La rievocazione immediata di un'informazione può mancare perché non è stata trasmessa alla memoria a lungo termine. La rievocazione di un'informazione della memoria a lungo termine può mancare perché non ci sono sufficienti legami per metterli a fuoco. Questa teoria spiega anche perché taluni ricordi appaiono "rimossi": tali ricordi sono inaccessibili perché la loro presenza sarebbe inaccettabile per il soggetto a causa dell'ansia o dei sentimenti di colpa che potrebbero attivare. Non sono perciò scomparsi, ma il subconscio evita che le associazioni necessarie si formino. Gli individui colpiti da amnesia non dimenticano tutto, solo degli elementi personali. Ciò avviene spesso per un trauma emotivo al quale l'amnesia permette di sfuggire. Spesso poi parte di tali ricordi riaffiora quando vengono evocati dalle giuste associazioni.
Una delle patologie in cui è implicata la perdita della memoria è il Morbo di Alzheimer che si manifesta nell’età presenile; partendo da turbe della memoria porta alla completa demenza, è caratterizzata dalla morte dei neuroni accompagnata da vari processi degenerativi tra cui la presenza di placche extracellulari costituite dalla sostanza amiloide (ovvero depositi della proteina ß-amiloide localizzati tra i neuroni).
INFINITO MATEMATICO
Il termine infinito assume nell'analisi matematica un significato leggermente diverso, che può essere precisato ricorrendo al concetto di limite. Il concetto di limite può essere applicato a funzioni la cui variabile dipendente può assumere valori interi positivi. In questo caso, il limite si calcola unicamente per x che tende all’infinito. In genere, il calcolo dei limiti si effettua procedendo alla sostituzione del valore x0 a cui tende la variabile indipendente, nell’espressione della funzione. In alcuni casi, si possono presentare le cosiddette forme di indeterminazione, in cui la sostituzione porta a risultati non definiti, come 0/0, 0·infinito, infinito/infinito, infinito – infinito; in questi casi si deve ricorrere ad artifici di calcolo che eliminino la forma di indecisione e permettano di pervenire al risultato.
Data una funzione f(x), si dice che la funzione f(x),per x tendente a c, ha per limite l’infinito, e si scrive:
lim f(x) = ∞
x→ c
quando,in corrispondenza di un numero positivo M, si può sempre determinare un intorno del punto c tale che:
│f(x)│> M
Quando una funzione non è continua, si possono distinguere tre tipi di discontinuità, dette rispettivamente di prima, di seconda e di terza specie. Un punto c si dice di discontinuità di prima specie per una funzione f(x) se in esso il limite della funzione risulta infinito. Un esempio di discontinuità di prima specie è costituito dal punto

x = 0 per la funzione f(x) = 1/x
Un altro esempio del concetto di infinito si può trovare negli asintoti.
Gli asintoti possono essere definiti formalmente ricorrendo al concetto di limite, proprio del calcolo infinitesimale.
La retta y = L si dice asintoto orizzontale per il grafico della funzione y = f(x) se

lim f(x) =L
x→∞
Analogamente, la retta x = L si dice asintoto verticale se il limite di f(x) per x che tende a L (da destra o da sinistra) è uguale a più infinito o meno infinito.

Limite infinito lim f(x) = + ∞
x→ +∞
Intuitivamente equivale a dire che per x tendente a +∞ , la funzione si “avvicina” a +∞ (ovvero, assume valori sempre più grandi).
Graficamente, si ha una situazione di questo tipo:

Abbiamo alcuni casi particolari di limite per x tendente a infinito in cui continuando a svolgere dei calcoli si arriva a numeri finiti. Ad esempio:
x² 3x² - 4x + 1 3 – 4 + 1
lim 3x² - 4x + 1 = ∞ = lim x² x² x² x x²
x→∞ x² + 4 ∞ x→∞ = = 3
x² x² + 4 1 + 4
x² x² x²

1

Esempio



  


  1. francesca

    tesina sui girasoli. sostengo l' esame di maturità