I Sofisti

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Categoria:Filosofia

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Testo

I SOFISTI
Anticamente il termine sophistes (sapiente) era sinonimo di saggio e alludeva ad un uomo esperto, dotato di una vasta cultura generale. Invece nel V secolo si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso; fatto quest’ultimo che alla mentalità aristocratica appariva scandaloso. Furono soprattutto Socrate e Platone che contribuirono alla pessima fama dei sofisti, quest’ultimi accusati di essere interessati più al successo e ai soldi che alla verità. La critica d’oggi cerca di rivalutare la sofistica e la sua importanza storico-culturale.
I sofisti spostarono l’asse di studio dalla natura all’uomo; invece di ricercare un principio essi si concentrarono sulla politica, la religione e le leggi. Questo cambiamento fu comportato dalla sfiducia nella ricerca naturalistica ma soprattutto dal mutato contesto storico-politico dell’Atene del V secolo (crisi dell’aristocrazia, allargarsi dei commerci, l’avvento della democrazia). Testimonianza dell’avvenuto cambiamento storico-politico è la famosa orazione funebre di Pericle, leader della democrazia ateniese. Appunto dentro la democrazia si è venuta a formare la corrente sofistica: infatti, vivere in democrazia significa possedere l’arte dell’eloquenza, ed i sofisti venivano incontro a questa necessità proponendo d’insegnare quel tipo di sapienza, dietro pagamento, al ceto dirigente. Loro creazione fondamentale fu la retorica.
Tre sono i caratteri più importanti e significativi della sofistica:
1. È una sorta di “Illuminismo greco”, infatti, come avvenne nel medioevo, la sofistica criticò pesantemente i miti e le credenze di quel tempo.
2. Per primi i sofisti elaborarono il concetto di “cultura” (paideia), intesa come la formazione globale di un individuo nell’ambito di un popolo.
3. Essi contribuirono all’allargamento della mentalità greca ed antica.
Poiché i sofisti non rappresentano una scuola compatta di pensatori, si possono distinguere in “prima generazione” e “seconda generazione”.
PROTAGORA: nacque ad Abdera intorno al 490 a.C. e fu il primo esponente della sofistica. La sua formazione fu influenzata probabilmente da Eraclito e più volte si trovo in Atene e fu grande amico dello stesso Pericle. La sua tesi fondamentale risiede nel principio che l’uomo è misura di tutte le cose: delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono. Questo sta ad affermare che il soggetto umano è l’unico criterio di verità accettabile. Sul preciso senso filosofico esistono varie interpretazioni: la più attendibile è che l’uomo protagoreo è misura delle cose ai vari livelli della sua umanità, e cioè come singolo, poi come comunità ed infine come specie. Quindi la posizione di Protagora è una forma d’umanismo (in quanto si presuppone sempre l’uomo al centro del discorso) e di relativismo conoscitivo e morale, in quanto “tutto è vero”, ognuno da un punto di vista diverso. Nel principio dell’utilità privata e pubblica l’utile diventa per Protagora lo strumento di verifica e di legittimazione delle teorie stesse; grazie a questa teoria egli affermò che la verità è ciò che si è dimostrato storicamente e socialmente utile all’individuo.
In uno scritto anonimo, Ragionamenti doppi, troviamo il pensiero secondo il quale le stesse cose possono essere nello stesso tempo buone e cattive, belle e brutte ecc., ognuna sotto un diverso punto di vista. Nella seconda parte troviamo l’esposizione del cosiddetto razionalismo culturale, cioè il riconoscimento della disparità dei valori che presiedono alle diverse civiltà umane.
Il sofista per Protagora si presenta come un propagandista dell’utile, ossia come un intellettuale che mediante l’arte della parola tenta di modificare le opinioni nel senso dell’utile; in seguito egli adottò il metodo di trasformare l’opinione meno utile in più utile e proficua.
GORGIA: nacque nel 485 in Sicilia e morì a 109 anni. Fu discepolo di Empedocle ed esercitò la sua arte retorica in molte città della Grecia. Nella sua prima opera, Sul non essere o sulla natura, egli stabilì le sue tre fondamentali tesi:
1. Nulla c’è.
2. Se anche qualcosa c’è, non è conoscibile dall’uomo (se il pensato non esiste, l’essere non è pensato).
3. Se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri (l’essere, in quanto è oggetto esterno a noi, non può diventare la parola, che è in noi, e non essendo parola, non potrà essere manifestato ad altri).
Con Gorgia abbiamo, rispetto a Protagora, una dottrina più negativa circa le possibilità conoscitive e pratiche dell’uomo. Ecco perché si arriva a parlare di scetticismo metafisico o di messaggio antimetafisico di Gorgia. Infatti, il risultato definitivo della sua dottrina è la distruzione di ogni possibile metafisica e la sfiducia completa nelle possibilità conoscitive della mente umana. In Gorgia non troviamo quindi più alcun criterio, e l’unica cosa che conta è la potenza del linguaggio, inteso come forza che permette il dominio degli stati d’animo.
Un altro aspetto importante del pensiero gorgiano è la concezione tragica della vita: Gorgia sembra ritenere che l’esistenza sia qualcosa di fondamentalmente irrazionale e misterioso. Le azioni degli uomini non paiono rette dalla logica e dalla verità, ma dalle circostanze, dalle menzogne, dalle passioni o da un ignoto destino, il quale fa si che gli individui si rivelino sempre, ad uno stato profondo, “determinati” e “incolpevoli”, essendo permanentemente in preda a qualcosa che li supera e li tiene in pugno.

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