Testimonianze sulla deportazione

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Testo

PROGETTO LAVORATORI COATTI

I campi di concentramento non sono nati nella Germania nazista, contrariamente a ciò che molti pensano, bensì nel 1896, a Cuba, dove vennero rinchiusi i ribelli ed i loro parenti. Furono poi utilizzati nelle Filippine, in Sudafrica, in Austria, in California, in Irlanda e solo il 20 marzo 1933 venne aperto a Dàchau, a 20 Km da Monaco, il primo campo nazista, che era solo una rielaborazione dei precedenti.
In tedesco il loro nome era Konzentrationlager e da lì deriva l’abbreviazione KZ.
Tutto iniziò il 31 gennaio 1933 quando, dopo regolari elezioni, salì al potere Hitler. Già il 28 febbraio venne emesso il decreto governativo della Schutzhaft, che significa custodia cautelare. Tale decreto prevedeva che chiunque potesse essere strappato dalla vita di tutti i giorni e portato in un KZ senza motivo e senza il diritto di avere un regolare processo.
I primi ad entrare nel KZ furono gli oppositori politici: comunisti, socialisti, liberali, monarchici, sindacalisti, democratici, ma anche intellettuali ed artisti che durante la campagna avevano dimostrato il loro dissenso con Hitler. Le finalità dei KZ erano sostanzialmente queste:
-- rieducare gli internati al fine di eliminare ogni opposizione. Per raggiungere questo scopo, era utilizzata la tecnica del terrore: erano molto usate le punizioni corporali. Veniva inoltre eliminata l’identità di ogni singolo internato: nome e cognome erano sostituiti da numeri, non si potevano possedere oggetti personali, abiti, famiglia, ed i capelli erano rasati a zero.
-- sfruttare economicamente il lavoro compiuto dagli internati, che venivano utilizzati per costruire altri campi, tanto che nel luglio entrano 35000 nuovi prigionieri.
Usare gli internati per compiere i lavori più duri era molto conveniente dal punto di vista economico: venivano pagati un quarto del normale (e comunque anche questo quarto finiva in mano alle SS), non c' erano scioperi e non si dovevano pagare i contributi.
-- eliminare gli inferiori facendoli perire nel campo.

Poco tempo dopo l’agosto '33, mese in cui T. Eike stilò il nuovo regolamento dei campi, iniziarono ad entrare nei KZ tre nuove categorie di persone: testimoni di Geova perché tendenzialmente pacifisti; gay perché non danno figli all’impero; asociali perché non si identificano nello stile di vita nazista.
Due anni dopo, nel settembre 1935, le nuove leggi di cittadinanza dette "leggi di Norimberga" stabilirono chi poteva essere cittadino dello stato nazista. Non erano ammessi i soldati di colore, gli ebrei, gli zingari, i polacchi, gli slavi e latini. Per essere ariani bisognava presentare sette certificati di nascita. Erano ammessi matrimoni solo tra ariani, le scuole potevano essere frequentate solo dai ragazzi ariani e solo gli ariani potevano far parte dell’esercito. A scuola non venivano insegnate storia, geografia e letteratura, che venivano sostitute da molta educazione fisica. Ogni sabato pomeriggio c' erano raduni, attività ginniche, manifestazioni. Se qualcuno non giustificava l'assenza da queste attività veniva picchiato od obbligato a bere olio di ricino, e se era uno studente prendeva 7 in condotta, che significava bocciatura certa.
Gli ebrei non potevano possedere più di 5000 marchi, e se erano padroni di un negozio non potevano avere clientela ariana. Già nel 1800, le uniche professioni consentite agli ebrei erano quelle di cenciaiolo e usuraio. I cristiani, però, non tolleravano le smisurate ricchezze apportate da quest’ultimo, accusarono falsamente gli ebrei di dissetarsi con sangue umano e pertanto li costrinsero a cessare l’attività.
Più tardi, nel 1938, il terzo Reich si espanse fino agli Urali, dove si erano rifugiati tutti coloro ritenuti inferiori. Anche l’Austria si trovò ad accogliere Hitler, dopo che il cancelliere austriaco venne ucciso con un colpo di stato.
Molti degli inferiori residenti in quelle zone vennero rinchiusi a Mauthausen, un campo costruito intorno ad una cava per la produzione di laterizi. Questi materiali servivano perché Hitler aveva ideato un progetto che doveva ricostruire le città, tra cui anche Monaco, Berlino, Norimberga.
Il nuovo campo, a 20 Km da Linz, era l’unico appartenente alla III categoria: era impossibile uscirne. Nello stesso periodo a Flossemburg nacque un nuovo campo per sole donne.
Un’altra data tristemente famosa è quella del 9 Novembre 1938, chiamata "Notte dei cristalli". In questa notte, con un’azione organizzata dalle SS, vennero rotti tutti i vetri delle sedi delle comunità ebraiche, delle sinagoghe e delle case degli ebrei. Himler e Goebbels furono i principali organizzatori, che lo fecero per capire cosa avrebbe pensato
il popolo tedesco, che in verità non reagì. Ma il 12 novembre entrarono nei campi i primi 35000 ebrei.
Anche l’Italia contribuì: nel '38 Mussolini proclamò le reggi razziali, che prevedevano che i latini fossero perfetti, mentre le persone di colore residenti nelle colonie, gli ebrei, gli sloveni erano gli inferiori.
Nell’agosto 1940 apre ad Oswiecim, che si trasformerà nel tedesco Auschwitz, un campo per i polacchi, in cui morirono più di 800000 persone, anche se ancora non si parlava di "campi di sterminio". A Monowitz venne costruito un grande stabilimento chimico per produrre gomma sintetica. Fino al 7 aprile 1940 gli ebrei venivano chiusi in ghetti, dei quali i più importanti furono quelli di Cracovia, Varsavia, Twow, Kielce. Non erano però convenienti perché bisognava fornire cibo e acqua per tutti, nonché un servizio di sicurezza. Era la Judenrat a comandare il servizio d’ordine e l'amministrazione interna, che comprendeva la distribuzione dei viveri e l’organizzazione delle cerimonie quali sepolture, matrimoni... Un ebreo, nei ghetti, poteva sopravvivere in media 6-9 mesi, ma per i nazisti era comunque troppo: il 7 aprile iniziò l’operazione Barbarossa. Con l’aiuto dell’Italia, la Germania assaltò la Russia e i Balcani per occupare l’Est e sterminare le razze inferiori, compresi i commissari politici sovietici. Fu una vera e propria guerra di sterminio (in soli due giorni, fra il 14 e il 15 novembre 1941 vennero uccise 77391 persone), ma il metodo adottato, la fucilazione di massa, si rivelò troppo costoso: si dovevano acquistare i proiettili e gli alcolici da somministrare agli esecutori, che altrimenti non avrebbero retto la vista di tante vittime. Nonostante ciò, molti di loro furono colti da malattie mentali e improvvisi attacchi di colite ed ulcera, perciò fu necessario ideare un nuovo metodo. Inizialmente Hitler aveva pensato di mandare gli inferiori in Siberia o in Madagascar, ma anche questi due piani fallirono. Il 20 gennaio 1942, si riunirono a Wansee i responsabili del T4 (un progetto che doveva sterminare gli handicappati ed i malati di mente), delle SS e del Ministero degli Interni. Durante questa riunione, venne ideato il "Endcosung Der Judenfrade" -soluzione finale del problema ebraico- che consisteva nell’uccidere gli inferiori tramite il metodo della gasazione. Per mezzo del protocollo di Wansee, decisero di procedere alla soluzione, ed iniziarono a costruire i VL (vernichtunlager), centri di sterminio attrezzati con camere a gas e forni crematori. Non veniva lasciata alcuna traccia: gli ordini erano tutti orali; le camere a gas erano sottoterra; gli abiti, dopo la selezione, venivano inviati ad industrie di trasformazione o al Vomi, che li distribuiva ai bisognosi ariani; i capelli erano venduti ad alto prezzo per la produzione di feltri per sottomarini e carri armati; le ceneri, dapprima nascoste, vennero poi vendute ai contadini in qualità di ottimo concime. I cinque principali VL furono: Chelmo, Hajdamek, Trebunka, Sobibor e Belzec, nei quali la morte era certa entro dodici ore dall’ingresso. In Italia, dove i VL erano proibiti, vi erano però a Borgo San Dalmazzo, a Fossoli di Carpi e a Bolzano, dei campi di transito, nei quali si passava prima di andare nei veri e propri VL. A Trieste, che non era zona italiana, c'era un VL riservato ai politici e ai resistenti.
A Birkenau, che inizialmente era un "campo di quarantena", erano presenti 5 camere a gas e 75 forni crematori. Giunti all’interno del campo, i deportati venivano sottoposti ad una selezione; se la superavano venivano mandati ad Auschwitz a lavorare, se no portati subito nei forni, nei quali morirono 20000 persone al giorno.
Nell’aprile '42 Osvald Pohl unificò i sistemi KL e VL, e nacquero così i lager più famosi, conosciuti da tutti anche ai nostri tempi. In questi campi, la morte era quasi certa: nei forni crematori o attraverso lo strenuo lavoro. L’8 settembre 1943 iniziò la deportazione dall’Italia nei lager, il 16 partì un convoglio di ebrei da Merano, seguito, il 12 ottobre, da un carico di 1100 sloveni e, il 16 ottobre, da 1027 persone portate ad Auschwitz. Successivamente, nel febbraio '44, partirono alcuni convogli di politici, per un totale di 43000 deportati, di cui 8100 ebrei; solo 5000 tornarono. In quel periodo il Canavese fu rastrellato, e 18 persone vennero portate a lavorare nella Reimag, un’industria tedesca. Sono queste le persone definite "lavoratori coatti", cioè costrette a lavorare contro la loro volontà, e sono cinque di loro che intervisteremo.

TESTIMONE n. 1
Giuseppe De Matteis, nato il 28 settembre 1926

MOMENTI IMPORTANTI
30 maggio 1944: rastrellato dai nazifascisti
portato a Torino alle casermette
10 giugno 1944. partito per la Germania
14 giugno 1944: inizio attività lavorativa in galleria per la Reimag
Aprile 1945: partenza da Kala verso la Cecoslovacchia
7 luglio 1945: ritorno a casa

IL RASTRELLAMENTO
Il 22 maggio 1944, Giuseppe De Matteis sta passeggiando in via Roma, a Barone, quando in lontananza avvista un nazifascista della brigata Ettore Muti. Essendo a conoscenza del pericolo che corre, in tutta fretta si infila in una panetteria. Anche il fascista però l' ha visto, e pochi minuti dopo entra nel negozietto. Si avvicina a Giuseppe e gli chiede di mostrargli la carta d' identità. La osserva e lascia libero il ragazzo perchè non ha ancora compiuto 18 anni.
Otto giorni dopo, Giuseppe e suo padre sono in un campo a tagliare l' erba per fare il fieno. Ad un tratto arriva trafelata la madre, e dice che deve tornare a casa subito per far vedere la carta d' identità, altrimenti i fascisti avrebbero bruciato la casa. Quando giunge alla sua dimora, subito lo chiamano ad andare a lavorare. Lo lasciano dieci giorni a Torino fino all' arrivo del treno per la Germania.

IL VIAGGIO
Il treno non è uno di quegli atroci convogli presentati nei documentari, ma un normale treno di 3° classe. Sul vagone gli danno un passaporto con la dicitura " Volontari italiani per Germania".
Dopo qualche ora di viaggio scende in un paesino, nel quale tutti i passeggeri vengono messi in riga. Un ufficiale tedesco chiede qual' è il mestiere praticato e se si parla il tedesco. Se la risposta è affermativa, non si viene portati in galleria.
Giuseppe, però, parla solo italiano e, dopo aver mangiato un bicchiere di zuppa "offerto" dai tedeschi, viene inviato al Lager 1 di Kala. Dopo 2-3 mesi, lo mandano a Rosengarte. Qui non lo spogliano e non gli confiscano tutti i beni, anzi, d' inverno gli danno una giacca e un paio di zoccoli.

IL LAVORO
TURNI DI LAVORO
I turni di lavoro sono massacranti: 10 ore al giorno con un' ora di pausa per rinfrescare l' aria nella galleria. Una settimana si lavora di giorno, la settimana dopo di notte. Ogni mese c'è un giorno di riposo.
PASTI
I pasti sono molto scarsi: la sera vengono distribuiti dei bollini con i quali si può ritirare il pasto, che consiste in un pezzo di pane con margarina o salame e un mestolo di brodo. Il pane è spesso un filone da dividere in quattro; dopo la divisione, i pezzi si tirano a sorte perchè qualcuno può averne di più.
Se si è assenti alla distribuzione dei bollini, per quel giorno si salta il pasto.
Ogni mattina viene distribuita una brodaglia nera spacciata per caffè, e i lavoratori ci aggiungono del sale per renderlo bevibile.
C' è chi baratta ciò che ha in cambio di cibo. Molti scambiano il pasto per avere una decina di sigarette.

LAVORO
Il lavoro di Giuseppe consiste nello scavare le gallerie, prima con pale e picconi, poi con dinamite ed esplosivi. Si fanno tredici buchi che, dopo esser esplosi, costituiscono una galleria. Da quattro di queste se ne ricava una tanto grande da poter contenere un aereo.
Il fumo prodotto dalle esplosioni è terribile, per questo motivo viene concessa un' ora di pausa.
I gruppi di lavoro sono composti da sei persone: due minatori e quattro caricatori di vagoncini.
Giuseppe rischia di essere fucilato quando, per errore, usa troppa dinamite e fa crollare il muro di un capannone. Per sua fortuna è amico del capo (una volta viene anche invitato a pranzo da lui), e perciò lo rilasciano.
Ogni risveglio è una tortura; dormono in mille in un teatro e i pidocchi li tormentano; se non si alzano quando li chiamano, li bastonano. Dopo aver bevuto il simil-caffè, bisogna fare 5 Km a piedi per arrivare all' industria. Una volta, durante questo tragitto, Giuseppe mette il piede su un chiodo e subito cade a terra dal dolore. Lo portano in infermeria, dove gli fanno una medicazione, e due giorni dopo deve già lavorare, con un permesso di uscire un po' prima se il piede fosse dolorante .

Il testimone ha visto molti morti:
- i morti per consunzione, per la mancanza di cibo;
- il crollo di una galleria: nessun superstite;
- un ragazzo ha rubato del cibo e viene ucciso a forza di botte;
- un suo amico di Torino che non lavora viene ucciso con la sua stessa pala.

Non tutto è proibito: si possono mandare lettere ogni volta che si vuole (ma non si ha mai tempo), e si possono ricevere pacchi da casa. Giuseppe nelle sue lettere chiede groviera e sigarette, che usa per avere cibo dagli altri lavoratori. Viene inoltre distribuito del sapone, che quasi sicuramente è prodotto con il grasso dei cadaveri cremati.

Non erano le SS ad occuparsi della sicurezza nelle gallerie.

IL RITORNO A CASA
Quando il lavoro nelle gallerie è finito, tutti i lavoratori vengono fatti evacuare. Si portano dietro tutto quello che hanno ancora (Giuseppe si è fatto costruire da un falegname una valigia in cambio di qualche pezzo di margarina, ma poi ha dovuto abbandonarla perché pesava troppo). Tutti sono raccolti in una colonna di gente guidata dalle SS.
Ora il periodo della fame è finito, perché riescono sempre a trovare qualche donna che offre loro un pezzo di pane.
Sui bordi delle strade vedono molti cadaveri con un buco in fronte. Poco dopo vedono in mezzo alla colonna un russo moribondo, che subito portano alle SS, le quali invece di soccorrerlo gli sparano in testa. Giuseppe e i suoi compagni capiscono il motivo di tutti quei cadaveri a bordo strada.
La sera arrivano in una piazza, nella quale le SS obbligano a dormire, ma il testimone è deciso a scappare, e, dopo essersi alzato, con i suoi amici se ne va. Rimane rifugiato a lavorare in casa di un contadino fino all' arrivo degli americani. Va con loro a piedi fino a Monaco, fino a farsi venire dei calli grossi come un uovo.
Un camion lo porta fino a Insbruch e poi a Livorno Ferraris.
Va a piedi a Villareggia, dove un suo amico gli presta una bicicletta con la quale arriva a casa.
Viene accolto con gioia da tutti i parenti, e va a ritirare alcune coperte che potevano comprare solo gli ex internati.
In un certo senso Giuseppe è ricco: ha 1000£ che gli hanno dato i tedeschi come risarcimento per il lavoro svolto.

TESTIMONE n.2
Romano Perono, nato il 12 giugno 1927

MOMENTI IMPORTANTI
28 maggio 1944: rastrellato
9 giugno 1944: portato a Torino Porta Nuova
11 giugno 1944: arrivato a Kala
19 aprile 1945: evacuato
26 luglio 1945: arrivato a Torino

IL RASTRELLAMENTO
Romano Perono non ha ancora compiuto 17 anni, ha un regolare lavoro come operaio a Cuorgnè ed è munito di carta blu, un documento che attesta che si svolge un lavoro per la patria e pertanto non si deve essere deportati. Nonostante queste condizioni del tutto favorevoli, il ragazzo viene catturato e portato in Germania. E' il 28 maggio 1944 e, per via di una festività religiosa, Romano non si è recato al lavoro, ma si trova con i suoi compaesani a festeggiare. D'improvviso sopraggiungono le truppe tedesche unite alle brigate nere. Dopo aver circondato il gruppo, i militari conducono uomini e ragazzi al municipio, e in seguito alla palestra di Castellamonte senza avvertire nessuno.
La mattina seguente portano tutti alle Casermette di Torino.

IL VIAGGIO
La mattina del 9 giugno vengono svegliati in malo modo e portati alla stazione di Torino Porta Nuova. Per fortuna Romano ha un' amica che abita in quella zona, la quale gli fornisce due pagnotte di pane e gli promette di avvertire la famiglia.
Il viaggio non è affatto confortevole: sono sistemati in carrozzoni sotto scorta armata, ma lui non lo ricorda nitidamente per il grande spavento.
L' 11 giugno arrivano a Kala (fa parte di Buchenwald). Nel campo c'è una colonna di famiglie ebree; Romano, preso dalla pietà, offre ad alcune donne un pezzo di pane, ma una guardia gli dà una botta sulla schiena.

IL LAVORO
TURNI DI LAVORO
I turni sono uguali a quelli del testimone precedente: il primo, quello di giorno, è dalle sei alle diciotto; il secondo, di notte, dalle diciotto alle sei.
PASTI
L' unico pasto del giorno è di sera, e consiste in una brodaglia fatta con una rapa tondeggiante, viola, durissima, da dividere in 4-6 persone.
I tedeschi sostengono di pagarli, ma l'unico "pagamento" è proprio questo pasto, che bastava a malapena per farli sopravvivere.
LAVORO
Il primo giorno di lavoro è il compleanno del ragazzo, ma non osa dire niente a nessuno per la grande paura.
Gli ex-criminali tedeschi, denominati "triangoli verdi", sono i guardiani del campo e svegliano gli internati con delle bastonate. Il dormitorio è il teatro di Rosengarten, "giardino di rose". Nonostante il nome molto romantico, dormire è uno strazio; i letti sono assi, e si dorme nudi per i fastidiosi pidocchi (ce ne sono tre tipi, i più terribili si insinuano sotto la pelle). Se però qualcuno viene sorpreso a grattarsi, viene privato del bollino per il pasto.
Siccome nei dormitori sono divisi per nazionalità, si possono confortare a vicenda. A volte arriva un tedesco promettendo di portarli a casa, ma chi si illude viene mandato sul fronte russo.

Il lavoro di Romano consiste nel trasportare sacchi pesanti 50 Kg dal treno alle gallerie, rimettersi in fila e ripere tutto fino alla fine della giornata.

Il 20 luglio '44, dopo l'attentato a Hitler, i bombardamenti si fanno sempre più frequenti, e gli internati vedono bombe esplodere talmente vicine da farli cadere per lo spostamento d'aria.
Quando, come in questi casi, si assiste ogni giorno ad atti terribili quali botte, fucilazioni, maltrattamenti, la sensibilità personale diminuisce fino a scomparire; perciò se qualcuno piange è vicino alla sua fine ed è ormai troppo debole per continuare a vivere. E' sicuramente malato, ma se dichiara di non sentirsi bene viene mandato "nel bosco", dove c'è un edificio nel quale vengono effettuati esperimenti atroci sugli uomini. Il testimone non ha mai visto nessuno tornare dal bosco.

IL RITORNO A CASA
Il 19 aprile 1945 Hitler ordina di uccidere tutti gli internati, ma il lagerfurer, colto da un'improvvisa pietà, decide di farli fuggire. In mezzo al trambusto, tutti cercano stracci in cui avvolgere i piedi in mancanza di scarpe.
Durante la fuga, bisogna sempre restare in colonna; chi rimane indietro viene sistematicamente fucilato.
Un giorno arrivano molti carri armati e sparano colpi ovunque; di conseguenza i feriti -e sono moltissimi- vengono lasciati sul posto abbandonati al proprio destino.
La fame è grande e il cibo scarseggia; molto spesso devono procurarsi qualcosa da soli. Un giorno un suo amico si allontana un attimo per mangiare alcune foglie da un albero sulla strada, e lo fucilano. Romano una volta ruba una manciata di pastone da un trogolo per i maiali e un'altra volta mangia una patata cruda.
Appena ne hanno l'occasione, lui ed un suo compagno fuggono strisciando, si arrampicano su un pino dai rami fitti e lì passano la notte per non essere visti. La mattina seguente incontrano un americano che li soccorre, li porta in un villa abbandonata e fa capire loro che sarebbe tornato presto. Quella notte vorrebbero dormire sui comodi letti della villa, ma non ci riescono perchè sono ormai abituati alle dure assi del campo. All'alba tornano gli americani, che li portano in una caserma dell'aviazione ormai in disuso, li chiudono in quarantena, li visitano e li riabituano alle normali razioni di cibo.
In quel periodo, i parenti di Romano ricevono un messaggio via radio che comunica loro che il ragazzo è vivo in attesa di rimpatrio.
Il 26 luglio 1945 arriva a Torino in treno, cambia convoglio e si reca a Ivrea. Da qui si incammina verso casa, ma un uomo di passaggio vede le sue condizioni e lo porta fino a casa. Qui viene accolto da tutti, anche dal cane che lo riconosce nonostante gli "strani odori" acquisiti in Germania.
Per molto tempo continua ad avere incubi e a svegliarsi di colpo quasi tutte le notti.

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