La Guerra nelle canzoni popolari

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Testo

Tema storia
Durante il diciannovesimo secolo e il ventesimo sono nate numerose canzoni popolari che portano a nostra conoscenza una situazione di grande scontento e angoscia che compariva negli animi della popolazione oppressa e contro la guerra che toglieva ai campi e a gli altri lavori la manodopera ed era vista in malo modo. Invece le canzoni create dallo Stato, specialmente nel ventennio fascista, cercano di creare nella popolazione sicurezza nei confronti del Governo dello Stato e delle sue scelte. In opposizione a queste si creano le canzoni della resistenza, che cercano invece di portare sfiducia verso lo Stato e favorirne la caduta. L’opposizione tra favorevoli e contrari alla guerra viene già espressa nel canzoni dei penultimi due secoli che portano a galla numerose idee e sensazioni che possono essere ancora valide tutt’ora.
Le canzoni della seconda metà dell’800 sono tutte canzoni popolari che portano a galla il malcontento contro lo Stato e le sfortunate condizioni di vita dovute al territorio. Con queste poesie e canzoni popolari vengono ricordati anche alcuni momenti storici, caratteristici del ventunesimo secolo, che hanno visto la massiccia presenza di popoli: la prima guerra mondiale, le agitazioni sociali nella Russia zarista, la guerra civile spagnola, la guerra e la Resistenza italiana, la decolonizzazione nei Paesi del Terzo Mondo; si tratta sempre di poesie che esprimono in modi diversi i sentimenti corali di intere collettività, sentimenti che si potranno cogliere anche nei canti popolari. Si tratta di una breve raccolta, del vastissimo repertorio della musica popolare, di alcune canzoni che dicono della disposizione dei popoli in rapporto alle diverse situazioni storiche, alle diverse vicende sociali.

Le canzoni nate da un bisogno popolare nella seconda parte del ‘800 parlano di condizioni di vita pessime a cui la popolazione cittadina e rurale era sottomessa. Come vedremo queste condizioni sono aggravate da un’avversità del territorio, dall’arruolamento in guerra e dalla soppressione dei vari re, anche nel Regno di Savoia definito un paese in cui c’era completa libertà.
Tutti mi dicon Maremma Maremma
Il canto Maremma Maremma ci riporta alla condizione dei montanari toscani che un tempo emigravano stagionalmente nelle malsane e paludose maremme per trovar lavoro.
Tutti mi dicon Maremma Maremma
E a me mi pare una Maremma amara
L’uccello che ci va perde le penne
Io ci ò perduto una persona cara
Sia maledetta Maremma Maremma
Sia maledetta Maremma e chi l’ama
Sempre mi trema il cor quando ci vai
Perché ò paura che non torni mai.
El pover Luisin
La canzone è milanese di un anonimo molto colto.La canzone è del 1859 e si riferisce alla Seconda Guerra d’Indipendenza italiana.Questa canzone è risorgimentale, ma il tema non è quello del soldato bensì quello di un’innamorata che ha , prima della partenza per andare in guerra , una relazione di lunghi sguardi e di passeggiate abitudinarie solo per vederla di sfuggita alla finestra e, poi, invana aspetta il suo ritorno.Nel cuore della ragazza le “glorie” di Solferino, di San Martino e dei Cacciatori delle Alpi e tutta la retorica nazionalista non riescono a giustificare la morte del povero Luisin. Così la guerra eroica dei libri di storia diviene qui una “guera desperada”,che infrange il sogno gentile di una vita serena e “normale”.La volontà di combattere,per un ideale, perché spinti dai comandi degli ufficiali,o semplicemente dal desiderio di prendere parte a qualcosa di importante sono le leve che spingono i più giovani a gettarsi ,senza preoccuparsi delle conseguenze(Sarà quel che sarà),nell’inferno della guerra .Una conseguenza molto probabile è la morte ,come in questa canzone milanese. Il brano, molto popolare,è ancora cantato e presente su alcune Antologie predenti.
Un dì per sta contrada
passava un bel fio
E un masulin da ros
L’ha tra in sul me pugio
L’ha tra in sul me pugio
L’ha tra in sul me pugio
E per tri mes de fila
E squasi tuti i dì
El pasegiava sempre
Dumà per vedem mè
Dumà per vedem mè
Dumà per vedem mè
Vegnii el cinquantanov
Che guera desperada
E mi per sta contrada
L’ho più vedii a pasà
L’ho più vedii a pasà
L’ho più vedii a pasà
Un dì pioveva, ver sera
S’ciupavi dal magon
Quand mè rivà na letera
Cul bord de cundizun
Cul bord de cundizun
Cul bord de cundizun
Scriveva la surela del pover Luisin
Che l’era mort in guera
De fianc al castelin
De fianc al castelin
De fianc al castelin
De fianc al castelin
Hin già pasà tri an
L’è mort el vedi pù
Epur sto pver cor
L’è chi ancamo per lù!
L’è chi ancamo per lù!
L’è chi ancamo per lù!
Il feroce monarchico Bava
Canzone nata in occasione dei tumulti di Milano del 1898 quando il generale Bava Beccaris represse la manifestazione che chiedeva “pane” con colpi di cannone. In un volume del 1907 furono elencati i nomi di 127 morti tutti di parte popolare; ma giornali dell’epoca parlarono di 500 vittime. Nel giugno dello stesso anno il re Umberto I conferì a Bava Beccarsi la croce di grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia “Per onorare la virtù di disciplina, l’abnegazione e lavoro…….. per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni e alla civiltà e perchè Le attesti con il mio affetto la riconoscenza mia e della Patria”.
Alle grida strazianti e dolenti
di una folla che pan domandava
il feroce monarchico Bava
gli affamati col piombo sfamò.
Furon mille i caduti innocenti
sotto i colpi degli armati caini
e al furor dei soldata assassini
Morte ai vili la plebe gridà.
De’ non rider sabauda marmaglia
Se il fucile a domato i ribelli
se i fratelli anno ucciso i fratelli
Sul tuo capo quel sangue cadrà.
Su piangesti mestissime madri
Quando oscura discese la sera
Per i figli getteti in galera
Per gli uccisi dal piombo fatal.
La Prima Guerra Mondiale, definita la Grande Guerra, cambia radicalmente le tecnologie in guerra e porta a circa 8 milioni di morti. Nell’immaginario comune una guerra eroica e valorosa, ma chi viveva in trincea non era affatto così a causa della continua guerra di logoramento a cui erano sottoposti da ambo le parti. L’arruolamento in guerra era uno dei fondamentali obiettivi dei vari Stati, ma chi viveva nelle case senza i propri mariti o figli perché arruolati era dura e queste canzoni sono sintomo di tutte queste condizioni.
O giovani ardenti
Questo era un canto di delusione degli studenti pisani dopo l’ infelice esperienza dei moti liberali del 1849.
Il “ prence Leopoldo”, era il granduca di Toscana.
I bellici carmi sono i canti di guerra.
“Pio” era il papa Pio IX.
A Ferrara vi era una guarnigione austriaca.
O giovani ardenti
d’ italico amore,
serbate il valore
pel dì del pugnar.
Evviva l’ Italia
evviva Pio Nono
evviva l’ unione
e la libertà.
Per ora restiamo
sommessi e prudenti,
vedranno le genti
che vili non siam.
Evviva l’ Italia, ecc.
Stringiamoci insieme,
ci unisca un sol patto,
del dì del riscatto
l’ aurora spuntò.
Evviva l’ Italia, ecc.
Stringiamoci insieme,
siam tutti fratelli,
in giorni più belli
ci giova sperar.
Evviva l’ Italia, ecc.
Il prence Leopoldo
Invitaci all’ arme,
fra bellici carmi
sapremo pugnar.
Evviva l’ Italia, ecc.
Già l’ armi son pronte
A un cenno di Pio,
mandato da Dio
l’ Italia a salvar.
Evviva l’ Italia, ecc.
Se il vile tedesco
non lascia Ferrara
prepari la bara,
più scampo non ha.
Evviva l’ Italia, ecc.
Il cielo sereno
su terra ridente
a libera gente
concesse il Signor.
Evviva l’ Italia, ecc.
Aleksandr Block
Comizio
Nella Russia degli Zar vi furono all’inizio di questo secolo diverse agitazioni popolari che sembravano preannunciare la rivoluzione dell’ottobre 1917 con la quale il bolscevico comunista prese il potere.
ALEKSANDR BLOCK (1880-1921), che è considerato uno dei più grandi poeti russi, visse direttamente le esperienze rivoluzionarie e le celebrò in numerose ed infuocate poesie e soprattutto in un poemetto intitolato “I dodici”. Nella poesia “Comizio” rievoca un episodio a cui ha assistito in una delle giornate della rivoluzione del 1905, quando un oratore invaso da una visione ideale, non meno pura di quella che tormenta il poeta, muore sotto il piombo e fa sacrificio di sé in una piazza.
Le sue parole a freddo taglio1
ed i suoi occhi spenti
gettavan senza alcun bardaglio
scintille incandescenti2.
E lo fissavano dal basso
mille pupille smorte3:
ma non sentiva a lento passo
l’arrivo della morte.
Egli gestiva lentamente
con voce di violenza4,
e la sua barba mollemente
cullatasi in cadenza5.
Livido come il firmamento,
sapeva tutto bene6.
Egli gemeva violento
come le sue catene7.
Non comprendevano gl’indegni
né un numero né un nome8:
non v’ha nessuno che lo segni
un marchio di passione9.
Ma si sentì tremare un tuono
di fiamma che s’accende,
ed un rumore quasi suono
di tizzo che si spegne.
Come se in cielo uscisse un astro,
come se fosse un segno:
urlò la folla nel disastro,
urlò fuori di senno.
Si sentì un grido soffocato,
s’infranse una vetrata:
l’uomo cascò sul lastricato,
la testa crivellata.
Qualcuno allora con un sasso
colpì senza vergogna:
un fil di sangue sgorgò in basso,
giù lungo una colonna.
Ruppero i fischi ancora l’aria,
ululò l’urlo stesso:
giacque la spoglia solitaria
sul varco d’un ingresso.
E lampeggiarono nella porta
dei fuochi da un cortile,
ed echeggiaron nella volta
dei colpi di fucile.
Si rivelò in un raggio il volto
dell’uomo trucidato:
già due fucili sopra il morto
in croce hanno piantato.
I lineamenti più sbiancati
fece la barba nera10:
si riordinarono i soldati
e chiusero la schiera.
Era sereno il dolce viso,
la calma vi regnava:
verso di lui dal Paradiso
un angelo volava.
Erano già pacificate
le sue pupille aperte:
su loro stavano incrociate
la bianche baionette.
Come se dietro a quelle gole11
respirasse di già
anche in mondo senza sole
venti di libertà.
1 a freddo taglio: taglienti, dal suono metallico.
2 gettavan… incandescenti: il discorso e l’atteggiamento dell’oratore, senza enfasi o toni eccitati (senza alcun barbaglio), illustravano e denunciavano una situazione sociale e politica drammatica (gettavan… scintille).
3 mille pupille smorte: gli occhi della povera gente che ascoltava.
4 con voce di violenza: con tono energico e deciso.
5 cullavasi in cadenza: seguiva i movimenti della bocca.
6 sapeva tutto bene: conosceva le condizioni del popolo.
7 gemeva violento/come le sue catene: lamentava la drammatica schiavitù (le sue catene) del popolo.
8 Non comprendevano… né un nome: la gente, abbrutita dall’ignoranza di secoli non comprendeva il significato delle sue parole.
9 non v’ha nessuno… di passione: non vi è nessuno, tra la folla, che si lasci trascinare dallo sdegno.
10 fece la barba nera: la barba scura fa risaltare il pallore mortale del volto.
11 a quelle gole: agli urli della folla che ha trovato il coraggio di una reazione.
La poesia è divisa in tre parti: la prima, che va dal primo al verso 20, racconta il comizio e le reazioni della folla, che non sapeva quello che sarebbe successo.
La seconda , che va dal verso 21 al verso 45, racconta l’uccisione dell’oratore e la reazione della folla. Lo sparo blocca per un’attimo la folla che poi si accanisce contro il cadavere; subito dopo rimane l’uomo senza vita con già due fucili sopra di lui incrociati e la polizia limita subito l’area attorno al cadavere.
La terza, dal verso 46 alla fine, il corpo dell’oratore e del suo volto sembravano in pace e un angelo raggiungeva il Paradiso.
Il traduttore ha voluto mantenere alla poesia una rigorosa struttura metrica: il primo e il terzo verso di ogni sillaba è un novenario, invece il secondo e il quarto sono ottonari. Lo scema delle rime è: ABAB CDCD EFEF GHGH ecc... .
Nei primi versi sono presenti anche metafore e similitudini; come “i suoi occhi spenti gettavan senza alcun bardaglio gettavan scintille incandescenti”- “livido come il firmamento”… .
In alcune frasi il verbo non è collocato prima del verbo ad esempio: lo fissavan dal basso/mille pupille smorte.
Riflettendo sulla parola pacifiste l’immediato significato è quello che le sue pupille sono in pace per la morte, invece potrebbe avere un significato più profondo: sono pacificate con il Paradiso e con la folla finalmente in rivolta.
Vittorio Locchi
La sagra di Santa Gorizia
Durante la prima guerra mondiale (1914-1918) milioni di soldati perirono negli assalti alla baionetta, sotto il bombardamento delle artiglierie, nei disagi e nelle sofferenze di quattro lunghi anni di morte e di distruzione. Si scontrano in una estenuante guerra di posizione gli eserciti degli Imperi centrali (Austria, Germania) contro quelli di Francia, Italia, Russia, Inghilterra. Anche sul fronte italiano, che si stendeva dal Trentino all’altopiano carsico, la guerra si combattè nelle trincee, dietro i reticolati, nei camminamenti. Enorme fu il sacrificio di vite umane, pagato soprattutto dalle classi popolari. Non mancarono però coloro che nella guerra credettero e che vi si impegnarono per realizzare gli ideali del Risorgimento. Si accompagnò a questa guerra anche la voce dei poeti, chi per esprimere l’angoscia davanti alla morte di tanti fratelli, chi per celebrare le imprese delle numerose battaglie. Nell’agosto del 1916 veniva conquistata, dopo mesi e mesi di lotta, la città di Gorizia, la prima città italiana che veniva “liberata” e il poeta Vittorio Locchi (Figline Valdarno, Firenze 1889 – Capo Matapàn 1917) celebrò l’avvenimento con un poemetto che intitolò La Sagra di Santa Gorizia e di cui presentiamo l’ultima parte.
Chi dette il segnale ¹?
Tutti i settori tacevano
ed ecco suonare lo stormo ².
Cominciarono le bombarde ³
con abbai, con rugli 4, con schianti.
Sbucavano dappertutto,
coll’ali sui torsi pesanti 5;
traballavano in aria,
e poi giù, strepitando,
a divorar le trincee,
a stritolare i sassi,
a fondere i reticolati.
Uomini e melma,
ferri e pietre,
tutto tritavano, urlando,
tutto rimescolavano,
sfragnendo 6 e pestando,
come dentro le madie 7
gigantesche delle doline 8
impastassero il pane
della vittoria,
per la fame del fante.
E il fante aveva fame;
fame di terra del Carso
più buona della pagnotta
impastata di sangue,
cotta dalle granate,
benedetta dai fratelli
caduti colla bocca avanti
per baciarla morendo.
[…]
Ma quando tutte le bocche
dei cannoni cantarono,
all’ora fissata,
per completare la strage
l’ansia strinse ogni gola
e ognuno sentì
tonfare dentro il suo cranio,
come sopra un timpano 9
spaventoso
la romba 10.
Traballava la terra
come una cassa di legno;
il cielo pareva incrinarsi
ogni tanto come cristallo;
pareva si dovesse
spezzare e precipitare
a schegge celesti ogni tanto
tra gli schianti e gli strepiti.
E su la prima linea
nessuno più fiatava,
sentendo nel cuore
ognuno battere
come gocce di sangue,
i minuti terribili
che misurano il tempo
vicino all’assalto.
Ma sui campi finitimi 11,
nelle trincee di rincalzo,
negli anfratti, nei borri 12,
nelle vie fragorose
rigurgitanti di fanti,
d’armi e di cavalli
pronti ad accorrere,
si sentivano canti
piani e larghi come preghiere,
ritmi paesani,
rievocati dai cuori
dei morituri 13:
parole semplici
ed immortali.
E tutte le facce
parevano in un’aureola,
e tutti erano certi
di rompere, tutti certi
di rompere l’incanto,
di varcare il Calvario e l’Isonzo 14,
di celebrare domani
la sagra serena
di Santa Gorizia 15.
Notte del 7 Agosto 16.
Chi ti dimenticherà!
Che numero aveva il reggimento
fra cui passai nella mezzanotte
balenante, lungo la strada
bianca di Gorizia?
Tutti cantavano i fanti,
stesi lungo i due cigli,
come ragazzi presi
da una indicibile gioia.
Passò uno squadrone
al trotto, colle lance
basse; e tutti fra risa
e grida gli cantarono,
facendogli ala,
colle mani per trombe,
la fanfara,
come matti ragazzi
che uscissero da scuola.
Il colonnello in mezzo,
grande come un cipresso,
accennava la linea del fuoco,
i vulcani delle granate 17,
i monti come roghi
che bruciassero il cielo,
e spiegava tranquillo
la battaglia.
E venne l’ordine di avanzare.
L’ombre nere 18 si levarono
dai lati della strada,
i lampi illuminarono
la selva dei fucili;
e il reggimento si sparse
pei campi, come un volo
d’uccelli
verso l’aurora.
1 il segnale: il segnale dell’attacco finale.
2 suonare lo stormo: suonare le campane, ma qui si intende: iniziare la battaglia.
3 le bombarde: le artiglierie da trincea usate nella prima guerra mondiale.
4 con abbai, con rugli: i rumori delle bocche da fuoco, sono paragonati all’abbaiare dei cani, a brontolii sordi e cupi.
5 coll’ali sui torsi pesanti: come se i proiettili avessero le ali.
6 sfragnendo: sfrangiando, riducendo a frange.
7 madie: mobili di cucina nei quali si impastava il pane. I colpi delle bombarde sembrano impastare il pane della vittoria nelle doline del Carso, paragonate alle madie.
8 doline: depressioni del terreno, tipiche delle zone carsiche.
9 timpano: strumento musicale a percussione, simile al tamburo.
10 la romba: il rumore cupo e confuso.
11 finitimi: confinanti (dal latino finis = confine).
12 borri: piccoli terreni carsici.
13 morituri: coloro che devono morire, i fanti cioè, che intonano lente canzoni come se si trattasse di preghiere.
14 il Calvario e l’Isonzo: il monte Calvario e il fiume Isonzo.
15 Santa Gorizia: la città è detta santa, per indicare il carattere quasi religioso della sua conquista.
16 7 Agosto: la notte del 7 Agosto 1916 iniziò l’attacco delle truppe italiane per la conquista di Gorizia, che si concluse la mattina del 9 agosto.
17 vulcani delle granate: esplosioni delle bombe.
18 l’ombre nere: i soldati.
La poesia si divide in due parti differenti: la prima, in cui si descrivono gli orrori della guerra e i vani sentimenti dei soldati, che vanno incontro ad una morte inevitabile; la seconda parte, dove si narra la notte del 7 agosto, giorno della prima liberazione di una città italiana, Gorizia.
Nei primi versi della poesia, inizia la guerra, evidenziata dal segnale delle campane. Cominciarono le bombarde, il cui suono è paragonato all’abbaiare dei cani, che producono un effetto disastroso sull’intero territorio carsico. In poco tempo distrussero ogni cosa delle trincee, compresi sassi, armi e soprattutto uomini, i quali avevano nostalgia della loro patria più di ogni altra cosa. Dentro di sé covavano la vendetta di far pagare a coloro che avevano osato uccidere i loro cari e i loro compagni.
Ma quando iniziarono le granate, i soldati misero da parte i sentimenti di vendetta, per lasciar posto all’ansia e alla paura di morire. Sotto i loro piedi sentivano la terra che tremava come una cassa di legno, mentre sopra le loro teste, il cielo pareva spezzarsi come un cristallo e pareva precipitare sottoforma di schegge celesti.
In prima linea tutti parlavano a modo loro con il battito dei loro cuori, ma nessuno osava pronunciare una parola. Il silenzio faceva capire tutto. I minuti erano interminabili e i soldati aspettavano con ansia l’arrivo dei fanti, che si trovavano poco lontano da lì, nei campi confinanti, dove intonavano lente canzoni, a ritmo scandito, quasi come se prevedessero il loro destino. Tutti i volti dei soldati sembravano incorniciati da una splendida aureola che illuminava il loro viso, triste e malinconico. Cantavano tutti, quasi presi da una gioia balenante e frenetica, come ragazzi euforici all’uscita della scuola, fin quando arrivò il momento dell’attacco, ordinato dal colonnello, situato in mezzo al campo, che osservava la battaglia, senza commentare. I soldati si sparsero lungo i campi, illuminati dai campi, come uno stormo di uccelli che volava verso la luce dell’alba.
Secondo me il poeta ha partecipato agli avvenimenti di cui parla, poiché vari sono i commenti personali, che introduce nel corso della poesia (Notte del 7 Agosto. Chi ti dimenticherà!). Inoltre perché le metafore sono molto suggestive e vere. Vittorio Locchi riesce a far intravedere negli occhi del lettore quel che lui vuol far capire mediante le sue parole. Egli non vuole mettere in risalto l’eroismo dei soldati, in quanto trascrive solo i più imbarazzanti, ma anche logici particolari del loro carattere.
Quello della guerra è un evento grandioso, poiché ne vade la liberazione di un’intera città, ma è presentato anche come una tragedia di morti di uomini, uccisi dall’attacco delle bombarde.
Per quanto riguarda l’aspetto sintattico della poesia, essa presenta varie onomatopee, figure retoriche, che consistono nell’uso di una parola la cui pronuncia assomiglia al suono o al rumore che si intende riprodurre. Si possono fare alcuni esempi: romba e bombarde, che ricordano dei rumori cupi e confusi.
Nel testo compare inoltre qualche similitudine significativa: lo sconvolgimento del campo carsico provocato dalle bombe è paragonato al rumore dell’abbaiare dei cani; il boato dei cannoni nella testa dei fanti assomiglia al rumore prodotto dal timpano, lo strumento musicale simile al tamburo; il colonnello è paragonato ad un cipresso, probabilmente per la sua portatura eretta, solita degli uomini militari.
La poesia “La sagra di Santa Gorizia”, può essere confrontata con la canzone “Gorizia” che si riferisce allo stesso evento storico. Riportiamo il testo della canzone antimilitarista qui sotto:
La mattina del cinque d'agosto
si muovevano le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì
Sotto l'acqua che cadeva al rovescio
grandinavano le palle nemiche;
su quei monti, colline e gran valli
si moriva dicendo così:
O Gorizia tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letti di lana
schernitori di noi carne umana,
questa guerra ci insegna a punir.
Voi chiamate il campo d'onore
questa terra di là dei confini
Qui si muore gridando: assassini!
maledetti sarete un dì.
Cara moglie, che tu non mi senti,
raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini,
che io muoio col suo nome nel cuor.
O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza;
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
La battaglia di Gorizia (9-10 agosto 1916) costò, secondo dati ufficiali, la vita a 1.759 ufficiali e 50.000 soldati circa, di parte italiana; di parte austriaca a 862 ufficiali e 40.000 soldati circa.
Fu uno dei più pazzeschi massacri di una guerra tutta pazzesca.
Chi veniva sorpreso a cantare questa canzone durante la guerra era accusato di disfattismo e poteva essere fucilato.
La versione originale venne raccolta da Cesare Bermani, a Novara, da un testimone che affermò di averla ascoltata dai fanti che conquistarono Gorizia il 10 agosto 1916. Nel 1964 venne presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto dal Nuovo Canzoniere Italiano nello spettacolo "Bella ciao", suscitando l'ira dei benpensanti. Quando Michele Straniero iniziò a cantare "Gorizia" avvennero incidenti in sala; la destra cercò di impedire le rappresentazioni; Straniero, Leydi, Crivelli e Bosio furono denunciati per vilipendio delle forze armate.
LA LEGGENDA DEL PIAVE
La musica di questa canzone è piena di energia, è un canto che doveva servire a rafforzare nel soldato la volontà di combattere il nemico e accendere la passione per la patria.
Questa canzone fu scritta nel 1919, quando la prima guerra mondiale era ormai conclusa, dal compositore napoletano Giovanni Ermete Gaeta noto con lo pseudonimo di E. A. Mario.
Il brano era inizialmente destinato all’ esecuzione nei cabaret, ma ben presto il suo contenuto patriottico venne sfruttato a fini propagandistici del regime fascista, per nascondere, con l’esaltazione della vittoria, le sofferenze e le tragedie provocate dalla guerra.
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
Dei primi fanti il 24 maggio:
l’ esercito marciava per varcare la frontiera
per far contro il nemico una barriera…
Muti passaron quella notte i fanti
Tacere bisognava, e andare avanti!
S’ udiva intanto dalle amate sponde,
Sommesso e lieve il tripudiar dell’ onde
Era un presagio dolce e lusinghiero
Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”
Ma in una notte trista si parlò di tradimento
E il Piave udiva l’ ira e lo sgomento
Ahi, quanta gente ha vista venir giù, lasciare il Tetto
Per l’ onta consumata a Caporetto.
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivano a gremir tutti i suoi ponti
S’ udiva, allor, dalle violate sponde
Sommesso e triste il mormorio dell’ onde:
come un singhiozzo, in quell’ autunno nero
il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”
E ritornò il nemico per l’ orgoglio e per la fame:
volea sfogar tutte le sue brame
vedeva il piano aprico, di lassù, voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
“No” disse il Piave – “no”- dissero i fanti…
“mai più il nemico faccia un passo avanti!”
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combattevan l’ onde…
rosso del sangue del nemico altero
il Piave comandò: “indietro, va’, straniero!”
Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti
Risorgere Oberan, Sauro e Battisti!
Infranse, alfin, l’ italico valore
Le forche e l’ armi dell’ impiccatore
Sicure l’ Alpi, libere le sponde
E tacque il Piave: si placaron l’ onde:
Sul patrio suolo, vinti i torvi imperi
La pace non trovò né oppressi né stranieri!
La tradotta che parte da Novara
La canzone alla base di tutte le future tradotte, cioè dei treni militari che trasportavano tutti i soldati al fronte, che a Novara resta negli animi di tutti i cittadini.
La tradotta che parte da Novara
E va diretta al Monte Santo
E va diretta al Monte Santo
Il cimitero della gioventù.
Sulle montagne fa molto freddo
Ed i miei piedi si son gelati
Ed i miei piedi si son gelati
E all’ospedale mi tocca andare.
Appena giunto all’ospedale
Il professore mi ha visitato
Il professore mi ha visitato
Ed i miei piedi li dobbiam tagliar
Ed i miei piedi mi han tagliato
Due stampelle mi hanno dato
Due stampelle mi hanno dato
E a casa mia lor mi han mandà
Appena giunto a casa mia
Fratelli e madre compiangenti
E tra i singhiozzi e tra i lamenti
Oh figlio caro, tu sei rovinà
Mi hanno dato una pensione
Di una lira e cinquantotto,
mi tocca fare il galeotto
per potermi disfamar
ho girato tutti i paesi
e tutti quanti ne hanno compassione
ma quei vigliacchi di quei signori
nemmeno un soldo lor mi han dato.
La guerra civile di Spagna combattuta dai repubblicani e dai conservatori del futuro dittatore Francisco Franco. Vedremo l’anteprima di una Seconda Guerra Mondiale che sconvolgerà il mondo, infatti ad aiutare Franco ci sono fascisti e nazisti con truppe ragolari, mentre dall’altra part ci sono le truppe volontarie di Francia e Inghilterra.
Miguel Hernandez
Vento del popolo
Nel 1936 la Spagna fu sconvolta da una guerra civile che si prolungò fino al 1939. Al legittimo governo repubblicano si opposero le falangi del generale Francisco Franco il quale, con l’aiuto cospicuo dei fascismi europei, ottenne la vittoria definitiva e instaurò in seguito una lunga dittatura. La vicende della Repubblica Spagnola durante i tre anni di guerra civile furono accompagnate da una singolare esplosione di poesie che costituirono l’anticipazione di ciò che in seguito fu chiamata ”letteratura della Resistenza”, quella letteratura, cioè, che celebrava gli ideali dell’antifascismo e della libertà e che troverà in europa larga espressione negli anni successivi.
Il poeta MIGUEL HERNANDEZ, che morirà nelle carceri franchiste nel 1942, esalta in questa ampia poesia degli appassionati toni epici la lotta de popolo spagnolo e la sua ansia di libertà.
Vento del popolo mi porta,
vento del popolo m’incalza,
nel cuore mi si propaga,
e nella gola mi alita.
Piegano i buoi la fronte,
docile nell’impotenza,
davanti alla punizione;
i leoni la drizzano
e insieme puniscono
col clamoroso artiglio.
Io non sono d’un popolo
Di buoi, ma d’un popolo
Cui l’animo 1 ntusiasmano
Giacimenti di leoni,
anguste gole d’aquile
e cordigliere di tori
con l’orgoglio sulle corna.
Ma i buoi sono cresciuti
negli altipiani di Spagna.
Chi ha detto di porre il giogo
Sul collo di questa gente?
Chi all’uragano ha mai
Imposto il freno o il giogo?
Chi è riuscito a porre il lampo
Prigioniero in una gabbia?
Asturiani 2 di valore,
Baschi 3 di pietra blindata,
Valenziani d’allegria
e Casigliani 4 di cuore,
arati come la terra
e ventosi come le ali;
Andalusi 5 di folgore,
nati tra le chitarre
e forgiati nelle incudini
torrenziali delle lacrime;
Estremegni 6 di segale,
Galiziani di pioggia e calma,
Catalani di costanza,
Aragonesi di casta,
Marciani 7 di dinamite
seminata come frutta,
genti di Navarra e Leòn 8,
proprietari della fame,
dell’accetta e del sudore,
grandi re delle miniere,
signori dell’aratura,
uomini che tra radici,
come radici potenti,
passate da vita a morte
passate dal nulla al nulla:
il giogo vi vuole porre
gentaglia di mala pianta,
un giogo che getterete
infranto sulla loro schiena.
È il crepuscolo dei buoi,
e già sta spuntando l’alba.
I buoi muoiono vestiti
d’umiltà e odor di stalla:
aquile,leoni e tori
adornati di baldanza,
dietro a essi intanto il cielo
non s’offusca né si spegne.
Mentre l’agonia del bue
è d’un aspetto meschino,
quella del toro virile,
tutta la creazione esalta.
Se muoiono, che io muoia
Con la testa molto alta.
Morto e venti volte morto
la bocca sulla gramigna,
terrò ben serrati i denti,
e risoluto il mento.
Cantando aspetto la morte:
già cantano gli usignoli
sulla cima dei fucili
e in mezzo alla battaglia.
1 l’animo: nella frase è complemento oggetto. Infatti la costruzione è la seguente: < giacimenti di leoni… cordigliere di tori entusiasmano l’animo >.
2 Asturiani: abitanti delle Asturie, regione montuosa della Spagna settentrionale.
3 Baschi: gli abitanti della regione pirenaica, tra Spagna e Francia.
4 Valenziani… Casigliani: gli abitanti di Valencia e della Pastiglia, rispettivamente città della Spagna orientale e regione della Spagna centrale.
5 Andalusi: abitanti dell’Andalusia, regione meridionale della Spagna.
6 Estremegni: abitanti dell’Estremadura, la regione della Spagna vicina al Portogallo.
7 Galiziani… Catalani… Aragonesi… Marciani: rispettivamente aitanti della Galizia, della Catalogna, dell’Aragona e della Murcia, regioni della Spagna.
8 Navarra e Leòn: due regioni della parte settentrionale della Spagna.
Dopo una prima lettura la poesia si presenta sotto una continua e incalzante successione di accostamenti ad immagini, colori, sensazioni; questa è la principale caratteristica della moderna poesia spagnola.
Nella strofa iniziale il poeta dice che la sua ispirazione e volontà di scrivere viene dal popolo, e nell’ultima esprime la sua speranza di morire a testa alta e in battaglia.
Nelle altre parti della poesia il popolo viene paragonato a leoni e a buoi. La successione: i buoi si comportano con un atteggiamento di sottomissione, invece i leoni si comportano come sovrani, io (scrive il poeta ) sono un popolo di leoni diventato di buoi. Ai buoi vengono messi i gioghi, come i soldati di Franco li vogliono mettere agli spagnoli. In un secondo momento si rivolge ai molti popoli che abitano la Spagna e cita i loro valori e le loro caratteristiche. Alla fine dice che i buoi diventano un popolo di combattenti. Nella poesia sono molti gli accostamenti di immagini come per esempio “clamorosità” dell’artiglio” e “giacimento di leoni”.
La metafora “popolo di buoi” possono essere considerate delle particolari similitudini, perché svolta può voler significare “ popolo docile come i buoi”.
Durante il ventennio fascista, grazie soprattutto alla diffusione della radio, si affidò anche alla canzone il compito di celebrare il regime e di ottenere il consenso delle masse. Ripetute nelle adunate, nelle trasmissioni radiofoniche, cantate dai soldati italiani sui diversi fronti delle guerre del Fascismo(in Etiopia, in Spagna, in Albania, durante la Seconda Guerra Mondiale), queste canzoni riproponevano con enfasi i miti e la retorica della dittatura.
Giovinezza
L’inno ufficiale del Partito Nazionale Fascista che con la Marcia Reale era l’inno nazionale italiano
Allorchè dalla trincera
suona l'ora di battaglia,
sempre è prima Fiamma Nera
che terribile si scaglia
col pugnale nella mano
con la fede dentro il cuore:
essa avanza, va lontano
pien di gloria e di valor.
Giovinezza, giovinezza,
primavera di bellezza!
Della vita nell'ebbrezza
il tuo canto squilla e va!
Per Benito Mussolini
Eja, Eja, Alalà! ¹
Col pugnale e colla bomba
nella vita del terrore
quando l'obice rimbomba
non mi trema in petto il cuore.
La mia splendida bandiera
è d'un unico colore,
è una fiamma tutta nera
che divampa in ogni cuor.
Giovinezza, giovinezza,
primavera di bellezza!
Della vita nell'ebbrezza
il tuo canto squilla e va!
Per Benito Mussolini
Eja, Eja, Alalà!
Del pugnale al fiero lampo
della bomba al gran fragore,
tutti avanti, tutti al campo:
qui si vince oppur si muore!
Sono giovane e son forte,
non mi trema in petto il core:
sorridendo vo alla morte
pria d'andar al disonor!
Giovinezza, giovinezza,
primavera di bellezza!
Della vita nell'ebbrezza
il tuo canto squilla e va!
Per Benito Mussolini
Eja, Eja, Alalà!
Inno del Balilla
La canzone era cantata dai ragazzi fascisti, i Balilla, così chiamati dal nomignolo del ragazzo genovese che nel 1748 avrebbe tirato un sasso contro un sergente austriaco che obbligava la popolazione a trarre un cannone dal fango, dando inizio ad una rivolta.
Fischia il sasso, il nome squilla
del ragazzo di Portoria
e l’ intrepido Balilla
sta gigante nella storia…
Era bronzo quel mortaio
che nel fango sprofondò
ma il ragazzo fu d’ acciaio
e la morte liberò!
Fiero l’ occhio, svelto il passo,
chiaro il grido del valore:
ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cor!
Su lupetti, aquilotti!
come sardi tamburini
come siculi picciotti,
bruni eroi garibaldini!
Vibra l’ anima nel petto
Sitibonda di virtù:
freme, Italia, il gagliardetto
e nei fremiti sei Tu!
Fiero l’ occhio, svelto il passo,
chiaro il grido del valore:
ai nemici in fronte il sasso
agli amici tutto il cor!
All’armi! All’armi!
La canzone delle prime squadre fascista, tristemente note per le loro violenze
All'armi! All'armi! All'armi a noi Fascisti!
Noi del Fascismo siamo i componenti,
la causa sosterrem fino alla morte,
e lotteremo sempre forte forte
finché terremo il nostro sangue in core!
Sempre inneggiando la Patria nostra
noi tutti uniti difenderemo
contro avversari e traditori
che ad uno ad uno stermineremo.
All'armi! All'armi! All'armi siam Fascisti!
Lo scopo nostro tutti lo sappiamo
combattere con certezza di vittoria
e questo non sia mai sol per la gloria
ma per giusta ragion di libertà.
I bolscevichi ¹ che combattiamo
noi sapremo bene fare dileguare
e al grido nostro quella canaglia
dovrà tremar, dovrà tremar.
All'armi! All'armi! All'armi siam Fascisti!
Vittoria in ogni parte porteremo
perché a noi il coraggio non mancherà
e grideremo sempre forte forte
e sosterremo la nostra causa santa.
In guardia amici. Che in ogni evento
noi sempre pronti, noi tutti saremo
finché la Gloria di noi Fascisti
in tutta Italia trionferà.
All'armi! All'armi! All'armi a noi Fascisti!
¹ bolscevichi: i Comunisti della Rivoluzione Russa, che ritenevano che la classe operaia dovesse guidare una rivoluzione sociale contro le classi dirigenti, più ricche. Si opponevano ai menscevichi, la cui visione era quella di un approccio graduale al socialismo.
Le bande partigiane che dal 1943 al 1945 combatterono sui monti dell’Italia settentrionale accompagnarono la loro lotta al Fascismo e al Nazismo con canzoni che diventarono presto famose( si pensi ad esempio a Bella Ciao ).
Vincere! Vincere! Vincere!
Questa canzone era fatta cantare dai soldati durante la seconda guerra mondiale.
Temperata da mille passioni
la voce d’ Italia squillò!
“ Centurie, Coorti, Legioni,
in piedi chè l’ ora suonò!”.
Avanti gioventù!
Ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo!
Spezziam la schiavitù
Che ci soffoca prigionieri nel nostro Mar!
Vincere! Vincere! Vincere!
E vinceremo in cielo, in terra, in mare!
E’ la parola d’ ordine
d’ una suprema volontà!
Vincere! Vincere! Vincere!
Ad ogni costo! Nulla ci fermerà!
I nostri cuori esultano
nell’ ansia d’ obbedir!
Le nostre labbra giurano:
o vincere o morir !
Elmetto, pugnale, moschetto:
a passo romano si va!
La fiamma che brucia nel petto
ci sprona, ci guida: si va!
Avanti! Si oserà
l’ inosabile! L’ impossibile non esiste!
La nostra volontà
è invincibile! Mai nessuno ci piegherà!
Vincere! Vincere! Vincere!
E vinceremo in cielo, in terra, in mare!
E’ la parola d’ ordine
d’ una suprema volontà!
Vincere! Vincere! Vincere!
Ad ogni costo! Nulla ci fermerà!
I nostri cuori esultano
nell’ ansia d’ obbedir!
Le nostre labbra giurano:
o vincere o morir !
Fabrizio De Andrè
La guerra di piero
Resistenza, di opposizione cioè al Fascismo e al Nazismo. Diversi gruppi si organizzarono sulle montagne in bande armate che portarono il loro grande contributo alla lotta di liberazione. La guerra fu aspra e conobbe il Dal 1943 al 1945 si sviluppò in Italia quel largo movimento di idee e di popolo che va sotto il nome di sacrificio di numerose vite umane. Essa viene ricordata in due espressioni poetiche: quella di Corrado Covoni, poeta tra i più rappresentativi del Novecento, il cui figlio fu ucciso dai tedeschi,e quella di Fabrizio De Andrè, un cantautore che si fece notare agli inizi degli anni Sessanta per la composizione di interessanti canzoni e ballate. È ad una di queste sue canzoni, “La guerra di Piero”, alla quale abbiamo dedicato la nostra attenzione. In essa, contrariamente a quanto succede nelle comuni canzonette commerciali, il testo poetico ha una sua rilevanza; nella storia e nella fine di Piero, è espressa la protesta contro la guerra. Infine possiamo dire che De Andrè abbia preso spunto per il testo della sua canzone dalla poesia di Corrado Covoni. “Morte del partigiano”.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi.
Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.
Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.
Cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno.
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
Il partigiano
Chi erano i partigiani? Che cosa speravano? Perché combattevano? Come vissero concretamente quei 20 mesi sulle montagne? Che ricordo hanno conservato nella loro vita della loro esperienza? Questa poesia è la risposta a queste domande.
Il bersagliere ha cento penne
e l'alpino ne ha una sola;
il partigiano ne ha nessuna
e sta sui monti a guerreggiar.
Là sui monti vien giù la neve,
la bufera dell'inverno,
ma se venisse anche l'inferno
il partigiano riman lassù.
Quando scende la notte scura
tutti dormono laggiù alla pieve,
ma camminando sopra la neve
il partigian scende in azion.
Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al cuore,
perché se libero uno muore
non importa di morir.
Fischia il vento
Assieme a Bella Ciao è forse una delle più famose canzoni partigiane
Fischia il vento, infuria la bufera,
scarpe rotte eppur bisogna andar,
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell'avvenir.
Ogni contrada è patria del ribelle,
ogni donna a lui dona un sospir,
nella notte lo guidano le stelle, forte il cuore e il braccio nel colpir.
Se ci coglie la crudele morte,
dura vendetta verrà dal partigian,
ormai sicura è già la dura sorte
di quei vili che ognor cerchiam.
Cessa il vento, calma è la bufera,
torna a casa il fiero partigian,
sventolando la rossa sua bandiera,
vittoriosi, alfin liberi siam.
Sono povero ma disertore
Durante il periodo fascista molti partigiani erano giovani soldati di leva che rifiutavano di indossare la divisa fascista e preferivano la scelta delle montagne.
Sono povero ma disertore
e disertavo per la forestadisertavo per la foresta
quando un pensiero mi vien, mi vien in testa
di non fare mai più il soldà.
Monti e valli ho scavalcato,
e dai fascisti ero inseguito, quando una sera m’ado- m’adormentai
e mi svegliai incatenà.
Incatenato le mani e i piedi,
e dal questore fui trasportato
ed il pretore m’ha- m’ha domandato
perché mai so’ ‘ncatenà
io gli risposi delicatamente
che il disertore sempre aveo fatto
e disertavo per la- per la foresta
disperato de fa ‘l soldà.
Padre mio che sei già morto
madre mia che vivi ancora
se vuoi vedere il tuo figlio torturato
e ‘mprigionato senza ragion.
O soldati che marciate
che marciate al suon della tromba
quando sarete su la- su la mia tomba
griderete “pietà di me”.
Dalle belle città
Questa è una canzone poco nota, narra la condizione e gli ideali del partigiano.
Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un di’ su per l’aride montagne
cercando libertà fra rupe e rupe
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case scuole ed officine
mutammo in caserme le vecchie cascine
armammo le mani di bombe e mitraglia
temprammo i muscoli e i cuor in battaglia.
Siamo i ribelli della montagna
viviam di stenti e di pentimenti
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir.
I fenomeni del decolonialismo e del neocolonialismo hanno distrutto l’economia delle colonie specialmente in Africa portando a un completo sottosviluppo.
Patrice Lumumba
L’Africa sarà libera
Piangi, amato mio fratello negro nei millenni di morti bestiali
le tue ceneri furono sparse per la terra dal simun 1 e dall’uragano…
tu, che non hai mai innalzato piramidi 2.
Per tutti i tuoi potenti boia,
tu, catturato nelle razzie, tu, battuto,
in ogni battaglia in cui trionfa la forza,
tu, che hai imparato in una scuola secolare 3
una sola frase: schiavitù o morte,
tu che sei nascosto nelle giungle disperate
che hai affrontato tacendo migliaia di morti
sotto la maschera 4 della febbre delle paludi,
o sotto la maschera della tigre che azzanna,
o degli abbracci delle sabbie mobili,
che soffocano a poco a poco come il boa…
E venne il giorno in cui comparve il bianco.
Fu più astuto e cattivo di ogni morte.
Barattò il tuo oro
con uno specchietto, una collana, ninnoli,
e corruppe con l’alcool i figli dei fratelli tuoi
e cacciò in prigione i tuoi bimbi.
Allora tuonò il tam-tam per i villaggi,
e gli uomini seppero che salpava
una nave straniera per lidi lontani
dove il cotone è un dio, e il dollaro è imperatore 5.
Condannato a una prigionia senza fine,
lavorando come una bestia da soma,
tutto il santo giorno sotto un sole spietato.
Ti insegnarono a glorificare nei canti
il loro Signore 6, e fosti crocifisso sotto gli inni
che promettevano la beatitudine in un mondo migliore 7;
e solo una cosa temevi:
che ti lasciassero vivere, ti lasciassero vivere 8.
E presso il fuoco, nell’allarme 9, nei confusi sogni
ti sfogavi in canti di dolore 10,
semplici e senza parola, come l’angoscia.
Accade che persino ti rallegrasti
e fuori di te, in una esuberanza di forza, danzasti
e che tutta una giovane volontà risuonasse 11,
su corde di rame, su tamburi di fuoco,
e il principio di questa potente musica
crebbe dal ritmo del jazz come un tifone 12,
e gridò alto agli uomini bianchi
che non tutto il pianeta appartiene a loro.
Musica, tu hai consentito anche a noi
di sollevare il volto e di guardare negli occhi
la futura liberazione della razza.
Che le rive dei vasti fiumi che portano
verso l’avvenire le loro onde vive
siano tue!
Che tutta la terra e tutte le sue ricchezze siano tue!
Che il caldo sole di mezzogiorno
Bruci 13 le tue pene!
Si asciughino ai raggi del sole
le lacrime che il tuo avo versò,
tormentato in queste lande luttuose 14!
Il nostro popolo, libero e felice,
vivrà e trionferà nel nostro Congo.
Qui, nel cuore della grande Africa!
1 simun: il vento caldo del deserto.
2 non hai mai innalzato piramidi: non hai tradizioni di grandi e famose civiltà, come quella egiziana, ma appartieni ad una umile razza.
3 in una scuola secolare: attraverso l’esperienza di secoli di dolore.
4 sotto la maschera: la morte si è presentata al negro sotto varie forme o < maschere >: le febbri, le tigri, le sabbie mobili.
5 dove il cotone… imperatore: la nave carica di schiavi negri salpava verso l’America, verso le immense piantagioni di cotone, in un mondo dominato dal solo desiderio di accumulare denaro.
6 il loro Signore: ti convertirono alla loro fede cristiana.
7 sotto gli inni… mondo migliore: le tue sofferenze si consumarono tra i canti che promettevano premi, ma in un altro mondo, in Paradiso; chiaro riferimento alla strumentalizzazione della religione.
8 ti lasciassero vivere: sono tali le sofferenze che il negro teme non di morire, ma di continuare a vivere.
9 nell’allarme: nei momenti di maggiore paura.
10 canti di dolore: gli spirituals e i blues, tipici canti del popolo negro.
11 una giovane volontà risuonasse: quei canti si trasformarono in canti di speranza esprimendo una volontà di riscatto, un ritrovamento di forze giovanili e di rinascita.
12 dal ritmo del jazz come un tifone: dal ritmo di quella musica negra (jazz) piena di vitalità e di forza (come un tifone) che ha rappresentato per i negri un ulteriore motivo di unità.
13 bruci: cancelli.
14 in queste lande luttuose: in queste terre consacrate dal dolore perché in esse si sono consumati i lutti di generazioni e generazioni di neri.
Nel secondo dopoguerra numerosi popoli dell’Asia e dell’Africa, che erano stati soggetti a lunghe dominazioni dei paesi europei, richiesero l’indipendenza. In qualche caso fu concessa pacificamente, in qualche altro essa fu il frutto di lunghe e sanguinose guerre (in Algeria, in Vietnam, ecc…) che in molti casi non si sono ancora spente.
Il desiderio generale di liberazione della colonia si può cogliere nella poesia “L’Africa sarà libera” di Patrice Lumumba (1925-1961), l’uomo politico congolese che fu ucciso da avversari politici durante le lotte civili che si scatenarono all’indomani della proclamazione di indipendenza del suo paese.
La poesia è un po’ la voce di tutti i popoli di colore, la cui storia, che si perde nel vento dei deserti, è fatta di fatiche, di sofferenze, di schiavitù che solo il canto doloroso ha potuto consolare.
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