L'illuminismo

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Testo

IL PENSIERO ECONOMICO
Lo sviluppo dell’economia e l’incremento della popolazione stimolarono negli ambienti illuministici la riflessione sulla politica economica dei governi e sui mercantilismi della produzione di ricchezza. Si svilupparono due scuole di pensiero: quella dei fisiocratico in Francia e quella dei liberisti in Inghilterra.
Sia la fisiocrazia che il liberismo avevano alcune caratteristiche comuni:
- ritenevano che l’economia fosse soggetta a “leggi naturali” come quella del mercato
- criticavano la politica mercantilistica dei governi, che ostacolavano con dazi e vincoli la libera circolazione delle merci
- proponevano una nova politica economica all’insegna del laissez faire, che escludeva l’intervento dello Stato in economia e l’abolizione di tutti i vincoli che condizionavano lo sviluppo economico.
François Quesnay fu il caposcuola della fisiocrazia. Nel 1758 pubblicò il Tableau économique, in cui si sostiene che l’agricoltura è l’unica attività produttiva, poiché soltanto essa crea un prodotto netto. Mentre l’industria e il commercio si limitano a trasformare la materia o a distribuire le merci, l’agricoltura, realizza un “surplus”. Dato che la prosperità di uno Stato è accresciuto dall’agricoltura, è necessario favorirne lo sviluppo mediante l’introduzione di moderni criteri di gestione, l’abolizione dei vincoli feudali sulla terra, la liberazione del commercio dei prodotti agricoli, in particolare del grano.
La tesi fisiocratico, rispecchiava un’economia fondata sulla terra, come quella francese, che doveva accrescere la produzione agricola per soddisfare la domanda di una popolazione in crescita. I concetti di libera iniziativa e libero commercio contrastavano con i principi economici degli Stati assolutisti ed erano rivoluzionari.
La teoria di Adam Smith è alla base del pensiero economico moderno. L’economista pubblicò nel 1776 la “Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni” dove sostenne che il lavoro è l’asse portante della ricchezza di ogni nazione. Non la natura, ma il lavoro produce ricchezza. La prosperità di una nazione è frutto della ricchezza dei singoli, quindi l’individuo deve essere messo nelle condizioni di compiere le scelte economiche che ritiene più adeguate. La fabbrica moderna,secondo Smith, è il luogo ideale dove il capitale viene investito per la produzione di valore di scambio e dove la divisione del lavoro massimizza la produttività del singolo operaio. L’interesse privato è la molla che spinge a sviluppare la produttività e la circolazione delle merci secondo le leggi del mercato. Anche il lavoro è una merce,e come tale ha un suo prezzo. L’economista parte dal presupposto secondo cui è l’interesse personale a spingere gli uomini verso un miglioramento del proprio tenore di vita, e su questo presupposto, concorda in un solo punto con le teorie fisiocratiche: la necessità dell’assoluta libertà di scambio e di mercato.

LA CULTURA ILLUMINISTICA
Il settecento fu il secolo dell’illuminismo, un vasto movimento culturale di rinnovamento che si propose di “illuminare” le coscienze tramite la “luce della ragione” per sconfiggere le “tenebre” dell’ignoranza e migliorare la società.
L’illuminismo fu un movimento culturale che ebbe come centro di diffusione la Francia, poiché l’arretrata struttura sociale e l’assolutismo regio, rendevano più urgente e radicale la critica ai privilegi e alla mentalità tradizionale che ostacolavano lo sviluppo della classe borghese.
Secondo una celebre espressione del filosofo Kant, l’illuminismo rappresenta “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità”. Con questo giudizio Kant intendeva mettere in luce il radicale cambiamento in atto: dopo secoli di sottomissione al principio di autorità, gli illuministi maturavano una capacità di giudizio autonomo, si liberavano da obblighi e pregiudizi e si proponevano di accettare come vero solo cioè che fosse convalidato dalla ragione. La ribellione al principio di autorità non era nuova nella cultura europea: basti pensare alle battaglie di Galileo in nome della rivoluzione scientifica. Del pari la corrente filosofica dell’empirismo inglese aveva insegnato che la conoscenza nasce dall’esperienza diretta e non dalla condivisione di presunti principi innati. Questa concezione implicava un atteggiamento antidogmatico e il rifiuto di ogni ipotesi non dimostrabile sperimentalmente. Si trattava di un dibattito intellettuale che coinvolgeva un’èlite ristretta.
La novità dell’illuminismo consiste che la critica del principio di autorità e la rivendicazione del libero esercizio della ragione si diffondono fino ad assumere i connotati di una rivoluzione culturale. Questo accade perché la borghesia venne a costituire il pubblico ideale e la cassa di risonanza delle nuove idee. Questo significa che le discipline scientifiche divennero oggetto di un’ampia divulgazione che trascura le astratte speculazioni per rendere conto delle innovazioni metodologiche, delle recenti scoperte e dell’evoluzione delle tecniche. In secondo luogo, la critica razionale al principio di autorità non si limita più alla dimensione teorica, ma si appropria della sfera pratica e investe l’assetto della società, la dimensione morale e religiosa e le istituzioni politiche. Il dibattito che ne deriva poté contare su nuovi strumenti di diffusione del pensiero: oltre ai libri e alle riviste che nascono, si affermano degli opuscoli stampati clandestinamente.
L’enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, venne pubblicata in Francia tra il 1751 e il 1772. Si trattava di un importante progetto di divulgazione dei progressi delle scienze e delle tecniche, che professava un’intenzione riformatrice: più che di elencare risultati e innovazioni, si trattava di riscrivere le principali voci del sapere alla luce dei nuovi criteri interpretativi , dettati dalla ragione.
Il principale artefice fu Denis Diderot; Jean-Bapriste d’Alembert che inizialmente lo aveva affiancato abbandonò l’impresa nel 1758.
Fin dal 1752 era stato emanato un decreto regio di censura dell’opera, mentre nel 1759 il consiglio di stato aveva vietato la pubblicazione. Il papa Clemente VIII aveva pronunciato un divieto di acquisto dell’opera, con la minaccia della scomunica per i disobbedienti. La critica illuministica investiva un intero sistema culturale consolidato, in un progetto provocatorio che non era privo di implicazioni politiche. Affidando la trasmissione del sapere al clero, l’ordine costituivo garantiva la propria inamovibilità: l’autorità religiosa, segnava come blasfema la discussione dei principi tradizionali e dell’assetto socio- politico. Per contro, gli illuministi esaltarono il metodo sperimentale e l’evidenza razionale come unici veri criteri di verità, proponendo un modello di sapere fondato sull’osservazione e la valutazione obbiettiva dei risultati.
L’atteggiamento illuministico, presupponeva un attacco alle strutture della metafisica classica. Il carattere antimetafisico della cultura illuministica si manifestava nel rifiuto delle questioni astratte e nella propensione per ciò che avesse una ricaduta sulle condizioni di vita degli uomini.
L’idea illuministica di progresso si fonda su una concezione ottimistica delle potenzialità umane e su una fiducia nella funzione educatrice della cultura. Secondo la nuova concezione, l’umanità, se illuminata dalla ragione, è destinata a liberarsi delle superstizioni e degli arbitri del passato; questo condurrà all’acquisizione di una coscienza cosmopolita, aperta ai valori universali della ragione.
Nel 1792 Condorcet pubblicò “i progressi dello spirito umani” in cui si prospettava un progresso dell’umanità risvegliata alla ragione. Questa idea si presupponeva una critica radicale delle epoche passate. Il passato non era considerato qualcosa da cui trarre insegnamenti, ma una “preistoria” di superstizione e ignoranza. Quest’idea riguardava il Medioevo, particolarmente accanita fu la critica ai “secoli bui” del Medioevo, duranti i quali, la paura del vero, l’assenza dei metodi scientifici avrebbero prodotto esisti negativi per le sorti dell’umanità.
Il deismo fu l’atteggiamento prevalente tra i Philosophes, che si sforzarono di ridurre la religione entro i limiti della ragione, rifiutando ogni valore a una fede irrazionale. I deisti credevano nell’esistenza di un Dio come Essere supremo e ordinatorie del mondo, ma criticavano le religioni rivelate perché fondate su dogmi. Essi erano sostenitori della religione naturale, genuina e spontanea dell’uomo e vedevano in alcuni elementi tipici delle religioni rivelate l’origine dell’odio, delle prevaricazioni e delle intolleranza. La religione naturale, doveva basarsi su “verità ragionevoli”: quelle verità che non contraddicono la ragione. Secondo questo pensiero, religione ed etica sono fenomeni naturali perché è nella natura che l’uomo trova la guida morale e religiosa. Voltaire, uno dei più convinti sostenitori del deismo, riteneva evidente l’esistenza di un essere supremo, ma giudicava questa come una verità di ragione e non di fede.
Il prevalere di sensibilità deiste non escludeva posizioni più radicali, di tipo ateo o agnostico. Nel primo caso si nega l’esistenza di Dio, nel secondo si afferma l’impossibilità di trarre razionalmente la questione. Per queste posizioni il modello di riferimento era l’opera di David Hume, nella quale mostrava come la nozione di Dio sia priva di qualsiasi riferimento all’esperienza e spiegava la nascita della religione con il bisogno psicologico di sicurezza da parte dei primi uomini e inseguito con la necessità di garantire un fondamento trascendente all’ordine sociale.
In Francia l’ateismo si coniugava a una concezione materialistica della natura, derivante da una radicale applicazione del metodo sperimentale: nell’universo non vi è traccia di Dio e nessuna dimostrazione può sostituire l’evidenza empirica. Queste posizioni vennero sostenuti da La Mettrie e da Holbach.
La Mettrie dedicò i suoi studi alla spiegazione dei fenomeni ricondotti alla psiche, che egli spiegava come insieme di semplici reazioni sensitivo-materiale. Secondo lui, l’uomo è una macchina naturale: non esiste l’anima e dunque alcuna forma di vita oltre la corruzione del corpo fisico. La Mettrie fu costretto ad abbandonare la Francia. Visse in Olanda e in Prussica, alla corte di Federico II che lo protesse e incoraggiò nel suo lavoro.
Holbach sostenne la tesi della strumentalizzazione politica, secondo cui, la religione è sempre stata un’astuzia della classe dominante per mantenere il potere sui sudditi, sprofondati nell’ignoranza e condizionati dalle paure dell’esistenza. Ogni religione, è frutto del timore, dell’incapacità umana di affrontare le difficoltà della vita. Gli errori e i pregiudizio dell’umanità sono dovuti al fatto che gli uomini si sono lasciati irretire dall’immaginazione e dall’autorità nel corso dei secoli, rinunciando all’unica esperienza valida, quella dei sensi. Holbach, a causa di queste sue tesi atee e materialistiche, subì condanne da parte della Chiesa e del Parlamento di Parigi.

ILLUMINISMO E POLITICA
La critica sociale e il modello politico inglese…
La cultura dei lumi aveva una finalità riformistica: la luce della ragione doveva rischiarare anche la vita pubblica, il costume e quindi l’ordine sociale e le istituzioni politiche.
Sul piano sociale e politico gli intellettuali assumevano atteggiamenti differenti, accomunati dalla critica dell’Antico regime. Particolarmente acuta era la polemica anticlericale, che contestava l’egemonia culturale esercitata dalla Chiesa sulla società.
Meno univoca, era la posizione riguardo all’aristocrazia: in parte perché in monticasi gli esponenti di questa classe sposavano la causa delle riforme ed erano illuministi, in parte perché era diffuso il timore che il livellamento sociale potesse favorire l’insurrezione dei ceti popolari, temuta sia dalla borghesia che dall’aristocrazia.
L’illuminismo francese fece riferimento alla situazione politica inglese come a un modello valido e applicabile. Di questo modello i filosofi illuministi sposavano alcuni principi fondamentali:
- il riconoscimento della sovranità originaria della nazione
- la presenza di una carta costituzionale per sancire inalienabili diritti individuali come la liberà e la proprietà privata
- una forma di governo e una prassi di esercizio del potere vincolante al rispetto dei diritti costituzionali
- la presenza di una camera elettiva, espressione della rappresentanza popolare
Il modello parlamentare inglese mostrava come si potessero far convivere i principi della monarchia costituzionale, i privilegi dell’aristocrazia e la partecipazione della borghesia alle decisioni politiche. Il modello inglese prevedeva una camera elettiva (Comuni) e una camera di nomina regia che rappresentava l’aristocrazia (Lords).
In Inghilterra concezione liberare e principio democratico restavano distinti. Pur differendo e tutelando l’eguaglianza sul piano dei diritti civili, il modello inglese non si occupava dell’eguaglianza politica, che presuppone l’eleggibilità di ciascuno senza limiti di censo o di nascita. Vi era un limite di censo al diritto di voto, per cui la differenza tra cittadini attivi e passini era la caratteristica dominante.
Montesquieu e la separazione dei poteri…
Nel 1748 Montesquieu pubblicò la sua più significativa opera: lo spirito delle leggi, in cui veniva esplicitata la dottrina della tripartizione dei poteri.
Il potere di elaborazione e approvazioni delle leggi(legislativo), quello di governo(esecutivo), quello relativo alla sanzione delle violazioni(giudiziario) devono essere rappresentati da organismi distinti, ciascuno dotato di piena autonomia e capace di esercitare un controllo sugli altri due, con il fine di evitare la concentrazione dei poteri e quindi gli arbitri del dispotismo. L’opera subì la censura pubblica e venne vietata in Francia nel 1751. Nonostante tutto ebbe molta fama in Europa e divenne un punto fermo per la discussione politica. Il modello a cui si ispirava era quello anglosassone; tuttavia la preoccupazione fondamentale per il filosofo, fosse quella di ridurre i rischi del dispotismo sottoponendo l’operato dell’esecutivo al giudizio del Parlamento. Montesquieu tendeva quindi a riproporre il ruolo politico della nobiltà contro la quale si batteva la monarchia francese.
La distanza tra le posizioni illuministe e il concetto di democrazia è ben illustrata nel motto di Voltaire:” tutto per il popolo ma niente al popolo”. Questo significava che, se le forme del buon governo dovevano porsi come scopo l’interesse del popolo, al popolo non poteva esser demandata la funzione del governo a causa dell’ignoranza delle classi meno abbienti.
Voltaire era un ammiratore della monarchia costituzionale inglese, ma temeva che l’indebolimento dell’assolutismo regio avrebbe favorito l’anarchia nobiliare e soprattutto nutriva forti dubbi sulla capacita del popolo di autogovernarsi. Il modello che propose fu quello di uno stato retto da un sovrano illuminato che, adoperasse il potere assoluto per riformare le strutture giuridiche, amministrative ed economiche dello stato e per garantire le libertà dei cittadini contro lo strapotere e i privilegi della nobiltà feudale.
Rousseau e la democrazia…
Diverso era l’atteggiamento dei democratici, alcuni dei quali si trovarono nel circolo degli enciclopedisti. Fra questi spicca la figura di Jean-Jacques Rousseau, a cui la piena adesione all’illuminismo non impedì di maturare posizioni del tutto originali.
Già nel 1750, componendo il suo Discorso sulle scienze e sulle arti, Rousseau lamentava gli squilibri e la sofferenza derivati all’uomo dall’abbandono dello stato di natura, in parte placati dallo sviluppo delle scienze e delle arti. Affascinato dalla condizione dei popoli primitivi, contributi ad edificare il mito del “buon selvaggio”, contrapponendo la condizione naturale a quella culturale.
Nel 1775 Rousseau pubblicò un Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, in cui sosteneva che la causa della diversità tra le varie condizioni sociali era la proprietà privata. In realtà le posizioni di Rousseau, non prefiguravano l’abolizione della proprietà privata, ma voleva denunciare l’iniquità delle grandi concentrazioni di proprietà e gli abusi che da esse derivano.
Rispetto al modello parlamentare-liberale inglese, il governo democratico era concepito come attivo e capace di ridurre le disuguaglianze contenendo le spinte egoistiche dei singoli in nome del bene comune. L’opera più organica è il Contratto sociale, in cui si descrive il patto originario tra gli individui da cui lo stato trarrebbe fondamento. Attraverso questo patto, ciascuno cederebbe allo Stato la propria libertà illimitata, per ricevere da ogni altro membro della comunità la medesima rinuncia: questo atto darebbe origine a una “persona sociale”, cioè il sovrano la cui volontà sarebbe generale. La volontà generale, determinerebbe le scelte politiche attraverso una democrazia diretta, in contrasto con il concetto di rappresentanza caro ai liberali.
Rousseau proponeva dei commissari del popolo che incarnassero la volontà popolare senza esprimere alcuna autonomia decisionale. Nel formulare la sua teoria della democrazia diretta, aveva in mente le piccole comunità classiche come Atene, Roma repubblicana ma anche le città riformate della Svizzera, di cui apprezzava la diretta partecipazione dei cittadini alle scelte relative alla cosa pubblica. Rousseau, con il principio dell’unità organica della sovranità popolare espressa dalla volontà generale, contestava il modello di separazione dei poteri elaborato da Montesquieu. Secondo il filosofo, i tre poteri dovevano essere esercitati da un unico organo: l’assemblea popolare.

L’EUROPA DEL DISPOTISMO ILLUMINATO
La Massoneria e il dispotismo illuminato….
La diffusione delle idee illuministe fu vasta perché era diminuito l’analfabetismo e poi perché si erano fondati i primi giornali. Alla diffusione delle idee illuministe contributi l’opera delle società segrete, fra cui quella dei liberi muratori, cioè la massoneria. La massoneria esisteva come confraternita medievale con scopi umanitari; quella moderna sorse a Londra nel 1717 e si diffuse in tutta l’Europa e in America, come organizzazione “speculativa” che accolse e diffuse le idee più nuove, accogliendo ampi consensi tra le classi colte. Ispirata al cosmopolitismo umanitario e allo spiritualismo deista, l’associazione associò nobili, intellettuali borghesi ed ecclesiastici. Diffusasi in Francia nel 1720-30 si concentrò a Parigi e partecipò ai dibattiti degli illuministi e all’elaborazione delle idee rivoluzionarie.
Il termine “dispotismo illuminato” descrive l’atteggiamento di alcuni sovrani che accolsero importanti richieste di modernizzazione dell’apparato amministrativo e di abbattimento degli anacronistici privilegi legati all’ordine feudale, per incrementare le disponibilità finanziarie dello Stato. Si tratta di una politica di riforme “dall’alto”, che corrisponde più al desiderio dei sovrani di rafforzare il proprio potere e di rendere più efficiente il governo dello Stato che a una vera conversione alle idee dei filosofi illuministi.
Gli obiettivi erano la riduzione delle immunità e dei privilegi fiscali del clero e della nobiltà, l’eliminazione dei particolarismi per giungere a una uniformità del diritto, il superamento del monopolio clericale dell’istruzione. Mentre l’impresa di abbattere i privilegi dell’aristocrazia si scontrò con la capacità di pressione che questa classe poteva esercitare sui governi, migliori risultati furono ottenuti nei confronti del clero, che uscì ridimensionato. La sottomissione delle Chiese all’autorità monarchica trovava opposizione nell’ordine dei gesuiti.
Il dispotismo illuminato, segnò l’apogeo del potere assolutistico dei monarchi, i quali ampliarono l’ambito dei loro interventi in politica, in materia ecclesiastica, giuridica, fiscale e amministrativa.
Il regno di Federico II in Prussia…
Federico II, re di Prussia venne considerato il modello del sovrano illuminato. Egli contribuì al rafforzamento politico del suo regno attraverso una serie di riuscite campagne militari e a una costante ricerca di alleanza.
Sul fronte interno realizzò una riorganizzazione dell’apparato amministrativo, che ebbe nell’approvazione del Codice federiciano il momento più alto: i procedimenti giudiziari furono snelliti, venne abolito l’uso della tortura e della pena di morte e furono ridotte le pene corporali. Allo scopo di razionalizzare la pubblica amministrazione, la vecchia burocrazia di corte fu sostituita con funzionari di estrazione borghese, legati al sovrano e sottoposti alla sua autorità. Egli trasformò inoltre, la vecchia aristocrazia terriera prussiana degli Junker nella principale componete dell’esercito.
In campo economico dedicò attenzione al settore agricolo: lo scopo era di selezionare le colture e migliorare la resa dei terreni. In campo commerciale, si ispirò alle teorie mercantilistiche. Nel 1772 venne fondata la Compagnia del Baltico, che aveva lo scopo di incrementare il commercio nell’Europa nord-orientale. Per proteggere l’economia nazionale volle il potenziamento dei settori tessili ed estrattivo.
Numerose furono le iniziative in campo culturale: a lui si deve l’apertura dell’Accademia delle Scienze che ebbe insegnanti di formazione illuminista, e l’obbligatorietà dell’istruzione dai cinque ai tredici anni. Alla sua morte, Federico II lasciò un regno potenziato economicamente e militarmente.
L’Austria di Maria Teresa…
Le guerre di successione avevano ridimensionato il predominio austriaco sull’area tedesca ma avevano dato una solida identità ai domini assurgici. L’impero risultava concentrato tra territorio slavo e penisola italiana e includeva una pluralità di popoli con tradizioni politiche e costumi diversi.
L’imperatrice Maria Teresa si adoperò per limitare i poteri delle assemblee regionali. L’Ungheria venne ridotta al rango di provincia imperiale, governata da un luogotenente generale regio. Ad essa fu imposta come lingua nazionale il tedesco.
Sul piano sociale cercò di evitare il contrasto con la nobiltà tentando di coinvolgerla nella costruzione dello Stato centralizzato. Tuttavia la riforma fiscale, per la prima volta basata sul reddito fondiario, colpiva in modo decisivo i privilegi della nobiltà e del clero.
In campo economico adottò provvedimenti cauti ma orientati al superamento delle strategie mercantilistiche, grazie all’opera del nobile Anton Wenzel von Kaunitz-Rietberg, che diresse la politica estera del paese per oltre quarant’anni. Questo nobile di idee liberiste, provvide all’eliminazione dei dazi doganali e del sistema delle cooperazioni, con lo scopo di liberalizzare i commerci e agevolare il mercato del lavoro. I suoi provvedimenti furono parzialmente incisivi nelle aree agricole dove il retaggio feudale era ancora dominante.
In campo religioso furono intrapresi provvedimenti con lo scopo di eliminare i privilegi del clero. L’intento era quello di sottomettere l’ordinamento ecclesiastico a quello dello Stato e attaccare l’idea stessa della Chiesa come un corpo autonomo, che godeva di ampie autonomie e immunità. Agli ordini religiosi fu vietato di acquistare beni immobili, la censura religiosa fu sostituita con la censura di Stato; venne aumentato il numero delle parrocchie, ma i parroci finirono per assumere il ruolo di funzionari civili. Venne inoltre diminuito il numero delle festività religiose.
L’abolizione dei privilegi ecclesiastici, sperimentata in Lombardia, fu applicata in tutto il regno. Nel 1773 venne soppressa la Compagnia di Gesù: i beni dell’ordine vennero incamerati dallo Stato con lo scopo di finanziare le riforme all’istruzione.
Le riforme di Giuseppe II
Nel 1780, alla morte di Maria Teresa, il potere passò a Giuseppe II, il quale era animato da uno spirito riformista.
Giuseppe II fu il sostenitore di posizioni radicalmente anticlericali e antifeudali; si ispirò alla cultura dei lumi e si circondò di consiglieri borghesi. In lui molti videro l’incarnazione del sovrano-filosofo sognato dagli enciclopedisti.
Le iniziative di Giuseppe II si inquadrarono in un progetto di riforma che interessava tutti i campi della vita civile. Radicale fu la sua posizione nei confronti dei privilegi ecclesiastici,ispirata alle teorie giurisdizionaliste, con questo termine si indica la tendenza dei sovrani a estendere la propria giurisdizione in ambito religioso. Il sovrano faceva riferimento alle idee di Johann Nikolas von Hontheim, che nell’opera “sulla condizione della Chiesa e sulla legittima potestà del romano pontefice” sosteneva il primato del concilio sul papa e di eliminare l’influenza politica del papato sugli stati nazionali. Nel 1781 l’impero portò un duro attacco nei confronti degli ordini religiosi allo scopo di limitarne l’autonomia e ridurne il numero. Sconcertato da questo atteggiamento, papa Pio VI nel 1782 compì un viaggio diplomatico a Vienna, con l’intento di dissuadere Giuseppe II dalle sue iniziative. Il viaggio però non ottenne nessun risultato.
Una delle più importanti iniziative dell’imperatore, fu la concessione della libertà di culto, con la patente di tolleranza. Con questo decreto protestanti e ortodossi ottenevano diritti che non avevano eguali in nessun altro Paese d’Europa. Gli ebrei per la prima volta ebbero la possibilità di accedere agli studi universitari e prestare servizio militare.
Nel 1785 l’imperatore sancì il riconoscimento legale della Massoneria. Giuseppe II inoltre, rafforzò il potere centrale anche in campo amministrativo. Con lo scopo di sottrarre le regioni dell’Impero ai particolarismi locali, organizzò in Austria e Boemia dei distretti, e la Lombardia e i Paesi Bassi in circoscrizioni. Ogni circoscrizione era sottoposta a un funzionario di Stato.
Nel 1787 un nuovo codice penali aboliva l’istituto della tortura e imponeva pene uguali per tutti. La lotta ai privilegi nobiliari si estese anche alla politica fiscale e all’ordinamento delle campagne, dove venne abolito il servaggio.
Le riforme di Giuseppe II incontrarono resistenza da parte della nobiltà, della Chiesa e delle province più restie ad abbandonare le antiche autonomie. Inoltre le innovazioni apportate alla struttura sociale delle aree agricole erano mal tollerate dai nobili e giudicate insufficienti dai contadini. Il malcontento pubblico dimostrava il fallimento del dispotismo illuminato di Giuseppe II e delle sue riforme. Per questo motivo, Leopoldo II, suo successore, ripristinò i privilegi e le consuetudini che erano stati eliminati.
Caterina II di Russia
La zarina Caterina II, mogli di Pietro III, assunse il potere in seguito a un colpo di Stato. La debolezza della sua posizione la obbligò a ricercare l’appoggio della grande nobiltà, nonostante le sue idee riformiste e i legami con alcuni dei filosofi illuminati.
Nel 1765 la zarina intraprese una riforma dei codici. In attesa di convocare una commissione legislativa. Redasse una istruzione che avrebbe dovuto ispirarne i lavori. Il documento affrontava il problema della condizione contadina mantenendo un atteggiamento ambivalente: da un lato riconosceva ai contadini il diritto alla proprietà e alla libertà, dall’altro sosteneva la necessità di non alterare l’ordine della società russa.
Il dramma irrisolto della società contadina si manifestò con la rivolta capeggiata dal cosacco Emeljan Pugacev, che arrivò a rivendicare l’identità del defunto zar Pietro III, dichiarando illegittimo il trono di Caterina. L’esercito russo sconfisse Pugacev nel 1774 e la rivolta fu domata.
La zarina nel 1775, diede il via a una riforma dell’amministrazione, suddividendo la Russia in 51 governatori, a loro volta ripartiti in distretti. La razionalizzazione amministrativa si risolse in un inasprimento del controllo nobiliare sui territori, poiché i governatori erano assistiti da un consiglio dell’aristocrazia locale.
La composizione della Carta della nobiltà confermò i privilegi nobiliari rendendoli inamovibili.
Sul piano delle iniziative culturali l’opera di Caterina risentì della profonda arretratezza del Paese, soprattutto per la popolazione delle campagne.
La stagione delle riforme in Spagna e Portogallo
Anche nei due regni della penisola iberica si svilupparono strategie di rinnovamento, nonostante la resistenza dei settori più reazionari, in particolare in Spagna, dove l’azione riformatrice incontrò maggiori ostacoli a causa delle resistenze nobiliari e clericali. Va segnalata però l’opera di Carlo II che si circondò di un’élitie di intellettuali estranei al contesto arretrato del Paese.
Nell’ambito educativo, il sovrano spagnolo non riuscì a arginare il controllo monopolistico della Chiesa sulla trasmissione del sapere. Tuttavia sorsero delle accademie che diffondevano le nuove idee illuministiche, mentre le università restavano nelle mani del clero.
Grazie all’attività del marchese di Squillace venne riorganizzato il sistema amministrativo, con la creazione di un ceto di funzionari di estrazione borghese, furono ridotti i privilegi fiscali del clero e introdotti provvedimenti allo scopo di liberalizzare il commercio. Nel 1766 una rivolta scoppiata a Madrid obbligò Carlo III a liberarsi di Squillace, questo non coincise con la rinuncia all’attività anticlericale. Nel 1767 i gesuiti furono espulsi dal paese e vennero ridotti i poteri dell’inquisizione.
In campo economico le riforme non produssero gli effetti sperati. Tuttavia la Spagna della seconda metà del Settecento poteva dirsi un paese in fase di rinnovamento e di crescita, come dimostra il suo incremento demografico.
Il Portogallo dovette il proprio slancio all’opera del marchese di Pombal, ministro del re Giuseppe I che organizzò la ricostruzione di Lisbona, devastata dal terremoto del 1755 con un’efficienza sorprendente.
Pombal portò un duro attacco ai privilegi e alla potenza degli ordini religiosi, accanendosi contro i gesuiti, i quali venivano colpiti a causa della situazione determinatasi nelle colonie: un trattato firmato con la Spagna nel 1750 prevedeva la cessione del Paraguay al Portogallo; i gesuiti occupavano alcuni territori di quella regione e avevano posto gli indios a risiedere sotto la protezione politica dell’Ordine. Rifiutandosi di liberare le terre i gesuiti provocarono l’aspra reazione del governo. Le reducciones( riduzioni = nome dei possedimenti) vennero smantellate attraverso azioni militari.
Nel 1759, tutti i membri dell’Ordine furono espulsi dal regno a causa di un fallito attentato al re, in cui vennero accusati i gesuiti; i beni della compagnia vennero sequestrati. L’azione anticlericale di Pombal continuò con la limitazione dei poteri dell’inquisizione e un rinnovamento dell’istruzione superiore.
Alla morte di Giuseppe I, l’erede Maria I emarginò Pombal e restaurò i privilegi ecclesiastici che egli aveva eliminato.

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