Il Patto Gentiloni e gli stati europei alla fine dell'800

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GLI STATI EUROPEI TRA LA FINE DELL’800
AGLI INIZI DEL 900
FRANCIA
In Francia abbiamo visto il fallimento del boulangismo e la nascita dell’action francè. Ma nel corso degli anni 90 abbiamo il conflitto tra le opposte tendenze politiche. Tra l’altro il movimento anarchico colpì anche in questo Stato. Nel 1894 il Presidente della Repubblica, Sadi Carnot, venne assassinato, e poco dopo destra e sinistra si scontrarono sul cosiddetto “Affare Dreyfus”, il capitano Dreyfus era un militare dell’esercito francese di origine e di religione ebraica, venne accusato di alto tradimento per aver fornito documenti segreti al Secondo Reich, ma sin dagli inizi, sulla sua colpevolezza vi erano dei seri dubbi, però il caso Dreyfus sconvolse il mondo politico francese. Tutte le destre si dichiararono colpevoliste, le sinistre, capeggiate dal famoso intellettuale Émile Zola, si dichiararono innocentiste, e il Zola scrisse un famoso articolo, il “Je accuse!”, con il quale metteva sotto accusa tutto lo Stato Maggiore francese. Il capitano Dreyfus venne, sulle prime, condannato a morte, pena che venne commutata con l’ergastolo con la deportazione nella famigerata Isola del Diavolo, nella Guiana francese. In sostanza, schierandosi dalla parte del colpevolismo la destra francese aveva preso un grossissimo abbaglio, che ne determinerà una lenta ma irreversibile decadenza. Non era il capitano Dreyfus il colpevole della fuoriuscita di determinati segreti militari, era un maggiore di origine ungherese, il maggiore Estherazy, il quale non soltanto aveva venduto questi segreti perché, operava nei debiti, era un uomo del bel mondo che aveva il vizio di consumere le sue fortune sui tavoli da gioco, ma, perché poi si dichiarò un patriota ungherese, dicendo che lui, in quanto di origine ungherese, per lui l’Ungheria, e quindi l’Austro-Ungheria, veniva prima della Francia, era una scusa per coprirsi. In sostanza, quando la colpevolezza del maggiore Estherazy venne accertata, questo signore era già al sicuro nei territori tedeschi, e a quel tempo non c’era estradizione, ma la Germania, che era pure in vantaggio, non l’avrebbe data mai e poi mai, la fece franca. Il capitano Dreyfus verrà riabilitato e riammesso nell’esercito, ma il caso Dreyfus determinò il consolidamento delle istituzioni repubblicane in Francia, la destra monarchica e neolegittimista, subì un duro colpo, la nuova destra francese, con l’action francè, assumerà connotati diversi, connotati prefascisti.
AUSTRIA-UNGHERIA
Abbiamo lasciato noi al potere l’ungherese Conte Andrassy, ma l’elemento ungherese sarà predominante per tutta la fine del secolo, e gli ungheresi, che in altre epoche tanto avevano brigato contro gli austriaci per ottenere la loro autodeterminazione, ora erano loro a negarla ai popoli slavi inglobati nel Regno d’Ungheria. Ma l’Austro-Ungheria ebbe una pesante crisi d’identità nel 1889.
Dal matrimonio di Francesco Giuseppe con Elisabetta di Baviera, la famosa Imperatrice Sissi, dopo alcune donne, nel 1863 finalmente era nato l’erede al trono, l’arciduca Rodolfo, il quale era un uomo di idee assai moderne, l’arciduca Rodolfo voleva un ringiovanimento totale della grande monarchia, in una serie di interventi aveva detto: “Continuando di questo passo marciamo tutti inesorabilmente verso la morte”.
Ma l’arciduca Rodolfo era guardato con sospetto dallo stesso Governo dello Stato di cui un giorno sarebbe dovuto diventare imperatore. Tra l’altro a lui era stato imposto un matrimonio politico con una principessa belga, con la quale non visse più di una settimana, lui viveva con una giovane viennese, Maria Betzera, e i due amanti, nel 1889 i due giovani amanti si suicidarono nel Castello di Megherling. Il dramma di Megherling pesò fino alla fine sulla monarchia asburgica. Si suicidarono per motivi d’amore? Si suicidarono per motivi politici? Furono gli stessi servizi segreti austriaci, per ordine del Governo, a farli fuori? Sono interrogativi ai quali non possiamo dare risposta.
Da quel momento erede al trono diventava un altro personaggio, tragico pure esso, il cugino l’arciduca Francesco Ferdinando, il quale aveva un programma politico ben preciso: trasformare la duplice monarchia austro-ungarica, in triplice monarchia, austro-ungarico-slava, dando gli stessi diritti degli ungheresi anche a croati, slovacchi e boemi, era un uomo di larghe vedute, un uomo che aveva pure esso un suo ben definito progetto politico per salvare un impero multinazionale, quale era l’Impero austro-ungarico.
Dal dramma di Megherling si passò al dramma svizzero nel 1897, quando un anarchico italiano assassino l’Imperatrice Elisabetta. Di colpi anarchici, in sostanza, tra il 1881 e il 1900 furono 4, questo fu il più insignificante:
1881, a Pietroburgo venne assassinato lo zar Alessandro II;
1894 venne assassinato il Presidente francese Sadi Carnot;
1897 venne assassinata l’Imperatrice Elisabetta, che ormai da decenni, non da anni, era fuori dalla scena politica austriaca, ormai nel 97, da oltre 15 anni viveva in camera separata da suo marito;
1900, l’assassinio a Monza del Re Umberto I.
L’Austria, comunque, sul finire del secolo, non aveva più una sua autonomia politica, era ormai al carro del Secondo Reich, era il brillante secondo del molto più importante Impero Tedesco.
RUSSIA
Abbiamo visto che, nel 1881, con l’assassinio dello zar Alessandro II, ogni eventuale tentativo riformista veniva meno. Il figlio Alessandro III era un ultra-conservatore, ma il più ultra-conservatore, un reazionario, un retrivo, che aggravò, con la sua mancanza di iniziative, la crisi russa. Abbiamo già visto che in Russia era stato fiorente nella seconda metà dell’800 il movimento anarchico del Principe Bakunin, poi questo movimento venne soppiantato dal partito social-democratico russo, il nome non tragga in inganno, non era un partito di centro-sinistra, un partito moderato, era un partito di sinistra radicale, che poi si dividerà in menscevichi, più moderato, e bolscevichi, i più radicali.
INGHILTERRA
L’Inghilterra viveva, da un lato, il suo apogeo, però anche l’Inghilterra aveva i suoi grattacapi interni, vi era la questione irlandese, gli irlandesi miravano ad un riconoscimento dei loro diritti politici, l’ala moderata, mentre l’ala radicale mirava all’indipendenza politica di tutta l’Irlanda, e dietro il movimento di protesta irlandese, c’erano molto interessati, i servizi segreti del Secondo Reich. Negli anni 80 finiva l’era di Lord Disraeli e di Lord Gladstone, alla ribalta salivano Lord Salisbury e Sir Joseph Chamberlain. Abbiamo visto la loro proposto di spartizione dell’Impero Ottomano andata in fumo nel 1895, ma l’Inghilterra rimaneva attivissima nelle colonie. E l’Inghilterra aveva dei personaggi indubbiamente eccezionali, tutti i grandi imperi sono fatti da personaggi eccezionali, non certamente da mediocrità. A Londra sedeva ancora sul trono un personaggio eccezionale, Vittoria, vi erano un grande Primo Ministro e un grande Ministro degli Esteri, testè citati, ma in Africa c’erano due altri grandi personaggi: in Egitto e nel Sudan vi era un astro nascente dell’esercito coloniale britannico, Lord Chitchener, l’uomo che aveva conquistato il Sudan lustrando le speranze francesi, l’uomo che già si avviava ad altre grandi imprese. Nell’Africa australe vi era un brillante governatore, un uomo molto energico, Sir Cecil Rhodes, il quale aveva conquistato, in nome della Corona Britannica, quei territori dell’Africa australe che per tanti anni, fino alla decolonizzazione, porteranno il suo nome, la Rodesia.
Ma tra la Rodesia e le colonie del Capo e del Natal, le colonie più meridionali, c’erano due Stati indipendenti, due Stati bianchi, le cosiddette Repubbliche Boere. Che era successo? Quando nel 1815, a Vienna, la colonia del Capo e la colonia del Natal, erano passate di mano dall’Olanda all’Inghilterra, le popolazioni di origine olandese che stavano là da circa tre secoli, ed erano i nativi(perché quando gli olandesi erano arrivati non c’erano più le popolazioni negroidi, che si erano estinte). Lord Chitchener e Sir Rhodes vollero mettere in atto il piano di Lord Disraeli, di congiungere Alessandria d’Egitto a Città del Capo. Vi erano, allora in mezzo, questi Stati boeri, questi Stati bianchi, i boeri dell’Africa meridionale erano i nativi, perché quei territori non erano stati mai abitati da popolazioni negre, ma anticamente, prima dell’arrivo dei bianchi, erano abitate da popolazione australoidi, affini con gli antichi abitanti dell’Australia, affini ai maori, ma all’arrivo degli olandesi erano ormai, praticamente, estinti, infatti non c’è più traccia nei gruppi etnici sudafricani. Quindi i boeri erano giunti per primi.
Si trattava di territori ricchissimi. Sul finire del secolo, nel Transvaal e nell’Orange vennero scoperte immense miniere d’oro di uranio e di diamanti, le più ricche del mondo. L’Inghilterra non poteva rimanere indifferente. Presente nel Transvaal era un uomo molto energico, Enrich Bruger, il quale, vistosi minacciato dall’Inghilterra, chiese aiuto al Kaiser. Il Secondo Reich poteva fornire aiuto boeri? Si, perché mentre le Repubbliche boere, a sud, confinavano con le colonie inglesi, a nord-ovest confinavano con la Namibia tedesca. Però il Kaiser capiva che poteva fornire ai boeri solo un aiuto diplomatico, non poteva certamente permettersi il lusso di fare guerra a sua nonna, la Regina Imperatrice Vittoria. Comunque, per incoraggiare i boeri alla resistenza, inviò il cosiddetto messaggio al Presidente Bruger, per intimorire l’Inghilterra, ma l’Inghilterra, dopo Fascioda, sentendosi ormai le spalle al coperto, dopo vari atti di ostilità delle colonie da parte della Francia, passò alla via di fatto.
1899, le Repubbliche boere venivano invase, la guerra anglo-boera durò tre anni, dal Sudan giunse nell’Africa meridionale Lord Chitchener, e questa guerra è rimasta tristemente famosa nella storia per alcuni episodi drammatici. I boeri scatenarono la guerriglia, gli inglesi la contro guerriglia, deportando tutte le popolazioni boere e rinchiudendole in vasti campi all’aperto, circondati da filo spinato. Erano nati i lager dell’epoca moderna, non si trattava più delle riserve tipo quelle degli indiani d’America, che comunque erano dei campi di concentramento aperti, si trattava di campi di concentramento recintati. Quindi a teorizzare questi lager, e le sue teorie vennero accolte dal comando inglese dell’Africa meridionale, fu un giovane ufficiale inglese, un rampollo di una nobile famiglia, il discendente di un antico grande condottiero inglese della guerra di successione spagnola, discendente del Duca di Melbourne, Sir Winston Spencer Churchill. Sir Winston Spencer Churchill è stato l’inventore dei lager moderni durante il conflitto anglo-boero.
La guerra, però, decisamente ormai, volgeva a vantaggio dell’Inghilterra. Lord Chitchener si dimostrò, indubbiamente un personaggio eccezionale, era un grande stratega.
Durante questa guerra, però, l’Inghilterra fu funestata da un gravissimo lutto.
Agli inizi del 1901, precisamente negli ultimi giorni del mese di gennaio, a Buckingham Palace, dopo 74 anni di Regno, uno dei più lunghi della storia, si spegneva Vittoria. Saliva sul trono il figlio, Edoardo VII. Il figlio non aveva la stessa tempra della madre, del resto di Regine Vittoria ne possono nascere una ogni due, tre secoli.
1902, la resistenza boera venne stroncata. Il Transvaal e l’Orange vennero annesse alle due colonie del Capo e del Natal. Nasceva quella che, dopo l’India, era la più ricca colonia della Corona Britannica, l’Unione Sud-africana.
GLI SCRITTORI DIMENTICATI
Fine 800, abbiamo noi la cultura italiana rappresentata da grandi personaggi che vengono studiati sia nella storia che nella letteratura italiana, ed altri invece che la cultura ufficiale li ha esclusi dai libri di testo e dallo studio, anche se ebbero tutti un’importanza enorme in Italia e all’Estero. Tra l’altro tutti, più o meno, sono ideologicamente o idealmente uniformi. Tutti da annoverare tra i precursori del Nazionalismo Italiano.
L’uomo che fu la massima espressione della cultura italiana in quel periodo fu Giosuè Carducci, ma accanto a lui troviamo l’abruzzese Gabriele D’Annunzio, il romagnolo Giovanni Pascoli, il siciliano Giovanni Verga.
Idealmente Carducci percorre, insieme a Crispi, la lunga marcia politica dall’estrema sinistra all’estrema destra. Lo stesso discorso, anche se in toni moderati, lo compie Giovanni Pascoli, che si definirà sempre, e lo sarà, un socialista. Il socialismo italiano era un movimento eterogeneo, si partiva da un socialismo romantico di stampo nazionalista, qual era quello del Pascoli, appunto, per arrivare, poi, ad un socialismo riformista, o a un socialismo massimalista, di chiave marxista. Il socialismo italiano, tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, non si era ancora incanalato su determinati binari. Questo accade solo nei primi del 900.
Quindi Pascoli lo potremmo definire come un socialista nazionale. Per D’Annunzio era un discorso diverso, egli nasce all’estrema destra e vi rimane fino all’1 marzo del 1838, giorno della sua morte. Ma questi sono quelli maggiormente conosciuti.
Ma ci sono altri che in epoca non furono ritenuti di molto inferiori, ma le letterature italiane li hanno eliminati.
Molto vicino al Pascoli, idealmente, vi è Edmondo De Amicis, l’autore del più grande libro per ragazzi, il libro “Cuore”. Carlo Lorenzini, detto il Collodi, il suo libro è conosciuto in tutto il mondo, “Le avventure di Pinocchio”. Vamba anche lui scrisse un libro per la gioventù conosciuto in tutto il mondo, “Il giornalino di Gianburrasca”. Alfredo Oriani, un tempo sulle letterature italiane vi erano due pagine in meno di quante ve ne erano per Leopardi, autore di “Fino a Dogali”, di rivolta ideale, autore di una bellissima rotta in Italia tra l’autunno del Medio Evo fino ai suoi giorni, 1909, romagnolo pure lui, fu un ultra nazionalista. Poi un altro ignoto a tutto, il suo equivalente francese fu esaltato sulle letterature, il suo equivalente è Jules Verne, l’italiano Emilio Salgari, che scrisse “Sandokan”, “Il Corsaro Nero”; lui visse tra Torino e Verona e lui descrisse, con una totale perfezione, i luoghi in cui visse, sia la giungla asiatica, sia le foreste dell’America centrale.
L’ETÁ GIOLITTIANA
Nel 1903 Zanardelli si congeda definitivamente da questo mondo e il Re Vittorio Emanuele III dà l’incarico di formare il nuovo governo al ledere dei liberali di centro, Giovanni Giolitti, quindi al leader dei liberal democratici.
Il mondo liberale al governo non era un qualcosa di unitario, già semplificando vi erano due gruppi nell’ambito del mondo liberale, non possiamo nemmeno parlare di un partito vero e proprio, avevamo: i liberali di centro, o liberal democratici, e i liberali di destra, o liberal nazionali.
Il leader dei liberal democratici era Giovanni Giolitti, il leader dei liberali di destra era Sidney Sonnino, colui che nel 1897 aveva scritto il famoso articolo “Ritorniamo allo Statuto”.
Giolitti non aveva lasciato buona memoria di sé, 10 anni prima, quindi la sua scesa al Governo non viene da tutti vista di buon occhio, considerato che il mondo politico italiano era in movimento, vi era il confronto, all’interno del partito socialista, tra l’anima riformista, guidata da Turati e Treves, e l’anima massimalista, guidata da Enrico Ferri e da Costantino Lazzari. Poi vi erano, come battitori libera, una specie di mina vagante nel mondo politico italiano, i sindacalisti rivoluzionari.
Nel 1903 un gruppo di giovanissimi giornalisti fonda due nuove riviste, “Il Leonardo” e “Il Regno”, saranno queste due riviste nel battistrada di quello che sarà poi il Partito Nazionalista, tra l’altro, dopo l’abolizione del “Non expedit” da parte di Pio X, pure i cattolici si preparavano al loro ingresso nel mondo politico italiano.
Giolitti affronta indubbiamente una situazione non economica, sociale difficile, vi era un profondo malcontento, ovunque. È vero: Saracco e Zanardelli avevano rasserenato un pochino gli animi, erano stati due governi di pacifica transizione, se vogliamo, però avevano rasserenato gli animi nei vertici del mondo politico italiano, nei ceti che contavano, ma nei ceti meno abbienti, nel mondo contadino, nel mondo operaio, nella piccola borghesia, nel mondo artigianale, il malcontento era diffuso.
1904, i sindacalisti rivoluzionari e i socialisti massimalisti, che riescono a tirare a sé anche i riformisti, fanno fare all’Italia un’esperienza che il nostro popolo non aveva ancora affrontato.
1904, abbiamo il primo grande sciopero generale della storia d’Italia, e le prime giornate di sciopero il paese si ferma, le prime giornate di sciopero, per gli organizzatori sono un successo.
Cosa fa Giolitti? Mentre il mondo conservatore italiano spingeva per la regressione, Giolitti, invece, usa un nuovo corso, qui si dimostra indubbiamente molto più furbo di Rudinì, Giolitti ordina alla polizia e all’esercito di controllare le piazze, ma non intervenire. Qual era l’obbiettivo che il Primo Ministro si proponeva? Quello che lo sciopero si esaurisse da sé, Giolitti sapeva che i primi giorni potevano essere un successo, poi, però, nei giorni successivi non vi era un’organizzazione in grado di mandare avanti la protesta, quindi lo sciopero rischiava di esaurirsi da sé e di ritorcersi contro coloro che lo avevano organizzato, come puntualmente avviene.
Giolitti di fatti, in quel momento aveva ragione, lo sciopero si esaurisce da sé, ma questo sciopero aveva provocato una grande paura nella borghesia italiana, e Giolitti approfitta di questa grande paura per spingere Vittorio Emanuele III a sciogliere le Camere.
Sul finire del 1904, dopo la grande paura dello sciopero generale, si rifanno le elezioni, e chiaramente i moderati, i conservatori, vincono le elezioni.
Nel 1904 entrano per la prima a Montecitorio anche i cattolici, non come deputati cattolici, loro saranno sempre furbi in questo, ma come cattolici deputati. Che differenza c’è? I deputati cattolici significava appartenenti ad un’organizzazione, non proprio un partito, che si rifaceva al mondo cattolico; i cattolici deputati, invece, erano dei deputati indipendenti che agivano, però, secondo lo spirito e i dettami della gerarchia ecclesiastica.
Quindi Giolitti si ritrova con una maggioranza confortevole in Parlamento, sul finire del 1904, ma Giolitti vuole cambiare maggioranza, lui vuole liberarsi dal condizionamento del mondo conservatore italiano, lui mira a staccare, dal partito socialista, i riformisti, vale a dire mira a inserire i socialisti moderati, quelli di Turati e Treves, nell’ambito governativo, mira anche ad inserire i cattolici moderati nello stesso ambito. Ma le resistenze all’interno del mondo liberali sono forti. Giolitti dominerà, indubbiamente, la scena politica italiana fino al 1914, ma ci saranno tre intermezzi nel periodo giolittiana: i Governi Sonnino, Fortis e Luzzatti, vale a dire anche il mondo liberale era in fibrillazione, era alla ricerca di una sua identità, che forse, in quel momento, non trova, però bisogna riconoscere che i governi che guidarono l’Italia dal 1904 al 1909, da un punto di vista economico e finanziario, non sociale, furono dei governi eccezionali. Nel 1906 la lira italiana fece agio sull’oro, che significava? Era da trenta anni che noi eravamo sempre in passivo, nel 1906 per la prima volta il bilancio dello Stato italiano chiudeva con un avanzo di cassa. E questo che significava? Chiudere un bilancio di cassa in un’epoca in cui non vi era l’egemonia di una moneta sulle altre, la moneta più prestigiosa era la sterlina, però le altre monete non erano legate alla sterlina, quindi ogni moneta, negli altri Stati, aveva il suo corrispettivo nella banca centrale in metallo pregiato, nel 1906 la lira sulle principali piazze finanziarie del mondo faceva agio sull’oro, significava che la lira, in tutte le capitali, in qualsiasi momento, veniva immediatamente, da tutti, convertita in oro, perché la lira dava un affidamento totale, e la lira farà agio sull’oro nel 1906, nel 1907 e per quasi tutto il 1908.
È il più grande merito di Giolitti, riconosciamolo, come tra poco diremo i demeriti.
Da un punto di vista sociale, qui vi è la negatività, lui voleva staccare i vertici del socialismo moderato dal partito socialista, ma non voleva venire incontro alle classi lavoratrici, lui era sempre l’uomo dell’alta borghesia finanziaria, non aveva capito la situazione sociale italiana nel 92, non la capirà nei primi del 900.
Poi i suoi sistemi elettorali erano i meno ortodossi possibili, quando vi erano le elezioni politiche e amministrative, quello che il mondo liberale attuale porta come suo emblema, durante questo periodo vi furono le elezioni più illiberali della storia, specialmente nell’Italia Meridionale interveniva la mafia,la ndrangheta, la camorra, molto spesso i sostenitori dei deputati di opposizione venivano messi nell’impossibilità di esprimere la propria parola, molto spesso i candidati di opposizione venivano arrestati pochi giorni prima delle elezioni, per futili motivi, bastava un comizio agitato. Molto spesso, specialmente nel sud, la malavita organizzata, posta agli ordini del Governo, interferiva pesantemente nel momento delle elezioni, tanto che un grande uomo di sinistra, della nostra regione, Gaetano Salvemini, definirà il Giolitti il “Ministro della malavita”.
Un altro limite fu la politica estera, iniziò la “politica degli equivoci”: noi stavamo nella Triplice, della Triplice noi ricevevamo tutti i vantaggi, agio sull’oro Giolitti lo aveva fatto anche grazie all’appoggio e alla copertura della Reichswear, ma come dirà il Cancelliere tedesco dal 1900 al 1909, il Principe von Bülow, noi molto spesso facevamo i giri di valzer, eravamo, della Triplice, l’amante infedele. E nel primo decennio del 900di crisi, sia europee che italiane, ve ne furono, sia nell’Estremo Oriente, sia in Africa, che nei Balcani.

LA GUERRA RUSSO-GIAPPONESE
Noi abbiamo visto che il Trattato di Shimonoseki aveva lasciato il Giappone di stucco, in Giappone vi era un forte spirito di rivalsa contro i russi, tra l’altro Giappone e Russia avevano interessi contrastanti in Cina, la Cina era l’uomo malato dell’Estremo Oriente. Nell’Impero cinese, di fatti, avevamo la dinastia Ming, che erano finiti da tempo, gli ultimi decenni della dinastia Manciù, furono decenni di decadenza.
Nel 1900, comunque, in Cina abbiamo un colpo di coda, si era formata una società patriottica e xenofoba, la “Società dei Pugni”. Questa società dei pugni intendeva spingere il Governo cinese a resistere alle pressioni straniere, perché in Cina, dietro, non c’erano soltanto Russia e Giappone che si contendevano una certa egemonia, ma lungo le coste cinesi, specialmente negli ultimi anni del 800, seguendo l’esempio inglese, si erano insediati russi, giapponesi, inglesi, francesi, americani, tedeschi, tutti chiedevano concessioni, e Pechino concedeva sempre.
1900, abbiamo la rivolta, la “Rivolta dei boxer”, appunto.
Per un momento le delegazioni europee e la stessa presenza europea in Cina venne messa in grave pericolo. A questo punto che successe? Che lasciando stare tutti i loro motivi di contrasto(questo era il bello della Bella Epoque), tutte le otto grandi potenze del mondo, le sei europee(Secondo Reich, Austria, Italia, Prussia, Francia, Inghilterra) e le due extraeuropee(Stati Uniti e Giappone), tutte e otto, d’accordo, decisero di intervenire in Cina.
Il comandante della spedizione chi poteva essere? Da un punto di vista navale era inglese, da un punto di vista terrestre il comandante dell’esercito era un tedesco. Era normale, è una scelta logica.
E i boxer vennero stroncati nel giro di poche settimane.
In seguito vennero date le concessioni, e questa volta rientriamo pure noi.
All’Italia viene data un’importante concessione, molto ampia, molto immensa, in una grande città cinese, a Tientsin, dal 1900 il centro di Tientsin era italiano, vi erano i carabinieri italiani, batteva la bandiera italiana.
1902, terminata la rivolta dei boxer, terminata anche la guerra anglo-boera, abbiamo il nuovo corso della politica inglese, del Re Edoardo VII, vale a dire fina dal momento stesso in cui Edoardo VII sale sul trono britannico, l’Inghilterra si allontana dalla Germania.
1902 viene firmato il trattato di alleanza tra Londra e Tokio, il trattato di alleanza anglo-giapponese era un trattato indubbiamente antitedesco, ma lo era anche antifrancese e antirusso, vale a dire Edoardo VII rimetteva in gioco tutta la politica mondiale. Ma è proprio la Francia, nonostante la grandezza del suo Ministro degli Esteri, Théophile Delcassé, a rischiare di rimanere schiacciata, perché l’alleanza tra Londra e Tokio determina il riavvicinamento tra Berlino e Pietroburgo, quindi a rimanere fuori rischiava di essere la Francia, perchè Vienna e Roma erano comunque in gioco, perché il Principe di Bülow, lui e il kaiser, avevano rassicurato le capitali alleate: “Voi fate quello che facciamo noi e finiamo il discorso”. In quel momento la Triplice Alleanza è unita, è Parigi che rischia di rimanere schiacciata. Ma il Delcassé si rifarà pochi anni dopo.
1904, i giapponesi sono abituati a quelle cose, i giapponesi portano alle estreme conseguenze i loro rapporti con Pietroburgo e con un attacco a sorpresa, nell’estate del 1904, danno l’assalto alla principale piazzaforte russa dell’Estremo Oriente, una delle più grandi piazzeforti del mondo, Port Arthur, e a Port Arthur i giapponesi, nel giro di poche ore, con un attacco di siluranti, fanno fuori tutta la marina russa dell’Estremo Oriente.
La Russia, chiaramente, dichiara subito guerra al Giappone.
Si combatte per mare e per terra.
Nel 1905 in Manciuria, a Mokden, l’esercito giapponese batte duramente l’esercito dello zar. A questo punto alla Russia rimane una sola carta da giocare. Lo zar Nicola II ordina alla flotta del Baltico di marciare verso l’Estremo Oriente, verso il Giappone, ma la flotta del Baltico, per marciare contro il Giappone, doveva fare il giro del mondo. Quindi la flotta del Baltico lascia Kronštadt, la base navale russa, la più grande(poco più a nord di Pietroburgo), attraversa tutto il Mar Baltico, poi costeggia la Danimarca ed entra nel Mare del Nord. L’Inghilterra, alleata del Giappone, dice “No, tu da La Manica non passi”. Quindi la flotta russa è costretta a costeggiare, a risalire l’Arcipelago Britannico, e a passare dal Mar del Nord nell’Oceano Atlantico, a nord della Scozia, quindi doppiata la Scozia, la flotta del Baltico, al comando dell’ammiraglio Rogerstemskiy, entra, quindi nell’Oceano Atlantico. Passare per l’Inghilterra non se ne parlava proprio, l’Inghilterra si opponeva, quindi la flotta russa deve puntare verso il Capo di Buona Speranza, attraversare tutta l’Africa, passare per tutte le coste africane, quindi dopo aver attraversato tutto l’Oceano Atlantico, attraverso il Capo di Buona Speranza, Rogerstemskiy entra nell’Oceano Indiano, e anche qui si trattava di attraversare tutto l’Oceano Indiano per entrare nell’Oceano Pacifico. Solo il viaggio era già un’impresa eroica.
Quindi la flotta russa entra nell’Oceano Pacifico e punta verso il Mar del Giappone.
Ad attendere Rogerstemskiy c’era la flotta giapponese, comandata anch’essa da un personaggio leggendario, il grande Ammiraglio Togo. Vi erano tre vie per entrare nel Mar del Giappone, Togo si poneva il problema di quale sarebbe stato il percorso di Rogerstemskiy, e Togo scarta le due soluzioni che gli prospettavano i suoi collaboratori, dice “No, Rogerstemskiy passerà per la parte più difficile, perché pensa che noi non immaginiamo che lui passi di là, però io lo sto immaginando.”.
Quindi dopo concentra tutta la flotta giapponese nei pressi dello Stretto di Tsushima, e Rogerstemskiy si stava proprio dirigendo là, per attaccare il Giappone alle spalle.
La battaglia di Tsushima sarà una delle più grandi battaglie navali di tutti i tempi, Tsushima segna l’epopea delle grandi regine del mare, l’epopea delle corazzate.
Quali erano le navi da guerra dell’età moderna?
Vi erano le navi più piccole, le cosiddette siluranti, che erano le torpediniere, delle stesse dimensioni erano le cannoniere, pesavano più o meno tra le 1000 e le 2000 tonnellate, poi le flotte si erano attrezzate per combattere le siluranti, quindi poco più grandi delle torpediniere erano nate le cacciatorpediniere, potevano pesare qualcosa in più, poi vi erano le navi classiche, gli incrociatori, questa volta vi erano gli incrociatori piccoli, 5-8000 tonnellate, gli incrociatori medi, 10-12000, gli incrociatori da battaglia, i grandi incrociatori, quelli che da 12000 potevano arrivare anche alle 20000 tonnellate, poi vi erano le regine dei mari, le corazzate, vale a dire che avevano la protezione di tre corazze d’acciaio, e avevano i cosiddetti grossi calibri, i grandi cannoni, le corazzate, la più piccola, quelle che venivano definite le corazzate tascabili, pesavano 25000 tonnellate, ma pesavano molto di più; una corazzata in mare aperto, nell’epoca in cui i radar non c’erano, non c’erano nemmeno gli aerei da avvistamento, perché Tsushima è la battaglia classica delle corazzate, in una giornata tersa, senza nebbia, senza niente, la corazzata poteva affrontare 20, 30, 40 navi avversarie, in quanto vi era il cosiddetto perimetro della morte, i cannoni della corazzata sparavano a 80 Km di distanza, i cannoni degli incrociatori, anche dei più grossi, sparavano a 30-35, quindi le cacciatorpediniere sparavano a 15-20, perché la nave tanto era più grandi quanto più grossi erano i cannoni, e quindi per 50 Km la corazzata colpiva senza essere colpita, quello spazio in cui uno colpiva senza poter essere colpito in genere lo chiamavano il “perimetro della morte”.
Tsushima segna l’epopea delle corazzate.
Le due flotte, come corazzate, si equivalevano, però gli equipaggi giapponesi erano freschissimi, gli equipaggi russi avevano fatto 20 mila leghe sopra i mari, e quindi erano esausti.
Togo annienta la flotta russa, ma in questa grande e sanguinosa battaglia si ha uno degli ultimi grandi episodi cavallereschi della storia. La nave ammiraglia russa viene colpita, sta affondando. L’ammiraglio Togo ordina alle sue siluranti di rischiare qualsiasi cosa, ma di affiancare la nave ammiraglia russa e di andare a sconfiggere l’ammiraglio Rogerstemskiy, e ci riescono. È una duplice vittoria, è una vittoria sul campo ma è una vittoria anche in campo psicologico. L’ammiraglio sconfitto verrà anche gravemente ferito insieme ai suoi ufficiali dello Stato Maggiore, verranno salutati con tutti gli onori militari, poche ore dopo, sull’ammiraglia giapponese.
A quel punto lo zar deve chiedere la pace, tra l’altro, in Russia, stavano succedendo gravissime agitazioni sociali. Abbiamo, con la mediazione del Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, si giunge alla pace di Portsmouth, e questa volta il Giappone si prende tutto quello che a Shimonoseki gli era stato negato, il Giappone si prende la Corea, si prende la penisola di Liaotung, con Port Arthur, si prende la maggior parte delle concezioni russe in Cina, si prende la metà inferiore dell’Isola di Sahalin, quindi allarga il suo territorio metropolitano a nord. Per la Russia è l’inizio della fine.
La sconfitta, come sempre accade, provoca gravi ripercussioni interne, la guerra perduta stava facendo esplodere tutte le contraddizioni all’interno della società russa.
1905, abbiamo la “marcia della fame”, migliaia e migliaia di contadini, di sottoproletari, di morti di fame russi guidati dal prete si dirigono verso la Piazza d’Inverno, per chiedere pacificamente migliori condizioni di vita al Piccolo Padre, lo zar.
Nicola II, purtroppo, a lui venne data tutta la responsabilità politica, ma lui saprà dopo quello che stava accadendo: il comandante del reggimento che stazionava sulla Piazza d’Inverno, ordinò di aprire il fuoco contro la folla inerme. Pietroburgo è una città moderna, non ha strade private, Pietroburgo aveva le grandi boulevard 150 anni prima che le costruissero a Parigi. Quando il reggimento della guardia imperiale apre il fuoco con i cannoni, provoca centinaia e centinaia di morti tra la popolazione inerme. Il massacro della Piazza d’Inverno segnerà il distacco tra la monarchia zarista e molta parte del popolo russo, il massacro della Piazza d’Inverno dà adito ai partiti rivoluzionari di passare all’azione. Sempre nel 1905 la squadra del Mar Nero, la terza squadra di armata russa(non aveva niente a che fare con la flotta del Baltico)ammutina nel porto di Odessa, nel Mar Nero, e l’ammutinamento avviene sull’incrociatore corazzato Pationkin. La rivolta verrà repressa, la maggior parte dei marinai della Pationkin finirà la loro vita in Siberia, ma anche gli eventi del 1905, nel loro complesso, faranno perdere una popolarità secolare alla monarchia zarista.
IL MAREMOTO DI MESSINA E LE ELEZIONI DEL 1909
Il 1907, da un punto di vista culturale, segna per l’Italia un grave lutto: muore, in quell’anno, il poeta della nuova Italia, premio Nobel della letteratura due anni prima, Giosuè Carducci. La scena culturale italiana è dominata, ormai, da un poeta abruzzese, è il corifeo della stampa nazionalista.
1908, si abbatte sull’Italia un grande cataclisma naturale, il più grande che l’Italia abbia mai avuto. Nel dicembre di quell’anno, appunto, abbiamo il terribile maremoto-terremoto che distrugge Messina e Reggio Calabria.
Mentre la flotta da guerra italiana era al largo, non arrischiava di avvicinarsi, e molti siciliani erano sul molo tremante del porto di Messina, come ultima spiaggia verso la salvezza, in quei giorni vi era, nelle acque del mar di Sicilia, in visita di cortesia, una squadra navale russa. Mentre la flotta italiana rimaneva al largo, sull’ammiraglia russa, il Granduca Dimitri, il comandante, nipote dello stesso zar Nicola II, sfidando le inclemenze della natura, riuscì a raggiungere il molo del porto di Messina e a mettere in salvo 2000 messinesi, è un gesto di eroismo e di amicizia che non dobbiamo dimenticare.
1909, si tengono, in Italia, le elezioni.
Questa volta non vi è più la vittoria schiacciante dei liberal moderati o dei conservatori, è la rivincita dei socialisti, è il partito socialista, che ormai, come forza d’opposizione, aveva sostituito i vecchi radicali, i vecchi repubblicani, eredi del partito d’azione, che rimangono ma in misura insignificante, il partito socialista balza a oltre 50 deputati. È un successo enorme.
Ma nel partito socialista si preparava, da vari anni, la resa dei conti, e sarà la guerra di Libia, pochi anni dopo, ad accelerare la crisi.
1911, i massimalisti assumono, con Costantino Lazzari, con Enrico Ferri, con Giacinto Serrati, la guida del partito, non hanno, però la maggioranza in tutte le federazioni, ma riescono a far espellere, dal partito, quei riformisti più moderati, quei socialisti, potremmo definire noi, quasi quasi di centro, quindi fanno espellere i riformisti di destra, Bonomi, Caprivi, ecc.., ma la resa dei conti tra le varie anime del partito socialista si preparava per l’anno successivo, il 1912, il Congresso di Reggio Emilia. Non a caso il Congresso che doveva sancire la resa dei conti tra le varie anime del socialismo italiano, si teneva non in una grande città, non a Roma, Milano, ma si teneva in una città di provincia, proprio in quella che fin dall’epoca era la città più rossa d’Italia, a Reggio Emilia, appunto. I riformisti speravano di avere la rivincita, speravano di mettere in minoranza i massimalisti, ma a un certo momento i massimalisti tiravano l’asso della manica, fecero alleanza con i socialisti rivoluzionari. Quindi a Reggio Emilia massimalisti e socialisti rivoluzionari misero in minoranza i riformisti. Il leader dei massimalisti, Costantino Lazzari, divenne segretario generale del partito.
I SOCIALISTI RIVOLUZIONARI E
BENITO MUSSOLINI
Eravamo arrivati nella primavera del 1912 al Congresso socialista di Reggio Emilia.
I riformisti, nonostante che l’anno precedente era stata espulsa dal partito l’ala più moderata del riformismo stesso, quella capeggiata da Bonomi, Bissolati, Caprivi, ecc., i riformisti erano sicuri di vincere, perché controllavano la maggioranza delle federazioni, ma a Reggio Emilia, il dibattito congressuale ribaltò la situazione, vi fu un’alleanza tra massimalisti di Costantino Lazzari, Ferri e Serrati, e i socialisti rivoluzionari, che insieme vinsero il Congresso, e fu proprio il giovanissimo leader dei socialisti rivoluzionai a mettersi in evidenza con un brillante discorso, il primo di una serie di brillanti discorsi che si protrarranno per oltre un trentennio. Chi era il leader dei socialisti rivoluzionari? Lo incontriamo la prima volta e poi, praticamente, non lo lasceremo più, il ledere dei socialisti rivoluzionari era un ventinovenne romagnolo, nato a Tovia, una frazione di Predappio, nel basso forlinese, il 29 luglio del 1883,da un agitatore sindacalista rivoluzionario, Alessandro Mussolini, e da una maestra elementare, Rosa Maltoni, si chiamava Benito Amilcare Andrea Mussolini, Benito come Benito Quarzo, Amilcare come Amilcare Cipriani, che era uno dei capi dell’anarchismo italiano di fine 800, insieme ad Enrico Malatesta(l’anarchismo italiano era ben distante dall’anarchismo individuale, era un qualcosa di molto confuso ed eterogeneo, che mischiava forti istanze sociali con una certa dose di nazionalismo), Andrea come il primo deputato socialista a sedere nel Parlamento italiano, Andrea Costa.
Il giovane Mussolini, nato, appunto, da una famiglia di altissime risorse economiche, dopo gli studi elementari, nella sua precoce maturità, di forte intelligenza, venne inviato a studiare in uno dei più famosi collegi romagnoli dell’Italia centro-settentronale, il Collegio di Forlimpopoli, diretto da uno dei più insigni presidi italiani, fratello, tra l’altro, della massima espressione culturale dell’epoca, diretto da Valfredo Carducci, fratello del più famoso Giosuè. A Forlimpopoli prese la maturità magistrale, ma l’esperienza di Forlimpopoli segnò profondamente tutto il corso della sua vita. Era nell’ora della mensa che il giovane Mussolini formò le sue idee rivoluzionarie, non vi era una mensa unica per tutti gli studenti, vi era la prima fascia, la seconda fascia, e la terza fascia, dove sedevano magari quelli che, pur essendo figli di poveri disgraziati, stavano là per merito, altrimenti non sarebbero potuti entrare. Fu un qualcosa che lo segnò profondamente.
Nel 1902, terminati gli studi con la maturità, si iscrisse al Partito socialista, ma, non volendo fare il servizio militare, emigrò all’estero, in Svizzera. A Ginevra, in un convegno socialista, incontrò un uomo, che ebbe subito molta simpatia per lui, si trattava di un esule russo, 13 anni più grande, pure lui destinato a diventare uno degli uomini cosmici dell’umanità, si chiamava Vladimir Il’ič Ul’janov, quindici anni dopo verrà meglio conosciuto come Lenin. Non si incontreranno mai più, né in quell’unico incontro i due potevano immaginare che sarebbero stati i capofila ideali di due concezioni del mondo che si scontreranno fortemente nel corso di tutto il XX secolo.
1904, dagli spalti del Quirinale, si odono i 121 colpi di cannone che annunciavano la nascita dell’erede al trono, il Principe Umberto. Vi fu l’amnistia generale di tutti i reati minori, anche per la resistenza alla leva, Mussolini fece ritorno in Italia. Dirigerà, pochi anni dopo, il giornale della federazione socialista di Forlì, la “Lotta di Classe”, ma proprio in quegli anni maturò il suo distacco da quello che era il socialismo ufficiale, conobbe, idealmente il grande agitatore sindacalista rivoluzionario francese, Georges Sorel, che porterà avanti un discorso molto lontano dalle tesi marxiste, Sorel negava l’internazionalismo proletario, per Sorel le istanze sociali con quelle patriottiche dovevano andare di pari passo, la società liberale e borghese doveva essere rovesciata sindacalizzando le masse e portandole alla rivoluzione contro il potere pontificio, contro il mondo liberal capitalista borghese.
E, difatti, spinto proprio dalle idee soreliane, iniziò a fare causa comune con gli irredentisti trentini, decise, cioè, di accogliere l’invito del più importante di essi, Cesare Battisti, di andare a collaborare con il giornale cattolico nazionale e nello steso tempo socialista(quindi si trattava di idee molto confuse ed eterogenee ancora), che Battisti dirigeva a Trento, “Il popolo di Trento”, che poi era il più importante giornale in lingua italiana che si stampava nei territori dell’Impero austro-ungarico.
Questa collaborazione al “Popolo di Trento” fu molto importante, Mussolini, già molto noto come giornalista, si scoprì scrittore storico, “Il popolo di Trento” conobbe d’un balzo una tiratura altissima grazie alla pubblicazione di un romanzo storico a puntate che Mussolini stava scrivendo, romanzo che nell’ultimo decennio è stato fortemente riscoperto, si intitolava “Claudia Particella, l’amante del Cardinale”. Era ambientato nella Trento della metà del 600, siamo in pieno clima controriformistico, è un libro violentemente anticlericale, e sotto certi aspetti, potremmo dire noi, anticattolico, un libro che dopo la fine delle puntate sul “popolo di Trento”, venne pubblicato in Austria, in Italia, in Svizzera, in Francia, e conobbe una grossa fortuna, poi in Italia verrà tolto completamente dalla circolazione, dalle librerie, dalle edicole, con il divieto assoluto di pubblicazione, 20 anni dopo, e chi mise la censura sul libro fu lo stesso autore, salito, nel frattempo, nei massimi livelli dello Stato.
Siamo nel 1928, siamo già nel clima della conciliazione, “L’amante del Cardinale”, con il nome dell’autore, non poteva circolare più in Italia.
Costantino Lazzari, poi entrò, prima del Congresso di Reggio Emilia, e si oppose alla Guerra di Libia, anche qui pochi anni dopo le cose si ribalteranno, si oppose alla guerra di Libia proprio colui che oltre un decennio dopo ribattezzò la Libia “la quarta sponda dell’Italia”.
Arriviamo quindi al Congresso di Reggio Emilia, qui Costantino Lazzari, segretario generale del partito, leader dei massimalisti, Benito Mussolini leader dei socialisti rivoluzionari, direttore dell’“Avanti”, e l’ “Avanti”, nel giro di poche settimane, balzò da 15000 a 170000 copie giornaliere, diventando il secondo giornale italiano, secondo solo all’organo della borghesia lombarda, che tutt’ora è il giornale più diffuso, vale a dire “Il Corriere della Sera”.
Stiamo nella seconda fase dell’età giolittiana, i cattolici, pure essi sotto la guida di Filippo stavano rafforzando il loro apparato organizzativo, Pio X non aveva autorizzato la nascita di un partito cattolico vero e proprio, però in embrione l’organizzazione politico-cattolica c’era, appoggiata tacitamente dalla gerarchia ecclesiastica, che aveva condannato il modernismo di un certo cattolicesimo sociale portato avanti da Don Romolo Murri; la massima espressione culturale del modernismo cattolico, il grande scrittore Fogazzaro, venne messo da parte, Fogazzaro è uno degli autori dimenticati, è l’autore del più bel romanzo storico ambientato in epoca risorgimentale, ambientato tra la prima e la seconda guerra d’indipendenza, “Il piccolo mondo antico”.
Quindi anche il cattolicesimo si organizza sempre di più, ma la novità qual è nel 1910? (Questa novità era stata già annunziata 7 anni prima, con la nascita di alcune riviste, “Il Regno”, “Il Leonardo”). Nel 1910 sorge un quotidiano, “L’Idea Nazionale”, è diretto da Enrico Corradini, e dalla redazione dell’“Idea Nazionale” nasce poche settimane dopo un nuovo partito, che si colloca per la prima volta all’estrema destra dello schieramento politico italiano, il Partito Nazionalista d’Italia, chi sono questi esponenti? Oltre ad Enrico Corradini, Luigi Federzoni, Alfredo Rocco, e due grandi studiosi, come il Coppola, diventerà poi magnifico rettore all’Università di Bologna, e il Forges-Davanzati, anche lui importante magnifico rettore. Il Partito Nazionalista d’Italia ha un successo enorme nell’ambiente dei giovani studenti universitari, si ribellava all’Italietta, all’Italia con il piede in casa dell’epoca giolittiana, se da un lato il nazionalismo aveva la sua espressione in questo giornale e nelle sue riviste, dall’altro era tutta la grande cultura italiana che apertamente o tacitamente appoggiava questo partito, la massima espressione italiana che appoggiava il nazionalismo era Gabriele D’Annunzio.
Ma nel 1911 il nazionalismo viene affiancato da un’altra corrente politico-letteraria, il futurismo, il leader era Filippo Tommaso Marinetti, che constatava nel suo giornale tutto il vecchiume, diceva lui, che c’era nella società italiana, la società italiana doveva scrollarsi tutte le incrostazioni ottocentesche, il popolo italiano doveva marciare nel suo interno, liberarsi da quel complesso di inferiorità nei confronti di altre nazioni, specialmente della Francia, Marinetti, forse, nell’assumere le redini del futurismo, anticipa di 28 anni il discorso che poi il direttore dell’“Avanti” pronuncerà nel marzo del 39. Marinetti concluderà che solo con la guerra l’uomo dà il meglio di sé stesso, perché per ottenere la vittoria porta la sua mente al massimo.
Ma molto vicina al nazionalismo era anche un’altra rivista, “La Voce”, con i suoi grossi intellettuali, il Papini, Ardengo Soffici, Prezzolini, ecc., tutta la grande cultura italiana, direttamente o indirettamente appoggia il nazionalismo.
1911, Giolitti fa approvare dalla camera la legge sul suffragio universale, per la prima volta, quindi, nelle prossime elezioni non ci sarebbe stato sbarramento nel diritto di voto per la situazione economica, avevano diritto di voto tutti gli uomini che avevano compiuto il ventunesimo anno di età che sapevano leggere e scrivere, saper leggere e scrivere significava sapere mettere la propria firma, quindi 1911 abbiamo per la prima volta il suffragio universale maschile in tutta Italia, ma si poneva un problema, che la classe dirigente liberale temeva: con il suffragio universale avrebbero avuto il diritto di voto milioni di proletari, di braccianti, di luogotenenti, che prima non avevano mai potuto avere questo diritto, molti temevano che il suffragio universale avrebbe portato alla vittoria il partito socialista, ed era un timore molto fondato, visto che nel 1912 il principale organo di stampa, la cinghia di trasmissione tra partito e popolo, l’“Avanti”, era balzato a 170000 copie, però vi era un fatto: che il direttore dell’“Avanti” non credeva nella possibilità di vincere le elezioni parlamentari, per lui il potere il partito socialista non lo doveva acquisire per votazione, attraverso maggioranze parlamentari, ma per rivoluzione.

IL PATTO GENTILONI
E LA SETTIMANA ROSSA
1911: la legge sul suffragio elettorale maschile, avveniva esattamente nel cinquantenario dell’unità d’Italia, celebrato solennemente in tutte le Regioni e per l’occasione, a Roma, il Re Vittorio Emanuele III inaugurò l’ “Altare Della Patria”, detto anche il “Vittoriano” perché sormontato dalla statua a cavallo del padre della Patria, Vittorio Emanuele II.
Poi 10 anni dopo nel Vittoriano, avvierà anche il Milite Ignoto, 15 anni dopo la Piazza del Vittoriano verrà unificata con la piazza poco distante, Piazza Venezia, vale a dire verrà abbattuto quel piccolo quartiere medio evale per fare una piazza unica che potesse contenere, nel regime che verrà dopo, almeno un milione e mezzo di persone.
Quindi avevano diritto di voto tutti gli uomini che avevano compiuto il 21esimo anno di età e che sapevano leggere e scrivere. Saper leggere e scrivere significava saper mettere la propria firma.
Ma il suffragio universale provocava alla classe dirigente liberale, che era espressione di una ristrettissima elite, gravi problemi: come sarebbero andate le prossime elezioni politiche? Avrebbero votato milioni di persone in più, tutti temevano una vittoria del partito socialista, però il partito socialista, dopo il Congresso di Reggio Emilia, non puntava alle elezioni, puntava alla rivoluzione. Questa era la tesi del Segretario Generale Costantino Lazzari, questa era la tesi, con motivazioni diverse, del Direttore dell’ “Avanti” Benito Mussolini.
Giolitti credette ancora una volta di fare il furbo, di aggirare l’ostacolo, accordandosi, sotto banco, con i Cattolici. Ci fu l’accordo con l’Unione Elettorale Cattolica, presieduta dal Conte Ottorino Gentiloni, quindi il patto che ne scaturì prese il nome di “Patto Gentiloni”.
Che stabiliva il “Patto Gentiloni”? (Vi era il collegio uninominale).
Dove il candidato cattolico non aveva alcuna chance di essere eletto, l’Unione Elettorale Cattolica non avrebbe presentato candidato alcuno e il voto dei cattolici sarebbe confluito sul candidato liberale, se questi si fosse impegnato a rispettare determinati punti programmatici ritenuti fondamentali dal mondo cattolico, primo fra tutti la Sacralità della famiglia e l’indissolubilità del matrimonio, vale a dire tutti i deputati liberali, che per la maggior parte erano dei laicisti, si impegnavano a non presentare mai in Parlamento proposte di legge sul divorzio(è il punto saliente, il punto principale).
Le elezioni si svolgono nel 1913, e il Patto Gentiloni funzionò.
La maggioranza, su 537, ebbe oltre 300 deputati, tra questi 228 deputati liberali erano gentilonizzati, erano eletti grazie al Patto Gentiloni. Erano pochissimi quei candidati liberali che non avevano accettato.
I socialisti fecero un altro passo avanti arrivando da poco più di 30 a poco più di 50. Per la prima volta entrarono in Parlamento 6 deputati nazionalisti.
L’epoca giolittiana, comunque, volgeva al termine. Giolitti aveva creduto di manovrare sia i socialisti riformisti che i cattolici, ma nonostante che lui in Parlamento avesse dichiarato che i cattolici potevano aspettare invano il rispetto di certi impegni, il Patto Gentiloni aveva rafforzato notevolmente l’ala destra del Partito liberale, rispetto all’ala di centro. Era stato molto più facile per i liberali di destra accettare il Patto Gentiloni. I 228 deputati gentilonizzati saranno per la maggior parte deputati appartenenti all’ala destra liberale, già di Sidney Sonnino, ma ora il leader riconosciuto era un uomo della nostra terra, Antonio Salandra, un pugliese. Le difficoltà per Giolitti, in Parlamento erano notevoli.
1914: il Partito Socialista diede a Giolitti la spallata finale. Il malcontento sociale era enorme, l’Italietta volgeva al termine. Nelle sue roccaforti il Partito socialista preparerà l’insurrezione. I riformisti alla direzione del partito contavano poco e nulla. Costantino Lazzari e il suo principale collaboratore, Giacinto Serrati, esitavano, ma dalle colonne dell’ “Avanti” il direttore scatenò l’insurrezione. Nelle Marche, nell’Umbria e nelle Romane, tra la fine del maggio del 1914 e gli inizi di giugno, abbiamo quella che è passata alla storia come la “Settimana Rossa”. Gli operai occupano le fabbriche, i contadini le terre, i ferrovieri assumono la direzione dei trasporti, e in molte province dell’Italia centro-settentrionale l’autorità dello Stato,per la prima volta, veniva meno.
Il partito socialista non ebbe la forza di andare fino in fondo. Si consumò, così, la prima decisiva rottura tra la direzione del partito e la direzione dell’ “Avanti”: Mussolini avrebbe voluto la rivoluzione, Lazzari non fu disposto a seguirlo fino in fondo. In quei giorni Mussolini comprese che per fare la rivoluzione in Italia il partito socialista era il meno indicato. Già iniziava a pensare ad altre vie, ad altre soluzioni.
Ma la “Settimana Rossa” determina la fine di Giolitti, Giolitti è costretto dal Re a rassegnare le sue dimissioni.
Il leader dei liberali di destra, don Antonio Salandra, diviene il nuovo presidente del consiglio, è l’uomo di fiducia della Monarchia. Ministro degli esteri è il Marchese di San Giuliano, apparentemente un liberale, in effetti un ultra-nazionalista.
Il gruppo dei deputati liberali vicini al Marchese di San Giuliano, erano più nazionalisti che liberali.
LA POLITICA EUROPEA E MONDIALE
DALLA FINE DELLA GUERRA RUSSO-GIAPPONESE
FINO A SARAYEVO
Giugno 1904. La Pace di Portsmuth aveva creato notevoli problemi, specialmente alla Russia. Abbiamo già visto che il delinearsi della sconfitta militare aveva provocato a Pietroburgo la marcia dei diseredati sulla Piazza di Praga, abbiamo visto l’Insurrezione bolscevica della flotta del Mar Nero ad Odessa, che era partita dalla corazzata Potionkin.
In Russia Nicola II è costretto per la prima volta a cedere alle insistenze della borghesia liberale e a convocare il Parlamento, la Duma.
La maggioranza della Duma, per lo più liberal democratica, non rappresentava la società russa, rappresentava una borghesia che in Russia era altamente minoritaria, che non aveva il potere economico e sociale delle borghesie degli altri Stati Europei ed extra-Europei, quindi rappresentava una ristretta minoranza della popolazione ininfluente, quasi, sul processo economico e sociale della popolazione russa stessa. La Duma non fece una bella figura.
1906 lo zar si rivolse all’uomo forte, nominò Primo Ministro l’ultimo grande esponente russo di primo piano, Stolypin, Ministro degli esteri Iswolsky.
Era un governo autoritario, Stolypin si rese conto che non erano le chiacchiere della Duma a rimodernare la Russia, il problema principale era uno, quello di fare la riforma agraria, dare la terra a milioni e milioni di contadini russi, era questo il problema, inserire contro la borghesia il mondo contadino nei gangheri dello Stato, vale a dire lo scopo di Stolypin era quello di creare un’alleanza forte tra a aristocrazia, clero ortodosso e mondo contadino, contro la borghesia, e aristocrazia, clero ortodosso e mondo contadino, in Russia rappresentavano il 95% della popolazione, la borghesia era niente, era insignificante.
1906: in base al Patto Torinetti-Barrer con l’Italia del 1902, la Francia credette di poter avere via libera in Marocco. Aveva fatto i conti senza l’oste. Così come aveva fatto 11 anni prima a Damasco, il kaiser si recò immediatamente a Tangeri ergendosi a paladino ancora una volta del mondo musulmano, eleggendosi a paladino dell’indipendenza del Marocco, ma per di più alle parole stavano seguendo i fatti, e forse Guglielmo II aveva visto giusto, forse in quel momento aveva ragione il kaiser, non i suoi ministri e generali, che gli consigliavano moderazione. In quel momento il kaiser voleva la guerra, perché sapeva che nel 1906 la Duplice Intesa non avrebbe funzionato, perché? Perché la Russia, uscita sconfitta, dalla guerra russo-giapponese, non avrebbe assolutamente potuto aiutare la Francia, l’Inghilterra ancora non era impegnata.
Il kaiser aveva ordinato ai suoi generali di schiacciare la Francia in venti giorni. I suoi generali non lo seguirono, si giunse ad una situazione diplomatica, la Conferenza di Al Jazirah. Il cancelliere tedesco, fedelissimo collaboratore di Guglielmo II, consigliò prudenza perché i suoi calcoli sulla carta erano esatti, “nella conferenza internazionale noi avremo la meglio, metteremo la Francia in minoranza”. Ad Al Jazirah si riunirono le sette grandi potenze europee, le potenze della Triplice Alleanza, le potenze della Duplice Intesa, l’Impero Britannico, la Spagna come Stato interessato.
Bülow diceva “faremo quattro a due, o quattro a tre, se addirittura non faremo cinque a due, isoleremo Francia e Russia”, anzi si puntava da parte tedesca e austriaca anche al sei a uno.
Aveva fatto i conti senza di noi, il Ministro degli esteri italiano era in quel momento un massone, un uomo di 80 anni, il Visconti Venosta, ex esponente di quella ala retriva della destra storica che aveva fatto capo, in passato, al Marchese di Rudinì. Ad Al Jazirah si verificò la politica dei giri di valzer.
La tesi francese venne votata da Francia, Prussia, Inghilterra e Italia, la tesi tedesca da Germania, Austria-Ungheria e Spagna. Al Jazirah fu per la Germania uno scacco diplomatico. L’unica cosa che il principe von Bülow ottenne è che insieme alla penetrazione economica francese in Marocco, nella parte più settentrionale vi fosse una presenza anche della Spagna, che era la ricompensa che la Germania dava alla Spagna.
Al Jazirah indebolì la Triplice Alleanza, da quel momento l’egemonia tedesca, in Europa, subiva un colpo mortale, con il senno di poi possiamo dire che il kaiser, nel volere la guerra, aveva ragione, perchè la guerra se la sarebbero vista Germania e Francia, e tra Germania e Francia la partita era decisa fin dal principio. Forse la Reichswear sarebbe arrivata a Parigi anche prima dei 20 giorni previsti dal kaiser, considerato che anche il governo francese, nei suoi alti vertici, era screditato e debilitato dall’Affare Dreyfus.
La conseguenza di Al Jazirah fu che Francia e Inghilterra, e Inghilterra e Russia appianarono le loro controversie.
Nel 1907 la Duplice Intesa divenne Triplice Intesa, aderiva ufficialmente anche l’Impero Britannico. Quindi la Triplice Intesa era un qualcosa di forte, Francia e Inghilterra avevano appianato le loro divergenze in Africa, Inghilterra e Russia si erano messe d’accordo sulle loro rispettive zone d’influenza in Persia.
Mentre la Triplice Alleanza aveva il suo ventre molle, che era l’Italia, non perché l’Italia non avesse una sua potenza militare, l’Italia aveva una flotta da guerra eccezionale, ma era la classe dirigente italiana a non dare affidabilità. Non vi era alcuna concordanza di opinioni tra la linea politica della classe dirigente prussiana, quella di Berlino, e quella austro-ungarica di Vienna e di Budapest; che erano delle classi dirigenti conservatrici e tradizionaliste. In Italia vi erano i liberal-democratici, non vi era attinenza ideologica.
1908 la crisi balcanica. Fu l’epopea degli inganni delle diplomazie europee; fu un gioco a scacchi fra tre grandi uomini: Lord Gray (ministro degli esteri del governo inglese, liberale, quindi ministro degli esteri di sua maestà Edoardo VII), il ministro degli esteri russo barone Iswolsky, il barone Von Haerhental, ministro degli esteri austro-ungarico.
La Russia voleva arrivare a Costantinopoli, Von Haerhental propose a Iswolsky: “Voi a Costantinopoli, io contemporaneamente a Salonicco”. Lord Gray invece diceva: “Voi, tutti e due, non andate da nessuna parte”. Il kaiser promise al sultano l’appoggio tedesco. Von Haerhental, il ministro degli esteri austriaco, si muoveva senza l’appoggio di Berlino? No. Il kaiser da un lato aveva promesso il suo aiuto militare al sultano, dall’altro, segretamente aveva fatto capire all’imperatore Francesco Giuseppe che aveva dovuto fare quel gesto ma in sostanza la Germania onorerà il patto di alleanza con l’Austria. Lo onorerà anche l’Italia.
Lord Gray, per evitare il peggio, perché ormai c’era la triplice intesa, aveva detto a Iswolsky:
“Va bene, muoviti tu per primo, ti lascio arrivare a Costantinopoli a condizione che gli austriaci a Salonicco non devono assolutamente arrivare”.
La crisi era scoppiata perché in Turchia, nel 1908, il partito dei giovani turchi si era imposto al sultano nel tentativo di rimodernare lo stato. Iswolsky si muove, Von Haerhental pure, Lord Gray, nel momento opportuno, smentisce entrambi, Von Bülow, da Berlino, smentisce tutti.
E’ il gioco degli inganni. Funziona solo l’accordo Berlino-Vienna, perchè è l’Austria ad ottenerne i vantaggi. Abbiamo visto che, al Congresso di Berlino, la Bosnia Erzegovina era sotto occupazione militare austriaca, ma l’autorità civile era ancora ottomana. Nel 1908 la Bosnia Erzegovina diventa parte integrante dell’impero Austro-Ungarico. Geograficamente era un qualcosa di molto importante, perché la Bosnia Erzegovina si incuneava tra la Dalmazia costiera, abitata da Italiani, e la Croazia, che stava a nord. Quindi l’Austria acquisiva un vantaggio territoriale enorme.
Von Bülow a Berlino commentò: “Tutto ciò che rafforza l’Austria, rafforza anche la Germania” . Sonnino, ministro degli esteri italiano,disse: “Si…Benissimo, ma la Triplice Alleanza dice che se l’Austria si ingrandisce nei Balcani, deve dare all’Italia un compenso nel Trentino”.
Von Haerhental, sarcastico, rispose: “Fatevelo dare da coloro che avete mandato due anni fa ad Al Jazera” però Von Haerhental in questa maniera suscitava animosità.
1910, in Italia era nato il partito nazionalista, tutta la cultura italiana era nazionalista, vi erano pochissime smagliature: da Pascoli a D’Annunzio, da Verga a Grazia Deledda, dal regno alla voce; non vi erano eccezioni, sotto certi aspetti anche quell’intellettualità di sinistra minoritaria che faceva capo al Labriola e al Salvemini non erano estranee.
La Francia stava andando in Marocco, l’Italia rischiava di non avere nulla nemmeno questa volta. Il patto Torinetti-Barrer stava funzionando esclusivamente a favore dei francesi. Il Marchese di San Giuliano insisteva su Giolitti, era l’esponente non della destra, ma dell’estrema destra, era appoggiato non solo dai nazionalisti ma anche dal mondo cattolico, “Andiamo a prenderci la Tripolitania e la Pirenaica”.
Nel frattempo Von Bülow, nel 1909, aveva lasciato la cancelleria del Reich, ed era stato sostituito dal Barone Bethmann-Hollweg, il quale disse: “Cari amici meridionali della Triplice, la Germania non è contraria, però state attenti a non indebolire l’Impero Ottomano, andate a prendervi la Tripolitania e la Pirenaica, possibilmente senza far niente alla Turchia, perché la Germania si trova nell’infelice situazione di essere alleata sia con l’Italia nella Triplice Alleanza, sia alleata con l’Impero Ottomano con un’altra alleanza bilaterale.
Noi, dal campo italiano, nell’estate del 1911 proprio in occasione dei festeggiamenti del cinquantenario del regno, fuoco e fiamme per andare in Africa, bisognava far dimenticare le umiliazioni di Custoza,di Lissa e di Adua, che rappresentavano per il sentimento italiano un senso di frustrazione enorme, anche economicamente eravamo pesantemente handicappati dal ricordo di queste tre battaglie, in ogni discussione diplomatica, specialmente i francesi, non facevano altro che rivoltarle, loro aggiungevano anche Mentana.
Il 27 settembre si ebbe l’incidente diplomatico che Giolitti cercava. Un piroscafo turco, il Derna, carico di 20.000 fucili si stava recando da Costantinopoli a Bengasi, il capoluogo della Cirenaica, in previsione di un attacco italiano. L’Italia immediatamente lanciò l’ultimatum alla Sublime Porta “Ritirate immediatamente il Derna, altrimenti è la guerra”. Appena il Derma attraccò a Bengasi, l’ambasciatore italiano presso la Sublime Porta, consegnò la dichiarazione di guerra. Iniziava quella che è passata alla storia come la 2° GUERRA D’AFRICA.
Questa volta gli italiani avevano fatto le cose in grande stile, addirittura Giolitti era pronto ad attaccare con 100.000 uomini. Ma fu la flotta italiana a fare sfoggio della sua forza. Le corazzate italiane, erano oltre dieci, si presentarono davanti al porto di Tripoli e aprivano il fuoco.
Il 5 ottobre i reparti della San Marco, vale a dire la fanteria marina italiana, toccava piede in Tripolitania e qualche giorno dopo anche in Cirenaica issando il tricolore italiano. Un missionario agostiniano fissò sullo stesso cartello, il giorno dopo, una grande croce di Cristo, vale a dire che la Chiesa seguiva l’Italia nella speranza di cattolicizzare la Libia. L’Italia, secondo l’ottica di Pio IX, doveva portare la croce e mettere piede in terra musulmana. Secondo Pio IX bisognava prendersi la rivincita.
Il corpo di spedizione italiano era guidato dal generale Carlo Caneva. I Turchi abbandonano le città della costa: Tripoli (capoluogo della Tripolitania), Zwawa (città tripolitana che stava quasi a ridosso della Tunisia), qui gli italiani sbarcarono immediatamente, per impedire i rifornimenti che i francesi avrebbero dovuto dare ai turchi e ai ribelli arabi, poi l’antica città romana di Omsk, il porto delle Esperidi, Bengasi (capoluogo della Cirenaica), Derna (la perla della Cirenaica), e poi quella che sarà la più grande piazzaforte, la piazzaforte naturale.
I Turchi si ritirano nell’entroterra. Da Costantinopoli il sultano, nonostante che la Germania cercasse di frenarlo, dichiarò, spinto dai giovani turchi, la Guerra Santa contro gli infedeli italiani, eccitando quindi anche i musulmani arabi alla rivolta.
Vi furono dall’ottobre al dicembre la battaglia delle Dune e la battaglia di Aizuara, vittoriose per gli italiani. Gli italiani penetrarono anche nel di dentro, occupando Gadames(tra Tripolitania, Tunisia e Algeria), poi addirittura con una colonna celere, si spinsero verso la città misteriosa, all’estremo confine del Sahara, Gat, ma non riuscirono a penetrare nel Fezzan e nel territorio di Cufra, dove quei 20000 fucili diedero vigore alla resistenza e alla guerriglia arabo-turca.
La Turchia credeva con questa guerriglia di mettere in difficoltà l’Italia, ma il Marchese di San Giuliano non era uomo da lasciar a metà le cose, ordinò alla flotta italiana, che era un qualcosa di eccezionale, di muoversi. Le siluranti italiane fecero quello che i turchi non erano mai riusciti a fare, quello di penetrare nel Mar di Marmara, nello Stretto dei Dardanelli, bombardare Costantinopoli e silurare alcune navi della flotta turca. Mentre altri reparti della San Marco occuparono Rodi usando il tricolore italiano sull’antico castello dei Cavalieri di San Giovanni, e altre isole limitrofe.
A quel punto la Turchia, vinta, chiese la pace, abbiamo i Terminali di Ouki, tra il febbraio 1912, ratificati, poi, dalla pace di Losanna nell’ottobre.
Il sultano non cedeva la Tripolitania e la Cirenaica all’Italia, dichiarava che la Tripolitania e la Cirenaica non appartenevano più all’impero ottomano, erano indipendenti. Di fatto tutta la diplomazia internazionale riconobbe, su quei territori, la sovranità italiana.
Però la guerra di Libia aveva determinato quello che la Germania aveva sempre temuto,la crisi finale dell’Impero Ottomano. Approfittando dell’indebolimento dei turchi, gli Stati Balcanica, tutti, dalla Bulgaria alla Romania, dalla Serbia al Montenegro alla Svevia, si scatenarono contro Costantinopoli, e nel giro di pochi mesi sconfissero duramente l’Impero Ottomano, che veniva ridotto alla sola Costantinopoli, però poi, balcanicamente parlando, con la Pace di Bucarest, marzo del 1913, dell’Impero ottomano rimaneva solo la città di Costantinopoli e un retroterra, nemmeno la penisola di Gallipoli, nemmeno la piazzaforte di Adrianopoli. Però che successe?
Che nel dividere la costa, balcanicamente parlando, i vari contendenti si litigarono tra di loro: la Bulgaria, ormai pienamente indipendente, riteneva di aver fatto essa lo sforzo maggiore, e riteneva di essere più forte di tutti quanti gli altri Stati Balcanici messi insieme, e puntava sull’appoggio di Berlino e di Vienna. Tutti gli altri Stati, Romania, Svevia, Montenegro, Serbia, dichiararono guerra alla Bulgaria, si ha la Seconda Guerra Balcanica, e a questi Stati, con la speranza di recuperare qualcosa, si associa lo stesso Impero Ottomano. La Bulgaria viene sconfitta e perde la maggior parte dei territori acquisiti. La Macedonia, alla quale la Bulgaria aspirava, perché i macedoni erano affini ai Bulgari, viene spartita nella Pace di Londra, che conclude la Seconda Guerra Balcanica, agosto del 13, tra Grecia,(con Salonicco), con tanto di costernazione a Vienna, e Serbia. La Bulgaria cede la Dobrugia alla Romania, cede Adrianopoli e la penisola di Gallipoli alla Turchia, che così riesce a recuperare la parte di quel territorio e più o meno a raggiungere la consistenza dell’attuale Turchia europea. L’Albania viene proclamata indipendente. All’Albania aspiravano sia l’Austria che l’Italia, la Germania si mise in mezzo, disse “Perfetto, in Albania ci sarà una penetrazione economica paritaria italiana e austriaca, e a garanzia di tutto questo l’Albania viene proclamata Regno Indipendente e il Re d’Albania, altrimenti così vi picchiate tra di voi, sarà un principe tedesco, il Principe di Wied.
Ormai è l’autunno del 1913, ovunque la Bella Epoque volge al termine, ma in contemporanea alle guerre balcaniche, abbiamo la Seconda Crisi Marocchina, la Francia non si accontentava della penetrazione economica, la Francia voleva che il Marocco fosse parte integrante dello Stato francese, così come lo erano la Tunisia, l’Algeria, la Mauritania, il Senegal, la Francia aveva tutto da quelle parti. E così i francesi tentarono la spedizione militare. Il Kaiser mandò una nave da guerra tedesca nel Porto di Agadir, in Marocco, poi Francia e Germania si accordarono: la Germania acconsentì all’occupazione francese del Marocco, eccezion fatta per la parte settentrionale, occupata, invece, dagli spagnoli, molto più vicina a Berlino, Tangeri, di fronte all’Inghilterra, sarebbe stata città internazionale, i francesi avrebbero ceduto una fetta consistente di Congo Francese, di Africa equatoriale francese, al Camerun tedesco, quindi anche la Germania acquisiva una bella fetta di territorio, con molte materie prime, quelle zone erano zone assai ricche. Si concludeva così, pacificamente, anche la Seconda crisi marocchina.
Arriviamo al 1914. Cosa stava succedendo nei Balcani?
Ancor prima della crisi del 1908, la Serbia era in movimento, in Serbia, nel corso dell’800, vi era stata la lotta intestina tra due famiglie aristocratiche, entrambe protagoniste nelle guerre d’indipendenza serba contro i turchi, i Karageorgevich, filo-russi, gli Obrenovich, filo-austriaci.
1903: un’organizzazione terroristica serba, sorta pochi anni prima e diretta dallo stesso capo dei servizi segreti serbi, colonnello Dimitrievich, la Mano Nera, i tenenti della Mano Nera prendono, nel Palazzo Reale di Belgrado, e sterminano tutti gli Obrenovich, dal Re alla Regina, ai bambini piccoli, ai nipotini, tutti, “Perché anche i bambini piccoli, un domani diventeranno grandi”.
Quindi i Karageorgevich salgono definitivamente, per il momento, sul trono di Belgrado.
Quindi l’asse politico serbo è ormai tutto proteso verso Pietroburgo.
Il colonnello Dimitrievich, capo della Mano Nera, il vero uomo forte della Serbia, ormai, da capo dei servizi serbi, diviene il Ministro dell’Interno, ottenendo dal Re la sua proclamazione a generale, ma il generale Dimitrievich, dopo il 1908, stava a destabilizzare i territori meridionali dell’Impero austro-ungarico, quelli abitati da bosniaci, da croati, da sloveni.
Dopo morto Rodolfo era diventato erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando, il quale mirava a trasformare la duplice monarchia, in triplice monarchia, austro-ungarico-slava, era questo signore, ormai nel 1914, aveva 84 anni, dava ormai i segni di cedimento fisico, era chiaro che da un momento all’altro anche Francesco Giuseppe avrebbe raggiunto i suoi antenati nella Cripta dei Cappuccini, e Francesco Ferdinando, ormai, negli ultimi anni stava già lui assumendo molti compiti per conto e in nome dello zio, e per dimostrare che lui faceva sul serio, agli inizi dell’estate del 14, insieme alla moglie, la Contessa Sofia Carlotta(non Arciduchessa, perché il matrimonio tra Francesco Ferdinando e la moglie era solo un matrimonio morganatico, vale a dire loro erano a tutti gli effetti riconosciuti sia dallo Stato Austro-ungarico, sia per la Chiesa cattolica, marito e moglie, però per la Monarchia asburgica, lei non era niente, nel momento stesso n cui lui diventava l’Imperatore, lei non sarebbe diventata l’Imperatrice, era sua moglie ma con i vertici dello Stato austro-ungarico non c’entrava nulla).
Francesco Ferdinando organizzò un viaggio di propaganda per le province meridionali dell’Impero, fino a giungere a Sarajevo.
Siamo al 28 giugno del 1914, l’ultimo giorno della Bella Epoque. Nel pomeriggio del 28 giugno un sinistro rumore di colpi di pistola mise in soprassalto il mondo intero, svegliò le classi dirigenti europee dal torpore cui si erano adagiate, sperando in una pace quasi eterna, la Mano Nera era ancora una volta entrata in azione, uno studente serbo, aderente a questa organizzazione, Gavrilo Princip aveva sparato sia Ferdinando che alla moglie. Da un momento all’altro poteva succedere il peggio. L’Austria aveva tutti i motivi per marciare contro la Serbia, e nessuno poteva disconoscergli questo diritto, forse l’Austria sbagliò a non farlo direttamente, forse nessuno si sarebbe mosso, ma nelle diplomazie europee, dissero, troveremo una soluzione. A Vienna, ai funerali di Stato dell’arciduca, tutti immaginavano, “appianeremo le divergenze”. A quell’epoca, durante le grandi occasioni, che potevano essere di bianco, i grandi matrimoni, o di nero, i funerali, si riunivano gli esponenti di tutte le famiglie reali europee, che tra l’altro erano quasi tutte imparentate tra di loro, e appianavano tante situazioni. Ma pochi giorni dopo da Vienna giunse la notizia che non ci sarebbero stati i funerali di Stato, perché la corte viennese aveva deciso che non poteva fare i funerali al solo Francesco Ferdinando, da un punto di vista cattolico, diceva Francesco di Vienna, dovevano essere fatti i funerali insieme tra marito e moglie, tra l’altro erano morti insieme, però la corte viennese diceva: “La ballerina non entra!”, Sofia Carlotta era stata creata Contessa, in origine era una ballerina del teatro viennese, di cui Francesco Ferdinando si era invaghito, ecco perché il matrimonio era morganatico, quindi niente più funerali di Stato.
I Granduchi russi, che erano stati i primi a muoversi, si erano già subito messi in viaggio, erano già entrati in territorio austriaco, e la Russia era lo Stato che più poteva sostenere la Serbia, presero con le loro carrozze, la via del ritorno. L’Austria, comunque, manteneva un atteggiamento prudente. Tutti speravano, nel luglio del 14, che Sarajevo non avesse le conseguenze temute sulle prime, poi la Serbia, che era rimasta stordita, perché credeva subito di essere invasa, e aveva preso coraggio, fece resistenza alle pretese austriache. L’Austria che chiedeva? La proposta austriaca era molto semplice, lineare, ineccepibile da un punto di vista diplomatico, che fosse nominata una commissione di inchiesta di cui facessero parte anche dei giudici austriaci, perché se ci fossero stati soltanto i giudici serbi, si sapeva che la Mano Nera era lo stesso governo serbo. Non sarebbero approdati a nessuna conclusione. La Serbia diceva “No, i giudici devono essere esclusivamente serbi, altrimenti la presenza di giudici austriaci o di altri Stati europei negano la mia sovranità”.
Il 23 luglio, stanco di trattative insignificanti, il governo austriaco mandò l’ultimatum a Belgrado, era un ultimatum molto blando, in sostanza le richieste austriache sono le stesso, era blando perché non vi era il tradizionale “rispondete entro 72 ore”, ma “rispondete entro 5 giorni”.
Nonostante tutto il 28 luglio del 1914 l’ultimatum venne respinto, e chiaramente l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Nel giro di 5 giorni scattò quasi tutto il sistema di alleanze:
• due giorni dopo la Russia, alleata della Serbia, dichiarò guerra all’Austria;
a Berlino il Kaiser commentò “Mio cugino è diventato completamente matto! Con tanti problemi che tiene a casa sua!”, perché nel 1911 in Russia Stolypin, l’unico uomo che avrebbe potuto salvare la Russia dalla Monarchia degli zar, era stato assassinato, e, morto Stolypin, di riforme agrarie non se ne parlava più; la borghesia russa, peggio dell’aristocrazia più retriva, era sorta alle istanze del mondo contadino russo, che poi era la grande maggioranza della Russia stessa.
Quindi Austria dichiara guerra alla Serbia, la Russia dichiara guerra all’Austria;
• in base alla Triplice Alleanza, immediatamente, la Germania dichiara guerra alla Russia;
• in base alla Triplice Intesa, vedremo dopo, la Francia dichiara guerra alla Germania.
Arriviamo alla mattina del 2 agosto: tutti si aspettavano che la mattina del 2 agosto, in base al trattato della Triplice Alleanza, l’Italia immediatamente,senza tergiversare, o discutere, doveva dichiarare guerra alla Francia. Tra l’altro alcuni uomini di spettacolo italiani, avevano già coniato una canzone, anti-francese, canzone che poi, tra l’latro, verrà ripresa 25 anni dopo.
La mattina del 2 Agosto del 1914 il Marchese di San Giuliano viene trovato morto nel suo albergo romano,mentre lui era di Palermo. Oggi noi sappiamo, dal 1997, che il Marchese di San Giuliano era stato assassinato, di fatti la notte tra l’1 e il 2 agosto del 1914, a Roma vi era stato una specie di colpo di Stato strisciante nell’ombra, oggi noi sappiamo che nel vestito del marchese di San Giuliano, che aveva già prenotato la sua corsa per Palazzo Veronese, c’era la dichiarazione di guerra alla Francia già regolarmente firmata dal Re Vittorio Emanuele III. Al di San Giuliano succede il Sonnino, il quale, nel pomeriggio del 2 agosto, lasciando tutti di stucco, proclama, invece, la neutralità dell’Italia.

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