Il P.S.I. degli anni '80 e la lezione di Bettino Craxi

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Testo

• Il P.S.I. degli anni '80 e la lezione di Bettino Craxi
Liberalsocialisti, Liberaldemocratici (3)
Una divisione da ricomporre
PIERO CRAVERI

Gli anni '80 sono passati rapidamente, tuttavia sono assai densi insieme di speranze e infine di grandi delusioni e comunque hanno lasciato traccia indelebile sui problemi della politica italiana. Quindi vorrei procedere per interrogativi.
Il primo che mi sono posto, forzando un po' quella che per uno storico è una elementare deontologia di non procedere con la storia dei "se", è stato quello di chiedermi di che cosa sarebbe successo, non solo per il Partito Socialista, ma per il nostro paese se non ci fosse stato il Midas.
Fabrizio Cicchitto in una bella storia del Partito Socialista di questo periodo, con qualche virgola e punto e virgola partigiano, come è naturale che sia, dice che il Midas è stato una rivoluzione per il Partito Socialista. Direi che è stata il completamento rivoluzionario di un corso che era incominciato nel 1956, nel senso che allora vennero rotte le più stringenti gomene che tenevano il Partito Socialista, in bilico tra la sinistra comunista e quella liberal-democratica. Ambiguità tuttavia che il Partito Socialista aveva poi continuato a conservare, dopo la stagione di centrosinistra. Era stato possibile, alla segreteria De Martino, concepire negli anni '70 la formula degli "equilibri più avanzati" che portava all'annullamento dello stesso Partito Socialista nell'area comunista. Da questo punto di vista l'operazione MIDAS fu rapida, decisa e portò definitivamente e irreversibilmente il Partito Socialista nell'area dei partiti socialisti e democratici europei.
Ma per il nostro Paese che cosa fu il Midas? Io credo che sia stata la garanzia di una continuità fondamentale, quella dei presupposti e dei principi liberaldemocratici del nostro ordinamento costituzionale e del nostro sistema politico. Guardate gli anni '74, '75. Furono molto bui per questo Paese, c'era una crisi economica molto profonda, c'era la deriva terroristica che montava, c'era l'avanzata comunista, che è il contesto da cui bisogna partire, e da cui il Midas ha districato non solo il Partito Socialista ma l'intero paese. Negli anni '74-'75 brillò una sola luce dal punto di vista liberaldemocratico: quella radicale con il referendum sul divorzio. Fu l'unico partito che chiaramente tenne in piedi la prospettiva liberaldemocratica.
Il caso radicale è eccezionale nella storia italiana, perché non si dà altro caso - con una continuità di presenza sulla scena politica -, di una estrema minoranza che riesce a trasformarsi in movimento politico e ad entrare nelle istituzioni. Credo che alla base, oltre alle capacità del suo leader, ci sia stato il fatto che in quegli anni ha rappresentato, pressochè da sola, una continuità fondamentale nel sistema istituzionale-politico italiano. La svolta del Midas, la leadership di Craxi riportò il Partito Socialista sulle derive libertarie a difesa di questi principi sostanziali, sui quali pure reggeva l'ordinamento costituzionale italiano. Vorrei ricordare che in quel momento l'operazione di compromesso storico era all'apice del suo svolgimento.
Bisogna fare il punto su cosa rappresentava il compromesso storico allora e che tipo di minaccia era per la continuazione di una concezione liberaldemocratica degli ordinamenti costituzionali e della vita politica del Paese. Dopo le elezioni del 1976, in vero, non si sarebbe potuto fare molto altro che governi di unità nazionale, era un passaggio necessario. E fu anche un passaggio politico che ebbe la sua positività. Quelli furono anni di grande riformismo sociale, mettemmo a punto il nostro sistema di welfare.
Ma quello che vi era caricato sopra e che pesava nella vita del paese era l'idea che quella operazione, soprattutto da parte comunista (Berlinguer in primo luogo ne era il teorico, e con lui l'egemonia culturale comunista era molto forte) dovesse diventare una formula permanente della vita politica italiana, come venne poi dimostrato in lungo e in largo dalla critica dei socialisti durante quella stagione, che fu anche la stagione di Mondo Operaio,adesso storicamente molto rivalutata, una stagione importante, che iniziò proprio nel '76-'77-'78: e fu di critica molto calibrata e puntuale e divenne un punto di riferimento del dibattito intellettuale e politico del Paese proprio sulla caduta che attraverso questa idea del compromesso storico permanente sarebbero arrivati i principi fondamentali della democrazia italiana. Incominciando dal principio del primato del parlamento sul governo, contro cui in breve Craxi oppose il principio della governabilità nel Parlamento. Guardate che il principio della governabilità contro il primato assembleare del Parlamento è cosa di fine ottocento, un tema centrale, fondante per le democrazie in Europa, che arriva assai tardivamente in Italia.
Quindi da lì inizia realmente un nuovo corso che è stato come un rimettere sui giusti binari il sistema politico italiano. Da lì è emersa anche necessariamente la centralità socialista nel sistema politico italiano, che ha spiazzato profondamente la Democrazia Cristiana, che per forza politica, anche per meriti storici, quella centralità politica occupava. Da lì è iniziato il duello socialista/democristiano, nel senso che i socialisti con una posizione più avanzata e moderna, erano andati a occupare il posto centrale che era stato dei dc, che i democristiani avevano difficoltà a rioccupare. Perché i dati ideali sono fondamentali in un sistema politico, non si vedono, ma sono il riferimento centrale dei processi.
Noi non siamo stati mai amici dell'onorevole De Mita, però non era e non è uno sciocco, il problema se l'era posto. Come? Aveva avuto l'idea che per un partito come la DC per ricollocarsi a destra doveva riprendere a recuperare da destra, lungo una deriva neoconservatrice che si nutriva del liberismo allora all'ordine del giorno nell'arena internazionale.
Uno dei problemi fondamentali è che nell'arco degli anni che vanno dal 1970 al 1985 cambia la prospettiva mondiale. Cito sempre agli studenti il dato che la percentuale di interscambio sul prodotto lordo mondiale del 1914 viene riraggiunta nel 1970! Là in mezzo c'è l'avvallamento del secolo breve, quello che si concentra sui mercati interni, sulle dinamiche nazionali e da cui il dopoguerra è una lenta fuoriuscita, che si accelera negli anni '70 anche a causa di due shock petroliferi, che portano alla fine del sistema dei cambi fissi e l'inizio del sistema di cambi flessibili. Il processo di internazionalizzazione è rapidissimo, avanza in termini esponenziali e cambia tutti i termini dei rapporti economico-politici. E' lì che finirà il comunismo, perché non potrà più far fronte a questo processo travolgente che in qualche modo l'economia capitalistica aveva messo in moto. Ma è lì che crollano anche le socialdemocrazie, quella che si chiama oggi la "socialdemocrazie pesanti".
E ciò per due ordini di motivi.Innanzitutto perché il sistema classico socialdemocratico è un sistema statalista costruito sul mercato interno; quando questo incomincia a non essere più la base fondamentale dell'economia non ci sono più i presupposti dottrinali, pratici per continuare a operare. Del resto questa è anche la ragione della crisi del keynesismo che si fa evidente a partire dagli anni '70.
Poi perché a ciò si è accompagnata la lenta emersione di una società diversa. Chi sta dietro alle lotte per il divorzio? Non più la vecchia società di massa, ma una società in cui la dimensione individuale è sempre più forte; più forte nella stratificazione economica e sociale, soprattutto in un Paese come l'Italia che poco ha consolidato il sistema della grande impresa e i cui "animal-spirits", si sono manifestate in un grande tessuto capillare ed espanso, attraverso figure sociali sempre più autonom dal sistema politico. L'Italia è stato un Paese sempre dipendente dallo Stato a qualsiasi livello, dalla grande industria al bracciante, che doveva passare per l'ufficio del lavoro per essere assunto, al commerciante per le licenze, insomma un'economia tutta controllata, tutta dipendente.
E' negli anni '70-'80 che si consolida definitivamente un meccanismo da questo punto di vista di profonda trasformazione. E ciò viene colto subito dal nuovo Partito Socialista che nasce dal Midas.
Quattro sono le direttrici di mutamento fondamentale: la prima nasce dalla critica all'idea del compromesso storico permanente. L'articolo di Craxi sull'Avanti! sulla grande riforma è del settembre 1979. Il problema con lucidità era stato posto allora. Si dice che Craxi l'aveva calato dall'alto. Per niente! Craxi allineò la sua proposta politica, che era più matura e più congegnata di altre, rispetto a eventi come quelli degli anni '70 in cui era chiaro che il sistema non funzionava più. Ma, scusate, Fanfani che fece la battaglia antidivorzista, che fu quello che prima di De Mita capì che la DC doveva recuperare da destra, che via cercò? Cercò una via plebiscitaria e alternativistica, una rottura del sistema politico. Le carte ci dicono chiaramente che Moro non pensava di rendere permanente l'alleanza coi comunisti, pensava di passare per quella cruna d'ago probabilmente per andare alla soluzione alternativistica. Cioè anche i grandi leader della Democrazia Cristiana - e questi la testa ce l'avevano - avevano avuto delle idee molto simili a Craxi, che però le formulòa in termini più maturi e più espliciti, mettendole efficacemente sul tavolo, come occorre fare in una democrazia.

Chi resta congelato è Berlinguer. La storiografia comunista, distingue un primo Berlinguer da un secondo: secondo me Berlinguer è stato sempre lo stesso. D'altra parte adesso, devo dire con grande liberalità, l'Istituto Gramsci comincia a fornire agli studiosi le carte di quel periodo, tra cui anche alcune del Fondo Berlinguer, per esempio le note che Tonino Tatò - segretario di Berlinguer, legatissimo a Franco Rodano - forniva a Berlinguer sulla politica italiana sia nei suoi aspetti minuti sia in termini di prospettiva.
D'altra parte alcune cose ora si incominciano a sapere con più precisione di prima. L'archivio del PCI, le stesse carte del fondo Berlinguer, cominciano ad essere indagate da più studiosi. Ed emerge chiaramente come la concezione di Berlinguer, fosse chiusa nel concepire il compromesso storico come dato permanente in cui imprigionare chiudere la democrazia italiana, e in cui gli unici due protagonisti virtuali fossero i comunisti e i cattolici. Ha ragione Stefania Craxi quando dice che Berlinguer era il vero conservatore. Altro che conservatore! La sua ipotesi è quella del congelamento di una posizione politica che non ha più nulla a che fare con ciò che succedeva nel mondo ed è il momento della definitiva e profonda rottura tra i due grandi partiti della sinistra italiana, quello comunista e quello socialista. Non fu Craxi a determinare questa rottura assoluta. Ho trovato nelle carte Berlinguer una nota di Antonio Tatò, il capodella segreteria di Berlinguer, in cui questi riferisce di essere stato chiamato da Scalfari, il quale lo avrebbe informato che in un incontro verificatosi tra la delegazione dell'editoriale La Repubblica - lui, Caracciolo, Zanetti, ecc. - e una delegazione ufficiale del Partito Socialista di cui facevano parte Craxi, De Michelis, Martelli e Manca. Craxi, siamo nel marzo del 1981, aveva detto loro, pregandoli di farlo sapere alla segreteria comunista: "Desidero un canale per far arrivare direttamente questa proposta. I comunisti hanno il 30%, tanto di cappello, ma che se ne fanno? La mia proposta è questa: se i comunisti propongono a Pertini la presidenza socialista alla caduta del governo Forlani, noi già da ora vi diciamo che, qualora i comunisti prendessero questo impegno, nel congresso che andiamo a fare, dichiareremo solennemente la piena agibilità dei comunisti al governo". Dice inoltre: "Fate presente ai comunisti che noi siamo in grado, su quella proposta da voi sostenuta, di dire che certamente la DC avrà dei problemi. Se ci sta va bene, faremo un governo con la DC e sia chiaro che lo facciamo concordando un programma tra socialisti e comunisti. Se non ci sta ricordate che abbiamo lo strumento di pressione, perché c'è un'area laica e socialista a cui noi siamo legati che ha una potenzialità - salvo i repubblicani, che sono schierati altrimenti - del 10%. Io conto di andare sul 14-15" ed era un conto realistico, perché poi ci è arrivato.
Questa proposta sarà stata tattica però era nel bagaglio politico di Craxi. Sono i comunisti che hanno detto fermamente di no, sono loro che hanno diviso profondamente la sinistra. Al Congresso del PCI del 1982 Craxi andò, portando un saluto non rituale, duro ma aperto, improntato a lealtà.
Io ho trovato una nota di Tatò un giudizio su Craxi del '78 che, se non fosse documento storico, sarebbe quasi impubblicabile. E' una nota talebana! Sono dieci pagine di insulti! Era questo che avevano in testa!
L'altro giorno ero a Napoli e siccome presentavano la rivista "Italiani europei" e c'era Giuliano Amato con altri compagni diessini, sono andato a sentire. Nel dibattito si è alzato un vecchio compagno comunista, segretario di una sezione, e ha fatto una domanda rivolta a Giuliano Amato: "Abbiamo da ultimo fatto un congresso in cui, stringi, stringi, il punto era o non era un ritorniamo a Craxi"? Allora Giuliano ha cominciato ad arrampicarsi sugli specchi e con la sua indubbia capacità dialogica ha detto sostanzialmente "dobbiamo andare oltre e lasciarci il passato alle spalle".
Ma non è così! Io non voglio usare la formula, che per un problema storico più serio di quello della sinistra italiana è stato usato nella recente storia europea, in particolare per la Germania, cioè quella del "passato che non passa". Ma la sinistra italiana è affetta profondamente proprio da un passato che non passa, perché il passato è quello che abbiamo vissuto, è la nostra identità! Mica si cancella così! E questa identità non è solo la nostra storia, è stata anche quella dei padri, perfino quella dei nonni, e copre quasi un secolo alle spalle! E non solo è la storia di ciascuno di noi, ma quella stessa del nostro paese, di cui il socialismo è stata una pagina centrale. Se non si chiariscono questi punti non si procede di un passo verso nessuna direzione.
La seconda direttrice di marcia fondamentale fu la scelta internazionale, simbolizzata dalla decisione sugli euromissili. Quello fu un allineamento decisivo. Non entro ora nel merito, ma la DC è stata un partito atlantico molto frammisto e ambiguo, l'Italia non è mai stata un paese affidabile. Le difficoltà che incontra Berlusconi sono sue, ma sono anche il retaggio di una storia. Ebbene, Craxi fu netto, divenne un referente fondamentale tra i partiti socialisti europei e gli Stati Uniti d'America. Poi c'è stata Sigonella su cui pure non entro nel merito, variante che merita di essere interpretata, comunque la scelta atlantica fu nettissima.
La terza direttiva fuscelta nazionale. Tutti i partiti socialisti europei negli anni '80 hanno recuperato la tradizione nazionale, Mitterand si è messo a fare del gollismo, Blair comunque ha assorbito una parte della tradizione conservatrice, Schroeder sta facendo lo stesso. L'elemento nazionale è un fortissimo coagulante perché ti permette di giostrare su due elementi terribilmente contraddittori della politica oggi: quello per cui devi badare ad alcuni interessi del vecchio, perché esistono pur sempre gli operai, gli impiegati, il problema del welfare da mediare con la società nuova, ma come le medi? Con le formule? Insomma un ancoraggio alla tradizione nazionale è fondamentale e pone la sinistra europea in una posizione più avanzata dei conservatori, proprio perché ha l'asse nazionale e nello stesso tempo queste capacità di mediazione che gli altri non hanno.
Infine, come quarta direttiva,la scelta riformista. In parte ho già detto, ma anche qui bisognerebbe soffermarsi. Negli anni '80 siamo alle scelte fondamentali, è stato anche teorizzato che con essa si ha la fine delle "socialdemocrazie pesanti", però la verità è che la tradizione socialista storica si trova ovunque in grande difficoltà e opera la sua trasformazione in liberalsocialismo, portando la sua capacità di tradizione di governo, di un certo tipo di opinione, di strumenti di massa come il sindacato, all'interno di questa dinamica e dialettica nuova.
Non dimentichiamoci che Rimini è dell''82. In quegli anni Mitterand, che è andato al governo col "programma comune delle sinistre", uno dei più arcaici strumenti programmatici, cambia governo e butta a mare il programma comune e così gli altri partiti socialisti. Quello è il momento della svolta che il Partito Socialista di Craxi e dei suoi compagni fu pronto a cogliere con equilibrio ed intelligenza. Il Governo Craxi si mosse in questa direzione e portò a una stabilizzazione del Paese. Vi ricordate che Paese avevamo? Il tasso di inflazione scese, il terrorismo, per la chiarezza dei rapporti internazionali, si chiuse, la politica europea, che era fondamentale, fu del governo Craxi. Rimase aperta la valvola del debito pubblico, che Craxi non potè e non volle affrontare. L'apice del debito pubblico fu il governo Spadolini, poi si trascurò il problema troppo oltre.
Chiudo così con un rilievo più generale. E' possibile avvertire con tanta chiarezza nel settembre 1979 il problema della "grande riforma" e nel 1989 fare il patto più doroteo dei patti dorotei con una parte della Democrazia Cristiana? Lì c'è stato un allungamento di tempi che aveva anche una logica politica, io non formulo una critica, ma dico che c'è questo problema e mi permetto di osservare che anche sul terreno della grande riforma, tra le prime enunciazioni e il congresso di Rimini, ci sono varie oscillazioni, presidenzialismo no/sì ecc., poi a Rimini si precisa in un certo modo quella formula. Ma quella formula ha avuto sempre il limite di non avere come corrispettivo una strategia politica di amalgama di forze omogenee. Non era colpa di Craxi, i comunisti avevano grosse responsabilità, ma questa discrasia c'è stata. Martelli per esempio spinge lungo tutto il decennio sulla deriva del rapporto socialisti-laici al fine di trascinare anche i comunisti, fino ai referendum. Quella era una linea però non la si imboccò mai definitivamente. Penso che questi furono alcuni dei nodi fondamentali che allora non si risolsero.
Ho un disprezzo intellettuale nei riguardi di un certo tipo di sinistra, penso soprattutto alla vicenda giudiziaria e ai suoi risvolti politici, quando una sinistra fa quello che ha fatto questa nostra sinistra di oggi, come si può averci a che fare? Quante ottime sentenze abbiamo avuto dalla magistratura che meriterebbero di essere raccolte! Però dieci anni dopo! Per questo e altre cose i miei sentimenti sono piuttosto a "destra", anche se non organici alla destra.
Però certo quando vedo risultati come quelli siciliani mi preoccupo, perché così non andremo verso un sistema alternativo, ma verso un sistema alla giapponese! La sinistra si deve riprendere! Vedete di portare un contributo che sia sostanziale e fondamentale per uscire da questa situazione. Grazie.
• La crisi dell'internazionalismo socialista
Liberalsocialisti, Liberaldemocratici (4)
Una divisione da ricomporre
PIO MARCONI

Nel secondo dopoguerra l'internazionalismo socialista vive in Europa una stagione di grande vitalità. I partiti socialisti europei riescono a porre in atto un programma di coerente difesa del mercato e delle libertà individuali strettamente collegata a principi di equa distribuzione delle risorse sia all'interno della società europea sia all'esterno. I punti salienti del programma e dell'innovazione socialista in questa fase sono almeno quattro.
1 L'antitotalitarismo coerente. I socialisti europei non hanno considerato il 1945 come una data terminale della lotta antifascista ed antitotalitaria. A partire dalla fine del conflitto mondiale hanno costantemente agito per il proseguimento del processo di consolidamento delle libertà nel continente. Il 1945, 25 aprile e 8 maggio, aveva portato alla sconfitta del fascismo e del nazismo, ma l'Europa era costretta ancora a convivere con le macerie degli anni '20 e degli anni '30. In Spagna e in Portogallo esistevano regimi autoritari, in Grecia esisteva una democrazia in bilico poi sfociata nel regime dei colonnelli e ad est, al nazismo che aveva privato di libertà Stati indipendenti ed anche paesi di solida tradizione liberale, si era sostituito l'imperialismo sovietico, e l'instaurazione di democrazie popolari non supportate dal consento elettorale ma dalla presenza e dalla vigilanza dell'Armata Rossa. In tale contesto l'Internazionale Socialista e molti partiti socialisti d'Europa svolgono un ruolo coerente per liberare il continente dal fascismo: aiuto alla resistenza spagnola, a quella portoghese, a quella greca durante il regime dei colonnelli, con episodi spesso dimenticati di geometrica trasgressione libertaria: l'Ambasciatore della Germania a guida socialista prende con la sua automobile Panagulis e lo porta in salvo in una base Nato. Fatti che rompono col diritto internazionale ma che fanno sentire un'attività del socialismo europeo impegnata nella battaglia per le libertà fondamentali e per un'Europa libera. L'aspetto distintivo di questa battaglia antitotalitaria si percepisce pienamente quando si pensa al ruolo avuto dal socialismo europeo nella contestazione e nella lotta contro il regime sovietico. I partiti socialisti europei non si adagiano sulla realpolitik che sta spesso alle spalle della politica della pacifica coesistenza ma sostengono una battaglia per la condanna e l'isolamento dell'imperialismo sovietico. In questa azione le posizioni socialiste europee appaiono spesso più radicali di quelle dei partiti liberali conservatori. La politica degli interessi fa si che a volte formazioni di destra liberale o popolare abbiano avuto forme di condiscendenza e di tolleranza verso il regime imposto all'URSS e alle democrazie popolari. L'azione dei socialisti negli anni settanta ed ottanta porta alla denuncia degli orrori del breznevismo, alla analisi delle continuità del regime sovietico, alla presa di coscienza dell'Europa della insostenibilità di una vicinanza ostile e liberticida, al supporto delle opposizioni nei paesi dell'est, al crollo di un'esperienza politica autoritaria e disumana. I socialisti francesi, italiani, spagnoli, tedeschi si impegnano nel sostegno del dissenso nei paesi dell'Est così come si impegnano in scelte politico militari di contrasto dell'aggressività delle politiche militare dell'era Breznev.
2. L'equa distribuzione delle risorse. Nel secondo dopoguerra si forma in Europa un diffuso sistema di protezione sociale. Cambia nel continente la natura della cittadinanza. Essa non si riduce a dei diritti formali ma include la protezione dai disagi e dalle deprivazioni che spesso accompagnano il meccanismo del mercato e la produzione industriale di tipo fordiano. Il sistema di protezione sociale viene organizzato con il ricorso a due strumenti. Il primo è quello dell'intervento pubblico, strumento tradizionale e già sperimentato nel new deal. Il secondo è quello innovativo del conflitto. I socialisti tendono ad introdurre negli ordinamenti europei i principi di una democrazia conflittuale del lavoro. In essa la tutela degli interessi è affidata allo scontro/incontro delle parti sociali. Un meccanismo che consente di collegare le logiche del mercato, dell'utile di impresa, e dei cicli economici con quelle della difesa degli strati sociali più deboli e delle posizioni più deboli nel mercato del lavoro.
3. L'anticolonialismo coerente. I socialisti al governo, in Inghilterra così come in Francia, accelerano il processo di demolizione del sistema coloniale. Fa da battistrada l'Inghilterra laburista con l'indipendenza dell'India. Segue il ritiro francese dal Vietnam. Viene poi l'impegno socialista a favore del processo accelerato di decolonizzazione che esplode nel 1960. Si tratta di una scelta anticolonialista ed antimperialista coerente e senza paraocchi. I partiti socialisti europei offrono il loro sostegno sia alle lotte di liberazione da Stati collocati nello schieramento occidentale sia alla liberazione dall'imperialismo dell'Est e dall'espansionismo sovietico che si manifesta in Angola, nel corno d'Africa, in Afganistan.
4. La difesa delle libertà fondamentali. Nel secondo dopoguerra i socialisti in Europa svolgono un ruolo di supplenza rispetto alle deficienze di partiti liberali conservatori. I partiti conservatori in Europa negli anni '50 e '60 non riescono sempre a essere coerentemente liberali, a garantire le libertà fondamentali. Uno dei problemi dei partiti conservatori europei è l'ipoteca confessionale, che riguarda sia i partiti conservatori italiano, tedesco, in parte francese, prima dell'avvento di De Gaulle, ma perfino i conservatori inglesi, che hanno un legame strettissimo con la chiesa anglicana. L'ipoteca confessionale porta spesso i partiti conservatori ad assumere posizioni restrittive soprattutto in materia di libertà della cultura, della scienza, della manifestazione dell'arte e del pensiero. I conservatori liberali manifestano poi spesso una politica in materia penale e processuale ispirata a principi di tipo autoritario.Va viceversa attribuita ai socialisti europei la battaglia per la libertà della cultura, per la libertà della scienza, per le libertà di movimento, per le libertà civili. In materia processuale e penale: per il giusto processo e per una concezione della pena risocializzante e non puramente escludente.
A partire dal 1989, dopo che le idee propugnate dai socialisti europei trionfano con la caduta dei regimi comunisti dell'est, si comincia ad assistere ad una forma di deperimento della carica innovativa della politica dell'internazionalismo socialista.
Non si tratta soltanto della questione dell'ingresso dei partiti ex comunisti nell'internazionale ma del modo in cui esso viene gestito e promosso. L'internazionale accoglie dopo l'89 la maggioranza dei partiti ex comunisti dell'Est. L'unica condizione posta è che al vertice di essi non siano personaggi troppo compromessi con l'occupazione sovietica. Manca un processo critico sul significato che i regimi comunisti hanno avuto nell'Europa centro orientale. Manca un'analisi sul ruolo degenerativo dell'intervento pubblico nell'economia e nel mercato, manca una riflessione sui limiti insormontabili dei regimi tecnocratici, è assente una diagnosi delle degenerazioni prodotte da politiche fondate sulla mobilitazione e sulla propaganda.
L'ingresso degli ex comunisti viene considerato, nel socialismo europeo, come la chiusura di una lunga parentesi. Le scissioni degli anni venti sono state ricucite ed una esperienza politica ritorna nell'alveo socialista. Quel che stenta ad emergere è il cambiamento sociale intervenuto e che le politiche socialiste del XX secolo devono essere adeguate a modelli nuovi di organizzazione sociale e di organizzazione della politica.
La strategia dei partiti socialisti dell'Europa continentale nel corso dell'ultimo decennio si articola su tre temi: politically correct, contestazione delle politiche neoliberali, modulazione di misure sociali di tipo tradizionale e orientate ad un modello di sviluppo di tipo fordiano. Certo ci sono le eccezioni, prima fra tutte quella di Blair e dei nuovi laburisti inglesi. Ma lo zoccolo duro della politica socialista europea sembra fortemente agganciato a quei temi.
Cominciamo dalla political correctness. Nella propaganda socialista essa appare come una versione dolce del riformismo, soprattutto come una forma di riformismo a costi zero, incapace cioè di incidere nei rapporti sociali. Come spesso accade l'argomentare politicamente corretto copre una realtà che è sostanzialmente scorretta. Penso ad esempio alle campagne di tanti partiti socialisti europei contro la discriminazione etnica. "Intolleranza zero" è un bellissimo slogan dei socialisti del Belgio. Esso ha però il difetto di rivolgersi alle coscienze e all'azione dei singoli. Senza che venga affrontato il problema strutturale della diseguaglianza etnica e dei differenziali economici che riducono in miseria una parte del mondo. Lo slogan sull'intolleranza zero copre a volte realtà non limpide, come quella del carattere discriminatorio di alcune politiche economiche sostenute proprio dai partiti socialisti europei. Non c'è dubbio che per esempio la politica di protezionismo dei prodotti europei sostenuta dai socialisti è il primo ostacolo allo sviluppo del Mezzogiorno planetario bloccato nelle esportazioni agricole. Il grande problema del Mezzogiorno planetario non è solo il risanamento di un debito che si può riprodurre, è piuttosto la possibilità di crescita, e questa non avviene finché i prodotti del Mezzogiorno planetario non possono circolare nel settentrione proletario.
Un secondo elemento unificante delle scelte socialiste in Europa e la polemica e la condanna delle politiche neoliberali. Il tema non è esaltante e sembra spesso una ripetizione dei ritornelli che in america latina intonano i postbrezneviani, Fidel Castro in testa. Dietro alla polemica contro le posizioni e le politiche neo liberali sta inoltre un grave equivoco di significati. Il fatto che i partiti che si contrappongono in Europa a quelli socialisti appartengono prevalentemente al lo schieramento liberale e popolare sembra giustificare la scelta socialista del contrasto delle strategie neoliberali. Ma questo produce innanzi tutto un appiattimento delle politiche socialiste sul fronte statalista, in secondo luogo una mancata comprensione dei problemi di libertà legati alla società della globalizzazione, in terzo luogo un'attenuazione delle spinte socialiste in direzione della crescita di libertà e democrazia nelle società europee. La polemica contro le posizioni neoliberiste colloca il socialismo europeo sul fronte delle sole riforme sociali attenuando l'impegno per una crescita democratica del continente e per la creazione di nuovi ulteriori spazi di libertà.

I presenza di una più forte integrazione europea non è ancora risolto ad esempio nelle analisi del socialismo europeo il problema della democrazia nelle istituzioni della Unione, i problemi di consenso legati ad una Commissione scelta dai governi e alla presenza di una tecnocrazia priva di legittimazione.
Il secondo punto inquietante è la politica della giustizia che sta conducendo il Partito Socialista europeo. La vicenda del mandato di cattura europeo è emblematica. La proposta del mandato di cattura europeo nasce da alcuni paesi con problemi di terrorismo, vedi la Spagna di Aznar, che non può tollerare che gli uomini dell'Eta possano circolare liberamente in Italia o in Francia. Ma di fronte a questa richiesta la scelta dei socialisti europei è di utilizzare, ai fini della prossima campagna elettorale delle europee, il mandato di cattura europeo per alimentare campagne di demonizzazione. La questione del mandato di cattura europeo pone dei seri problemi, perché vi è innanzitutto la lesione dei diritti fondamentali, viene leso il principio della tassatività del divieto penale ma soprattutto viene inciso la questione del diritto alla difesa: tu sei sottoposto alle decisioni di un qualsiasi giudice istruttore della Comunità e ti devi difendere non si sa in quale lingua, in un qualsiasi paese della Comunità. Il mandato di cattura europeo vuole essere introdotto in assenza di una organizzazione omogenea dell'ordinamento giudiziario, in presenza di un ordinamento giudiziario disomogeneo ed in presenza anche di fenomeni inquietanti di alterazione dei rapporti fra poteri che non riguardano soltanto l'Italia ma tutta l'Europa.
Il problema della espansione del potere giudiziario e del condizionamento esercitato su altri poteri dello Stato non riguarda soltanto l'Italia ma tutta l'Europa continentale. In Germania l'unificatore, colui che ha portato a conclusione il processo di crollo del regime comunista, della dittatura di Honecker e di unificazione della Germania, Kohl, è posto sotto processo. Non dimenticherò poi la vedova Mitterand che quando si reca a depositare la cauzione per il figlio arrestato, colpevole di aiuti internazionali, risponde ai giornalisti "Vado a consegnare il riscatto per mio figlio".
C'è un problema di espansione dei poteri giudiziari che rischia di modificare i connotati dello stato democratico di diritto. Occorre quindi ridisegnare i rapporti tra i poteri in Europa. Ed in particolare occorre controbilanciare la magistratura con un sistema forte di diritti del cittadino. L'Europa ha una forte disomogeneità, vive una cultura continentale della giustizia incompatibile con la cultura anglosassone. Il mandato di cattura europeo, in assenza di una revisione della Costituzione europea, rischia di trasformare l'Europa in un continente gestito dalle tecnocrazie comunitarie e sul quale pesa il potere di un'organizzazione giudiziaria europea, che trasforma la democrazia in Europa in democrazia sotto tutela.
Vi è poi, nella cultura del nuovo internazionalismo socialista, una forte incapacità di sostenere l'allargamento dei diritti sociali, c'è una forte riscoperta del dirigismo. Ma il dirigismo in materia economica e sociale è uno strumento adeguato all'età "fordiana", un'epoca nella quale esisteva la piena occupazione e il lavoro era prevalentemente di tipo dipendente. Il dirigismo sostenuto dai partiti socialisti europei è assolutamente inadeguato a gestire i nuovi bisogni della società della globalizzazione e della nuova economia. Prendo l'esempio delle 35 ore di Jospin: potrebbe avere aspetti bellissimi, "lavorare meno lavorare tutti". Ma qual è la contraddizione di questo sistema? Si introduce una riduzione dell'orario di lavoro che però pesa semplicemente sull'aggregato grande impresa e quindi non sviluppa nuovi posti di lavoro. Si dice di voler ridurre il carico di lavoro perché il lavoro è troppo faticoso. Ma quello che dimenticano gli utopisti del socialismo francese è che oggi il lavoro faticoso non è quello fordiano, non è il lavoro determinabile in termini di orario di lavoro. La società contemporanea fa sì che ormai esiste un lavoro molto organizzato e tendenzialmente meno faticoso: il lavoro dipendente nelle grandi strutture. Mentre il lavoro faticoso si trasferisce fuori dalle grandi strutture come lavoro autonomo.
E' poi carente l'analisi dei processi di globalizzazione. Tutti i problemi della globalizzazione vengono attribuiti, nei documenti dell'Internazionale Socialista e dai partiti socialisti europei, ad un sovraccarico di liberismo: c'è troppo liberismo e quindi esiste la differenza tra nord e sud. Ma la questione non è di quantità di liberismo, è se mai l'opposto: i problemi sociali connessi al processo di globalizzazione dell'economia sono dovuti prevalentemente alla mancanza di liberismo, non al suo eccesso. Pensiamo semplicemente ad alcuni fatti: l'Occidente con l'accordo dei socialisti europei vuole la libera circolazione delle merci. Però il sistema è molto strano: si libera la circolazione delle merci del Settentrione planetario, mentre quelle del Mezzogiorno si trovano davanti le barriere dell'Europa, ovvero le barriere degli Stati Uniti. Questo è semmai un difetto di liberismo! Alcuni esponenti di governo dei paesi africani stanno lanciano un segnale. Il dirigismo comunitario, questa ossessione sulla qualità dei cibi, dei prodotti, sulla protezione dei bambini dai giocattoli, porta a costituire barriere insormontabili per i prodotti del Sud del pianeta.. Le direttive in materia di sicurezza alimentare sono certo positive ma occorre considerare anche gli interessi retrostanti, quelli dell'imprenditoria agricola di paesi europei.
Mi viene da pensare alle origini del socialismo. Rispetto alle libertà politiche ci fu un dibattito che vide da una parte Marx e dall'altra Lassalle. Marx alla metà dell'ottocento condanna il liberalismo e le libertà fondamentali avendo in parte ragione. La rivoluzione liberale è stata infatti dimezzata, ha garantito le libertà civili ma non le libertà pubbliche. Lo stato liberale ottocentesco non dà il diritto di voto a tutti, in Italia dopo l'unità votano solo 200mila persone!. Marx traduce questa contraddizione dello stato liberale in una condanna dei principi di libertà. Nell'Ideologia tedesca afferma che i diritti dell'uomo sono una grande frode perché rappresentano semplicemente i diritti del borghese. Poi abbiamo un secondo socialismo, quello di Lassalle, il quale afferma che la rivoluzione liberale va completata e che al liberalismo dimezzato che attribuisce universalità soltanto al diritto di comprare o vendere occorre rispondere con il completamento dell'idea liberale cioè con la democrazia, con il suffragio universale. Oggi sulla globalizzazione si assiste allo stesso conflitto. La condanna socialista delle politiche neoliberali impedisce di comprendere come sia possibile svolgere una strategia di eguaglianza internazionale solo e soprattutto completando il processo di liberalizzazione a livello globale. Trasformando cioè i diritti universali delle merci in diritti universali delle persone. Oggi esiste una forte liberalizzazione dei mercati e delle merci e non esiste la liberalizzazione delle persone, noi possiamo vendere le nostre merci in tutto il mondo ma il tecnico indiano di informatica non può liberamente venire a portare le proprie conoscenze in Italia.
In un altro convegno mi ero indignato per il fatto che dopo l''89 sembrava che gli eroi del crollo dei regimi dell'Est fossero gli ex comunisti, ma non Dubcek che è dimenticato dall'Internazionale Socialista., e neppure il Gumulka del 1956. C'è una gigantesca rimozione sull'esperienza comunista. Cito alcuni documenti dell'Internazionale. New York 1996 "Il comunismo è stato uno sforzo di affermare la giustizia senza le libertà ed è stato un errore tragico". Una specie di "compagni che sbagliano" Parigi 1999 "La liquidazione del modello comunista come alternativa alle democrazie capitaliste ha accelerato la pressione del neoconservatorismo e del neoliberismo sulla società". Si stava meglio, insomma, quando si stava peggio! Addirittura c'è il rimpianto (non capisco se questi documenti li abbiano scritti gli eredi di Mitterand o di Schmidt o invece degli ex comunisti) per il fatto che la liquidazione del blocco comunista ha creato grandi sconvolgimenti.
C'è poi una cosa che continuo a rimproverare, ma che non so o non voglio spiegare. La grande forza dell'internazionalismo socialista era quella di aver recuperato le libertà fondamentali, la libertà della cultura e di essersi presentati in Europa come il socialismo della verità. C'è un libro bellissimo che anni fa hanno ristampato, "Il Dio che è fallito", dieci intellettuali ex comunisti che narrano come si radichi l'ideologia comunista. E che concludono affermando come il socialismo sia inscindibile dalla verità, come il machiavellismo sia la negazione di ogni emancipazione sociale.
Voglio concludere leggendo il documento con il quale l'Internazionale Socialista commenta l'uscita dell'on. D'Alema dalla presidenza del consiglio
"Massimo D'Alema vient d'annoncer sa démission de la Présidence du Conseil qu'il occupait depuis octobre 1998. Le Parti socialiste tient à lui rendre hommage pour l'action courageuse qu'il a entreprise pour réformer en profondeur la société italienne, tant au plan économique et social (rééquilibrage entre le Nord et le Mezzogiorno, ouverture du chantier de la modification du système de protection sociale) que de la modernisation de la vie politique (notamment par la réforme du mode de scrutin qui devrait être adopté par référendum le mois prochain). Le Parti socialiste réaffirme son amitié et son soutien aux Démocrates de Gauche (DS). Le parti socialiste est très préoccupé de la nature de l'alliance de droite qui a emporté les élections de dimanche qui regroupe autour de Silvio Berlusconi les séparatistes de Umberto Bossi (qui ne cache pas son amitié pour Jorg Haider) et les post-fascistes de Gianfranco Fini, dont un des chefs de file a été élu à la tête de la région du Latium''
Qualche postilla. L'internazionale dimentica che al posto di D'Alema ha assunto la presidenza del consiglio un socialista, Giuliano Amato, che ha sicuramente maggiori titoli per fregiarsi di quell'attributo. Poi c'è l'allarme per il successo dei postfascisti in una regione italiana. Giustissimo. Ma c'è anche l'omissione: le condoglianze per l'uscita dal governo sono state rivolte ad un ex comunista. La verità è sempre rivoluzionaria!

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