LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE

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Testo

LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE
“Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[…]”
Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32
• Quanti pensi che siano i bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano nei paesi in via di sviluppo?
Nel mondo ci sono circa due miliardi di bambini di età compresa da 0 a 18 anni, nove su dieci, pari all’87% vivono nei paesi in via di sviluppo. Circa il 61% dei bambini vive in Asia, pari a 153 milioni; il 32% (80 milioni) in Africa e il 7% (17,5 milioni) in America Latina.
L’ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, afferma che i bambini che lavorano siano 250 milioni di cui 140 bambini e 110 bambine.
Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia. Alcuni riescono a trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non ha mai messo piede in un’aula scolastica, ed è probabile che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti.
Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un’occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell’Est europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile transizione all’economia di mercato), e non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l’ISTAT ne ha censiti circa 145.000.
• Quali si possono considerare le cause di questo fenomeno?
L’intreccio tra povertà e lavoro minorile
Lo sfruttamento minorile è al tempo causa e conseguenza della povertà.
C’è una stretta relazione fra povertà e lavoro minorile, ma bisogna stare attenti a non tirare conclusioni affrettate. Non bisogna concludere che il lavoro minorile è un frutto inevitabile della povertà, perché ci sono delle nazioni con un reddito pro capite basso che hanno pochi bambini al lavoro e viceversa. Il lavoro minorile si sviluppa quando la gente deve affrontare da sola la propria povertà. Senza scuola e sanità gratuita, senza quella solidarietà sociale che consente di soddisfare almeno i bisogni di base, le famiglie devono chiedere a tutti i componenti, compresi i più piccoli, di darsi da fare per rispondere ad un unico imperativo: sopravvivere. Non bisogna aspettare la fine della povertà per togliere i bambini almeno dai quei lavori che ne pregiudicano la crescita fisica e intellettiva.
Altra causa è la sete di profitto: i padroni preferiscono assumere i bambini perché sono più docili, si lasciano sfruttare senza opporre resistenza, sono più abili e adatti per alcuni lavori, non scioperano.
Luoghi comuni : la povertà è causata dall’eccesso di popolazione, dal clima avverso e dall’arretratezza tecnologica. Ma la povertà dilaga anche in nazioni scarsamente popolate, con clima regolare, mezzi economici all’avanguardia. Tipico è il caso del Brasile.
"Sfruttamento intollerabile" l’impiego dei minori in attività nocive e/o pericolose per il fisico e la mente, lavori pesanti legati allo sfruttamento e alla schiavitù, la prostituzione e l’uso in traffici criminali.
"Sfruttamento infantile" occupazione a tempo pieno in età precoce, indebita pressione fisica, sociale o psicologica, vita per le strade in cattive condizioni, paga inadeguata, eccessive responsabilità, compromette la dignità del bambino e ne pregiudica lo sviluppo fisico, sociale, psicologico.
Sia l’Unicef che le strutture del commercio equo accettano una categoria di bambini lavoratori: quelli che aiutano all’interno della famiglia contadina o artigiana che lavora in proprio, purché per poche ore e si tratti di attività non pericolose per la crescita e sia possibile andare a scuola. Un lavoro autorganizzato o in famiglia (contadina o artigiana), che non interferisca con l’istruzione scolastica, con i momenti di divertimento o di riposo, che favorisca lo sviluppo fisico, mentale e sociale del bambino è positivo. A volte qualche ora di lavoro serve per pagarsi la scuola.
• Quali sono i paesi dove il fenomeno è maggiormente presente?
L’Asia è uno dei continenti dove il lavoro minorile non solo è numericamente maggiore, ma rappresenta un vero modello produttivo. I bambini si dedicano a ogni tipo di produzione lavoro nero subappalto: piantagioni, concerie, cave, miniere, lavoro tessili e di giocattoli, selezione rifiuti….Contribuisce a questo fenomeno la delocalizzazione operata dalle multinazionali occidentali in vari settori produttivi.
Alerosa dall’ Iran
I bambini vedono la situazione in Medio Oriente in grave peggioramento, la protezione della società verso di loro è insufficiente. La forte povertà e la scarsa istruzione creano le condizioni perché i bambini siano sfruttati e subiscano gravi e ripetuti abusi.
Le condizioni di lavoro devono migliorare anche per gli adulti che, avendo poche risorse, sono costretti a far lavorare anche i propri figli.
I governi e le società civili devono impegnarsi sul Medio Oriente per generare nuove Leggi nazionali ed internazionali che si basino sulle Convenzioni 182 e 138. Noi bambini vogliamo poter andare a scuola per migliorare le nostre condizioni di vita.
Il lavoro infantile è un male che dobbiamo sconfiggere tutti insieme

In Africa
lavora un bambino su tre, ma prevalentemente nell’agricoltura familiare, approvvigionamento dei beni essenziali. Il degrado dell’economia con l’aumento del debito estero, la caduta dei prezzi dei prodotti di base e la riduzione delle spese sociali ha favorito il lavoro minorile nel settore informale.
Nell'Africa di oggi il mercato degli schiavi è ancora fiorente, ma la merce è cambiata perché le vittime sono soprattutto i bambini. Il traffico di minorenni è gestito da racket organizzati in modo capillare sul territorio. I piccoli schiavi vengono trasportati nelle piantagioni della Costa D'Avorio, del Gabon e del Brasile. Oppure sbarcano in Europa, dove sono costretti alla prostituzione, sono preda dei pedofili, vengono sottoposti alle angherie e alle molestie sessuali dei padroni che li comprano come domestici.
La tratta coinvolge più di 200 mila bambini all'anno tra i cinque e i quindici anni. Vengono prelevati soprattutto dal Benin, dal Togo, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Camerun, dal Burkina Faso. Gli "adulatori", come vengono chiamati gli uomini ben vestiti che convincono le famiglie a cedere i loro figli, li comprano a circa 14 dollari l'uno e li rivendono ad un prezzo almeno dieci volte superiore. Ai genitori promettono una parte del denaro guadagnato dal figlio. Ma il bambino, di solito, non riceverà alcun denaro in cambio della fatica e degli abusi subiti.
Non c'è scampo per i piccoli schiavi delle piantagioni, costretti con le percosse a lavorare anche diciotto ore al giorno. I loro corpi, coperti di cicatrici scavate fino alle ossa, sono devastati dai morsi degli insetti che nidificano nelle sterpaglie dei campi. Sono vestiti con cenci sporchi e le scarpe, quando ne posseggono un paio, sono brandelli di cuoio o di stoffa. La sera si nutrono con un unico piatto a base di chicchi di mais. Dormono su stuoie sporche, negli accampamenti dove le latrine sono buchi scavati nel terreno. I padroni sprangano dall'esterno le porte delle loro "prigioni" e le riaprono al levare del sole, per farli uscire.
Le Organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie, negli ultimi anni, hanno raccolto testimonianze e condotto indagini nell'Africa occidentale e subsahariana, segnalando il dramma di alcuni Stati dove la schiavitù infantile sembra ormai inestirpabile e continua ad essere praticata apertamente. Nonostante il Mali e la Costa d'Avorio abbiano aderito alla lotta contro le forme di schiavismo e abbiano firmato un accordo che proibisce il commercio dei bambini.
Ecco i Paesi dove il fenomeno è più drammatico.
Il Benin, ex colonia francese a ridosso del Togo e della Nigeria, è uno dei principali serbatoi per il traffico dei minori. Ha sei milioni di abitanti, tre milioni sono minorenni e almeno 400 mila lavorano. Qui, una legge del 1971 prevede pene severe per chi tratta e sfrutta il lavoro infantile, ma finora non ci sono mai state condanne o reclusioni per tali reati.
In questa regione la poligamia è la regola e ogni uomo ha almeno cinque figli. La vecchia tradizione locale vuole che i bambini dei villaggi rurali vengano consegnati ai parenti emigrati in città, che se ne prendono cura e li mandano a scuola. In passato, grazie a questa consuetudine, il Benin era diventato la riserva dei funzionari statali anche per le altre colonie francesi, il Gabon e la Costa D'Avorio.
Oggi la stessa vecchia tradizione è diventata l'arma della speculazione sulla manodopera infantile. Nello Zou, la parte più povera e popolata del Paese, i genitori cedono i bambini ai parenti, sempre più di frequente anche agli estranei, e di solito ne perdono le tracce.
In Camerun il traffico dei minori coinvolge il 12,6 per cento di una popolazione attiva di più di 4 milioni di persone, e l'87,5 per cento della monodopera infantile composta
di circa 610 mila bambini. Uno studio del marzo 2000, condotto dall'Ilo
(Organizzazione internazionale del lavoro) per l'Africa centrale, ha
fotografato il loro dramma.
Vengono prelevati nelle due principali città, Douala e Youndé, nelle
province occidentali e dell'estremo nord. Non sempre i genitori sono
disposti a cedere alle lusinghe dei mediatori che assicurano uno stipendio
ai piccoli e un compenso mensile da inviare alla famiglia, e allora ogni
mese da 4 a 10 bambini vengono rapiti.
Gli "adulatori" sono pagati in media 100 mila franchi (circa 300.000 lire) per ogni bimbo che viene portato in un altro Paese africano, e fino a un milione di franchi per quelli che vengono condotti all'estero.
I minori comprati vengono venduti nelle case come domestici (33,1 per cento); fanno gli operai (19,89 per cento); i manovali (3,6 per cento); i baristi (7 per cento); i guardiani notturni (3,6 per cento); le prostitute (3,6 per cento).
Molti, un numero indefinito, vengono trasferiti in altri continenti, dove sono vittime delle bande dei pedofili e dei trafficanti di droga.
Nei campi di caffè e di cacao della Costa d'Avorio lavorano diecimila, forse quindicimila bambini che i moderni negrieri hanno comprato nelle regioni povere dell'entroterra del Mali, del Benin, del Togo, della Repubblica Centraficana. In questa regione, la tratta si è intensificata a partire dal 1996, quando il calo del prezzo del caffè e del cacao ha reso impossibile la copertura dei costi della manodopera adulta. I coltivatori ivoriani hanno cominciato a sostituire uomini e donne con bambini di età non superiore a 14-15 anni. Li costringono a lavorare anche per diciotto ore al giorno, e li sorvegliano anche di notte, rinchiudendoli in sporchi e angusti accampamenti.
La Costa d'Avorio è il maggiore produttore di cacao nel mondo. Le industrie occidentali di cioccolato, messe sotto accusa dalle associazioni umanitarie e sottoposte alle pressioni dei governi nazionali, cominciano in questi anni ad impegnarsi in campagne contro lo sfruttamento dei minori nelle piantagioni ivoriane. L'anno scorso, dopo un forte richiamo del governo britannico, la "Biscuit, Cake, Chocolate and Confectionery Alliance" ha declinato repentinamente ogni responsabilità: ha subito inviato una commissione d'inchiesta in Costa d'Avorio che chiudendo l'indagine, ha dichiarato di non aver trovato prove del coinvolgimento della "Biscuit" nell'impiego di schiavi bambini.
In Senegal migliaia di bambini tra i dodici e i quindici anni vanno in città a cercare lavoro. Nei villaggi poveri dell'entroterra, la siccità prosciuga il suolo e i campi non sfamano le famiglie troppo numerose.
Le bambine vengono mandate a fare le domestiche, i ragazzi sono affidati a maestri islamici, i marabutti, che devono insegnare loro il Corano. Ma, oltre ad imparare a memoria i versetti del testo sacro, i piccoli sono costretti a procurare denaro e cibo per il loro maestro, mendicando per le strade o arrangiandosi con lavori ingrati e faticosi. Non imparano quasi mai a leggere e a scrivere, perché i marabutti non li istruiscono e, piuttosto, li picchiano se non tornano a sera con un buon guadagno. Negli ultimi anni, alcuni genitori hanno cominciato a rifiutare questa tradizione e non lasciano andar via i figli. Ma ancora troppi bambini continuano a emigrare nelle città, dove solo pochi fortunati riescono a vivere dignitosamente e ad andare a scuola.
TESTIMONIANZA
Mapefa
In Africa molti bambini lavorano in miniera in terribili condizioni di lavoro, nei campi, nella pesca, nelle guerre dimenticate che insanguinano il nostro continente, nei mercati cittadini, altri vengono istruiti, dalla rete criminale, a rubare alle persone e nelle case.
Tantissimi bambini non possono andare a scuola.
Quali soluzioni cercare?
I Governi dovrebbero garantire l’istruzione ed il Welfare sociale, si dovrebbero creare centri per l’assistenza agli orfani perché questi bambini non siano costretti a vivere nella strada.
E’ fondamentale promuovere il lavoro di ispettori che controllino la situazione del lavoro infantile in tutti i Paesi.
I bambini possono essere aiutati ad apprendere con i Mass Media, per far conoscere meglio la situazione dello sfruttamento del lavoro infantile e delle conseguenze sociali di questo fenomeno. Gli organi d’informazione dovrebbero denunciare con forza il problema del traffico dei minori, un problema che affligge l’Africa ma che è molto silenzioso.
In America Latina
Lavora il 15/20% dei bambini al di sotto dei 15 anni e non pochi sono ragazzi di strada.
Il cinque per cento della popolazione attiva in America Latina è composto di bambini tra i sei e i quindici anni. Lavora un minore su cinque, in tutto circa 15 milioni.
Sopportano le temperature infernali delle fornaci per cuocere i mattoni, estraggono le pietre dalle cave e le spaccano con una forza che appartiene a braccia adulte. Raccolgono le immondizie nelle discariche per rivendere lattine, barattoli e cartoni. Talvolta, tra quei rifiuti, trovano qualcosa da mangiare.
Quasi il 60 per cento dei piccoli dell'America centro meridionale sono impiegati nel settore agricolo, uno dei più dannosi per lo sviluppo fisico, perché la schiena rimane piegata per ore, i diserbanti chimici intossicano i polmoni, gli strumenti di lavoro sono affilati e pericolosi, gli insetti causano infezioni e malattie. Eppure, soprattutto le bambine vengono mandate nei campi già a cinque anni.
Le statistiche dell'Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) indicano che l'età dei baby-lavoratori tende a diminuire, mentre il fenomeno si espande dalle campagne alle città. Nelle aree urbane, l'innovazione delle strutture e l'aggiornamento della manodopera non sono andati al passo con la repentina modernizzazione dei sistemi di produzione e dei servizi. L'iniziativa privata, spesso selvaggia, ha sostituito l'intervento dello Stato nel mercato del lavoro, la disoccupazione è aumentata e il contributo del lavoro infantile è diventato indispensabile per molte famiglie.
In città, i bambini lavorano nelle micro imprese o nei settori marginali e spesso irregolari del commercio, come i mercati e le bancarelle per le strade. Centinaia di migliaia di fanciulle, circa il 10 per cento della forza lavoro infantile, fanno le domestiche nelle case dei ricchi e di solito vengono maltrattate, insultate, umiliate con abusi e violenze sessuali.
Dove la miseria è più profonda, nelle periferie e nei sobborghi delle infernali metropoli cresciute a dismisura, migliaia di piccoli vengono scaraventati sulle strade per soddisfare il mercato della prostituzione, finiscono nei cataloghi delle associazioni di pedofili, vengono "arruolati" dai trafficanti di droga.
Sono scenari di una tragedia che il mondo conosce soprattutto attraverso le immagini dei bambini di strada di San Paolo del Brasile o degli spaccapietre e dei minatori del Perù. Ma anche in Colombia, in Bolivia, in Nicaragua e in molti altri Stati dell'America Latina, lo sviluppo improvviso e disordinato degli ultimi decenni ha generato le sacche di povertà e di ignoranza che sono alla base dello sfruttamento e della schiavitù infantile.
Molti bambini lavoratori continuano ad andare a scuola e usano lo stipendio per pagare gli studi. E' difficile conciliare le attività lavorative, di solito molto faticose, con la concentrazione e l'apprendimento. Eppure, tra assenze, ritardi e fallimenti, una percentuale di bambini che oscilla negli anni tra il 28 e il 65 per cento, divide le giornate, e le ore sottratte al sonno, tra il lavoro e lo studio.
In questi Paesi il numero di scuole è insufficiente, la qualità dell'insegnamento è povera e mediocre, ma l'istruzione rimane l'unica arma di riscatto per i minori e gli adolescenti. Per questo le Organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie, da anni incitano i governi a riformare il sistema educativo, ad imporre l'obbligo scolastico e a rendere la scuola sempre più presente nella vita e negli interessi dei bambini.
TESTIMONIANZE
Fatima del Nicaragua
Sono qui di fronte a questo bel pubblico e stiamo affrontando problemi di bambini di tutto il mondo.
In Nicaragua molti bambini lavorano nelle discariche andando a cercare oggetti in buono stato, altri lavorano nei campi con grandi macete e spesso hanno grandi ferite da taglio.
La povertà genera questa realtà ed i Governi fanno poche azioni per combattere il lavoro infantile.
Il Governo non vede la povertà o fa finta di non vederla
Tutti noi abbiamo dei diritti come essere umani, bambini ed adulti ma nelle situazioni di povertà questi diritti non esistono
Con le parole non riesco ad esprimervi totalmente ciò che provo ma sono davvero felice di essere con voi a denunciare ciò che viviamo e a cercare delle alternative, sperare un mondo migliore.
Ragazzi del centro america
È bene che esprimiamo le nostre idee e che questo accada non solo qui ma anche negli altri paesi.
In Centroamerica ci sono più di tre milioni di bambini che lavorano. Alcune delle cause sono la povertà, la mancanza di istruzione e la mancanza di alternative. Alcuni dei lavori sono la raccolta della spazzatura oppure il lavoro nelle case. A Managua i bimbi lavorano nella spazzatura prendendo malattie di tutti i generi. Un altro problema è quello della discriminazione. A Panama i bimbi lavorano per le strade e la polizia gli requisisce la merce quando non pagano le tasse.
Testimonianza finale di Ruta (Perù)
Innanzi tutto voglio iniziare denunciando che molti ragazzi che dovevano venire dalla Colombia non sono potuti partire perché il governo non lo ha permesso. Ma il governo deve partecipare e deve cambiare. Deve dare lavoro agli adulti perché i bimbi non devono lavorare ma devono andare a scuola e imparare.
D’altra parte il lavoro del governo deve essere anche quello di punire i trafficanti. E poi deve investire in educazione quello che investe in armi.
Così preparano persone per la guerra invece devono preparare persone per il futuro. Saranno loro che governeranno il futuro.
Noi poveri meritiamo educazione. Vogliamo che i governi ci ascoltino. Siamo stanchi di chi si dimentica dell’infanzia. E devono permettere la partecipazione di tutti. E devono investire in salute perché i bambini muoiono a causa della mancanza delle cure. Devono fare le leggi perché l’infanzia sia protetta. E devono attuare le leggi che approvano. Non vogliamo parole ma fatti.
Questo congresso è il primo passo perché l’infanzia possa avere speranza. Dobbiamo continuare a fare congressi come questi e a creare reti riuscendo ad appoggiarci gli uni con gli altri. Poi dobbiamo promuovere la partecipazione e creare spazi di cultura e di arte.
Per concludere vorrei dire una parola agli adulti presenti. Dovete imparare da noi perché viviamo con passione e siamo felici nonostante tutti i problemi che ci affliggono. Fate vostro questo spirito che abbiamo nel nostro cuore.

Anche negli Stati Uniti secondo calcoli dell’OIL lavorano il 28% dei ragazzi sotto 15 anni.
In Europa gli ultimi anni di crisi, di riduzione del reddito degli adulti hanno portato a una ripresa del fenomeno (Gran Bretagna, Portogallo 5%, Italia);
Europa dell’est
L'emergenza infanzia scoppia nell'Europa dell'Est dopo il crollo dei regimi comunisti. Fino al 1989, la propaganda del socialismo reale pubblicizzava l'immagine di bambini cresciuti in società attente ai loro bisogni e alle loro aspettative. Con la disgregazione dell'impero comunista, i minori sono state le prime vittime di una transizione economica per molti aspetti selvaggia. La situazione varia da Paese a Paese, con caratteristiche comuni. In Albania, una delle nazioni più povere, l'emergenza riguarda soprattutto i bambini rapiti e venduti per traffici di adozioni illegali. Non si hanno dei dati ufficiali in merito, ma la magistratura italiana è da tempo allertata.
Il fenomeno dei bambini di strada è presente in diversi Paesi. Nelle disastrate economie post comuniste, spesso le famiglie non riescono a mantenere i bambini e preferiscono "parcheggiarli" in istituti di assistenza. Ma gli orfanotrofi sono così fatiscenti ed affollati che spesso i bambini fuggono. Per molti di loro comincia allora la vita in strada. In Paesi con inverni freddissimi, questa condizione è davvero disperata. A Bucarest (Romania) oltre 5.000 bambini vivono nelle fogne, l'unico luogo che dà loro un minimo di protezione. Molti di loro si prostituiscono, quasi tutti sniffano la "adela", una colla a basso prezzo. In Romania un'altra emergenza è quella dell'Aids. Sono oltre tremila i bambini romeni affetti dal morbo Hiv, il 60 per cento della popolazione europea sieropositiva. L'epidemia ha origine negli ultimi anni del regime comunista. Nel 1988, per combattere i moltissimi casi di anemia dovuti a sottoalimentazione, il governo di Nicolae Ceausescu avvia una politica sanitaria di trasfusioni sistematiche. Gli ospedali rumeni sono però in condizioni pessime: vengono usate sempre le stesse siringhe e il contagio è rapido. Quattromila le vittime finora accertate.
Nella Federazione Russa i bambini di strada sono circa un milione (60.000 nella sola Mosca); a Budapest (Ungheria) sono tra i 10.000 e i 12.500; diecimila in Lettonia e altrettanti in Lituania.
In Estonia quasi il 30 per cento delle prostitute è costituito da minorenni. Lo sfruttamento sessuale dei bambini è una delle piaghe più virulente. In Russia, ad esempio, i minori sono le principali vittime del business miliardario fatto di night club, bar e film porno messo in piedi dal crimine organizzato.
In crescita ovunque le percentuali della criminalità giovanile. In Lituania i ragazzi tra i 14 e i 29 anni commettono la metà dei crimini (soprattutto omicidi e rapine). Si tratta soprattutto di crimini commessi da bande. In Polonia e Bulgaria i due terzi dei crimini commessi da minorenni sono frutto di gang delle grandi città. In Ucraina e Ungheria l'80 per cento dei ragazzi in carcere sono membri di bande.
Il malessere delle giovani generazioni cresce anche nei Paesi in cui la situazione economica è meno grave. Nella Repubblica Ceca, ad esempio, tra il 1990 e il 1994 il numero dei minori di 14 anni si è quadruplicato. Il Paese con il più alto numero di suicidi di minori è la Lituania. Annus horribilis in questo senso è stato il 1994: nella sola Russia si sono tolti la vita cinquanta adolescenti su centomila.
in Italia
Ci sono da 300mila al mezzo milione di bambini che lavorano.
Esistono nelle grandi città e nelle zone rurali del Sud, rilevanti sacche di lavoro infantile legate a un’economia familiare, a meccanismi di sfruttamento della manodopera a buon mercato (artigianato, terziario, in agricoltura). Il limite di ammissione al lavoro è di 15 anni e di 14 per l’agricoltura e i servizi familiari, a condizione che si tratti di lavori leggeri. In alcune regioni del Mezzogiorno il lavoro infantile coinvolga, soprattutto nelle forme part-time, fra il 20 e il 50% dei ragazzi che anno tra i 10 e i 15 anni. A livello statistico l’unico dato certo è quello relativo agli infortuni sul lavoro dei minori di 14 anni (tra il 1985 e il 1993 16.600 casi di infortuni denunciati all’Inail); possiamo però distinguere le motivazioni dei minoro che lavorano part-time nelle fabbriche del nord (desiderio di indipendenza, pagarsi il motorino) da quelle dei bambini dei bassifondi napoletani legate allo stato di bisogno della famiglia.
Lavoro minorile in Italia
Popolazione minorile tra 7-14 anni
4.500.000
Sotto la soglia di povertà
1.700.000
Coinvolti in forme di lavoro precoce
Oltre 200.000
Le tipologie di lavoro minorile
Aiuti familiari
50% dei casi
Aiutano i genitori e ricevono paghette
Lavori Stagionali
32% dei casi
Da 4 a 8 ore al giorno in periodi limitati
Lavori impegnativi
17.5% dei casi
Da 4 a 8 ore al giorno per l’85% presso terzi
Settori in cui vengono impiegati
Commercio
57%
Artigianato
30%
Edilizia
11%

Dalla fondazione dell'UNICEF, nel 1946, a oggi vi sono stati nel mondo più di 150 conflitti armati, 130 dei quali nei paesi in via di sviluppo. La maggior parte sono state guerre civili o comunque conflitti interni a un paese, non conflitti tra stati.
Nell'ultimo decennio questo è stato il bilancio dei bambini vittime della guerra:
· oltre 2 milioni di bambini sono stati uccisi;
· oltre 6 milioni sono rimasti invalidi o sono stati gravemente feriti;
· oltre 1 milione sono i bambini rimasti soli, orfani o che hanno perso i genitori nel caos della guerra;
· circa 20 milioni sono rimasti senzatetto, sfollati o rifugiati;
· oltre 10 milioni sono rimasti traumatizzati psicologicamente.
Ogni anno tra 8.000 e 10.000 bambini rimangono uccisi o mutilati dalle mine antiuomo.
Ancora oggi, oltre 300.000 bambini sono arruolati come soldati in 30 conflitti armati in corso nel mondo.
BAMBINI SOLDATO
"Stop all'uso dei bambini soldato" è una campagna internazionale promossa in Italia da una coalizione di organizzazioni e ONG, tra le quali il Comitato Italiano per l'UNICEF.
Il diritto umanitario internazionale e la Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia attualmente stabiliscono a 15 anni l'età minima per il reclutamento militare e la partecipazione ai conflitti armati. E' generalmente riconosciuto che questo limite è troppo basso e debba essere portato ai 18 anni.
La Coalizione ha come obiettivo prioritario l'approvazione e l'attuazione del Protocollo opzionale alla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia che proibisce il reclutamento militare e l'impiego durante le ostilità dei minori di 18 anni.
Grazie alla mobilitazione internazionale, il Protocollo entra in vigore il 12 febbraio 2002. Una prima importante vittoria, ma è necessaria la ratifica e l'attuazione del Protocollo da parte di tutti gli Stati.
La Coalizione italiana "Stop all'uso dei bambini soldato", formata da Amnesty International - sezione italiana, UNICEF-Italia, BICE-Italia, COCIS, Jesuit Refugee Service - Centro Astalli, Società degli Amici- Quaccheri, Telefono Azzurro, Terre des Hommes - Italia, Volontari nel mondo - FOCSIV, ha ottenuto che il Parlamento italiano modificasse le leggi vigenti, fissando a 18 anni la soglia minima per l'arruolamento (l'Italia era uno dei 49 paesi che ancora consentivano l'arruolamento di minori di 18 anni); ora è urgente la ratifica del Protocollo opzionale da parte dei due rami del Parlamento italiano.
Bambini soldato: la tragedia si aggrava. Nell'ultimo rapporto su Bambini e conflitti armati, Kofi Annan segnala diciotto contesti e paesi in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente in cui l’abuso dei bambini soldato è rilevante. Nel 2003 c'è stato un massiccio incremento nell’impiego dei bambini soldato in vari paesi tra cui Costa d’Avorio, Liberia e Congo. È una palese violazione dei diritti umani e dell'infanzia. A fine giornata, i bambini soldato diventano spesso piccoli schiavi, costretti a fare i lavori più duri, a trasformarsi in spie dei gruppi armati, a fornire prestazioni sessuali. Le bambine sono obbligate ad assumere contraccettivi o a sottoporsi a continui aborti. Sono picchiati e drogati; se provano a scappare, vengono mutilati o uccisi.
Una pediatra che si dedica al recupero di questi bambini spiega: “Liberarsi da un’esperienza così traumatica è come dover nascere una seconda volta. Occorre creare di nuovo la capacità di relazioni umane normali e fraterne, recuperare il valore della persona, convincersi che c’è qualcosa per cui vale la pena ricominciare a vivere”.
I governi democratici dovrebbero avere in "lista nera" i paesi e gruppi che abusano i bambini per la violenza, fare pressioni per porre fine a queste atrocità, sorvegliare sul flusso di armi dirette a coloro che si servono dei bambini soldato.

• Che aiuto viene dato a questi bambini?
In tutto il mondo 250 milioni di bambini al di sotto dei 14 anni sono costretti a lavorare; molti vengono usati da imprenditori senza scrupoli per produrre articoli che i nostri figli e noi stessi usiamo per il tempo libero e lo sport: scarpe, palloni, abbigliamento con famosi marchi sportivi, che in nome della globalizzazione sono prodotti dove il lavoro costa poco o pochissimo e non ci sono diritti civili e sociali da rispettare.
Da qui l’idea di verificare la possibilità di realizzare un progetto pilota nella regione di Sialkot (Punjab pakistano), da dove giungono l’80% dei palloni mondiali, per la produzione di palloni senza l’uso di lavoro infantile e garantendo un salario equo ai lavoratori adulti. Lo scopo è liberare i bambini dalla necessità di lavorare per integrare il reddito familiare, e garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose ai lavoratori adulti ed alle loro famiglie.Dopo una fase di studio e 3 missioni in Pakistan, tra il 1996 ed il 1997, il progetto è arrivato alla fase di realizzazione, e già nel 1998 sono stati importati e venduti in Europa oltre 270.000 palloni a condizioni eque, di cui circa 180.000 in Italia.
L’UNICEF è in prima linea nella lotta al lavoro minorile, con programmi di sensibilizzazione, prevenzione e recupero. Il primo compito è quello di promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali, società civile) la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, valorizzando il ruolo che essi possono avere per lo sviluppo a lungo termine. I più giovani sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione è il miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro precoce non lascia loro alcuna prospettiva che non sia altro sfruttamento. Questo messaggio positivo viene comunicato in mille forme dall’UNICEF, attraverso campagne di informazione con il coinvolgimento dei leader comunitari, sindacali, religiosi e con il contributo fondamentale delle associazioni locali.
La scuola è il luogo in cui si gioca la partita decisiva della prevenzione del lavoro minorile. Generalmente, tutti i bambini desiderano andare a scuola e quasi tutti gli adulti attribuiscono all’istruzione un importante valore di promozione sociale. Per le famiglie più disagiate, tuttavia, anche il costo dei libri o dei pasti di metà giornata può diventare un ostacolo insormontabile. E spesso una scuola di cattiva qualità può indurre i genitori a ritirare i propri figli per mandarli a lavorare, ritenendo improduttivo il sacrificio economico da sostenere per la frequenza scolastica.
Oltre a promuovere riforme in favore dell’istruzione gratuita e universale in tutti gli Stati, l’UNICEF investe somme importanti nel risanamento delle scuole e nella formazione degli insegnanti. In alcuni casi, soprattutto durante le emergenze, l’UNICEF si fa carico anche della distribuzione di materiali didattici e delle refezioni scolastiche.

Esempio



  


  1. marika

    tema sullo sfruttamento minorile