L'Illuminismo

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Testo

L’ILLUMINISMO
L’Illuminismo fu un movimento culturale che matura verso la fine del XVII secolo in Inghilterra, affermandosi in Francia e diffondendosi in tutta Europa fra i primi decenni del ‘700 e l’inizio della Rivoluzione francese. Deve il suo nome all’immagine dei lumi della ragione, che si contrappongono al buio dell’ignoranza, della superstizione, dell’arretratezza civile.
Gli Illuministi, quindi, assumono un atteggiamento problematizzante nei confronti dell’esistente, facendo valere il proprio diritto di analisi e di critica. Da questo lo sforzo di sottoporre ogni realtà al tribunale della ragione per individuare ciò che può giovare alla società. L’Illuminismo è “L’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.
Alla radice della mentalità illuministica sta il rifiuto di ogni dogma, di ogni tradizione, di ogni autorità (politica, religiosa, economica e culturale), in nome dell’autonomia della ragione, che è l’unico strumento oggettivo capace di dividere la verità dalla menzogna, la giustizia dall’ingiustizia, l’utile dal dannoso. La ragione può diventare il banco di prova su cui sperimentare la validità di tutto ciò che costituisce il patrimonio culturale dell’umanità: ciò che corrisponde alle esigenze della ragione e della natura va conservato, tutto il resto va riformato o rigettato.
Sulla base di questo radicale antidogmatismo, gli illuministi condussero un ampio esame critico della storia, delle istituzioni, della convinzione della cultura europea, non limitandosi ad un’elaborazione teorica, ma inventando nuovi strumenti culturali e attivando canali comunicativi per diffondere al massimo i lumi della ragione; l’Enciclopedia fu un mezzo straordinario di divulgazione e di sintesi, così come i giornali, le riviste, i club furono luoghi nuovi di cultura che intendeva aprirsi al vasto pubblico, un pubblico di uomini dotati di ragione e di diritti naturali.
Nell’Illuminismo vi è una critica al patrimonio religioso perché si pensava che tutte le religioni rivelate, in particolare la religione cattolica con le sue istituzioni, utilizzassero la fede religiosa per imporre la propria autorità al popolo e non per farlo reagire a tutte le ingiustizie che subiva. La critica alle religioni rivelate comportò la definizione di una morale laica, fondata su valori concreti, attivi, utilitaristici.
Si affermò il materialismo, che negava cioè l’esistenza di dio, dell’anima e di un mondo ultraterreno; esistono solo le cose materiali, se c’è qualcosa dopo la vita terrena è inconoscibile e quindi non esiste perché ciò che l’uomo non può conoscere con certezza non è accettato dalla ragione.
Si affermò anche il meccanicismo, secondo cui la natura viene vista come una macchina; l’universo fisico può essere paragonato a una macchina priva di anima governata dalle leggi dei corpi in movimento. La religione degli Illuministi è quindi una religione razionale dove Dio si rivela alla ragione dell’uomo e non alla fede di questo. E’ quindi una religione deista, puramente filosofica e priva di libri sacri, riti e di sacerdoti. Ugualmente importante è il filantropismo, cioè la disponibilità dell’uomo ad amare e a soccorrere gli altri uomini, poiché tutti sono portatori di ragione.
Gli Illuministi criticano anche la storia: ogni uomo nasce con dei diritti inalienabili (la libertà e il diritto di proprietà fra tutti) che non gli possono essere portati via da nessuno, ma durante la storia è sempre accaduto il contrario. Particolare avversione si ha per il Medioevo, che gli illuministi definiscono barbarico, poiché è quello dove maggiormente erano presenti sciocche superstizioni.
IL CONTESTO STORICO
L’Illuminismo nacque in Inghilterra verso la fine del 1600; l’Inghilterra era allora il paese più industrializzato d’Europa, ma qui il movimento non ebbe modo di svilupparsi appieno. Lo stato inglese era, infatti, improntato sul liberalismo e, di conseguenza, la borghesia vedeva tutte le sue proposte esaudite dal Governo.
Maggiore sviluppo ebbe in Francia, dove vi era una situazione politica e sociale critica. La società francese era divisa in tre classi sociali: aristocrazia e clero, che detenevano il potere, e terzo stato, che non godeva di alcun diritto. Il terzo stato era molto ampio e al suo interno vi si poteva trovare sia i contadini sia i piccoli imprenditori. Proprio per questa diversa gamma di persone iniziò a definirsi una quarta classe, formata dalla borghesia, che iniziò ad acquisire potere economico e che iniziò a sentire l’esigenza di partecipare alla vita politica dello stato. Fu proprio alla borghesia che gli illuministi si rivolsero. Infatti, secondo loro, la povera gente era troppo impegnata nel cercare di sopravvivere per poter capire le loro proposte, mentre la borghesia, essendo critica nei confronti della società tradizionale fondata sui privilegi e non sulla legge, avrebbe capito.
Per quanto riguarda la politica illuminista, emergono tre teorie fondamentali, enunciate da tre grandi autori francesi: Montesquieu, Voltaire e Rousseau.
o Montesquieu era convinto che la libertà dell’uomo si sarebbe potuta ottenere solamente con la separazione dei poteri e con la nascita di una monarchia Costituzionale, in cui spettava all’aristocrazia il compito di frenare le tendenze dispotiche del monarca.
o Voltaire sosteneva il dispotismo illuminato; temeva, infatti, che un eccessivo indebolimento dell’assolutismo desse inizio ad una pericolosa anarchia. Propone quindi il dispotismo illuminato, cioè una monarchia assoluta dove il sovrano attua una serie di riforme per il bene del popolo.
o Rousseau sosteneva che la sola forma di governo accettabile per uno Stato è la democrazia. Rousseau condanna il progresso materiale e civile, giacché tutta la storia della civiltà è una storia di corruzione. In origine, infatti, l’uomo viveva libero e felice, fino a quando non nacque la proprietà privata, che poneva gli uomini su diversi gradini, dove in quello più alto si trovava quello che possedeva le terre e da cui dipendevano gli altri. Per Rousseau, invece, tutti gli uomini nascono uguali e la terra appartiene a tutti, nel senso che tutti hanno lo stesso diritto di vivere. Quindi, la sola forma di governo accettabile è la democrazia, uno stato in cui tutto il popolo fosse sovrano e dove dal popolo derivasse ogni legge, e in cui gli organi di governo fossero al servizio dell’intera comunità.
I principi di riforma illuministici furono seguiti da alcuni sovrani europei, che videro in questi un modo per mantenere il loro potere. Il Settecento fu per l’Europa un periodo di riforme. Despoti illuminati furono Federico II di Prussia, Caterina II di Russia, l’imperatrice Maria Teresa D’Austria e suo figlio Giuseppe II.
Le riforme che caratterizzarono il dispotismo illuminato riguardarono la modernizzazione e la laicizzazione dello stato. La modernizzazione dello stato consiste nel rendere lo Stato stesso più efficiente: si diffuse il catasto, un registro con l’indicazione della proprietà di tutti i terreni e delle loro caratteristiche, istituito da Maria Teresa D’Austria; venne riformata l’amministrazione della giustizia, come fece Federico II di Prussia, che abolì la tortura e ridusse la pena di morte. La laicizzazione dello stato consiste nell’allontanamento dello stato stesso dalla chiesa, fino a scontrarsi con questa: s’istituirono le prime scuole statali o, come fece Caterina II di Russia, si confiscarono molte proprietà della chiesa.
IL CONTESTO LETTERARIO
In campo letterario, tramonta il concetto di arte per l’arte per creare una letteratura che abbia dei contenuti civili, poetici e sociali. Essa serve a educare il popolo e, siccome è diretta al popolo borghese e non più all’aristocrazia, il linguaggio viene modificato affinché sia più comprensibile.
Gli scrittori prendono ispirazione dalla vita reale e concreta piuttosto che dall’immaginazione e dal mito. Soprattutto il romanzo sembrò rappresentare la coscienza del periodo, evidenziando tutti quegli aspetti della vita sociale che s’imponevano concretamente all’attenzione dei lettori. Anche pensatori come Voltaire, Montesquieu e Rousseau, accanto alle importanti opere teoriche e filosofiche, si cimentarono nel romanzo. In Inghilterra, dove era più forte in quel periodo il contrasto fra la cultura aristocratica tradizionale e la nuova cultura borghese, si affermò il genere satirico con Jonathan Swift, che condannava la stupidità irrazionale dell’uomo ne I Viaggi di Gulliver, e con Daniel Defoe il quale, nel romanzo Robinson Crusoe, esaltava l’individuo razionale e sagace che sa organizzarsi una vita accettabile anche nella solitudine di un’isola deserta. Sempre sulla traccia della satira si alzò la voce del poeta italiano Giuseppe Parini, che fece di questo genere un mezzo per impartire una lezione di virtù umana, al fine di denunciare la rilassatezza dei costumi, gli opportunismi servili di una società troppo presa dall’euforia del denaro e delle frivolezze. Con il Parini, la letteratura assunse il compito di stimolare la mente e l’animo della società e, quindi, di propagare idee di maggiore giustizia e di liberale dignità. D’altra parte, era questo il compito che altri letterati illuminati italiani ed europei affidavano alla letteratura.
L’ILLUMINISMO IN ITALIA
Già nella prima metà del XVII secolo, gli intellettuali italiani si erano fatti interpreti di una sentita esigenza di rinnovamento culturale e civile. Questo importante allargamento dell’orizzonte culturale italiano imprime una svolta decisiva nella cultura della penisola e contribuisce a inserire l’Italia nel vivo del dibattito europeo. Quando il moto riformistico ha inizio anche in Italia, essi si impegnano in una serrata polemica contro le vecchie istituzioni, offrendo la loro fattiva collaborazione ai sovrani illuminati. Il loro ambiente sociale e la loro formazione non cambiano granché rispetto al recente passato; quasi tutti hanno, infatti, una cultura specifica, che riflette le tendenze e gli interessi più vivi, caratteristici della loro regione di provenienza.
Rispetto all’Illuminismo francese, l’Illuminismo italiano presenta caratteri propri e originali, connessi con la particolare condizione politico – sociale della penisola, caratterizzata dall’assolutismo illuminato. Mentre in Francia il dibattito illuministico si era sviluppato particolarmente sul piano teorico, affrontando una gamma amplissima di tematiche (filosofiche, politiche, morali, economiche, religiose) e giungendo talvolta a formulazioni radicali e rivoluzionarie, i cui frutti sarebbero stati raccolti dalla Rivoluzione Francese, in Italia la cultura illuministica apparve decisamente orientata a scopi pratici e si sviluppò soprattutto nel campo dell’economia e del diritto. Inoltre, gli illuministi italiani non misero in discussione i principi su cui si basava l’assolutismo, ma videro nella monarchia lo strumento più idoneo a combattere i privilegi del clero e dell’aristocrazia ed a promuovere il benessere generale. Questa connessione tra gli illuministi italiani e le autorità politiche spiega, da un lato, le particolari caratteristiche del movimento italiano (concreto, pratico e riformista, piuttosto che teorico, radicale e rivoluzionario) e, dall’altro, la sua dislocazione geografica: i centri maggiori dell’Illuminismo italiano furono, infatti, Milano, Napoli e la Toscana, proprio quelli dove furono più sensibili la volontà e l’azione riformista dei sovrani.
Per quanto riguarda i suoi caratteri generali, l’Illuminismo italiano, pur mutando alcuni principi già presenti nella letteratura della prima metà del secolo (razionalismo, volontà di rinnovamento, fiducia nella funzione civile del sapere), impresse una svolta decisiva alla cultura dell’epoca, movendosi in una prospettiva nuova e più ampia. Infatti, mentre fino a quel momento gli sforzi di rinnovamento si erano indirizzati esclusivamente alle manifestazioni della vita artistica e intellettuale, l’Illuminismo elabora un progetto di riforma complessivo della società nelle sue strutture portanti: dalle istituzioni politiche al diritto, dall’economia all’educazione. Così, anche per effetto del nuovo ruolo civile di cui sono investiti, gli intellettuali, chiamati a collaborare a progetti di riforma civile che vengono avviati dai sovrani, si impegnano in prima persona nella missione di migliorare le condizioni di vita della società. Anche quei letterati, che condividevano solo in parte o non condividevano affatto i principi teorici dell’Illuminismo, si mostrano più sensibili alla funzione pubblica e civile delle loro opere e si sforzano di instaurare un rapporto più stretto con la società del tempo e con un pubblico più vasto.
Gli illuministi italiani non hanno difficoltà a riconoscere quanto devono alle esperienze europee e francesi, in particolare. Tuttavia, in Italia, anche se non mancano studi fecondi e l’impegno a favorire con ogni mezzo il progresso della società, non si raggiungono mai le asprezze polemiche degli stranieri, e, rispetto ai philosophes (i filosofi francesi), gli intellettuali italiani hanno minore libertà di pensiero e più scarsa autonomia anche nell’azione pratica.
Infatti, una caratteristica specifica del nostro Paese è che la maggior parte degli intellettuali riformatori è composta da funzionari e consiglieri statali. Questa veste permette loro di aprire una breccia nell’isolamento che ha accompagnato la cultura italiana per quasi due secoli, e di partecipare attivamente, appoggiando o suggerendo iniziative concrete, al processo di svecchiamento e di razionalizzazione delle antiquate strutture statali. Il ruolo che ricoprono li costringe non solo ad adattare i propri interventi a prospettive di riforma politica diverse da regione a regione, ma soprattutto a rispettare il rapporto di subordinazione allo Stato e al sovrano, che era tipico dei secoli precedenti. In tal modo, resta loro preclusa ogni possibilità di assumere posizioni conflittuali rispetto allo Stato stesso, o addirittura di sovvertire le strutture, come avverrà in Francia, con la Rivoluzione del 1789.
Per questo, nella seconda metà del ‘700, la cultura italiana sente più che mai viva l’urgenza di provincializzarsi, aprendosi alla letteratura europea, e di modernizzarsi, recidendo i legami che la legano al passato. Gli illuministi, tra l’altro, avviano uno sforzo di rinnovamento anche sul piano stilistico – espressivo, suggerendo l’utilizzo di forme più duttili di comunicazione (come il giornale e il saggio) e di una prosa più rapida, breve e incisiva, ma, in pratica, nessuno riesce ancora a mettere in crisi la poetica classicista. Pertanto, appare piuttosto netto lo scontro tra le dichiarazioni teoriche, pervase da una decisa volontà di rinnovamento, e i risultati effettivamente raggiunti, con uno stile e un linguaggio ancora sostanzialmente nell’alveo della tradizione.
L’Illuminismo italiano presenta altri aspetti specifici. In esso, strumenti di espressione tradizionali coesistono con idee e proposte nuove: una prosa agile e moderna nasce nello stesso momento in cui, per trasmettere un messaggio di grande impegno e valore civile, autori come Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri usano con altrettanta efficacia le forme proprie della tradizione classica.
Anche i centri di produzione e di coordinamento culturale già esistenti, come le accademie, cercano di ampliare i propri interessi e obiettivi, uscendo dal campo strettamente letterario per affrontare argomenti di vasta portata sociale, e sostenere idee e iniziative di carattere innovativo; ma, ben presto, appaiono inadeguati al compito: sorti come associazioni per dibattere e approfondire discipline e argomenti specifici, non possono essere rinnovati in modo tale da rispondere ad esigenze diverse e tanto più vaste. Per questo, motivo un gruppo di letterati, già aderenti all’Accademia dei Trasformati, di indirizzo arcadico, fonda a Milano, tra la fine del 1761 e l’inizio del 1762, la battagliera Società dei Pugni. Guidata da Pietro e Alessandro Verri e da Cesare Beccaria; essa si ribella all’impostazione ancora fortemente letteraria propria delle accademie ed elabora un concreto programma di riforma, basato su un generoso impegno civile e politico. Due anni dopo, i suoi membri creano il primo periodico italiano, di ispirazione illuminista, Il Caffè, un vivace mezzo di intervento intellettuale che apre prospettive originali di divulgazione e di confronto delle idee, cercando di interessare e di coinvolgere un pubblico vasto e composito.
In Italia, la diffusione delle teorie illuministiche avvenne su piani e livelli diversi: coinvolse aree specifiche e più preparate a ricevere il dibattito dei lumi (tra queste Milano, Venezia e Napoli), produsse un rapido cambiamento negli interessi degli scrittori e nei generi letterari, si attestò intorno ad alcuni problemi principali, come la rinascita del teatro, lo sviluppo della letteratura giornalistica, la rinascita di un interesse per le materie economiche e storico – giuridiche, una ripresa della poesia dai toni civili e riformisti.
Le radici culturali dell’Illuminismo napoletano sono da ricercare, prima ancora che nella filosofia dei lumi, venuta dall’estero, nella tradizione di pensiero laicista e giurisdizionalista che aveva caratterizzato Napoli nella prima metà del ‘700, e fu proprio a questa tradizione che si rifecero, nella seconda metà del secolo, all’indomani della fine della dominazione spagnola, il nuovo sovrano, Carlo III di Borbone, e il suo ministro Bernardo Tanucci, che avviarono una politica di riforme giuridiche e amministrative. Napoli, grazie anche all’attività dell’Accademia degli Investiganti, fu il primo centro in Italia a introdurre le teorie filosofiche di Descartes e l’atomismo materialistico di Gassendi: a fianco dell’importante università crebbero e si svilupparono le discipline giuridiche e economiche, il cui più illustre rappresentante fu l’abate Antonio Genovesi, che tenne dal ‘54 la prima cattedra in Europa di economia politica, dando luogo a un’intensa scuola di pensiero.
Gli intellettuali napoletani risposero con entusiasmo al nuovo corso politico. Essi, pur facendo propri i grandi principi di fondo dell’Illuminismo europeo, si concentrarono in particolare sui problemi pressanti del loro paese: quello economico, aggravato da strutture produttive incentrate sul latifondo, e quello giuridico, condizionato da una legislazione ancora legata al diritto feudale. In questi due campi, gli illuministi napoletani raggiunsero risultati importanti sul piano scientifico e teorico, ma non sul piano pratico, perché la politica riformista dei sovrani si scontrò con la resistenza della Chiesa e dei nobili e perché il ceto borghese non era interessato al rinnovamento.
Grazie agli stretti rapporti che intrattenne con la cultura francese e grazie alla presenza dell’attività culturale di alcuni tra i maggiori intellettuali del tempo, Milano fu indubbiamente il centro principale dell’Illuminismo italiano. Questa sua posizione di primo piano fu agevolata anche dalle sue particolari condizioni politiche e sociali. Infatti, sotto il regno dell’Imperatrice Maria Teresa D’Austria e di suo figlio Giuseppe II, Milano e la Lombardia vissero un periodo di intensa modernizzazione e di generale sviluppo, favoriti dalla politica di riforme dei due sovrani. Inoltre, diversamente da quanto accadeva in altre regioni italiane, l’aristocrazia lombarda assecondò sempre le trasformazioni economiche, svolgendo un ruolo che negli altri stati europei era garantito dalla classe borghese: molti nobili divennero imprenditori e iniziarono a sfruttare in senso capitalistico le loro proprietà terriere; altri cooperarono all’amministrazione dello Stato; altri si dedicarono allo studio di riforme in ambito economico, giuridico e scolastico.
E’ proprio dalle file di questa aristocrazia colta e preparata, operosa e progressista che provengono gli esponenti più illustri dell’Illuminismo milanese, come Cesare Beccaria e i fratelli Verri. Essi furono i fondatori e i principali animatori del periodico Il Caffè. La rivista Il caffè, di cui uscirono complessivamente 74 numeri tra il 1764 e il 1766, si ispirava al giornalismo inglese del ‘700 e in particolare a The Spectator di Joseph Addison. Il titolo, che allude alle conversazioni tenute tra gli avventori di una bottega di caffè, esprime programmaticamente lo scopo che il periodico si propone: promuovere una cultura moderna e dinamica e vicina a un pubblico più vasto. Gli interventi della rivista furono animati da un notevole fervore intellettuale ed etico e, infatti, investono i temi più vivi della società del tempo: la battaglia contro la legislazione feudale riguardo le proprietà e il fisco, lo sviluppo dei commerci e delle manifatture, la modernizzazione dei sistema scolastico, la polemica contro l’accademismo parolaio in favore di una cultura nuova. Al di là del contributo che effettivamente diede all’assolutismo illuminato, Il caffè è il frutto della convinzione illuministica che la battaglia per il progresso materiale era anche una battaglia per il trionfo della ragione e della dignità umana. Per questo, il periodico segnò una tappa importante nel clima culturale italiano del secondo ‘700: propose una forma di comunicazione letteraria innovativa sia nel contenuto sia nel linguaggio, ponendo con forza l’obiettivo di una cultura intrisa dei problemi reali della società.
Milano rappresentò il centro propulsore delle riviste e dell’editoria, delle riforme civili e della critica, anche se molto moderata, della nobiltà: umanitarismo, filantropismo, politica culturale volta alla modernità, acquisizione del sensismo francese, rinnovamento poetico furono i passaggi più interessanti del ventennio milanese 1755 – 1775.
Un orientamento più marcatamente letterario e mondano spettò a Venezia. Nell’ambiente veneziano maturarono la riforma teatrale goldoniana, che ambiva alla costruzione di un teatro moderno, socialmente riconoscibile nella realtà economica e psicologica della Venezia mercantile, ma che dovette subire la contrastata opposizione del tradizionalismo linguistico delle Fiabe teatrali di Carlo Gozzi e di Pietro Chiari.
Nel granducato di Toscana, il movimento illuministico coincise con l’opera riformatrice di Pietro Leopoldo D’Asburgo, figlio di Maria Teresa d’Austria e fratello di Giuseppe II. Le sue riforme, che si estesero in varie direzioni e soprattutto nella modernizzazione dell’agricoltura, trovarono il consenso e la collaborazione degli intellettuali toscani Pompeo Neri, Giulio Rucella, Francesco Gianni. Eredi della tradizione scientifica e razionalistica Galileiana, essi svilupparono soprattutto studi di carattere amministrativo e agrario ed ebbero il loro punto di riferimento nell’Accademia dei Gergofili, fondata nel 1753 allo scopo di promuovere il progresso dell’agricoltura.
Gli illuministi italiani accettano da quelli del resto d’Europa l’idea che la letteratura non possa limitarsi a restare un esercizio intellettuale isolato e autonomo; essa deve contribuire a diffondere il vero, rivelato e illuminato dalla luce della Ragione, e deve collegarsi alla realtà sociale prefiggendosi il raggiungimento del benessere collettivo. Trasformata in strumento di progresso, la letteratura non può limitarsi ad uno scopo puramente edonistico. Tuttavia, gli illuministi italiani condividono con il sensismo la teoria che l’opera d’arte viene giudicata attraverso i sensi, dai quali ricaviamo il piacere del bello. La letteratura dovrà quindi avere contenuti veri e utili e una forma piacevole.
Molti scrittori considerano arcaici, inutili e pedanti i generi e gli stili letterari del passato, e conducono una dura battaglia contro di essi. La polemica è particolarmente accesa per quel che concerne la questione della lingua, e acquista toni aspri soprattutto nei confronti del purismo e dell’Accademia della Crusca.
Nel panorama variegato e diseguale dell’Illuminismo italiano, Napoli rappresenta uno dei centri di più intensa elaborazione e diffusione delle nuove idee. Si tratta di un’esperienza di vertice, tale che non seppe coinvolgere strati sociali esterni al circuito esclusivo degli intellettuali di professione. D’altronde, le condizioni della società italiana, e particolarmente di quella meridionale, erano talmente degradate da rendere impensabile ogni ipotesi di larga partecipazione ad iniziative e movimenti di carattere culturale: l’analfabetismo era diffuso a gran parte della popolazione; non esisteva una classe media paragonabile alle borghesie francesi, inglesi e tedesche; la vita economica ristagnava; le interferenze ecclesiastiche sulla libertà di pensiero restavano pesantissime; l’intera penisola era subalterna alle scelte politiche asburgiche o francesi. Eppure, anche in queste sfavorevolissime condizioni, vi furono intellettuali capaci di fare proprie le esigenze di una cultura più libera e moderna. Nella capitale del Regno era ancora viva e attualissima la grande lezione del Vico e del Giannone, su cui si era venuta formando un’intera generazione di studiosi; inoltre, un ruolo notevole ebbe la presenza di Bernardo Tanucci, primo ministro dal 1767 al 1776, che svolse un’intelligente politica riformatrice, volta a favorire forme di progresso civile e a moderare il potere clericale. Comune a tutti fu la tendenza ad occuparsi di manifestazioni e aspetti concreti della vita sociale, piuttosto che della speculazione teorica sui grandi principi universali. Questa concretezza, se da un lato seppe ispirare iniziative di riforma, dall’altro limitò l’orizzonte ideale di questi intellettuali, inducendoli ad una costante collaborazione con il potere e impedendo che dalla loro riflessione nascessero alternative veramente radicali.
Accanto a Napoli e Milano vi furono altri centri, soprattutto nell’Italia settentrionale fra Veneto e Piemonte, che aderirono in modo più o meno esplicito e coerente alle nuove idee. La linea espressa dagli intellettuali di quest’area non è, da un punto di vista ideologico, così omogenea come quella degli illuministi napoletani e milanesi, anzi, talvolta non è nemmeno riconducibile all’Illuminismo in senso proprio. Più che di filosofi o di specialisti, si tratta di viaggiatori e di poligrafi; tuttavia, pur nell’orientamento un po’ dispersivo e superficiale del loro lavoro, questi scrittori sono partecipi del processo di rinnovamento che si sta attuando nella cultura europea: il loro Illuminismo consiste in una costante aspirazione alla chiarezza e alla concretezza dello stile, nella polemica contro il conformismo e la pedanteria di una stanca tradizione, e nell’impegno per un’informazione culturale allargata ad un pubblico quanto più vasto possibile.
La dimensione europea di gran parte dei letterati settecenteschi dell’Italia settentrionale è confermata anche dal loro cosmopolitismo e dalla loro corrente conoscenza delle grandi lingue europee; va riconosciuto a questi scrittori il merito di avere sprovincializzato la cultura italiana e di avere preso contatto in modo attivo con le più vivaci esperienze della contemporanea cultura europea.
L’Illuminismo italiano seguì le sorti dell’assolutismo illuminato e si esaurì gradualmente con esso verso la fine del secolo. La sua importanza fu comunque enorme: sul piano politico, infatti, le sue premesse teoriche sarebbero poi state riprese e sviluppate durante l’età napoleonica, mentre sul piano culturale i suoi riflessi sono rintracciabili nella maggior parte delle opere della seconda metà del ‘700 e anche del primo ‘800. La comune matrice illuministica che caratterizza l’epoca non deve far pensare che nella seconda metà del ‘700 l’Italia sia stata caratterizzata da una tempra culturale perfettamente omogenea. Anzi, proprio a causa della frantumazione della penisola in tanti stati diversi, l’illuminismo italiano, pur nell’ambito di scelte ideologiche e tematiche convergenti, varia da regione a regione.
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