Confronto fra Foscolo e Catullo

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Testo

CONFRONTO: “VARCANDO TANTI MARI” DI CATULLO E “IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI” DI FOSCOLO.

Per la stesura di uno dei suoi più famosi sonetti, Ugo Foscolo si è ispirato ad una poesia di Catullo, poeta del 1° secolo a.C.
Affrontando un’analisi parallela dei due componimenti, notiamo sia nella forma sia nel contenuto varie analogie e corrispondenze ed altrettante diversità tra le opere.

FORMA:
Il componimento di Foscolo è strutturato secondo la conformazione tipica del sonetto. Sono quindi presenti due quartine e due terzine legate da rime incatenate e in ogni verso è presente l’endecasillabo.
Il testo poetico di Catullo è invece composto da dieci versi. Compare una struttura del testo definita da regole metriche poiché nel testo latino ogni verso è composto da circa tredici sillabe.
Un’analogia riguarda l’ordine in cui sono trattati gli argomenti nelle due poesie.

CONTENUTI:
L’apertura di Foscolo [“Un dì s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente…”] è molto ripresa da quella di Catullo [“Dopo aver viaggiato di gente in gente, di mare in mare…”], infatti appare una figura analoga ai due testi, il viaggio. Si nota qui la diversità della situazione in cui si trovano i due poeti; mentre Catullo è già giunto presso la tomba del fratello, Foscolo si trova lontano da essa promettendo al defunto e a se stesso che un giorno non ancora stabilito giungerà lì.
Il saluto che i due poeti pongono al rispettivo fratello è diverso: Catullo, secondo la religione politeista del 1° secolo a.C. porta sulla tomba come consuetudine i doni funebri in segno di estremo saluto; Foscolo, secondo la religione cristiana ha il desiderio di recarvisi per poter piangere la giovinezza del fratello terminata così precocemente. Questo, oltre a sottolineare un drammatico evento della vita del poeta, richiama uno dei temi più ricorrenti del romanticismo, il sepolcro.
Se fino ad ora le analogie fra i contenuti erano abbastanza evidenti, nella seconda parte delle poesie si giunge a due diverse situazioni dovute al diverso destino dei poeti. Di Foscolo sappiamo che ha vissuto una vita molto intensa e travagliata dall’esilio, mentre Catullo ha vissuto più o meno lietamente morendo nella sua terra a soli trenta anni. Questo basta a dare una spiegazione sul perché Foscolo, scrivendo la poesia in prima persona, non si sia ispirato direttamente a Catullo.
In Foscolo si passa alla figura della madre che parla di lui alla tomba del figlio [“…parla di me col tuo cenere muto…”]. La figura della cenere è ripresa da Catullo anche se il ruolo che le si attribuisce non è lo stesso. Per Catullo la cenere muta del fratello rappresenta la morte come fenomeno a cui non si può porre rimedio, mentre Foscolo la intende come qualcosa di non terminato (secondo la concezione cristiana della vita eterna).
A questo punto si ha una netta separazione tra il contenuto dei due testi dovuta alle diverse vicende vissute dagli scrittori.
Per Ugo Foscolo si è creata una situazione di forte tribolazione poiché lo stesso destino [“…gli avversi Numi…”], che ha reso tormentata l’esistenza del fratello, ha reso il suo vagare solitario, cioè l’esilio, e la fissità del sepolcro del fratello incompatibili fra loro; egli, infatti, pur avendo detto il contrario all’inizio del testo, sa bene che per lui sarà impossibile potersi recare presso quella tomba.
A differenza di tutto ciò, nel componimento di Catullo si presenta una situazione di dolore a causa dell’ingiusta perdita del fratello; tuttavia questo può darsi consolazione poiché ha la possibilità di poter essere sulla tomba del familiare perduto per piangere la sua morte [“…le esequie grondanti di molte fraterne lacrime…”].

Tutte le ultime speranze di Foscolo sono riposte nel finale del sonetto [“…questo di tanta speme oggi mi resta…”]. Egli fa un disperato appello agli abitanti del luogo del suo esilio [“…straniere genti…”]. L’unico modo per tornare, un giorno, accanto alla madre e al fratello è quello di far restituire il suo corpo [“…l’ossa mie rendete al petto della madre mesta…”] dopo la morte affinché si possa realizzare l’ultima illusione estrema di stare accanto ai suoi cari nell’aldilà.
Al contrario, la poesia di Catullo termina con un estremo e definitivo saluto al fratello [“…in eterno, fratello, ti saluto e addio.”]

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