I viaggi di Gulliver

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Data:28.03.2008
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Testo

“I viaggi di Gulliver”
di Jonathan Swift

I viaggi di Gulliver è un romanzo satirico che presenta anche tratti del genere d’avventura: il protagonista, Gulliver (mai nominato, se non nel titolo) è un medico di bordo, che, a causa di naufragi, abbordaggi di pirati e ammutinamenti, si ritrova in balìa delle onde verso terre sconosciute e misteriose. Gulliver descrive dettagliatamente i suoi soggiorni in questi luoghi, soffermandosi spesso in piccoli dettagli riguardanti le sue necessità o le disavventure capitategli. Il protagonista racconta le sue avventure in prima persona (io narrante), quindi la focalizzazione è interna. Il romanzo è strutturato come un diario di viaggio e segue un ordine cronologico (fabula); inoltre il tempo della narrazione coincide con quello della storia.
Il libro è diviso in quattro parti e in ognuna di esse è descritto un viaggio:
1) il viaggio a Lilliput
2) il viaggio a Brobdignag
3) il viaggio a Laputa, Balnibarbi, Lugnagg, Glubbdubdrib e in Giappone
4) il viaggio nel paese degli Houyhnhnm.
Uno degli intenti dell'autore è di criticare il governo e di proporre delle innovazioni, evitando di attirare troppe antipatie; descrive terre fantastiche popolate da personaggi che commentano e giudicano gli elogi della patria del protagonista. Gulliver entra in contatto con vari popoli, ognuno dei quali presenta sia caratteristiche migliori sia peggiori rispetto agli Europei. Ad esempio i Lillipuziani hanno un sistema politico più avanzato di quelli in vigore in Europa (all'epoca in cui è stato ambientato il romanzo): il re non abusa del popolo per i propri fini, infatti, quando decide di non far uccidere Gulliver, stabilisce che, per il suo mantenimento, ogni villaggio deve fornire derrate alimentari e "per il pagamento dovuto, Sua Maestà emise assegni garantiti dal tesoro della corona, dal momento che questo sovrano vive soprattutto delle sue rendite e raramente, e solo in occasioni eccezionali, impone tasse ai suoi sudditi". (Qui l’autore punta il dito contro quei monarchi che schiacciavano la popolazione sotto il peso delle tasse pur vivendo nel lusso più sfrenato). Un'altra qualità della cultura di questo popolo è la possibilità di cambiare il proprio stato sociale, in opposizione ai sistemi di caste chiuse (nobiltà e plebe) presenti in tutto il mondo all’epoca: "quando una carica di primo piano è vacante, perché il titolare è morto o caduto in disgrazia, cinque o sei candidati alla successione presentano all'imperatore la richiesta di poter intrattenere Sua Maestà e la corte esibendosi" in prove di abilità. I candidati "vengono addestrati fin da giovani a questa arte e non tutti sono di sangue nobile o di cultura liberale". Inoltre, in questo paese, lo Stato, "è più incline alla ricompensa che alla punizione", infatti, chi è in grado di dimostrare la sua buona condotta per un certo periodo di tempo, "ha diritto a privilegi, variabili a seconda della condizione sociale, insieme ad una certa somma di denaro da prelevare da un fondo destinato a questo fine; contemporaneamente gli viene affidato il titolo di Snilpall o Legale da aggiungere al suo nome, senza che tuttavia possa essere trasmesso ai figli". Tutte le cariche pubbliche non sono ereditarie, ogni magistrato o ministro viene scelto in base alle proprie qualità e alle virtù etiche. Ogni uomo è giudicato solo per quello che è, non per ciò che furono i suoi antenati: la nobiltà di cuore prevale su quella di sangue. Le virtù morali hanno un grande valore, e, a Lilliput, "quando scelgono il personale per ogni tipo di impiego, considerano la moralità dell'individuo molto più della sua abilità; e poiché il governo è necessario all'umanità, sono convinti che un comune cervello sia idoneo ad un compito come ad un altro, e che la Provvidenza non si è sognata mai di fare del governo un'attività misteriosa, comprensibile ad un ristretto numero di intelligenze superiori, di cui non ne nascono più di due o tre ogni secolo". I Lillipuziani, conoscendo bene l’egoismo e l’istinto di sopravvivenza umano, evitano di affidare impieghi importanti alle menti geniali, perché queste persone potrebbero ideare stratagemmi e inganni, per mostrarsi dei benefattori agli occhi della gente comune, come accade nel romanzo “1984” di Orwell. “Essi invece pensano che tutti sono dotati di sincerità, giustizia, temperanza e simili; virtù, queste, la cui osservanza, unita all’esperienza e alle buone intenzioni, saranno sufficienti a rendere idoneo un individuo al servizio del suo paese, eccetto quei casi nei quali sia richiesto uno specifico corso di studi. Ma non c’è dote intellettuale che possa rimpiazzare la mancanza di virtù etiche, e gli impieghi non possono essere affidati alle mani di simili individui”, perché “ in ogni caso, gli errori commessi per ignoranza, in assenza di cattiva intenzione, non saranno mai tanto funesti per il bene pubblico come quelli commessi da uno, disposto per natura alla corruzione, che in più sappia manovrare abilmente per difendere e moltiplicare i suoi raggiri”. Evitando di conferire a persone pericolose cariche governative di un certo riguardo, i Lillipuziani si proteggono da dittature e regimi tirannici, ma anche da casi di manipolazione della giustizia. Ogni inganno deve essere punito severamente perché coloro che ci rimettono sono solo gli onesti. “Considerano la frode un delitto più grave del furto e succede raramente che non venga punita con la morte”, perché “se la cura e la vigilanza esercitate da un comune cervello possono preservare i beni personali dalle unghie dei ladri, non ci sono chiavistelli con i quali l’uomo comune riuscirà a difendersi da un’astuzia diabolica”. Un altro peccato molto grave è l’ingratitudine, infatti “se uno rende del male a chi gli ha fatto del bene, come potrà il resto del genere umano, che non ha fatto nulla, considerarlo un fratello? Per questo un simile uomo non è degno di vivere”. Se un essere umano riceve del bene da altri, potrà rendere del bene anche lui, ma se riceve del male, sarà difficile che renda del bene; quindi se qualcuno inizia a dare del male, si realizza una catena di azioni ai danni altrui, che potrebbe condurre ad un finale catastrofico.
I Lillipuziani dimostrano grandi doti e qualità sotto certi aspetti, ma presentano altrettanti difetti; Gulliver prende come modello il re: un uomo molto alto rispetto alla media (tanto da “incutere riverenza in chiunque sia al suo cospetto”), dai “tratti decisi e mascolini”, una persona che sa imporsi, e che, presa dall’avidità e dalla brama di potere, non si pone scrupoli nel suo progetto di conquista. Questo sovrano vede Gulliver come una straordinaria macchina da guerra, lo strumento con cui potrà finalmente schiacciare i suoi nemici, gli abitanti dell’isola di Blefuscu, i quali, in tempi remoti, avevano osato fornire assistenza agli eretici Puntalarga. Nel romanzo è descritto un vero e proprio “scisma religioso”: “è da tutti ammesso che il modo consueto di bere un uovo è di romperlo dalla punta larga; ma il nonno di Sua Maestà, apprestandosi un giorno, quando era bambino, a bere un uovo e avendolo rotto secondo l’uso degli antichi, si graffiò un dito. In conseguenza di ciò, l’imperatore suo padre, emanò un editto col quale si imponeva ai sudditi, con la minaccia di pene assai rigorose, di rompere le uova dalla parte della punta stretta. Il popolo reagì violentemente a questa legge, tanto che ci furono sei rivoluzioni”. Rivolte dovute al fatto che questo editto offendeva “uno dei dogmi della dottrina del nostro profeta Lustrog, espressa nel capitolo cinquantaquattresimo del Brundrecal (che è il loro Corano). Si ritiene tuttavia che questo sia stato un voler forzare il testo, le cui parole dicono esattamente che tutti i credenti dovranno rompere le uova dalla parte giusta”. Certe guerre nascono per i motivi più sciocchi e spesso si cerca una scusa nella religione, in una diversa interpretazione di un testo sacro, e a causa di ciò muoiono centinaia di persone. L’autore critica questo modo di agire comune anche nella realtà: tanti re e religiosi hanno compiuto vere e proprie stragi in nome di Dio o del proprio credo per rendere legittimi i loro soprusi e apparire quasi come dei santi e uomini pii. Inoltre, questi individui, tendevano ad esprimere pubblicamente “la propria grande clemenza e generosità, come doti conosciute e risapute in tutto il mondo”. Nulla diffondeva il terrore nella popolazione come questi discorsi, perché “quanto più si insisteva e si propagandavano tali encomi, tanto più disumana sarebbe stata la pena, e tanto più innocente l’accusato destinato a subirla”. Quando Gulliver si trova in difficoltà, perché ha attirato l’inimicizia di vari ministri e della regina (una donna molto vendicativa) organizza uno stratagemma per fuggire e riesce a tornare in Inghilterra. Gulliver, però, resta in patria appena due mesi, “perché il vivissimo desiderio di scoprire terre straniere non” gli “permise di stare più a lungo”. Nonostante le disavventure capitategli, Gulliver ha sempre desiderio di viaggiare e sente come un’attrazione per l’ignoto e l’avventura: proprio questa sua curiosità lo farà sbarcare a Brobdingnag, la terra dei giganti. Mentre esplora la zona costiera, non si accorge della presenza di questi esseri enormi; gli altri uomini sbarcati con lui fuggono e sono costretti ad abbandonarlo, perché si è allontanato troppo. Quando Gulliver si rende conto di essere solo tra i giganti, cerca di fuggire, ma invano. Viene trovato e mostrato in pubblico a pagamento. Il protagonista non viene trattato con rispetto né dai Lillipuziani (i quali, pur essendo alti solo pochi centimetri, erano riusciti a imporsi come suoi padroni), né dai giganti (che lo considerano prima una fonte di lucro, poi un piccolo esserino crudele e sanguinario): Gulliver è diverso da questi popoli, e il fatto di non essere uguale agli altri suscita una sorta di disprezzo e quasi rifiuto di considerarlo comunque un essere umano, c’è quasi un fenomeno di razzismo nei confronti del protagonista, che viene alleviato gradualmente, grazie al carattere mite o alla simpatia di quest’uomo. “Quello che mi metteva più a disagio… era quel loro modo di trattarmi senza riguardi, come una creatura incapace di provare qualsiasi sensazione”. Presso i giganti, Gulliver viene considerato “uno scherzo della natura”, una creatura dalle sembianze umane talmente minuta da non essere nemmeno in grado di difendersi dagli attacchi di un gatto. Infatti in quella terra non ci sono solo gli uomini giganti, ma ogni cosa è in proporzione: qualunque animale, sia esso un insetto o anche un topo, agli occhi di Gulliver appaiono come mostri giganteschi, a volte “più grandi di elefanti”. E, quando viene messo in discussione il coraggio del protagonista, lui si difende, però ottiene solo l’effetto di “far ridere a crepapelle tutti i presenti”. Diventano “vani tutti i tentativi che facciamo per salvare l’onore” se ci troviamo “al cospetto di quanti ci sono superiori”. È conveniente evitare scontri con queste persone ed è meglio rendersele amiche per ottenere la loro protezione. Infatti Gulliver riesce a condurre una vita abbastanza tranquilla tra i giganti, proprio perché, pur di rendersi simpatico al re, rinuncia a difendere l’onore della propria patria quando questa viene derisa. Swift si serve del re gigante per criticare i governi europei e di Gulliver (parlando in prima persona) per difenderli, in modo che il lettore abbia l’impressione che l’autore sia un difensore della patria, e non il contrario. Probabilmente, se avesse voluto scrivere il suo giudizio in modo differente, avrebbe rischiato minacce e punizioni severe, infatti il gigante considera i “compatrioti” di Gulliver “la razza più perniciosa di vermiciattoli detestabili a cui la natura abbia permesso di strisciare sulla faccia della terra”. Le critiche proseguono e si rendono più pesanti nell’ultima parte del romanzo, quando Gulliver arriva nell’isola degli Houyhnhnm: in questi capitoli viene descritto il degrado umano rispetto agli altri esseri viventi, perché gli uomini (yahoo), privati dell’intelletto, vengono considerati i peggiori animali del creato. Prima di raggiungere questa terra, Gulliver ha modo di vedere altri reami più degradati dell’Europa, come quello sotto il dominio dei sapienti dell’isola di Laputa: questi grandi pensatori sono tanto interessati a meditare su argomenti astratti da non rendersi conto che il loro regno è in perenne carestia. “Gli scienziati creano nuovi metodi e nuove regole per la coltivazione dei campi e la scienza delle costruzioni, inventando nuovi strumenti ed utensili per ogni tipo di lavoro… l’unico inconveniente è che nessuno di questi progetti è stato portato a termine, mentre la campagna giace in uno stato miserevole, le case vanno in rovina, la gente è privata di cibo e di vestiario. Tuttavia , invece di essere presi dallo sconforto, sono cento volte più decisi a proseguire i loro esperimenti”. Swift disprezza gli studiosi inconcludenti che si estraniano dalla realtà per rincorrere progetti immaginari, e in particolar modo critica coloro che si comportano così, invece di contribuire al bene comune di una nazione grazie alla loro grande intelligenza. I ragionamenti inconcludenti di questi saggi sono spesso ai limiti della follia, infatti, se sotto qualche aspetto posso essere idee geniali, presentano aspetti irrealizzabili. Uno di questi “saggi”, ad esempio mette in luce il fatto che spesso i governatori propongono leggi a proprio vantaggio e a sfavore del popolo, ma a questo problema suggerisce una soluzione decisamente sciocca. “Sosteneva che nelle assemblee ogni senatore dovesse non solo manifestare la sua opinione e difenderla accanitamente, ma votare poi contro di essa, perché solo in questo modo e seguendo questa procedura si sarebbe potuto operare sicuramente in favore del pubblico bene”. È ovvio che se un politico riesce a ingannare in un modo, non gli sia difficile trovare un altro metodo altrettanto efficace; inoltre nel caso di politici corretti, questa proposta intralcerebbe l’attuazione dei loro buoni propositi. Nel regno di Laputa, però, vi è ancora qualcuno che ricorre ancora ai “metodi antichi” e che rimpiange l’epoca “classica”, e proprio con queste persone Gulliver si intratterrà per più tempo. In occasione dell’incontro con il governatore della capitale, il protagonista coglie l’occasione di poter evocare grandi uomini del passato e parlare con loro riguardo le falsificazioni della storia. Coloro che si sono macchiati di questa colpa “risiedevano nella zona più lontana degli inferi da quella dove abitavano” i grandi del passato, “per un senso di vergogna e di colpa, tipica di chi ha stravolto totalmente il messaggio” e la storia di questi uomini. “Dopo aver passato in rassegna gli uomini più famosi degli ultimi cento anni, mi accorsi di quanto la gente era stata ingannata da scribacchini venduti, capaci di assegnare meriti di gloria ai vigliacchi, i più saggi consigli ai pazzi, la sincerità agli adulatori, la virtù romana ai traditori della patria…”. “A questo punto mi venne la curiosità di sapere in quale modo e con quali metodi tanta gente si era procurata alte onorificenze e grosse fortune… furono evocate moltissime persone che si trovavano nella condizione sopra accennata e fu sufficiente un esame superficiale per delinearci scene di tale infamia, che ogni volta che le ricordo mi riempiono di tristezza: spergiuro, prevaricazione, seduzione, frode, ruffianeria e simili erano le arti più pulite alle quali confessarono essere ricorsi e verso le quali dimostrai una certa comprensione”. Tutti questi dibattiti fanno riflettere sul fatto che la storia sia sempre scritta dai vincitori, e che questi, per rendersi migliori dai vinti agli occhi dei posteri, esaltano sé stessi dandosi glorie e imprese immeritate. “Spero di essere perdonato se tutte queste rivelazioni raffreddarono in me quella profonda venerazione che ho istintivamente per le persone importanti, verso la cui dignità noi abbiamo il massimo rispetto”. Gulliver si dimostra molto deluso, e non a torto, perché molte persone meschine e prive di ogni virtù hanno ottenuto gloria eterna, mentre coloro che veramente la meritavano, sono rimasti sconosciuti e sono “morti in disgrazia e in miseria”. Spostandosi in un’altra città del regno dei saggi, Gulliver incontra gli Immortali e constata quanto sia insensato l’attaccamento alla vita, viste le condizioni di questi uomini, ai quali non è concesso né di morire né di vivere l’eterna giovinezza. Prima di questo incontro, il protagonista immagina di essere immortale, il sogno di ogni uomo è poter vivere in eterno, poter ambire qualunque cosa (divenire l’uomo più ricco del mondo, o “un pozzo di scienza e un oracolo vivente”, combattere la corruzione “opponendosi ad ogni suo passo”…) e non invecchiare mai. In realtà gli Immortali devono condurre una vita decisamente più misera: “la gente comune li odia e li disprezza”, con il tempo venivano afflitti più degli altri da “malattie della mente e infermità del corpo”, “non ricordano niente ad eccezione di quello che hanno imparato e osservato in gioventù e nella mezza età e anche questo in maniera confusa”, e, inoltre, “allo scadere dell’ottantesimo anno, per la legge sono morti e gli eredi subentrano nelle proprietà”. “Nessun tiranno avrebbe potuto escogitare una morte più atroce, in braccio alla quale non mi sarei gettato pur di sfuggire ad una simile vita”. Gli Immortali, oggi, possono essere paragonati ai malati terminali: vivono, ma senza il piacere di vivere. Forse qualcuno è disposto ad accettare una condizione del genere pur di continuare a vivere, ma riflettendoci, ci si rende conto che è solo un voler inseguire un sogno vano, perché oltre al fatto di non essere autonomi, non si è nemmeno certi di poter controllare le proprie funzioni celebrali: insomma nessuno si augura questa fine, se così si può chiamarla, perché, anche se il paziente aveva precedentemente affermato di preferire la morte, può incontrare seri ostacoli nell’esaudire il suo desiderio. Il diritto alla vita è alla base di religioni e costituzioni di stato, ma in fondo, per queste persone, diventa quasi un’imposizione: ad un certo punto, l’eccessivo attaccamento alla vita, diventa una forma di egoismo nei confronti di questi esseri umani, ma trovare soluzioni che concilino tutti è difficile.
Gulliver lascia quel regno per tornare in patria, ma vi rimane poco più di cinque mesi, dopodiché riparte in qualità di capitano di una nave mercantile. Inizia la quarta parte del romanzo, e forse la più importante perché la polemica dell’autore verso i propri simili arriva al suo culmine. Il quarto viaggio ha inizio con un ammutinamento e Gulliver viene abbandonato dalla ciurma in un’isola fuori dalle rotte commerciali. Lasciato solo esplora questa terra e si rende conto che è popolata dagli houyhnhnm, cavalli dotati di un invidiabile grado di saggezza e di virtù. Inoltre, nell’isola, sono presenti anche degli esseri mostruosi, tra lo scimmiesco e l’umano: gli houyhnhnm li chiamano yahoo, per sottolineare la loro ripugnanza nei confronti di tutte le altre creature. “Nella loro lingua non ci sono parole per esprimere tutto ciò che è male, ad eccezione di quei termini che derivano dalle deformità e dalle cattive qualità degli yahoo. Così per definire la stoltezza di un servo, la negligenza di un figlio, la pietra che taglia il piede, il perdurare della cattiva stagione e cose simili, ricorrono al relativo termine seguito dall’epiteto yahoo”. Inizialmente Gulliver si considera estraneo a quella specie, ma gradualmente si rende conto che questi individui presentano caratteristiche e comportamenti tipicamente umani. Osservandoli sente un notevole disgusto e un senso di vergogna, quindi cerca di nascondere il proprio corpo sotto i vestiti, in modo che i cavalli non si accorgano della sua somiglianza fisica a quegli esseri, ma invano. Gli yahoo, tanto repellenti, però, sono ancora in uno stadio primitivo rispetto al resto del genere umano: sono la razza animale più mostruosa, da cui sono degenerati gli uomini. “Gli yahoo erano gli esseri più osceni, rumorosi e deformi che fossero stati creati dalla natura e i più refrattari, cocciuti, ribelli e maligni”; “sono astuti, maliziosi, traditori e vendicativi; sebbene robusti e resistenti, sono dei vigliacchi e di conseguenza isolenti, abbietti e crudeli”. “Stavo sulle spine perché mi aspettavo che il padrone accusasse da un momento all’altro gli yahoo di quei desideri contro natura, tanto comuni da noi. Ma la natura non sembra essere stata una maestra molto esperta, poiché dalle nostre parti questi piaceri più raffinati sono il prodotto esclusivo dell’arte e della ragione”. Proprio la ragione ha provocato un accrescimento e una complicazione di questi comportamenti, trasformando in malizia l’impulso di soddisfare il desiderio di lussuria, avidità e distruzione: tendenze irresistibili che continuano a regolare ogni azione umana e, che, negli abominevoli yahoo, per lo meno, si esprimono in modo immediato e innocente. Quando Gulliver viene costretto ad andare via dall’isola e rientrare in patria, incontra serie difficoltà nel reinserirsi in un mondo dominato dagli yahoo. “In teoria la mia riconciliazione con la specie yahoo sarebbe possibile se solo si limitassero a praticare quei vizi e quelle stoltezze che hanno ereditato dalla natura… ma quando vedo uno essere orgoglioso di questi cumuli di deformità e di malanni fisici e morali, allora perdo la pazienza e non riesco più a capire come una bestia di questa portata possa avere un simile atteggiamento vizioso. I saggi e virtuosi houyhnhnm, che hanno tutte quelle eccellenti doti che accompagnano una creatura razionale, non hanno un nome per esprimere questo vizio, così come la loro lingua non ha termini per nominare ciò che è male, eccetto quelli attraverso i quali descrivono le qualità abominevoli degli yahoo, anche se fra queste non sono mai riusciti a scoprire l’orgoglio”. Gulliver, che all’inizio del romanzo era tanto orgoglioso della propria appartenenza al genere umano e delle conquiste della ragione, ora inverte le sue opinioni formulando un giudizio assolutamente negativo sull’uomo, soprattutto quando questo, a causa dell’orgoglio, non sa riconoscere gli istinti bestiali che muovono nel profondo ogni sua azione. Tutto il romanzo è un percorso critico, attraverso il quale, vengono portati alla luce i peggiori difetti dell’uomo, fino ad arrivare all’ultimo, il peggiore, “L’Orgoglio”.
A Lilliput, Gulliver si muove in un mondo regolato da leggi simili a quelle umane. Vede lo svolgersi di una guerra civile in miniatura, e, proprio per le dimensioni di coloro che ne sono coinvolti i fatti all’origine della situazione appaiono ridicoli e insensati, benché ricalchino fedelmente le caratteristiche della storia europea dopo la Riforma.
Nella terra dei giganti, la situazione si capovolge, infatti Gulliver è ridotto alla dimensione di un lillipuziano. Attraverso questo “scambio delle parti”, il protagonista approfondisce la sua conoscenza del genere umano: egli è costretto a dubitare della grandezza e della superiorità della civiltà europea, orgogliosa delle innovazioni tecniche che le hanno permesso di conquistare gran parte del globo. È molto interessante la reazione del re dei giganti, quando Gulliver gli espone la funzione della polvere da sparo. La descrizione dei suoi effetti devastanti suscita nel sovrano una forte sensazione di raccapriccio. “Il re rimase inorridito dalla descrizione di quelle terribili macchine e dalla proposta che gli avevo fatto. Non sapeva capacitarsi come un insettuccio debole e impotente come me, potesse concepire idee così abominevoli, perverse e irresponsabili… e concluse che il loro inventore dovesse essere stato qualche genio del male, nemico del genere umano”. In questo episodio si può notare come si sia invertita la situazione rispetto alla permanenza di Gulliver a Lilliput: se prima il protagonista considerava i lillipuziani degli esserini sanguinari e crudeli, ora i giganti si sono fatti la stessa opinione riguardo a lui.
Nel regno dei saggi, l’autore rimpiange l’epoca classica, i grandi uomini del passato, modelli di comportamento e di virtù.
Nell’isola degli houyhnhnm, Gulliver dimostra che l’esperienza maturata nel regno dei giganti non è stata vana, perché dimostra minore orgoglio nel parlare della patria e della propria specie. Ora le occasioni di guerra tra gli uomini si dimostrano tanto insensate quanto quelle dei lillipuziani, inoltre si accorge che la politica mondiale è regolata da sentimenti animaleschi quali l’avidità e la violenza. “Mi chiese quali fossero le cause che portano un paese a scendere in guerra contro un altro; gliene elencai solo alcune….se per esempio la carne sia pane, o il pane carne, se il succo di un certo frutto sia vino o sia sangue, se fischiare sia un vizio o un nobile atto… senza contare che le guerre causate da divergenze di opinioni, soprattutto su cose di nessuna importanza, sono quelle più micidiali e più lunghe”. Poiché nella lingua degli houyhnhnm non esiste un termine corrispondente al concetto di guerra (una realtà sconosciuta ai cavalli), il protagonista è costretto a descrivere il fenomeno in tutta la sua concretezza: una mostruosa e abominevole carneficina. Diventa più evidente la ragione umana non fa che aumentarne i danni, perché ha perfezionato gli strumenti di tortura e sofferenza; inoltre la certezza della propria superiorità, ci nasconde i nostri difetti peggiori. Se con i giganti, Gulliver si lascia trascinare dall’entusiasmo dovuto al potere devastante della polvere da sparo, davanti alle grandi virtù degli houyhnhnm, si vergogna di sé: l’uomo ha usato la ragione solo per affermare maggiormente i vizi e gli abomini. Gulliver arriva a questa conclusione e l’impossibilità di raggiungere il grado di perfezione degli houyhnhnm, sarà un grande peso per il resto della sua vita. Il protagonista, costretto a ritornare a convivere con i suoi simili (yahoo inconsapevoli di ciò che sono e per questo ancora più insopportabili dei pelosi primitivi incontrati nell’isola dei cavalli), individua nell’orgoglio, il peggiore difetto dell’uomo. L’autore conclude la sua opera con una preghiera rivolta proprio a coloro che sono troppo fieri di se. “Prego coloro che dall’assurdo vizio dell’orgoglio sono intinti magari leggermente, di starmi lontani più che possono”.
Il romanzo è ambientato nel Settecento. Gulliver, un medico di bordo, durante i suoi viaggi, entra in contatto con persone di alto rango sociale (prevalentemente appartenenti a Corti) e contadini (quando viene trovato dai giganti). Il linguaggio usato nel libro è di registro medio, e non sono presenti grandi differenze tra il modo di parlare dei personaggi. I luoghi sono descritti i modo vago e servono prevalentemente per dare al lettore un’idea sulla minutezza e sulla grandezza, rispettivamente, dei lillipuziani e dei giganti (infatti la terza e la quarta parte del romanzo sono quasi prive di descrizioni di luoghi e paesaggi).

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