Charles Baudelaire e i Paradisi artificiali

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Testo

Charles Baudelaire nacque a Parigi il 9 Aprile 1821; all’età di sei anni rimase orfano del padre e la madre decise di risposarsi con un tenente colonnello il quale, a causa della sua rigidità, si guadagnò ben presto l’odio del giovane Charles.
Fu espulso dal liceo a causa della frequentazione di cattivi ambienti e del suo stile di vita dissoluto e la famiglia lo imbarcò su una nave diretta a Calcutta in India.
Dieci mesi dopo fece rientro a Parigi e grazie all’eredità paterna inizia una vita di grande libertà. Questo suo modo di vivere intaccò rapidamente la metà del patrimonio paterno costringendo la madre, dietro consiglio del patrigno, ad interdire il giovane ed affidare il suo patrimonio ad un notaio. L’anno successivo Baudelaire tentò, per la prima, volta il suicidio.
Per arrotondare la rendita mensile che gli era stata concessa dal tribunale, esordì come critico d’arte e lavorò con diversi giornali e riviste, sui quali pubblicò le sue poesie, raccolte nei Fiori del male, subito denunciate e processate per immoralità.
Nel 1860 pubblicò I paradisi artificiali, una serie di saggi sugli effetti delle sostanze stupefacenti sulla psiche umana.
Amareggiato per il poco successo, afflitto da difficoltà economiche ed indebolito per l’abuso di alcol e oppio, partì per Bruxelles dove venne colpito, nel 1866, da un attacco di paralisi. Fatto trasportare, per conto della madre, a Parigi, morì l’anno dopo senza riacquistare l’uso della parola.
Da sempre Baudelaire è visto come un mito romantico che, allontanandosi dalla famiglia e dedicandosi alle droghe, era portatore di novità. Per questo, ancora oggi, la sua vita rappresenta la figura dell’artista maledetto.
I paradisi artificiali
I paradisi artificiali furono composti tra il 1850 e il 1859 e raccolgono le riflessioni di Baudelaire sulle droghe.
Se in un primo tempo riflette sul rapporto emotivo tra lo stato di eccitazione provocato dalla droga e l’ispirazione poetica, ben presto si accorge che le droghe possono solo copiare l’arte, mostrando i paradisi illusori che sono in grado di creare.
Nei Paradisi artificiali, Baudelaire assume il ruolo di fisiologo, analizzando gli effetti che le droghe apportano all’essere umano; ed è soprattutto uno psicologo inconsapevole, che analizza la psiche, le sensazioni e le percezioni. Uno sperimentatore, di se stesso, e acuto osservatore degli altri.
Baudelaire non descrive semplicemente la droga di cui faceva uso, ma mostra l’inferno, fatto di degradazione e impotenza, in cui lo portava.
Certo è che Baudelaire non è stato sicuramente né il primo né l’ultimo a scrivere sulla droga, tuttavia lui ci riesce nel miglior modo possibile, perché la sua opera è carica di emozioni e sensazioni, profondi giudizi filosofici scaturiti dalla sua personale esperienza.
Il libro si divide in tre ampie parti: “ Del vino e dell’hashish”, nella quale l’autore prova a mettere a confronto due sostanze indicandole come moltiplicatori dell’individualità e della socializzazione; nella seconda parte “I Paradisi artificiali” Baudelaire porta alcuni esempi di amici artisti che condividono come lui il piacere di questo elisir.
La terza parte ha come titolo “Un mangiatore di oppio”. In quest’ultima parte l’autore tende a sottolineare pregi, difetti e differenze sostanziali tra hashish e oppio, infatti mentre il primo usa allucinazioni provenienti o derivanti da fatti effettivamente reali, il secondo crea l’illusione da cose o individui assolutamente immateriali.

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