Nicaragua, Costarica, Messico

Materie:Appunti
Categoria:Geografia
Download:137
Data:20.04.2001
Numero di pagine:29
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
nicaragua-costarica-messico_1.zip (Dimensione: 23.79 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_nicaragua,-costarica,-messico.doc     71.5 Kb


Testo

Nicaragua.
Repubblica dell'America centrale, confinante a nord con l'Honduras, ad est col mare dei Caraibi, a sud con il Costarica, ad ovest con l'oceano Pacifico e a nord-ovest con il golfo di Fonseca. Conta ca. 3.384.400 ab., distribuiti su un'area di kmq 130.682, comprese le acque interne. La capitale è Managua, con 682.111 ab.
Economia.
Il Nicaragua ha un'economia essenzialmente basata sull'agricoltura. Il governo sandinista, giunto al potere nel 1979, ha attuato una riforma agraria di tipo collettivista e varato programmi diretti alla meccanizzazione dei lavori agricoli. Nuove industrie sono sorte nei principali centri grazie soprattutto all'aiuto sovietico, ma vi sono difficoltà notevoli, anche tra l'altro per l'insorgere della guerriglia antigovernativa.
Governo.
Il Nicaragua è una Repubblica presidenziale, con un potere fortemente centralizzato, per molti aspetti simile al modello cubano. Nelle elezioni del 1984 si presentarono vari partiti, ma il partito comunista aveva un pieno controllo. Fu eletto presidente Daniel Ortega.
Storia.
La prima esplorazione del Nicaragua fu compiuta dagli Spagnoli, che vi fondarono, nel 1524, Leon e Granada. Il paese fu chiamato Nicaragua dal nome di un capo indio convertitosi all'arrivo dei bianchi. Tre secoli dopo, nel 1821, il Nicaragua, l'Honduras e il Guatemala si dichiararono indipendenti dalla Spagna e nel 1823 costituirono la Federazione dell'America centrale, da cui però il Nicaragua fu un susseguirsi di lotte per la conquista del potere. Da tali lotte la popolazione di colore restò a lungo al di fuori, ma col tempo elementi misti cominciarono ad occupare cariche pubbliche. Nel 1909 si ebbe il primo intervento degli USA, che finirono per porre il paese sotto il loro completo controllo. Nel 1926 essi appoggiarono la candidatura di A. Diaz, il quale venne però battuto dall'opposizione. Seguirono, malgrado il tentativo d'un accordo generale (patto di Tipitapa), anni di contrasti, finché non divenne presidente il filo americano generale Somoza, il quale, tranne qualche interruzione, restò al potere fino al 1956. La politica del Somoza si basò sul continuismo, la tattica cioè di prolungare di volta in volta, malgrado i termini costituzionali, il mandato presidenziale. A Somoza successe suo figlio Anastasio ("Tacho") Somoza Debayle, nei termini di una eredità dinastica.
Il nuovo Somoza governò dittatorialmente, conducendo una costante repressione mediante la Guardia nazionale, da lui organizzata come un esercito. Ma negli anni '70 si diffuse nel paese la guerriglia, sostenuta da Cuba e indirettamente, dall'Unione Sovietica. I guerriglieri sandinisti, così chiamati dal nome di un leggendario capo ribelle del 1930, Augusto César Sandino, riuscirono via via a riunirsi in grosse bande e tra il 1977 e il 1978 controllavano le estese aree del territorio.
Ai primi del 1979 i sandinisti investirono la capitale, che fu attaccata nella tarda primavera. Nella città ebbero luogo durissimi combattimenti con migliaia di morti. Alla fine Somoza dovette lasciare il paese. Si formò allora una giunta diretta da Sergio Ramirez Mereado. Negli anni successivi gli Stati Uniti, preoccupati che la Rivoluzione sandinista potesse estendersi nell'intera America centrale, intervennero fornendo aiuti ai paesi vicini, in particolare al Salvador. Sostennero anche i contras, i guerriglieri anti-governativi. E' attuale capo del governo la sig.ra Barrios de Chamorro, eletta nel 1991 con i voti della Unione Nazionale d'opposizione (UNO).
Costarica (Costa Rica).
Repubblica dell'America centrale confinante a nord col Nicaragua, a sud con Panama, ad est con l'oceano Atlantico e ad ovest con l'oceano Pacifico. La superficie di 51.100 kmq ne fa la più piccola delle repubbliche dell'America centrale dopo il Salvador. Ab. 2.959.200. Capitale: San José.
Caratteri etnografici, politici, amministrativi.
La popolazione è formata per il 90% da creoli di discendenza spagnola, per il 6% da aborigeni amerindi e meticci e per il 4% da negri e mulatti. Circa il 70% degli abitanti vive sugli altipiani centrali, occupando solo il 10% dell'intera superficie. Politicamente il Costarica è una repubblica unitaria a governo popolare e rappresentativo con funzioni esecutive, legislative e giudiziarie. Esiste una sola Camera legislativa, il Congresso costituzionale, i cui membri sono eletti per 4 anni.
Il Presidente della Repubblica è eletto con suffragio diretto per 4 anni. Amministrativamente il C. è diviso in 7 province presiedute da governatori nominati dal Presidente della Repubblica.
Economia.
L'economia del Costarica è basata sull'agricoltura, florida anche se praticata solo sul 10% della superficie complessiva. I prodotti più importanti sono il caffè (circa 1.470.000 q annui), il cacao (ca. 50.000 q), lo zucchero da canna (ca. 2.000.000 di q.) il cotone, il tabacco, le banane e altra frutta tropicale. Questi prodotti alimentano una prospera esportazione, per la massima parte verso gli Stati Uniti, che in effetti controllano l'economia costaricana. Altri prodotti, quali il mais, il riso, la manioca, servono al fabbisogno locale. Le foreste, estese su gran parte del paese, danno legname pregiato ed essenze.
Quasi irrilevante è l'attività mineraria. Si estraggono soltanto salgemma e modeste quantità di oro, argento, ferro, bauxite, manganese. Le industrie si limitano a pochi impianti per la produzione dello zucchero, di sigarette, cartiere, cementifici. A Puerto Limón si trova una moderna raffineria di petrolio. La Costarica deve quindi importare la quasi totalità dei prodotti industriali di cui ha bisogno.
Storia.
La regione scoperta nel 1502 da C. Colombo, che la chiamò Costa Rica Castilla de oro, fu costituita in governo con capitale Cartago nel 1540. Lo sviluppo economico del paese venne ritardato non solo dalla cattiva amministrazione spagnola, ma anche dalla rivalità fra Spagna e Inghilterra e dall'attività dei pirati. Nel 1821 il Costarica si proclamò indipendente e nel 1823 entrò a far parte della Repubblica federale dell'America centrale, da cui si staccò nel 1838. Lo sviluppo delle colture si ebbe sotto le presidenze Cortes e Calderon. Il Costarica non è stato raggiunto dall'ondata di guerriglia e di terrorismo che ha investito negli ultimi tre decenni gran parte dell'America centrale. Nel paese vi e inoltre una certa stabilità politica. I socialdemocratici, al potere dal 1963 al 1978, attuarono la riforma agraria e iniziative dirette a migliorare le condizioni degli strati sociali più poveri.
Nelle elezioni presidenziali del 1978 furono sconfitti inaspettatamente dall'Unidad Opositoria, conservatrice.
Divenne allora presidente Rodrigo Carazo Odio. Nelle elezioni del 1982 (il presidente resta in carica solo 4 anni) vinceva invece il Partito di Liberazione nazionale, in cui confluivano i socialdemocratici. Era eletto presidente Luís Alberto Monges. Con le elezioni del 1989 la maggioranza in parlamento frana al Partito di unità socialcristiana e l'anno successivo viene eletto presidente Rafael Angel Calderon Fournier.
Messico (Estados Unidos Mexicanos).
Repubblica americana, confinante a nord con gli Stati Uniti, ad est con il golfo del Messico e il mar Caraibico, a sud e ad ovest con l'oceano Pacifico, a sud-est con il Guatemala e il Belize. La superficie è di 1.972.547 kmq; gli abitanti sono 81.140.922. La capitale è Città del Messico (Ciudad de México), che ha oltre 18 milioni di abitanti.
Economia.
Fino alla Rivoluzione del 1910 il Messico conservò inalterate le forme d'una economia feudale, in quanto l'agricoltura, condotta con sistemi primitivi, aveva una prevalenza assoluta e la terra apparteneva a poche migliaia di famiglie. La massa contadina, costituita dai miserabili peones tenuti lontani da ogni possibilità di progresso, lavorava la terra dei padroni in condizioni servili. Furono però proprio i peones a battersi durante la Rivoluzione del 1910, che portò alla fine del sistema delle grandi proprietà agrarie stabilito dai conquistatori spagnoli. Oltre all'inizio della moderna civiltà nel Messico, la Rivoluzione stabilì anche una maggiore giustizia razziale, perché pose fine al monopolio d'ogni attività pubblica tenuto dai bianchi. Dopo il 1915 cominciarono ad essere costituiti gli ejidos, villaggi comunali cui veniva concessa una certa estensione di terra che doveva essere lavorata cooperativisticamente. Dal 1936 furono formate anche grandi comunità agricole, raggruppanti ciascuna diversi ejidos. Contemporaneamente i vari governi si adoperavano per risolvere il problema dell'irrigazione, molto grave in talune regioni, e per introdurre moderni sistemi di irrigazione. A tutt'oggi però i piani di irrigazione non sono stati completati e in molti luoghi i peones coltivano la terra secondo i metodi dei loro padri, bruciando ogni anno campi e boschi per fertilizzare il suolo. Anche l'industrializzazione procede a rilento o almeno non con il ritmo che sarebbe nccessario. In sostanza perciò il Messico resta un paese con reddito irregolarmente distribuito, bassissmi nelle campagne, nelle aree proletarie cittadine e nelle regioni aride del nord, dove per i peones vi è il problema quotidiano di trovare di che sfamarsi.
Governo e amministrazione.
In base alla costituzione adottata a Querétaro nel gennaio 1917 e proclamata dal presidente Venustiano Carranza, il M. è una repubblica federale presidenziale, composta da stati i quali godono d'una completa autonomia amministrativa interna. Il Presidente della Repubblica, eletto per 6 anni con diretto voto popolare, rappresenta il potere esecutivo. Egli nomina un consiglio di 9 ministri e 8 capi-
dipartimento, dipendenti direttamente da lui. Non esiste, come negli USA, un vice-presidente. Il potere legislativo è composto da una camera di 161 deputati eletti a suffragio universale per 3 anni e da un senato di 60 membri. Gli stati, che hanno proprie legislature e un proprio governatore, si dividono in municipalità e villaggi. Complessivamente il M. è diviso in 32 stati e in un distretto federale. Gli Stati sono i seguenti: Aguascalientes, Baja California Norte, Baja California Sur, Campeche, Chihuahua, Chiapas, Coahuila, Colima, Durango, Guanajuato, Guerrero, Hidalgo, Jalisco, México, Michoachán, Morales, Nayarit, Nuevo León, Oaxaca, Puebla, Queretaro, Quintana Roo, San Luis Potosí, Sinaloa, Sonora, Tabasco, Taumalipas, Tlaxcala, Veracruz, Yucatán, Zacatecas. Il distretto federale (Distrito Federal) ha una superficie di 1499 kmq e costituisce in pratica l'area territoriale della capitale, Città del Messico. E' da ricordare che Baja California Sur e Quintana Roo erano nel passato considerati amministrativamente come territori. Vi è poi da considerare lo Stato di Pacifico Sur.
Partiti politici e organizzazioni sindacali. Il partito dominante nel Messico, che segue una politica quasi di regime, è il Partido revolucionario institucional (PRI), il partito della Rivoluzione del 1910, organizzato nel 1928 col nome di Partido revolucionario nacional, poi mutato in quello attuale. Tale partito ha dato al paese tutti i presidenti e la maggioranza dei deputati delle varie legislature. Gli altri partiti sono ammessi, ma hanno un'influenza molto relativa. Tra essi vi sono il partito comunista, grandemente decaduto in questi ultimi anni, il Partido popular, che raccoglie membri dissidenti di sinistra del PRI, e il Partido de acciòn nacional a carattere conservatore. Sono del tutto scomparsi dalla scena politica alcuni raggruppamenti clericali reazionari, quali il partito dei Sinarquistas.
La maggiore organizzazione sindacale del Messico è la Confederazione dei lavoratori messicani, alla quale sono iscritti ca. 1.000.000 di lavoratori, legata al PRI. Altri importanti sindacati sono la Confederazione dei lavoratori latino-americani di sinistra e la Confederazione inter-americana del lavoro, centrista.
Il Messico precolombiano. Quando gli Spagnoli giunsero nel Messico vi trovarono due popoli principali, i Maya, nella penisola dello Yucatàn, e gli Aztechi nell'Anahuac. Su entrambi questi popoli esiste oggi un'imponente massa di materiale archeologico, comprendente rovine di città e di grandi templi, i famosi teocalli, e numerose iscrizioni, non tutte però, specie quelle in lingua maya, facili a decifrarsi. Gli Spagnoli, occupato il Messico, cancellarono rapidamente la cultura dei Maya e degli Aztechi, distruggendo città, templi e imponendo conversioni forzate. Assetati di metalli preziosi, essi si stabilirono presso le miniere d'argento e d'oro, in aree densamente popolate, e si servirono degli indios per il lavoro d'estrazione. Primi centri furono Città del Messico e Guadalajara. Numerose altre città sorsero successivamente, tutte con una precisa ubicazione mineraria. Le regioni settentrionali vennero divise tra le missioni cattoliche. Sottoposti ad un lavoro bestiale, contagiati da malattie contro cui non avevano immunità, gli indios cominciarono a morire a decine di migliaia. Solo piccoli gruppi di maya fuggiti nelle foreste e in altri luoghi inaccessibili sopravvissero.
Storia.
La storia del Messico dalla conquista spagnola alla Rivoluzione del 1910 è stata condizionata dal sistema coloniale di sfruttamento stabilito fin dall'inizio dagli Spagnoli e consistente nella divisione del territorio in grandi lotti assegnati a poche famiglie e missioni. In tali lotti vi fu sempre una situazione di latifondo, in quanto i proprietari li sfruttavano per quel tanto che ad essi occorreva, lasciando incolte enormi estensioni di terra. La Rivoluzione del 1910 fu dovuta ad una grande spinta popolare, nella quale ebbero il loro peso sia i peones delle campagne che gli strati proletari formatisi nelle città, per spezzare le catene con cui una minoranza teneva da secoli avvinto un grande paese.
Nel 1517 il primo spagnolo, Hernández de Córdoba, sbarcò sulla costa dello Yucatán. Da quel momento aveva inizio una nuova storia per il M. Due anni dopo Hernán Cortés, un audace avventuriero, prendeva terra presso l'attuale Veracruz e iniziava la penetrazione nell'interno. Tra pericoli e temerarie avventure il 13 agosto 1521 si impossessava di Tenoxtitlán, capitale dell'impero azteco. L'anno prima era stato messo a morte Montezuma II, imperatore degli Aztechi. Impadronitosi del paese, Cortés distribuì migliaia di acri di terra ai suoi uomini; gli indios, considerati non uomini ma animali, furono costretti a lavorare nei campi e nelle miniere dei loro padroni. Il sistema di Cortés venne seguito dai conquistatori venuti dopo di lui e dalle stesse autorità spagnole. Il clero delle missioni, rapidamente diffusesi, sostenne sempre l'organizzazione coloniale di sfruttamento, anche se, d'altro lato, collaborò per la fondazione di città, chiese, università e scuole, dalle quali ultime gli indios restarono sempre esclusi.
Sia pure però in un mondo così chiuso col tempo si levarono voci di simpatia e pietà per gli indios e gli stessi Spagnoli discendenti dagli antichi coloni mostrarono spesso, per altri motivi, segni d'insofferenza al governo della lontana Spagna. Nei primi anni del sec. XIX un umile prete di nome Hidalgo si schierò dalla parte degli indios e iniziò un'azione tendente ad ottenere per essi più umane condizioni di vita. Venne però arrestato e giustiziato. La sua opera fu continuata da un altro prete, José Maria-
Morelos, legato ai gruppi indipendentisti spagnoli. Nel 1821 gli Spagnoli messicani condotti dal generale Augustín de Itúrbide si ribellavano contro le autorità ufficiali e proclamavano l'indipendenza. Itúrbide si faceva allora incoronare imperatore. L'anno seguente però, in seguito alla rivolta ca peggiata dal generale Antonio López de Santa Ana, il Messico diveniva una repubblica. Solo nel 1836, il 28 dicembre, dopo un fallito tentativo di riconquista, la Spagna riconosceva l'indipendenza del Messico. Nel 1836 s'ebbe una vera e propria guerra tra il Messico e i coloni del Tezas, che non intendevano essere considerati sudditi messicani; nel 1846 vi fu poi il conflitto tra il Messico e gli USA per la cosiddetta controversia del Rio Grande. Con tale conflitto il Messico perse vaste estensioni territoriali.
Nel 1857 Benito Juárez, detto El Benemérito, diede al Messico una costituzione liberale, che tra l'altro prevedeva la separazione della Chiesa dallo Stato e l'abolizione d'una serie di privilegi. I grandi proprietari e l'alto clero scatenarono allora una guerra civile, ma le forze da essi messe insieme vennero definitivamente battute nel 1861. Nello stesso tempo vi fu il tentativo di Napoleone III di fare del Messico una grande colonia francese. Il 12 luglio 1864, scortato da truppe francesi, entrava a Città del Messico Massimiliano d'Asburgo, proclamato imperatore. Nel 1867 era però fucilato dai repubblicani. Nel 1877 diveniva presidente il generale Porfirio Díaz, il quale instaurava un regime dittatoriale, restando al potere per molti anni. In effetti durante la dittatura di Díaz il Messico subì una vera e propria trasformazione in vari settori, ma la vita nelle campagne restò immutata. Nel 1910 un'ondata rivoluzionaria scosse tutto il paese e l'anno seguente Diaz lasciava il Messico.
Dopo la Rivoluzione il Messico non ritrovò la pace, in quanto continuarono disordini e congiure. Tuttavia lentamente problemi fondamentali sia politici che economici e sociali vennero affrontati e risolti. Nel 1917, soprattutto ad opera del presidente Carranza e dei suoi collaboratori, fu redatta la costituzione democratica, dalla quale doveva nascere il odierno.Nella Storia del M. contemporaneo il Partito rivoluzionario istituzionale (PRI) ha mantenuto costantemente il potere. Nel luglio del 1982 diveniva presidente Miguel de la Madrid Hurtado. La sua elezione segnava ancora una schiacciante vittoria del PRI.
Uno dei fenomeni dell'attuale Messico è l'emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti. Nel grande paese vicino i Messicani travano in genere occupazione sotto forma di "lavoro nero". Nel 1987 una drastica legge delle autorità federali statunitensi stabiliva il ritorno nel M. di oltre 4 milioni di immigrati. Era un provvedimento doloroso che colpiva l'economia già povera di città e paesi messicani.
Maya..
Popolo amerindiano stanziato nell'America centro-settentrionale, fondatore della più antica civiltà precolombiana. Gli attuali Maya (ca. 2.000.000), dediti in gran parte all'agricoltura, parlano ancora la lingua dei loro predecessori e abitano le antiche sedi in cui fiorì la più splendida cultura del Nuovo Mondo.
La regione in cui si sviluppò la civiltà dei Maya comprende attualmente gli stati dello Yucatán, del Campeche, del Tabasco, la parte orientale del Chiapas e il territorio di Quintana Roo, nella Repubblica del Messico; il dipartimento di Peten e gli altipiani adiacenti, a sud, nel Guatemala; la parte occidentale dell'Honduras e tutto l'Honduras britannico, per un totale di ca. 320.000 kmq.
A differenza della civiltà degli Aztechi, che all'arrivo degli Spagnoli era storicamente ancora giovane, quella dei M. ebbe inizio in epoca remota. Per S. G. Morley (Gli antichi Maya, Firenze, 1958) essa si estende lungo un considerevole arco di tempo. Secondo questo eminente studioso, sulla base di ricerche archeologiche, etnologiche e antropologiche, il corso storico di tale civiltà sarebbe passato attraverso tre periodi: età pre-classica (ca. 1500 a.C. - 317 d.C.); età classica (317 d.C. - 889); età post-classica (889- 1697), che termina quando furono sottomessi gli ultimi M. organizzati.
L'età pre-classica ci attesta la presenza nella regione di Peten dei primi Maya Essi forse giunsero originariamente dal nord (Toltechi?) o subirono l'influenza di immigrati che provenivano dal Messico. Erano probabilmente tribù di nomadi che si trasformarono in sedentari ed agricoltori. Si ritiene che il loro stabilizzarsi in sedi permanenti sia da mettere in relazione con la scoperta della coltura del mais. Infatti, negli altipiani del Guatemala cresce una pianta selvatica, chiamata in lingua azteca teosit (erba degli dei), che secondo i botanici è da considerarsi la progenitrice del mais. Vasellame e resti di costruzioni sono testimonianze di questo periodo.
Dal 317 d.C. fino all'889 la civiltà dei Maya si sviluppa e raggiunge il massimo del suo splendore nell'odierno Guatemala e nelle zone adiacenti. Le rovine, fino a qualche decennio fa sepolte nelle foreste, a Palenque, Piedras Negras, Yaxchilan, Tikal, Uaxctum, Copan e Quiriguà, determinano l'estensione di quello che fu il dominio dei M., forse non un'unità politica, ma un complesso di città-stato. Sul finire del IX sec., in ca. 50 anni, tutte queste città furono abbandonate. Molte ipotesi sono state formulate per spiegare tale esodo: terremoti, modificazioni del clima, sopraggiungere di malattie epidemiche, guerre civili, invasioni di popoli stranieri, rivoluzioni interne, rovesciamento del potere sacerdotale, decadenza intellettuale, esaurimento del terreno agricolo. Congetture tutte plausibili, ma nessuna risolutiva. E' certo che dagli inizi del X sec. i Maya non costruirono più monumenti, templi e palazzi nel territorio dell'antico impero. In tal modo ha termine il periodo del loro massimo splendore.
Il terzo periodo, o età post-classica, vede il centro della civiltà dei Maya spostarsi più a settentrione, nella penisola dello Yucatán. Qui ebbe sede quello che è chiamato il nuovo impero. Le nuove condizioni ambientali devono aver influito in senso negativo sulla originaria cultura dei M., se possiamo constatare che in quest'epoca essi non raggiunsero l'antico splendore ed erano già in piena decadenza quando arrivarono gli Spagnoli.
Difficile è ricostruire l'organizzazione politica e sociale dei Maya durante il periodo classico e post-classico. E' probabile che le varie città fossero unite in una confederazione di governi, in cui un'alta casta sacerdotale doveva avere una parte preponderante. Infatti la mancanza di un'organizzazione militare e il rilevante peso della religione nella vita pubblica hanno fatto ritenere che i sacerdoti di un culto rigido e dogmatico abbiano avuto parte prevalente nel governo. La popolazione, costituita principalmente da agricoltori, abitava in piccoli gruppi nelle vicinanze dei terreni coltivati; nei giorni di mercato e in occasione di cerimonie religiose affluiva nelle città, centri religiosi e amministrativi. Il loro ordinamento sociale era rigidamente gerarchico, dominato da una casta ereditaria, ma tutte le risorse erano messe in comune. La casta privilegiata derivava il suo potere da una pretesa origine divina; aveva alla sua testa un capo politico, che rivestiva contemporaneamente la carica di sommo sacerdote. Costui, chiamato Halc-uinic (giusto uomo), con l'aiuto di numerosi funzionari, decideva sull'amministrazione del territorio e delle città a lui sottoposte, dirigeva le cerimonie, ordinava la costruzione dei templi, soprintendeva all'agricoltura e ai commerci.
In taluni campi delle conoscenze i Maya ci hanno lasciato delle sorprendenti testimonianze. Essi svilupparono una complessa e ricca scrittura geroglifica e calcolarono esattamente i cicli lunari, con l'approssimazione di un giorno su un periodo di trecento anni. Crearono un sistema di numerazione vigesimale (per venti), che veniva espresso con tre soli segni: il punto, che equivaleva a 1, la linea, che equivaleva a 5, e un segno particolare che significava zero. In combinazione fra loro, i segni davano altre cifre. Così, due punti 2, un punto e una linea 6, tre punti e tre linee 18, e via di seguito. Collocando poi questi numeri gli uni sopra gli altri, se ne moltiplicava, secondo certe norme, il valore. In tal modo i Maya riuscivano ad esprimere grandissimi valori numerici. Ma l'applicazione più interessante della scrittura, delle osservazioni astronomiche e del sistema di numerazione si ebbe nella elaborazione della cronologia. Nel loro calendario essi dividevano l'anno in 365 giorni, con un giorno intercalare ogni 4 anni, cioè quanto bastava per l'uso normale, e con 25 giorni intercalari ogni 104 anni, quando si trattasse di periodi piu lunghi. Oltre all'anno, si aveva anche un ciclo di 260 giorni, chiamato tzolkin. Questo curioso e, a prima vista, arbitrario periodo corrispondeva al tempo compreso tra i passaggi del sole, in autunno e in primavera, allo zenit della città di Copan. Tale epoca coincideva con il periodo fra la maturazione del mais e l'inizio della stagione delle piogge: due date di grande importanza per i M. Ogni tzolkin era collegato con l'anno, in modo che ogni giorno era compreso entro il minimo comune multiplo di 260 e 365, cioè 18.980 giorni, pari a 52 anni.
A giudicare dai soggetti pacifici delle sculture dell'età classica, la religione dei M. durante questo periodo deve essere stata di un tipo elevato e non basata quasi esclusivamente sui sacrifici umani, come fu quella dei tempi posteriori. Infatti, testimonianze degli scrittori spagnoli del XVI sec. e ritrovamenti archeologici ci confermano che l'idolatria e la pratica dei sacrifici umani fu introdotta nello Yucatán dall'influsso degli Aztechi. Originariamente la religione era monoteista. Hunab Ku era il supremo creatore e aveva tratto dal mais il genere umano. In seguito un gruppo di divinità più o meno importanti si affiancò a tale essere supremo. Comparvero così: Itzamna, dio del sole e del firmamento; Kukulcan, dio della saggezza, inventore del calendario, rappresentato in sembianze di serpente piumato; HunaHan, dio della morte e dei nove inferi. C'erano poi divinità della pioggia, dell'agricoltura, del terremoto e delle stelle.
Il culto nel periodo classico si limitava ad offerte di fiori, frutti, cani e tacchini. In periodo post-classico la religione assunse un carattere cruento e comparvero i sacrifici umani. In un gigantesco pozzo di 60 m di diametro, conosciuto come il cenote di Chich'enltzá (Yucatán) venivano gettate, in particolari solennità, fanciulle vive, riccamente adornate, come offerte sacrificali. Anche in caso di grande bisogno per tutta la comunità erano sacrificate vittime umane, specialmente allo scopo di far venire la pioggia durante le prolungate siccità. Salassi e scarnificazioni avevano una parte rilevante nella osservanza religiosa. Il sangue così ottenuto, come quello delle vittime sacrificali umane, era cosparso sugli idoli. I Maya credevano nell'immortalità dell'anima e nell'altra vita. Si riteneva che i morti fossero confinati nel mondo sotterraneo (mitnal) come castigo per le colpe commesse in vita, mentre il paradiso celeste era il premio per una vita ben spesa.
Legato alle pratiche del culto, era praticato dai Maya il gioco rituale della palla. Veniva svolto nei grandi cortili adiacenti ai templi da giovani appartenenti alla casta privilegiata. Il gioco della palla, in parte simile all'odierna pallacanestro, consisteva nel far passare la palla attraverso anelli di pietra fissati ai muri laterali e apparteneva al culto, in quanto simboleggiava il cammino degli astri e soprattutto del sole.
La migliore informazione sulla vita dei Maya ci è data dalle imponenti costruzioni architettoniche, dall'arte scultorea, dalle ceramiche e dalle pitture. I centri residenziali, sia nelle città più antiche che in quelle del periodo post-classico, comprendono piramidi a piattaforma, sulle quali avevano luogo le cerimonie religiose; templi ornati con grande profusione di sculture, ai quali si accedeva mediante ripide scalinate; palazzi di pregevole fattura decorati all'interno con disegni policromi. Oggi, attraverso queste testimonianze, e particolarmente dalla perfezione delle sculture, si può desumere quale genere di vita conducessero gli antichi Maya nei tempi di maggiore splendore. Capi di città, potenti sacerdoti, principi alteri, volti chiusi e impassibili, copricapi piumati, vesti sontuose, collane, bracciali,, ogni sorta di ornamenti, insegne del grado, prigionieri prostrati ci mostrano l'immagine della potenza e della raffinatezza di questi misteriosi personaggi, che hanno sfidato l'usura del tempo e la vigoria invadente della foresta. Ed è proprio attraverso la loro perfezione artistica che i Maya ci ripropongono continuamente l'enigma, solo in parte svelato, della civiltà da essi raggiunta.
Aztechi.
Aborigeni americani appartenenti al gruppo Nahua che intorno ai primi anni del XVI sec., quando i primi conquistadores bianchi giunsero nella Nuova Spagna, formavano un vasto e potente «impero» esteso nel Messico meridionale, parte dell'attuale Guatemala e Honduras. Provenienti probabilmente dal Messico settentrionale (per quanto essi stessi, nel corso della loro storia, abbiano elaborato fantastiche leggende tendenti a rendere mitica la propria origine), già molti anni prima dell'era cristiana sapevano coltivare il mais ed erano abituati ad una vita sedentaria. Per lungo tempo vissero oscuramente tra le altre genti parlanti i dialetti Nahua, come i Tepaneca, gli Huexotzinca, i Tlazcaltcca, i Chalca all'ombra della grande civiltà dei Maya (v.) e dei Toltechi (v.), ma verso il XIV sec., allorché i Maya, spinti dalla fame di campi da coltivare a mai o forse da terremoti, avevano già abbandonato le grandiose città che essi stessi avevano costruito ed il dominio dei Toltechi s'andava disintegrando, ebbe inizio la potenza degli Aztechi In tali anni un gruppo azteco si stabilì su una paludosa isola della parte occidentale del lago Tezcoco e vi fondò la città di Tenochtitlan (il cactus sulla roccia), detta poi anche Messico (casa del dio della guerra). La nuova città divenne il centro dell'espansione militare azteca. In un primo tempo gli Aztechi formarono una lega offensiva-difensiva con altre città quali Tezcoco, un altro grosso centro sul lago, e Tlacopan (attuale Tacuba), ma già alla fine del XV sec. erano in realtà gli unici dominatori di tutta la regione. Oltre che nella valle del Messico, essi estesero rapidamente il loro potere nello Yucatan e nel Guatemala. Le città soggette pagavano un tributo in uomini e merci. L'organizzazione dei popoli vinti fu compiuta soprattutto con Montezuma I (1440-69) e Montezuma II, due tlatuani cioè signori degli Aztechi
Lo stato azteco non era uno stato nel nostro senso. Esso non aveva una vera e propria continuità territoriale ed una vera e propria amministrazione centrale, ma era piuttosto costituito da un insieme di comunità tribali rette da clan, soggette alla casta dominante che si manteneva al potere con la forza delle armi. Nelle stesse città azteche tutto apparteneva alla ristretta classe dei nobili, cioè gli almehnoob (quelli che hanno madre e padre, e possono vantare quindi un'origine), da cui provenivano i sacerdoti ed il principe ereditario, l'halach uinich (il vero uomo) dei Maia ed il tlatuani degli Aztechi. La massa della popolazione era costituita da semischiavi e da schiavi abitanti in sudice capanne. Nobili e sacerdoti risiedevano invece in grandi edifici fortificati posti al centro, dove sorgevano anche i templi. Oltre che sulle armi, il potere azteco si basava anche sul terrorismo religioso e sull'abbaglio di un enorme fasto, reso possibile dallo sfruttamento senza pietà di tanti soggetti. Come i Maia ed i Toltechi, costruivano grandi piramidi con scalinate che portavano agli dei, al sole ed alla luna, orientate secondo calcoli astronomici. Affermavano che il mondo poteva finire ogni 52 anni e solo essi potevano allontanare la catastrofe. A tal fine sulle gradinate delle piramidi i loro sacerdoti eseguivano sanguinosi sacrifici scorticando vivi in gran numero uomini e donne, di cui poi indossavano le pelli, in onore di Xipe Totec (nostro signore lo scorticato), dio della terra e della primavera. Schiavi, prigionieri di guerra ed ostaggi fornivano le vittime per i sacrifici divenuti sempre più sanguinosi, dopo che aveva avuto inizio il dominio feudale degli Aztechi Cortez (v.) conquistò i territori dominati dagli A. e distrusse la loro capitale, non solo per l'abilità e diplomazia di cui seppe far uso, il terrore che seppe ispirare con le armi da fuoco e i cavalli, ma anche perché bastò una piccola scintilla perché tutto l'enorme escrcito degli oppressi, dei nullatenenti si rivoltasse contro i propri sfruttatori ed aguzzini travolgendoli.
Dopo la conquista spagnuola, nomi e parole azteche si diffusero per tutta l'America centrale. Alcune parole come coyote, tomato (pomodoro), chocolate divennero di uso internazionale. Gli Aztechi, come le genti già a loro soggette, passarono sotto la miserevole dominazione spagnuola che li ridusse in uno stato di semischiavitù. Vivono oggi nel Messico circa un milione e mezzo di lontani discendenti della gente Nahua, ed ancora conservano nei loro dialetti parte della lingua uto-azteca.
Archeologia.
Per quanto la civiltà azteca, come quelle maia, inca e tolteca, si sia spenta meno di 5 secoli fa, pure la sua ricostruzione si è presentata difficile e restano tuttora non pochi punti oscuri. Il fatto è che queste civiltà vennero spezzate nel sangue dagli Spagnuoli e soprattutto vi fu, dopo quello dei soldati, l'accanimento dei gesuiti che bruciarono e distrussero manoscritti e figurazioni. In quest'opera di «cancellazione» eccelse il vescovo Diego de Landa che fece dare alle fiamme un numero enorme di documenti maia ed aztechi. Pure restano avanzi e rovine grandiose. Tenoctitlan, la capitale degli Aztechi fondata nel 1325, sorgeva in una laguna su isolette congiunte da dighe e canali, con ponti e strade lungo le dighe. Le case dei nobili e dei sacerdoti, costruite in pietra bianca, erano a più piani con stanze riccamente ornate di marmi, stucchi, alabastri. Al centro s'innalzavano i templi, tra cui il gran tempio formato da 5 piramidi con base quadrata sovrapposte l'una all'altra ed una grande terrazza sull'ultima. L'acqua per questa città di circa 100.000 - 300.000 ab. era portata da perfetti acquedotti. Poiché gli Aztechi non usavano animali, tutto il materiale per queste costruzioni era stato trasportato dagli schiavi, ed è da presumere che le piramidi azteche siano costate forse più sudore e sangue umano che quelle egiziane. Tra le rovine ritrovate in varie parti del Messico, notevoli anche quelle d'un edificio nella valle del fiume San Juan (Nuovo Messico negli U.S.A.), di ampio perimetro e capace di 500 stanze. L'età di queste rovine è molto remota, certamente prima di Cristo; esse appartengono comunque alla cultura azteca.
Inca o Incas, Civiltà.
Gli Inca o Incas appartengono, con i Maya e gli Aztechi, alle grandi civiltà precolombiane. Abitavano il Perù e all'epoca della conquista spagnola avevano fondato un grande impero e raggiunto un alto grado di civiltà. Il nome Incas originariamente apparteneva ad un certo numero di tribù che vivevano nelle vicinanze di Cuzco e parlavano la lingua quecúa. Sulla base delle relazioni dei cronisti spagnoli del XVI e XVII sec., i quali forniscono le liste degli imperatori, si è calcolato che la dinastia i. cominciò a Cuzco intorno al 1200 d.C. Per i primi due secoli gli Incas si diedero a piccole incursioni a scopo di saccheggio ed a guerriglie con i loro vicini (Chanca, Lupaca, Colla, Quechúa) senza operare stabili conquiste. La prima espansione si ebbe sotto l'imperatore Pachacuti, che sconfisse i Chanca e ne occupò il territorio. Nel 1460 il suo impero si estendeva sugli altipiani del Perù, dalle vicinanze del lago Titicaca fino al lago Junin. Il figlio Topa Inca, proseguendo le imprese paterne, arrivò fino a Quito, donde invase la parte centrale della costa ecuadoriana fino a Manta, sede di un famoso santuario. Di qui attaccò l'impero Chimù e lo sottomise senza grandi difficoltà, continuando poi verso Pachacamac, al sud. Conquistò poi gli altipiani della Bolivia ed il nord-ovest dell'Argentina, da dove discese verso il Cile, stabilendo le frontiere meridionali dell'impero sul fiume Maule, a ca. 35° di lat. S. Alla morte di Topa Inca (1493), salì al trono il figlio Huaynacapac, che estese il suo dominio sugli altipiani a nord di Quito e sulle pianure costiere dell'Ecuador. Quando nel 1527 morì di peste, già gli era stato annunciato l'arrivo a Tumbez della prima spedizione spagnola. La lotta per la successione al trono dei suoi figli Huascar e Atahuallpa fu determinante per il rapido crollo dell'impero. L'esercito, diviso in due parti, una all'ordine del sovrano legittimo Iluascar e l'altra al seguito dell'usurpatore Atahuallpa, non fu in grado di opporre una valida resistenza ai conquistatori spagnoli. E quando Atahuallpa, ormai vittorioso, stava per godere il suo trionfo, venne catturato da Pizarro.
In tutti i luoghi in cui si diffusero, gli Incas lasciarono tracce tangibili della loro civiltà. Bisogna però tener presente che l'intera area da essi occupata era già sede di fiorenti culture (Chavin, Nazca, Tiahuanaco, Chimù, Chinca) che si erano sviluppate dal 500 a.C. Ad un alto livello di perfezione erano giunte la ceramica, la tessitura, la costruzione di strade, di templi, di abitazioni, di canali per l'irrigazione. A queste conquiste di ordine tecnico bisogna aggiungere che i popoli preincaici avevano una notevole organizzazione sociale, politica e religiosa. Gli Incas quindi beneficiarono di un cospicuo patrimonio culturale che svilupparono ulteriormente.
LA «STRADA DEL SOLE».
Tra le opere che ancora oggi testimoniano la potenza incaica vi sono le costruzioni murarie e le strade. Palazzi, templi, fortezze e mura di cinta venivano eretti con blocchi poligonali di roccia ignea, perfettamente adattati gli uni agli altri nelle commessure. Con la stessa tecnica si costruivano le strade, che ebbero capitale importanza per il consolidamento e la stabilità dell'impero. Una strada costiera seguiva il litorale in tutta la sua lunghezza da Tumbez a Arequipa, spingendosi oltre, fino al Cile. Per mezzo di deviazioni questa arteria si congiungeva alla grande «strada del sole» degli altipiani. Al momento della maggiore estensione dell'impero essa andava dall'attuale frontiera settentrionale dell'Ecuador, discendeva attraverso Quito, Cajamarca, Cuzco ed altre cittì, fino al lago Titicaca, dove si biforcava: un ramo si dirigeva a nord-est del lago, attraverso gli altipiani della Bolivia, in direzione delle regioni nord-occidentali dell'Argentina, e l'altro seguiva la sponda opposta del lago per poi discendere lungo la costa cilena. Benché non molto larghe, queste strade possono considerarsi capolavori di ingegneria. Esse seguivano, nei limiti del possibile, un tracciato rettilineo. Superavano le montagne per mezzo di scalini, attraversavano in gallerie speroni di roccia o giravano attorno alle scogliere; nelle pianure erano racchiuse tra alte mura, mentre i fiumi venivano oltrepassati per mezzo di ponti sospesi, costruiti con fibre vegetali. L'esempio più famoso di tali ponti è quello che superava la gola del fiume Apurimoc, a nord-ovest di Cuzco. Esso era formato da cinque grandi cavi di fibre vegetali, di cui tre sostenevano il fondo e due servivano da scorrimano. Passava sopra quattro torri di pietra, due ad ogni estremità, al di sopra di una piattaforma che serviva di base, in cui erano incastrati dei pali ai quali si attaccavano i cavi. La manutenzione del ponte era assicurata dalla popolazione che abitava nelle sue vicinanze; essa doveva rinnovare i cavi ogni due anni, impresa enorme se si pensa che il ponte misurava ca. 70 m di lunghezza. Lungo le strade esistevano posti di ristoro chiamati tampu, collegati a depositi e magazzini governativi, e costruiti a intervalli da 6 a 12 km, per ospitarvi i funzionari o lo stesso imperatore quando viaggiavano. Posti di sosta, consistenti in capanne che potevano alloggiare due messaggeri (chasqui), erano situati a intervalli di un miglio e mezzo. I chasqui avevano il compito di portare messaggi collegando rapidamente la capitale con la periferia dell'impero.
Organizzazione politica e sociale. L'imperatore era un monarca assoluto ed il titolo veniva trasmesso di padre in figlio, ma non necessariamente al figlio maggiore. Benché il monarca venisse chiamato inca, senza qualificarlo ulteriormente, il suo vero nome era sapa inca, che vuoI dire «inca supremo». Egli però veniva chiamato anche in altri modi, tra cui intip cori, «figlio del sole», con riferimento alla sua presunta discendenza dall'astro solare, in virtù della quale era adorato come una divinità sia in vita che dopo la morte. Aveva diverse mogli, di cui una di primo rango, chiamata roya (da Topa Inca in poi era la sorella stessa del sovrano). La numerosa figliolanza, assicurata dalle varie mogli, formava un ayllu reale e costituiva l'aristocrazia di nascita di sangue incaico. L'ayllu si riscontra d'altra parte in tutte le tribù andine. Esso rappresentava un gruppo di consanguinei, una famiglia con tutto il parentado, o un gruppo di famiglie con discendenti nella linea maschile; i matrimoni erano conclusi nell'ambito del gruppo. Ogni ayllu possedeva terre divise in tre porzioni, una per l'imperatore, la seconda per il sole e la terza per l'ayllu stesso. La coltivazione delle prime due rappresentava la più comune forma di tassazione ed i prodotti venivano devoluti al mantenimento del governo ed al culto. Gli ayllu erano raggruppati in province, divise in due o tre parti quando avevano una grande estensione. A loro volta le province erano riunite, seguendo approssimativamente i quattro punti cardinali, nei numerosi quarti (o quartieri) dell'impero: Chinchasuyu a nord-ovest, Cuntisuyu a sud-ovest, Antisuyu a sud-est e Collasuyu (che comprendeva l'area di Titicaca) a nord- est. Un elevato numero di funzionari era preposto all'amministrazione di queste divisioni e suddivisioni ed al momento della conquista spagnola si era delineata una doppia classe di nobili formata dagli incas, che avevano le più alte cariche, e dai curacas (funzionari), meno importanti. Tutti erano contraddistinti da speciali bende per il capo e da grandi ornamenti per gli orecchi, donde il nome di orejones o «orecchioni», dato loro dagli Spagnoli. I quattro quartieri e le province erano sotto l'amministrazione degl'Incas di sangue reale, mentre nell'interno delle province gli ayllu erano raggruppati e divisi in unità che comprendevano approssimativamente 10.000, 5000, 1000, 500 e 100 contribuenti o capi-famiglia, ognuno sotto il curaca di grado appropriato. Il popolo era ulteriormente diviso in 12 gruppi secondo l'età, ognuno dei quali aveva doveri e privilegi ben definiti. La normale forma di tassazione era il lavorò agricolo, ma esisteva anche una tassa speciale, la mit'a, consistente in prestazioni varie, per l'esercito, le strade, altri lavori pubblici e le miniere. Specialisti in diversi campi pagavano il tributo dovuto utilizzando la propria destrezza ed abilità: così per esempio i corridori, che erano scaglionati lungo le strade per portare messaggi dandosi il cambio, o i lavoratori in metallo o i tessitori di tappeti.
Le donne.
Neanche le donne sfuggivano all'organizzazione. Un funzionario i. visitava i villaggi a intervalli regolari per esaminare tutte le ragazze di ca. 10 anni. Quelle particolarmente belle o promettenti erano inviate in speciali istituti dello stato per esservi educate, le altre rimanevano nel paese natale, sposando poi, a tempo debito, gli uomini del villaggio, fra cui il curaca sceglieva per ognuna il compagno destinato. Le ragazze che venivano allontanate erano internate nelle accla huasi, le case delle «donne scelte», situate nelle capitali provinciali o a Cuzco, e lì apprendevano la filatura, la tessitura e l'arte culinaria. Alcune di queste, destinate al sacrificio in caso di calamità o di malattia dell'imperatore, destavano invidia, perché era loro assicurata un'esistenza agiata e confortevole nell'aldilà. Le altre erano divise tra quelle che sarebbero state sposate da nobili o guerrieri per grazia dell'imperatore e quelle chiamate mamaconas, che erano destinate ad essere le serve o le concubine dell'imperatore, o erano votate ad una perpetua castità ed alla custodia dei templi e dei santuari.
Economia.
Il calcolo della popolazione e dei suoi prodotti richiedeva il lavoro di una speciale categoria di contabili, i quipucamayac, abilissimi nell'annotare le cifre sul quipu, sistema di cordicelle annodate di vari spessori e colori, sulle quali si registravano i numeri per mezzo di nodi di diversa grandezza. Una specie di quipu è ancora oggi usato dai pastori andini per controllare le greggi, ma i vecchi esemplari trovati provengono tutti dalle tombe. Non vi sono tracce di un sistema di pesi, nè nel popolo i., nè in nessun altro popolo peruviano, e non sappiamo con certezza in quale modo si misurassero le quantità. A parte la forma di baratto locale, nel periodo i. non esisteva commercio, poiché il movimento e la distribuzione delle derrate e di altri beni di consumo erano controllati dallo stato ed il trasporto veniva assicurato grazie ai mit'a. Le monete erano ignorate.
Religione.
Non è possibile capire il carattere dell'impero i. senza avere un'idea della religione, su cui era basata tutta la sua esistenza e della quale l'imperatore era parte integrale. Alla testa della gerarchia soprannaturale era un dio creatore che aveva generato non solo tutte le cose terrestri, ma anche tutte le altre divinità. Aveva diversi titoli, ma è più conosciuto sotto la versione ispanizzata di uno di essi, cioè viracocha, che significa «signore». Tra le divinità inferiori vi era Pachamac, la divinità del grande santuario costiero dallo stesso nome che godeva di grande influenza sul litorale. Venivano inoltre onorati corpi celesti: il sole, la luna, alcune stelle, tra cui Venere, nonché la terra e il mare. Il sole rivestiva una particolare importanza per gli abitanti degli altipiani, in parte perché era necessario per portare i cereali a maturazione, poi per il freddo che avvolge la rarefatta atmosfera delle Ande dopo il tramonto ed infine perché era la divinità particolare, anzi l'avo dell'imperatore e della sua famiglia. Le effigi in oro degli dei erano custodite nei templi e venivano trasportate sulle piazze delle città in occasione delle grandi cerimonie pubbliche.
A parte le principali divinità, esistevano un gran numero di santuari locali e oggetti di culto chiamati Aucas
I templi e i santuari erano curati da sacerdoti con un ben definito ordine gerarchico, alla cui sommità stava un gran sacerdote, generalmente parente stretto dell'imperatore. Le mansioni di questi ministri del culto erano molteplici; essi dovevano fare profezie, sacrificare alla divinità, compiere guarigione, ascoltare la confessione dei peccati e proporre cerimonie religios. Pubblicamente il culto si manifestava per mezzo di celebrazioni, fra le quali vi erano quelle connesse ad ognuno dei 12 mesi dell'anno, oltre a quelle speciali fatte in caso di emergenza, come in periodo di siccità o pestilenza. I mesi erano lunari, ma 12 lunari sono di ca. 11 giorni più corti di un anno solare, e non si sa in quale modo si conciliassero i due sistemi. La preparazione per le celebrazioni comprendeva l'astinenza da alcuni cibi e da contatti sessuali e,le cerimonie stesse assumevano generalmente la forma di processioni, sacrifici e danze. Le più comuni vittime di tali sacrifici erano i lama, talvolta però sostituiti da altri animali, come le cavie, o da beni di consumo, come la birra di mais chiamata chicha. Si praticavano anche sacrifici umani, ma soltanto in momenti di grave crisi o in occasioni particolarissime e le vittime erano bambini o ragazze designate tra le «donne scelte». La colpa era cancellata confessando i peccati di parola e di pensiero al sacerdote, confessione seguita da una penitenza e da una abluzione in acqua corrente.
L'arte divinatoria.
Le predizioni assumevano diversi aspetti, che andavano dalla solenne consultazione da parte dell'imperatore di uno dei grandi oracoll ufficiali del suo tempio, prima di intraprendere una campagna, fino al conteggio, praticato anche dai più umili contadini, di un mucchietto di chicchi di mais per determinare, secondo il numero pari o dispari, se la giornata sarebbe stata propizia o no per le colture.
L'esercito.
Per il combattimento a distanza gli Incas si servivano di fionde e di bolas. Abitualmente non usavano l'arco, ma vi erano alcuni guerrieri, provenienti dai confini delle foreste orientali, che se ne servivano. Per la battaglia all'arma bianca utilizzavano mazze dall'estremità irta di punte, fatte di pietra o di rame su manico di legno, bastoni pure di legno particolarmente duro, asce da guerra di pietra o di rame di varie forme e lance. Si proteggevano per mezzo di armature di cotone imbottito, copricapo di cotone imbottito o di canne intrecciate e scudi di piccole dimensioni, rotondi o quadrati, ricoperti di pelle o di stoffa.
Quando le conquiste i. furono iniziate, il fattore dei ripetuti successi degli Incas fu la continuità del loro atteggiamento offensivo, che contrastava con le sporadiche scorribande sempre praticate sugli altipiani. A ciò si aggiungeva una rilevante superiorità nei trasporti, dovuta, come è stato detto, ad una efficiente rete stradale.
A parte la ben selezionata guardia del corpo dell'imperatore, composta di nobili, non vi era csercito permanente. Il grosso di ogni truppa era formato da coloro che pagavano il mit'a, organizzati in squadre, secondo la provincia dalla quale provenivano, e suddivisi ulteriormente secondo lo stesso sistema decimale usato per dividere la popolazione, sotto il comando di ufficiali dello stesso grado. Molti studiosi delle civiltà precolombiane dell'America meridionale si sono posti il quesito di una valida spiegazione dell'aggressività continua degli Incas. La risposta a questa domanda è da ricercarsi nello spirito imperialistico che pervase la classe dirigente incaica nel momento in cui ebbe coscienza della propria potenza. Ai componenti dell'ayllu reale si insegnava con ogni cura l'arte della guerra e, poiché il loro numero aumentava continuamente, erano necessarie sempre nuove guerre per dare ad essi privilegi e posti nell'amministrazione.
La fine dell'impero I. L'impero era ancora in evoluzione quando fu distrutto. Esso offriva però vari punti deboli. Così non esisteva un modo ben definito per designare il successore dell'imperatore, in quanto ognuna delle sue mogli poteva scegliere uno qualunque dei suoi figli. Inoltre la struttura piramidale era costruita su pilastri instabili e quando la si colpì alla cima, cioè nella persona dell'imperatore, andò in pezzi. Prima dell'arrivo degli Spagnoli ciò non aveva molta importanza, perchè era inconcepible che un nemico straniero osasse mettere le mani sul divino imperatore, ma gli Europei lo considerarono come un pagano vissuto nell'errore e non ebbero scrupolo. Dopo la morte di Atahullpa (1532) la resistenza continuò qua e là per altri 40 anni. Pizzarro fece di MAnco Capac, nipote di Huayna Capac, un sovrano di paglia, ma egli si ribellò e riuscì a unire intorno a sé un considerevole numero di seguaci, fissando il suo quartier generale a Cuzco e a Lima. Questa rivolta rappresentò una seria minaccia per gli Spagnoli; essi però riuscirono a sventarla e Manco Capac dovette fuggire nella valle Urubamba, rifugiandosi poi in un luogo inaccessibile chiamato Vitcos, da dove credette ancora di poter governare. Ma gli Spagnoli divennero rapidamente sempre più forti e la più grande civiltà delle Ande sparì per sempre.

Esempio