La globalizzazione

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LA GLOBALIZZAZIONE

“Tutto può essere prodotto ovunque”: questo è lo slogan simbolo di un tipo di mercato in cui ogni aziende diventa libera di decidere dove produrre. Ma le barriere rappresentate dalle frontiere degli Stati sono state abbattute unicamente a vantaggio dei Paesi più industrializzati e già ricchi, le cui, imprese, moltiplicando i propri luoghi di produzione in tutto il mondo, hanno potuto sfruttare i bassi salari, la limitata o assente sindacalizzazione delle maestranze, anche il lavoro dei minori, largamente diffuso nella maggior parte dei Paesi del Terzo Mondo. Questa è la globalizzazione: un’unica grande economia che abbraccia l’intero Globo e nella quale tutte le singole realtà economiche locali sono intrecciate l’una all’altra. Possiamo,quindi, ben dire che oggi l’intero pianeta è diventato un unico mercato mondiale.
E’ un bene o un male? Certo,la libertà degli scambi ed il loro incremento hanno enormemente influenzato il mondo in cui viviamo: idee e culture viaggiano con le merci, e dallo scambio delle idee trae impulso il più generale progresso dell’umanità. Tuttavia non possiamo nasconderci che i maggiori beneficiari di questo straordinario sviluppo sono i Paesi ricchi del Nord del Pianeta. I Paesi poveri,nei quali si raccogli, però, la maggioranza dell’umanità, hanno visto aumentare la loro distanza dai paesi ricchi, e il cosiddetto digital divide, cioè il divario tecnologico-informatico, si è aggiunto alle disuguaglianze già esistenti, rendendo davvero abissale la frattura fra la parte ricca del mondo e quella povera. La globalizzazione ha reso sempre più omogenea la domanda sul mercato, grazie all’ omologazione dei gusti e delle mode, indotta dai mass media e da internet, che fanno circolare immagini, idee e tendenze in un tempo reale e in tutto il mondo. Ma, a questa uniformità della domanda e dei gusti , si contrappone la diversità degli interessi economici, con le grandi società multinazionali dei Paesi ricchi che controllano i mercati e, muovendo capitali e merci da uno Stato all’altro, sono in grado di sfruttare le migliori opportunità, realizzando profitti giganteschi e lasciando le briciole ai Paesi poveri. E’ ovvio che solo le grandi aziende, le già ricordate multinazionali occidentali, possono essere competitive in un mercato globale, riuscendo a sfruttare tutte le differenze di costo che possono verificarsi tra un paese e l’altro.
Ma c’è di più: l’onnipotenza delle multinazionali non solfa svanire le regole degli stati,ma ha anche piegato in monti casi alla logica del profitto le biotecnologie che utilizzano gli esperimenti della genetica. Basti pensare che i cosiddetti ogm (organismi geneticamente modificati) sono diventati uno strumento di grande profitto economico per le multinazionali che operano in questo settore.

IL MOVIMENTO NO-GLOBAL

Contro le distorsioni dell’attuale processo di globalizzazione si è sviluppato un ampio movimento,detto comunemente “no-global”, ma inizialmente denominato popolo di Seattle,perché la sua prima manifestazione di massa si era avuta in occasione della riunione dei rappresentanti dell’organizzazione mondiale del commercio,che si è tenuta,appunto a Seattle, negli Stati Uniti nel 1999. Una gigantesca fu inscenata in quella occasione nella città americana, sede di prestigiose aziende tecnologiche, come la Microsoft, da lavoratori, ecologisti, studenti,agricoltori europei minaccia dalla concorrenza dei prodotti transgenici a basso costo, militanti per i diritti umani, pacifisti e movimenti del Terzo Mondo, accorsi da tutti i continenti a protestare contro l’attuale indirizzo dell’economia mondiale. L’importante assise,tribunale penale, del W.T.O. fu sconvolta ed in pratica dovette essere sospesa,perchè i manifestanti bloccarono tutta la città, impedendo ai partecipanti alla Conferenza di raggiungere la sede della stessa. Tutti furono colti di sorpresa da quella clamorosa contestazione che era stata preparata su Internet. In pratica,era nato un movimento planetario di protesta,che grazie alla Rete aveva raggiunto,in ogni angolo del mondo,coloro che non condividevano le modalità di una globalizzazione che procedeva a ritmi sostenuti,ma sempre nell’interesse dei più potenti e ricchi. Su Internet era stato stretto il patto non violento,stilate le regole di disobbedienza civile che avrebbero ispirato un movimento che,per la prima volta,era nato nel “cyberspazio”. Contro la globalizzazione dall’alto,quella dell’economia,era nata la globalizzazione dal basso,cioè un movimento,a carattere transnazionale,di opposizione ad un meccanismo economico che veniva accusato di non realizzare un progresso generale e tale da portare benessere veramente a tutti. Contro un economia mondiale che,liberalizzando gli scambi commerciali e in assenza di regole a garanzia di tutti i settori del mercato e di tutti i popoli della Terra,privilegia esclusivamente gli interessi delle grandi multinazionali occidentali,il movimento no-global,dal tempo della contestazione di Seattle,è cresciuto notevolmente. Dall’ora ogni vertice dei maggiori organismi economici e finanziari internazionali,da quelli della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale alle riunioni dei ministri finanziari dell’Unione Europea o del G8,è un occasione,per i no-global,di presentarsi in piazza e di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass-media. Si è sviluppato così un movimento che ha costretto i potenti della Terra a riunirsi dietro stretti cordoni di sicurezza;ha messo sotto accusa le istituzioni che regolano il commerci e i mercati mondiali nell’interesse delle banche e delle aziende dei Paesi più ricchi;ha denunciato le grandi multi-nazionali che sfruttano il lavoro nero minorile nei Paesi del Terzo Mondo,e le biotecnologie che aggrediscono la natura e praticano inquinamento genetico. Tuttavia il movimento no-global sostanzialmente pacifista è stato spesso insidiato da frange dell’estremismo violento,che si sono insinuate nelle file del movimento stesso,provocando disordini in alcune manifestazioni. Particolarmente grave fu quanto successe a Genova nel luglio 2001,in occasione della contestazione del vertice G8. Aspri scontri scoppiarono in conseguenza della provocazione di alcuni gruppi violenti a cui la polizia aveva risposto travolgendo anche la maggioranza pacifica dei manifestanti. Al di la delle polemiche suscitate dalle manifestazioni di protesta, il movimento “no-global” un risultato lo ha indubbiamente conseguito: si è fatta strada, in buona parte dell’opinione pubblica mondiale, la consapevolezza della necessità di dare regole più sicure e trasparenti al processo di globalizzazione dell’economia. Ne sono state la prova le giornate del Global Social Forum del novembre 2002 aFirenze e del novembre 2003 a Parigi, che hanno visto la partecipazione appassionata, a dibattiti in manifestazioni, di intellettuali, opinionisti, sindacalisti, non che di centinaia di miglia di giovani da ogni parte del mondo. Il movimento “no-global” non è contro la globalizzazione in se, che una realtà ormai irreversibile dato che le frontiere nazionali stanno diventando sempre più evanescenti e nessun Paese, nessun gruppo può isolarsi dal resto del mondo. Inoltre le reti informatiche, collegando i produttori direttamente fra di loro e con i consumatori finali,sono destinate ad ampliare ulteriormente l’area dell’economia globale e in modo ancora più veloce di quanto sia avvenuto finora .Perciò non è più possibile tornare indietro ,ai protezionismi del passato .
L’economia è ,ogni giorno di più ,globale ,in un processo tumultuoso ed irreversibile di apertura dei mercati e d’incremento degli scambi .Ma in questo scenario di mercato sempre più globale ,è necessario un nuovo sistema di regole,un nuovo ordine normativo che garantisce anche i più deboli,che sono la maggioranza,a cominciare dai Paesi del Terzo Mondo.
E’ necessaria,insomma,un diversa globalizzazione,che promuova un’effettiva cooperazione fra tutti i Paesi del mondo,nell’interesse di tutta l’umanità. La globalizzazione,come qualsiasi altro processo economico e sociale,non è “neutra”:dipende da come è gestita,da quali valori la ispirano e da quali obiettivi e finalità si perseguono. La liberalizzazione degli scambi deve essere accompagnata da regole più certe e chiare per la concorrenza e per gli investimenti,che facciano gli interessi di tutti. Ad esempio, si devono tenere ben presentila difesa dell’ambiente, per uno sviluppo sostenibile ed a vantaggio dei Paesi più poveri; la tutela della salute, con l’esclusione dal mercato di quei prodotti che possono insidiare la salute umana; la difesa dei diritti del lavoro, a partire dai settori più deboli, come i minori e le donne, per la cui protezione è necessario impedire l’accesso ai mercati dei prodotti di quelle aziende che non rispettano le garanzie sociali. Occorre inoltre che i Paesi industrializzati offrano i sostegni necessari affinché questi ultimi ritrovino in un altro modo quella competitività che oggi vieni spesso ricavata con la negazione dei loro diritti.

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