Economia dell'Islanda

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Testo

AGRICOLTURA IN ISLANDA
Prima di analizzare l’agricoltura di questo paese bisogna conoscere a fondo il suo clima e la conformazione morfologica. L’Islanda è una terra geologicamente giovanissima fu soggetta a fenomeni di vulcanismo (tuttora frequentissimi) e glacialismo che diedero vita ad un'isola aspra e desolata, caratterizzata da ripiani digradanti nel centro ovest e limitatissime pianure lungo la zona costiera di sud - ovest, per il resto il litorale è alto e inciso da profondi fiordi. L’Islanda è soggetta ad un clima oceanico di tipo temperato freddo, con precipitazioni frequenti che vanno diminuendo da sud verso nord, abbondanti nebbie e con temperature che in estate non superano i valori medi di 11-12 °C e in inverno si mantengono relativamente alte: di poco sotto lo zero. La vegetazione naturale differisce da nord a sud: a nord si trovano solo muschi e licheni, mentre a sud si trovano praterie a graminacee con macchie boschive di betulle e salici.
DATI CLIMATOLOGICI
Stazioni
Altitudine in m.
Temperatura media in °C
Precipitazioni annue in mm
gennaio
Luglio
Reykjavik
28

11.6
861
Akureyri
5
-1.1
11.1
472
L’intervento umano in queste terre è stato piuttosto debole e non ha portato migliorie per l’uomo, anzi gli unici effetti sono stati quelli di distruggere la parte boschiva dell’isola, già peraltro modesta e trasformarla in prateria.
Inoltre è importante conoscere l’utilizzo del territorio:
COLTURE 0.08%
PRATI E PASCOLI 22,1 %
BOSCHI 1,2 %
IMPRODUTTIVO 76,62 % di cui il 13 % sono GHIACCIAI
In queste terre così avverse gli unici vegetali che riescono a portare a termine il ciclo vegetativo in modo naturale sono la patata (149.000 q per 1000 ha nel 1990), le barbabietole e le foraggere. Le poche restanti produzioni vegetali sono ottenute in serre che, come le abitazioni, sfruttano il calore delle acque termali (geyser): si tratta di pochi ortaggi, soprattutto pomodori, scarsi frutti e fiori.
Per quanto riguarda l’allevamento ha grande rilievo quello ovino (circa 700.000 capi) che si accontenta di pascoli magri, inoltre da quando fu sospesa la cerealicoltura a favore delle foraggere ha trovato spazio anche l’allevamento bovino. In quest’ ultimo periodo è in sviluppo anche quello suino e l’avicoltura. In questo modo il paese è autosufficiente per quanto concerne carne, prodotti lattiero-caseari e derivati della lana (1.200 t nel 1990). Grande successo ha riscontrato l’allevamento degli animali da pelliccia, mentre è in diminuzione quello dei ponyes che fino ad una decina di anni fa venivano ancora usati massicciamente per il trasporto interno.
ALLEVAMENTO (in migliaia di capi)
Ovini
1948-1952 (media)
1966
1972
426
847
786
Bovini
43
60
59
Suini
-
2
5
Cavalli
43
34
37
Naturalmente l’allevamento non si limita agli animali di terra, ma si occupa anche di quelli acquatici, al primo posto il salmone e al secondo quello della trota.
In Islanda la prima vera fonte di reddito è la pesca che occupa circa il 19% della popolazione attiva e con il passare degli anni ha assunto le sembianze di una vera industria nazionale.
PESCA IN MIGLIAIA DI TONNELLATE
1988
1989
1990
1991
1992
600
689
733
684
726
PESCATO 1992
Pesci di fondo
399.500
Aringhe
43.000
Merluzzi
278.000
Crostacei
16.000
CACCIA ALLA BALENA (1971-72)
balene
446
baleniere
4
Le diverse correnti che circondano l’isola fanno sì che i mari siano molto pescosi. Purtroppo, da alcuni anni, a causa dell’intenso sfruttamento e del perfezionamento delle tecniche, si registra un deterioramento faunistico marino (ad esempio le aringhe sono in netta diminuzione). Inoltre il pesce è sempre più giovane e più piccolo e così il guadagno diminuisce, sia per la cattura, sia per il valore sul mercato. Il paese possiede una modernissima flotta peschereccia e d’efficienti impianti per la lavorazione e la conservazione del pesce (congelamento e salatura soprattutto), che alimenta la quasi totalità delle esportazioni e costituisce la principale risorsa alimentare.
In questo modo l’Islanda ha un'economia fragilissima ed estremamente sensibile agli sbalzi dei mercati esteri. Per salvaguardarla tenta di proteggere i suoi possedimenti marini, infatti spostò le acque territoriali fino a 50 miglia dalla costa provocando la rivolta degli altri paesi interessati, in particolar modo della Gran Bretagna venne a crearsi un braccio di ferro chiamato “la guerra del merluzzo”, che portò un ad un accordo che limitò l’attività dei pescherecci inglesi. Nonostante ciò le acque rischiano di spopolarsi e l’Islanda di perdere l’unica fonte economica.

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