La donna

Materie:Tesina
Categoria:Generale

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Testo

Liceo Scientifico Paritario “Enrico Fermi”
Docente relatore: Professoressa Piazza
Tesina di: Brambilla Alessandra VA

Scaletta delle materie e degli argomenti trattati:
• Storia: LA DONNA DURANTE IL FASCISMO
• Italiano: LA FEMME FATALE NELLA LETTERATURA E IN D’ANNUNZIO
• Inglese: LA DONNA NELLA LETTERATURA INGLESE, VIRGINIA WOOLF E “MRS DALLOWAY”
• Storia dell’arte: LA DONNA NELL’ARTE CONTEMPORANEA E TAMARA DE LEMPICKA

Motivazioni della scelta di un argomento molto interessante
A capo delle motivazioni per le quali ho voluto scegliere questo argomento, da sempre sentito, soprattutto dalle donne, ma difficile da trattare, è che io stessa sono donna e nonostante io sia ancora una “piccola donna”, ho iniziato a confrontarmi con gli aspetti che determinano e ne hanno determinato l’essere tale.
Per questo motivo mi permetto di analizzare alcune componenti che hanno segnato il difficile percorso della donna nel corso della storia, un percorso che ha subito un’evoluzione e un progresso significativo.
Questo cammino nella società, si presenta come un’ascesa, che ha avuto il suo momento di massima accelerazione nel corso del ventesimo secolo, del quale parlerò in seguito mediante ad alcuni esempi che considero emblematici: la posizione della donna durante il fascismo e a seguire esempi artistici e letterari che hanno dato molta importanza al personaggio femminile, all’essere donna, come Tamara de Lempìcka, Virginia Woolf e Gabriele D’Annunzio che nel suo “Piacere” introduce la femme fatale.
In questa tesina, mi propongo, infatti, di portare all’attenzione del lettore, fatti storici, opere d’arte e letterarie che si identificano nell’operato femminile, e quindi in quella parte della società che era quasi sempre stata posta più in basso rispetto all’uomo secondo una scala gerarchica ideale, che considerava il “maschio” migliore se non addirittura perfetto.
Il mio intento è quello di analizzare meglio un panorama storico che ha visto il sesso femminile come protagonista.

Fin ad ora si è parlato degli sforzi del mondo femminile per emanciparsi e costruire un nuovo ruolo sociale della donna. Questo processo incontrò sempre e ovunque numerosi ostacoli, soprattutto in quelle realtà politiche che si basavano sui valori tradizionali, dando molta importanza alla componente maschile. Tra queste realtà la prima a nascere è certamente il fascismo, durante la quale si avrà una “reazione” alla nuova apertura dei costumi…
LA DONNA: “ANGELO DEL FOCOLARE”.
In Italia, durante il periodo fascista, la questione demografica e l’emancipazione femminile sono alcuni tra i problemi principali per la politica italiana. Per salvare la potenza statale messa in difficoltà della crisi demografica, il regime cercò in tutti i modi di assicurare il controllo sulla popolazione interna italiana. Di fronte ad un’agricoltura inefficiente e a un settore industriale concentrato, che offriva bassi salari agli operai italiani, le donne dovevano comportarsi come consumatrici avvedute e amministratici domestiche efficienti lavorando anche nell’economia “nera” per arrotondare le entrate in famiglia. Allo scopo di limitare l’impiego di manodopera femminile sottopagata, in presenza di un’elevata disoccupazione maschile, il regime escogitò un elaborato sistema di tutele e divieti teso a regolare il lavoro femminile.
La politica fascista tendeva all’incremento demografico, all’aumento delle nascite e considerava l’aborto come un crimine contro lo stato, censurava anche l’educazione sessuale e lasciava le donne in una profonda ignoranza.
Man mano che la dittatura assegnò maggior peso alla famiglia le donne cominciarono ad acquisire una maggior consapevolezza dello stato, assumendo nuovi ruoli nella società: donne di ceto sociale elevato ottennero un ruolo importante nella preparazione della normativa sulla condotta familiare e nel farla apprendere anche alle donne di condizione inferiore. La donna, infatti, era considerata mal preparata alla maternità, debole e imperfetta nel ruolo di mamma.
L’educazione familiare veniva trasmessa attraverso corsi per casalinghe, lezioni sull’allevamento e l’educazione dei figli e riunione guidate da gruppi femminili fascisti. Le donne perciò si occupavano della riproduzione e del governo della casa e solo il 25% possedeva un’educazione, infatti, con la LEGGE SACCHI(1919) le donne vennero riconosciute idonee alla maggior parte degli impieghi statali.
Per non creare competizioni tra uomini e donne sul mercato del lavoro, il governo fascista sviluppò la legislazione anche per evitare che il lavoro fosse considerato da queste ultime un punto di slancio verso l’emancipazione: all’interno dei gruppi sindacali, gli uomini costituivano una base da rappresentare e avevano un rapporto attivo, al contrario, le donne possedevano un ruolo estremamente passivo ed erano delle assistite, incapaci di potersi sostenere da sole. Durante il congedo per la gravidanza, venivano retribuite solo nei primi due mesi e una volta ripreso il lavoro avevano due sole pause giornaliere per l’allattamento, finché il bambino non avesse raggiunto un anno di vita.
UN DIFFICILE EQUILIBRIO TRA MODERNIZZAZIONE ED EMANCIPAZIONE.
La mobilitazione femminile cominciò solo negli anni ’30, quando il partito nazionale fascista (PNF) promosse uno svariato numero di organizzazioni femminili, le quali rimasero in ogni modo incapaci di dare voce ai problemi che le riguardavano, in quanto strettamente controllate dal segretario del PNF.
Sebbene venisse riconosciuto alle donne il diritto di cittadinanza, il fascismo non le aiutò mai nell’emancipazione, nel raggiungere l’autonomia ma solo ad occuparsi dei nuovi doveri nei confronti della famiglia e dello Stato. Da un lato i fascisti condannavano tutte le pratiche sociali connesse con l’emancipazione femminile, dal voto al lavoro extradomestico, al controllo delle nascite, cercando, per di più, di estirpare il desiderio di autonomia ed uguaglianza da parte delle donne. Dall’altro lato, nel tentativo di accrescere la forza economica della nazione, e di mobilitare ogni risorsa disponibile(inclusa la capacità riproduttiva delle donne) i fascisti venivano per promuovere quegli stessi cambiamenti che cercavano di evitare. La mobilitazione di massa, la modernizzazione dei servizi sociali ed, infine, il militarismo degli anni ’30 ebbero l’effetto imprevisto ed indesiderato di intaccare la concezione tradizionale della donna e della famiglia. In altre parole, mentre le istituzioni fasciste restauravano nozioni antiquate di maternità e paternità, femminilità e virilità, richiedevano, allo stesso tempo, nuove forme di coinvolgimento sociale.
Nel dicembre del 1925 il governo mise mano alla prima riforma sulla questione femminile con la creazione dell’Omni (Opera Nazionale per la Maternità ed Infanzia) per la tutela della madre e del bambino. Nel 1927 iniziò la campagna per l’aumento delle nascite, ma il primo serio sforzo per la creazione di organizzazioni di massa femminili si attuò all’inizio degli anni ’30. mentre si crearono nuovi tipi di organizzazione che consentissero di soddisfare il desiderio di impegno pubblico femminile, si reprimevano le tante forme di solidarietà femminile ed i valori di libertà, individuale e politica, prossimi delle associazioni femministe. Quest’ultime, in particolare quelle di origine borghese, sebbene prive di una forte organizzazione o di un vasto consenso, sopravvivessero per circa una decina d’anni all’avvento di Mussolini. Costrette a rinunciare alla battaglia per ottenere il diritto di voto, dopo il 1925, le femministe di un tempo volsero il loro impegno al volontariato sociale o all’attivismo colturale, creando una nuova subcultura femminile di dimensioni nazionali.

ORGANIZZAZIONI FEMMINILI FASCISTE.
Le linee guida per l’attività dei gruppi femminili, rese pubbliche nel gennaio del 1922, sottolineavano il ruolo subalterno riservato alle donne nella rivoluzione fascista. Dovevano partecipare alle riunioni e ai raduni, guadagnare consenso al movimento attraverso attività caritative, occuparsi di propaganda, assistere i malati ed i feriti e fare da madrine ai nuovi fasci di combattimento. Ma era loro chiaramente interdetta qualsiasi tipo autonomo di iniziativa politica. Dopo il 1925 le donne organizzate non furono mai più considerate un interlocutore della politica fascista. La dittatura riconobbe solo due “movimenti” femminili: le organizzazioni femminili fasciste ed i gruppi cattolici, le prime sostenute, le seconde tollerate. Negli anni ’30, le italiane erano diventate “importanti”, in quanto mogli e madri esemplari, angeli del focolare, madri di pionieri e di soldati, milizia civile al servizio dello Stato. Sono questi alcuni dei titoli onorifici che la dittatura assegnava alle donne, a testimonianza dei loro doveri verso il regime e dei presunti diritti che il regime stesso concedeva loro. I Fasci Femminili erano composti da donne italiane di sicura fede fascista e buona condotta morale che avessero l’età di 21 anni. L’organo centrale era la Consulta, il suo compito era indirizzare e coordinare tutta l’attività delle organizzazioni femminili del Partito. Una Consulta provinciale, presieduta da un Segretario federale, aveva invece il compito di coordinare e dare un indirizzo unitario a tutte le attività femminili delle singole province.
L’ILLUSIONE DI POTER AVERE UN RUOLO ATTIVO NELLA SOCIETA’ FASCISTA CROLLA.
Erano diffuse l’inquietudine, la ribellione, la dissimulazione, lo scetticismo ed una crescente consapevolezza dei loro diritti di donne e di cittadine. Per quanto riguarda il consenso al fascismo, le donne non ebbero a disposizioni canali con i quali esprimere i propri interessi o il malcontento. Sicuramente la maggior parte delle donne, negli anni Trenta, sostenne il regime e il Duce, ma furono le stesse donne che si sarebbero rifiutate, più tardi, di rispettare le donne sul razionamento dei beni di prima necessità, o di consegnare i figli alla leva, e che avrebbero lottato per impedire la deportazione dei loro uomini nei campi di lavoro forzato in Germania. Il rispetto verso il Duce andava di pari passo con l’ironia verso le prescrizioni del regime sulla condotta femminile. Il discorso del Duce all’Ascensione (26 maggio 1927), che pose l’enfasi sull’incremento del tasso di natalità, segno un punto di svolta nella politica sessuale della nazione. Ogni minima illusione di poter giocare un ruolo attivo nella costruzione del nuovo andò in frantumi. La maternità, che definiva potenzialmente ogni aspetto dell’essere sociale femminile, veniva ridotta esclusivamente all’atto fisico di produrre bambini. Le Italiane, pertanto, non dovevano solo affrontare l’esclusione dalla politica(in cui il loro diritto di partecipare era stato formalmente riconosciuto con la concessione del voto amministrativo del 1925), ma rischiavano addirittura l’allontanamento dall’intera sfera pubblica:i loro diritti sul lavoro, il contributo alla cultura, persino il volontariato erano messi in discussione dal messaggio ufficiale che il loro dovere più importante era “fornire” di figli la Nazione. Le autorità statali si mossero per istituzionalizzare questa concezione ristretta del ruolo femminile.
IL SESSO LEGITTIMO, UNICO SUO SCOPO: PROCREARE.
Il primo passo in questa direzione fu la rimozione della sessualità illegittima dagli spazi pubblici con l’intento di spazzar via dalle strade le prostitute, che entrarono nei bordelli controllati dallo Stato, in cui erano soggette a controlli medici obbligatori. Solo segregando il sesso illecito lontano dagli occhi del pubblico, e tracciando una netta linea di demarcazione tra le donne cattive e quelle buone, lo Stato poteva preservare il luogo e la finalità del sesso legittimo, che doveva svolgersi nel matrimonio, su iniziativa dell’uomo, al solo scopo di procreare. Il culto della maternità era diffuso anche nelle scuole, dove le alunne venivano bombardate di nozioni sulle grandi madri italiane. Il passo successivo fu quello di dar vita a politiche maternaliste ad ampio raggio: criminalizzazione dell’aborto, assegni familiari, assicurazione di maternità, prestiti per matrimoni e nascite, titoli di preferenza nella carriera per padri di famiglie numerose, istituzione per l’assistenza sanitaria e sociale alla famiglia ed all’infanzia. Il vero oggetto della celebrazione non erano le madri qualsiasi, ma quelle prolifiche. Il momento più alto del cerimoniale del primo anno fu l’adunata nazionale a Roma, alla presenza di Mussolini, nel corso della quale le madri più prolifiche di ciascuna delle province italiane furono passate in rassegna come i migliori esemplari della razza. L’altoparlante non le chiamò più per nome ma per il numero di figli: quattordici, sedici, tredici…
Il pronatalismo fascista categorizzò due generi femminili: la donna-crisi, cosmopolita, urbana, magra, isterica, decadente e sterile; e la donna-madre, patriottica, rurale, florida, forte, tranquilla e prolifica.
In pubblico, le Italiane raramente contestavano che vi era una differenza abissale tra sesso maschile e sesso femminile, che la maternità fosse la loro principale funzione sociale, che il benessere dei figli giustificasse qualunque sacrificio di cui fossero capaci. Durante l’emergenza per la guerra d’Etiopia si procedette con la raccolta dell’oro: le donne consegnarono la loro fede nuziale e qualsiasi altro gingillo possedessero. Questa adesione alla causa sembrò varare una nuova unione tra le donne italiane, le loro famiglie e lo Stato fascista. Nel momento in cui le mogli rinunciavano agli anelli nuziali per dimostrare la loro fiducia nel Duce, e le madri sacrificavano i risparmi ed i più intimi ricordi di famiglia, l’emozione femminile si univa alla ragion di Stato, il nucleo familiare alla nazione, la domesticità pacifica al militarismo fascista. Oltre al peso simbolico, le cerimonie dell’offerta delle fedi ebbero importanti conseguenze pratiche: determinarono un rastrellamento dell’oro in tutta Italia e diedero forte impulso al proselitismo delle organizzazioni fasciste presso le donne comuni.
LA FUNZIONE SOCIALE DELLA DONNA:”SERVIRE IN TAVOLA E PROCREARE”.
La loro organizzazione concentrò la sua azione nella promozione delle piccole industrie domestiche. Il “massaismo”, promuovendo l’accesso al mercato, consentiva un reddito autonomo e promuoveva l’autonomia di alcune donne. Forse l’organizzazione rafforzava l’orgoglio per i costumi e le tradizioni rurali, ma apriva, allo stesso tempo, canali di comunicazione tra le donne di città e di campagna, che mettevano in luce le durezze della vita contadina. Perciò, paradossalmente, i legami intrecciati tra le militanti fasciste e le donne che esse tentavano di organizzare, contribuirono allo sfilacciarsi del tessuto della società rurale. In quanto madri, le donne dovevano far quadrare il cerchio: nutrire ed educare i figli con scarse risorse ed a fronte di livelli di inadeguatezza in crescita; trovare lavoro mentre le discriminazioni contro l’occupazione femminile aggravavano le condizione della forza lavoro dequalificata, instabile e disorganizzata; orientarsi nel labirinto della burocrazia assistenziale agendo, per necessità e costrizione, come persone pubbliche, mentre l’ideologia ufficiale le dipingeva come angeli del focolare. In quanto mogli, dovevano costruire un rifugio per i propri uomini, intimoriti ed abbattuti. In quanto sorelle o figlie non ancora sposate, era loro richiesto l’adempimento di funzioni materne, senza alcun tipo di riconoscimento sociale. Alle donne veniva imposto di mettere il cibo in tavola e fabbricare carne da cannoni, lo stesso Mussolini con una battuta disse:”Le donne debbono tenere in ordine la casa, vegliare sui figli e portare le corna”. Nel momento in cui la dittatura fascista iniziò ad attuare una politica estera più aggressiva e la prospettiva del sacrificio dei figli e dei mariti si faceva sempre più minacciosamente vicina, le mogli, le madri, le sorelle e le figlie iniziarono a cercare nuovi motivi di solidarietà nei legami familiari e nelle associazioni religiose.
La femme fatale, termine francese che ha il suo corrispettivo nell'italiano donna fatale, o vamp, è un personaggio tipo molto diffuso nella letteratura europea e spesso rappresentato in numerose opere cinematografiche. Dominatrice del maschio fragile e sottomesso, lussuriosa e perversa, crudele torturatrice, maga ammaliatrice al cui fascino nessuno può sfuggire, succhia le energie vitali dell'uomo come un vampiro (da cui il termine vamp), portandolo alla follia, alla perdizione, alla distruzione.
È affine alla dark lady, ma le due figure non coincidono: la femme fatale è una donna maliziosa e disinvolta, ma in genere non nasconde la cattiveria e il desiderio di annientamento tipico della dark lady
Nella letteratura decadente era utilizzata spesso la figura dell'"inetto a vivere", ovvero un uomo timido, escluso dalla vita, impotente ed incapace di assumersi responsabilità perché indebolito da un forte senso di inferiorità che nutre nei riguardi di tutti gli altri cittadini del mondo. Di contro a questi uomini deboli e malati viene realizzata l'immagine antitetica di donna: la femme fatale, dominatrice, lussuriosa e perversa.
Malgrado il termine sia di derivazione francese, il primo esempio di femme fatale è la Fosca di Iginio Ugo Tarchetti, ma simili eroine popolano i romanzi di Gabriele D'Annunzio, in cui la donna è costantemente la nemica che si oppone ai sogni eroici dei protagonisti. In ambito europeo, la figura ricorre in tutta la letteratura di fine Ottocento ed inizio Novecento, dalla Salomè di Oscar Wilde alla Lulu di Wedekind, il cui personaggio è divenuto un archetipo, alla Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch. Si verifica come un meccanismo di proiezione: la coscienza in crisi dell'uomo decadente, malato e debole, erige di fronte a sé la sua parte perduta, la sua forza dominatrice del reale, come una potenza esterna malefica ed ostile, che lo insidia e lo minaccia, ed in cui si obiettivano le sue angosce ed i suoi terrori.
La femme fatale è una figura che esprime conflitti profondi e per questo appare l'equivalente dei mostri che emergono dagli incubi degli scrittori romantici: non a caso essa assume spesso tratti che sono propri di Satana, o comunque caratteri vampireschi.
D'annunzio visse una vita da esteta, ricca e varia votata alla ricerca di esperienze mondane e galanti, che la rendessero una vera e propria opera d'arte!
Frequentava gli ambienti più vari, assunse un ruolo politico e militare che lo rese un poeta-vate, infatti la sua influenza si esercitò non solo in campo letterario ma anche nel costume di tutta la società italiana che lo prese come modello di comportamento e di gusti.
Voleva vivere la sua vita come un'opera d'arte e porre nell'opera d'arte il suo vissuto, vita e arte si contaminavano l'un l'altra per lui.
In un periodo in cui l'azione degli organi di informazione non era ancora capillare, pubblicizzando la sua vita per mezzo delle sue opere, e creando il mito di una vita inimitabile non retta da altri valori se non dal culto della bellezza e dall'affermazione dell'Io realizzò i sogni di un ampio strato sociale che lo prese come esempio e idolo.
La produzione di d'annunzio si pone in un clima tardo-romantico decadente che egli esprime al meglio e diffonde in Italia più di chiunque altro, usa sapientemente il verso libero e si allontana dalle forme tradizionali, ed è comunque versatile perché sa approcciarsi ad ogni genere letterario..lirica,narrativa,teatro…
Egli però esprime più nell'ampiezza che nella profondità lo spirito decadente, difatti egli coglie ogni stimolo sensibile, ma è quasi assolutamente privo di interiorità, D'annunzio declama e non suscita nel lettore ulteriori riflessioni intime, per lui tutto si risolve e si limita nella continua sperimentazione della vita letteraria e sensoriale.
La sua arte celebra continuamente l'Ego e la vita.
La nuova sensibilità esasperante dell'uomo di questo periodo, da vita a un nuovo personaggio femminile, un'eroina che si nutre dell'uomo del suo amore e del suo corpo..la donna fatale diventa un clichè sfruttato moltissimo in quel periodo e in quelli a seguire.
In d'annunzio c'è un continuo sfilare di donne fatali "sintetiche", cioè sintesi dell'esperienza sensuale di tutte le epoche (Pamphila è la più celebre ed esemplare, desiderata dal poeta per la sua sensualità immorale e impura)
D'annunzio prende dal decadentismo europeo il tema della superiorità femminile e lo fa suo, l'uomo è debole,fragile, sottomesso la dona lo domina, gli succhia energia, è lussuriosa, perversa, crudele esercita sull'uomo un potere a cui lui non può sfuggire e che lo porta inevitabilmente alla follia o alla distruzione!
La donna è Nemica, la figura forte, che come un antagonista si oppone all'uomo fragile che ivi proietta la sua potenza perduta, esprime quindi un conflitto profondo e viene pertanto paragonato ad un mostro, una sorta di vampiro dai tratti diabolici, un conflitto che è dato dalla lotta tra la volontà di potenza e affermazione dell'uomo e il senso d'impotenza che egli vive in questo periodo
Nel "piacere" la donna fatale, è impersonata da Elena Muti, che emana un fascino perverso e seducente, e dalla fisicità prorompente che non possono lasciare indifferente l'uomo e anzi lo sottomettono inevitabilmente, vittima è il suddetto Andrea Sperelli che in Lei sembra aver trasferito parte della sua personalità, difatti l'allontanamento di lei rompe il precedente equilibrio, sconvolge l'eroe e lo confonde totalmente..la conseguenza che ne deriva è il tentativo di Andrea di ritrovare lei in qualcun'altra, di ripetere la precedente esperienza..nel tentativo di ritrovare se stesso e la sua stabilità come era accaduto con Elena, infine si arriva alla sovrapposizione tra due donne, che rappresentano anche il classico conflitto tra la donna angelica e la donna sensuale, difatti in un incontro amoroso Andrea chiama la spirituale Maria Ferres, che ha finalmente deciso di concederglisi, con il nome di Elena..finisce quindi con perderle entrambe!
In the field of English literature, the flâneuse, the woman writer who is a visible presence in the city and brings it into her works as a character of them, comes out approximately after a century from the emergence of the flâneur, her male counterpart.
Indeed, the flâneur, typical figure of urban observer walking the European metropolis of the eighteenth century, was allowed to enjoy the amazing developing of the modern city with complete freedom.
Women, on the contrary, were consigned to the narrow space of domesticity, except if she decided to rebel openly to the rigid rules of the society of their day.
Thus, women who deserted their husband, adulteresses and unmarried mothers were described with adjectives as ‘fallen’ or ‘deviant’, and were considered like prostitutes, who, being the street her home, was the archetype of the public woman.
Law and dress codes as well contributed to keep women in a constant state of oppression.
All this until the mid-eighteenth century, when women have gradually started to obtain those rights that, at least partially, equalized them to men end to overcome many moral prejudices. These results had been gained thanks to the struggle of many women, and some man as well, who supported the cause of female emancipation with actions and writings.
It is in this climate that a woman writer of the first half of the twentieth century as Virginia Woolf is allowed to go out of her home and become a flâneuse: a woman moving trough the city, an active participant in living, observing and portraying in her works the London of her times.
Virginia Woolf, who seems to be the prototype of the flâneuse, wrote about the pleasure of flânerie, that is exploring the city, living and feeling with all the five senses, tasting the sensations that the contact with urban life is able to give, as a flâneur only was permitted.

Virginia Woolf wan born in London in 1882. She came from an aristocratic family, therefore from a highly educated and intellectual family environment which greatly influence her in her approaching to writing and art in general. Her mother’s and two years later her step-sister’s deaths caused her mental instability. She used to hear voices in her head and have migraine attacks. After her father died, she moved to Bloomsbury where she founded a circle of intellectuals and where she met her husband Leonard Woolf. Later he founded the Hogart Press to publish her works. After she published many important writings she died drowning herself in a river in 1941.
It always feels like the reader is entering in the characters’ inner world. Time is often dilated and a single moment can last for a very long time. She uses the indirect interior monologue to represent the gap between chronological and interior time. Woolf wants to impress the characters who experience these events in their subjectivity and this made her a heroine for many feminist. She does not use the tradition narration voice, but she takes different points of view from her characters and she “speaks” with their minds, showing their thoughts and feeling as the occur. A narrator sometime gives to this thought a logical order and grammatical sequence.
MOMENTS OF BEING are the moments of intensity, perception or vision which illuminate our lives.
MRS. DALLOWAY
Mrs. Dalloway is the most important Woolf’s novel. It is a modern novel because she wants to express the inner world of characters. The protagonist is Clarissa Dalloway, a wife of Richard Dalloway, a Member of Parliament. Clarissa a day goes to buy some flowers for a party, that she‘s organizing. During the street odors, noises remember to Clarissa events of the pass. She is in anxiety for this party, she is fragile, is insecure. While she is in a flower shop a car driven noisily, shifts the attention to the street, where Septimus and Lucrezia Smith are walking. When she returned at home received a visit from Peter Walsh, her old boyfriend. When he leaves Clarissa’s house goes to Park where meets Septimus who is going to Sir Bradshaw, a doctor that said to Septimus that he must go to clinic to nurse his mental illness. So Septimus jump out of a window and commit suicide. In the evening during Clarissa’s party, Bradshaw arrive by the new of septimus’s death, that brought Clarissa to reflect on death and to feel a connection with Septimus.
The story took place in a small area of London, on a single day. There isn’t a chronological time, are intermingle past, present and future. The time is both objective and subjective. Objective time is given by clock, noise of cars, the flowers, the street… and it’s expresses by third person. Subjective time given by activity of mind, by stream of thoughts and emotions, moments of being (memories that return in mind when lessens a noise, smell odor…) and it’s expresses by first person and the interior monologue. So the omniscient narrator disappears. The plot is tenuous, is useful to remember pass events of characters, it’s useful to put moments of being. Clarissa conceals a profound dissatisfaction, inability, anxiety, insecurity behind the fact that she continues to give party, this inability reflects itself also in sensuality, in Clarissa’s rigidity. Septimus is a man that suffered mental illness after the shock of the death of his best friend during the war. He isn’t able to insert himself in the society, and this inability reflected itself in Septimus’s importance. Clarissa and Septimus are in common: their emotional, her dependence from Richard for stability, his dependence upon Lucrezia for protection. Their marriages are founded on need and no on love; Clarissa’s fragility and Septimus’s impotence. But the difference between Clarissa and Septimus is that inability of Septimus brought he to commit suicide, he isn’t able to distinguish between external reality and his personal mind, thoughts; instead Clarissa accepts the idea of death and to go on.
Quadro storico generale della donna nel XX e XXI secolo
Solo nel XX secolo la donna comincia a ribellarsi alla posizione subalterna all’uomo che, anche se in modi diversi, ha sempre caratterizzato le epoche precedenti. Attraverso il movimento femminista, promosso dalle suffragette, si cominciò a chiedere a gran voce l’emancipazione femminile: se le donne sono cittadine quando devono pagare le tasse o vengono condannate se commettono reati, allora devono avere anche i diritti correlati di gestire i propri beni e di votare. Il riconoscimento di un’eguaglianza morale e di una completa emancipazione, si ebbe dopo la ventata del 1968, quando le donne di tutti i paesi occidentali rivendicarono in massa i loro diritti fino a quel momento disattesi e riuscirono grazie anche a lotte clamorose, a vederli in parte soddisfatti. Fu anche grazie alle proteste delle femministe degli anni ’60 e ’70 che in Italia si arrivò alle leggi sul divorzio e sull’aborto. Anche nel campo lavorativo si ebbe una progressiva entrata delle donne in attività prevalentemente maschili.
La figura della donna nell’arte contemporanea
Nonostante l’emancipazione femminile, nel campo artistico l’immagine della donna ha continuato a mantenere un connotato di oggetto del desiderio maschile; pur essendo rappresentata nelle sue molteplici sfumature.
Tamara de Lempicka è solo il nome d’arte della grande attrice polacca appartenente all’Art Decò Tamara Rosalia Gurwik- Górska. Nata a Varsavia il 16 maggio 1898, figlia di Malvina Decler, una polacca di origine francese, e di Boris Gurwik- Górski, avvocato di Varsavia. A seguito della prematura scomparsa del padre, dovuta al divorzio secondo le dichiarazioni dell'artista, o ad un suicidio secondo altre ipotesi, Tamara vive con sua madre e i suoi due fratelli (Stanislaw e Adrienne), sostenuta dalla famiglia Decler e vezzeggiata dalla nonna Clementine. Proprio per accompagnare la nonna compie il suo primo viaggio in Italia nel 1907, nel corso del quale, dopo aver visitato le città d'arte italiane ed essersi spostate in Francia, Tamara avrebbe imparato alcuni rudimenti di pittura da un francese di Mentone. La sua formazione scolastica, seguita dalla nonna Clementine, va posta tra una scuola di Losanna(Villa Claire) in Svizzera e un prestigioso collegio Polacco di Rydzyna. L'anno successivo, alla morte della nonna, si trasferisce a San Pietroburgo in casa di una zia, dove conobbe l'avvocato Tadeusz Łempicki, che sposò nel 1916. Durante la rivoluzione russa, suo marito venne arrestato dai bolschevichi, ma venne liberato grazie agli sforzi e alle conoscenze della giovane moglie.
Considerata la situazione politica in Russia, i Łempicki decisero di trasferirsi a Parigi dove nacque la figlia Kizette nel 1920. Tamara iniziò a studiare pittura alla Académie de la Grande Chaumiere e alla Académie Ranson con maestri come Maurice Denis e André Lhote. Qui affinò il suo stile personale, fortemente influenzato delle istanze artistiche dell'Art Déco, ma al contempo assai originale. Nel 1922 espone al Salon d'Automne, la sua prima mostra in assoluto. In breve tempo divenne famosa come ritrattista col nome di Tamara de Lempicka. Nel 1928 divorziò dal marito.
Fu anche ospite di Gabriele D'Annunzio al Vittoriale, rifiutando i suoi continui tentativi di seduzione.
All'inizio della seconda guerra mondiale si trasferì a Beverly Hills in California con il secondo marito, il barone Raoul Kuffner, che aveva sposato nel 1933. Nel 1943 si spostarono nuovamente, questa volta a New York, dove la pittrice continuò la sua attività artistica.
Dopo la morte del barone Kuffner nel 1962, la de Lempicka andò a vivere a Houston in Texas, dove sviluppò una nuova tecnica pittorica consistente nell'utilizzo della spatola al posto del pennello. Le sue nuove opere, vicine all'arte astratta, vennero accolte freddamente dalla critica, tanto che la pittrice giurò di non esporre più i suoi lavori in pubblico.
Nel 1978 si trasferì a Cuevernaca in Messico. Morì nel sonno il 18 marzo 1980. Come da sua volontà, il suo corpo venne cremato, e le ceneri vennero sparse dall'amico, Conte Giovanni Agusta, sul vulcano Popocatepetl.
Fu così che Tamara divenne un personaggio della Parigi “des années folles”, come artista e come donna. In questo senso, la sua esistenza fu una perfetta e programmata realizzazione estetica, in cui l’arte e la vita vennero declinate secondo istanze di rappresentazione teatrale, quindi artificiali, e di pienezza esistenziale, quindi emozionali, che traevano le loro origini sia nell’estetica simbolista e decadente di matrice russa che da quella futurista come era stata interpretata da Valentine de Saint-Point, autrice del Manifesto futurista della Lussuria.
LEZIONE DI STILE
Il vocabolario della Lempìcka è ricco e scelto, è uno stile per niente occasionale ma profondamente studiato. L’intera figurazione ubbidisce ad una sola istanza: la costruzione di un immagine che si impone per prepotenza visiva, che diventa icastica. La figura umana viene deformata, e gli elementi anatomici sono forzati a rientrare in linee conduttrici curve che disegnano archi e cerchi; le proporzioni sono stravolte in nome di una prorompenza del soggetto che impone una costruzione scultorea; la lezione cubista si riduce a una declinazione limitata, che tiene conto della necessità di ridurre a corpi solidi gli elementi anatomici: il seno, l’addome, le mani. La gamma cromatica è estremamente ridotta: pochi colori su una stessa tela e il grigio interviene costantemente a donare raffinatezza e a smorzare i rapporti più arditi; le ombre sono decise, dividono quasi a metà i volti e disegnano maschere in cui le orbite degli occhi campeggiano immense, segnate da archi sopraccigliari netti, appesantiti da trucchi scuri.
I fantasmi della sua esistenza, uomini e donne amati, i fantasmi di un’epoca, granduchi contestati e nobili decaduti, impongono una solidità marmorea alla luce artificiale di un palcoscenico che ha le dimensioni ridotte della tela, una scatola spesso angusta. Tamara elabora negli anni Venti e Trenta una pittura cristallina e levigata, fredda della luce glaciale di San Pietroburgo.
Il suo mondo è un serraglio di angeli e belve. Gli angeli sono le bambine che fanno la prima comunione e stringono tra le braccia orsacchiotti di peluche. L’altra metà del palcoscenico è percorso dalla tensione sottile di un erotismo spesso neppure troppo mascherato. Oltre all’ Adamo ed Eva, Tamara ha dipinto solo un’altra coppia, in Idillio: ma non è in questa che va cercata la scintilla della seduzione e dell’erotismo del gioco di sguardi. È nelle coppie di donne come Le due amiche o Ragazze che si nota ciò, l’abbraccio tra giovani fanciulle ripropone tutta un’intrigante ambiguità.
La sua capacità di creare icone del suo tempo è indubbia: nessun quadro come Autoritratto, è stato identificato con l’epoca rappresentata, gli anni Trenta, e con la liberazione femminile: un’immagine di emancipazione in cui la donna moderna in caschetto e guanti di daino è legata all’automobile, oggetto protagonista dell’estetica avanguardista del futurismo di Marinetti, immagine di modernità per eccellenza. L’automobile per la donna di quel periodo? “Sarà il simbolo della liberazione della donna: avrà fatto per spezzare le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette. Dal giorno in cui ha afferrato un volante Eva è diventata uguale ad Adamo. Quando una donna avrà tra le mani una forza di diciotto cavalli che guiderà col mignolo, si farà beffe dell’uomo che, da secoli, le dice: Io sono il tuo padrone perché ho dei muscoli più forti dei tuoi e perché posso asservirti con la maternità

Esempio



  


  1. martina

    un quandro in cui ci sia la donna protagonista e uno in cui la donna sia oggetto

  2. GIULIA

    APPUNTI SU MADRE TERESA RITA LEVI MONTALCINI ALDA MERINI