la donna e lo sport

Materie:Tesina
Categoria:Educazione Fisica

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Testo

Donne di sport che vincono medaglie e che si ritagliano uno spazio nella storia. Donne che attraverso lo sport realizzano le loro ambizioni e cambiano il costume. Donne, atlete nell'olimpo dei campioni. Come e' mutato il rapporto tra donne e sport e soprattutto chi e' la donna atleta del 2000? "Una vita da campioni" e' il titolo della ricerca, realizzata dalla commissione Olimpia, istituita presso il dipartimento per le pari opportunita' e presentata nel salone d'onore del Coni al Foro Italico, dal ministro per le pari opportunita' Katia Bellillo, dal presidente del Coni Gianni Petrucci, dal segretario generale Raffaele Pagnozzi, alla presenza di presidenti di federazioni e della gran parte delle "azzurre" che hanno conquistato titoli alle olimpiadi di Sidney 2000.
La commissione Olimpia, come ha spiegato il Ministro Bellillo, e' istituita presso il dipartimento per le pari opportunita' della presidenza del consiglio dei ministri ha indagato le attitudini, le motivazioni, gli orientamenti e gli stili professionali degli atleti di alto livello. Si tratta di uno studio inedito, la prima indagine psicosociologica in Italia, realizzata in un universo ancora tutto da scoprire: quello dello sport femminile.
Per il ministro Bellillo, grande appassionata di sport, si tratta di una iniziativa che "inorgoglisce il lavoro sportivo delle donne e le pone ad un livello pari a quello degli atleti uomini". La ricerca si e' avvalsa del metodo della survey, e' stato distribuito un questionario, nell'arco di sei mesi, dal dicembre del '99 al maggio del 2000 a 418 atlete ed atleti della rosa olimpica, appartenenti alle nazionali di 19 federazioni sportive.
La prima sezione del questionario era costituita da circa 50 quesiti relativi al profilo personale-sportivo, alle condizioni della pratica sportiva ed alla tutela della salute, alle modalita' di intersezione tra vita familiare e lo sport. Dal questionario e' emerso che l'atleta donna del 2000 ha una eta' media di 25 anni, e' prevalentemente single, studia o e' una atleta professionista, anche se formalmente questo 'status' non le appartiene. In generale ha esordito in nazionale o in prima squadra in eta' piu' giovane rispetto ai colleghi maschi.
Diventare una "campionessa' ha significato molto spesso doversi trasferire dal luogo di nascita o di residenza, potendo contare sul sostegno e l'incoraggiamento della famiglia. Dal punto di vista psicologico le donne sono meno pessimiste e piu' volte alla ricerca di nuove esperienze.
Emissione di un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica "Lo sport italiano" dedicato alla donna nello sport
Data di emissione 20 novembre 2002
Valore euro 0,41
Tiratura tre milioni e cinquecentomila esemplari
Vignetta raffigura una atleta che esultando taglia il traguardo e alle sue spalle la statua "Nike di Samotracia", conservata presso il Museo Louvre di Parigi, che rappresenta la vittoria alata. Completano il francobollo la leggenda "LA DONNA NELLO SPORT", la scritta "ITALIA" ed il valore "€ 0,41"
Bozzettista Antonio Saliola
Stampa Officina Carte Valori dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, in rotocalcografia
Colori quadricromia
Carta fluorescente, non filigranata
Formato carta mm 30 x 40
Formato stampa mm 26 x 36
Dentellatura 13 1/4 x 14
Foglio cinquanta esemplari, valore "€ 20,50"
"Rivoluzionario" tributo al ruolo della donna nello sport.
"Sport" non è più una parola solo "maschile".
Con una delibera destinata certamente a far discutere, l'Amministrazione Comunale di Cittadella, splendida cittadina veneta famosa per le sue mura medievali, ha di fatto scardinato uno dei pilastri storici della cultura maschilista in Italia. Per l'8 Marzo 2002, con un errore grammaticale voluto, è stato infatti disposto ufficialmente il cambio di denominazione di una pubblica via che da "Viale dello Sport" diventerà simbolicamente "Viale della Sport". Una sola lettera di differenza, in grado però di rivoluzionarne completamente il significato rendendo così anche un originalissimo tributo al ruolo della donna. Dimostrazione concreta che le conquiste sociali e passano a volte attraverso una maggiore attenzione per la cultura e una diversa, più cosciente lettura dei simboli più comuni.
In quest'ottica è stata interessata anche la prestigiosa "Accademia della Crusca" di Firenze, la più alta autorità italiana in materia linguistica.
Testimonial dell'evento una delle più grandi atlete italiane di ogni tempo, quella mitica Sara Simeoni che, da prima donna al mondo a vincere i limiti storici dei 2 metri nel salto in alto (record mondiale nel '78), si ritrova oggi a superare, a nome di tutte le donne, un'altra barriera non meno impegnativa: la parità dei ruoli, anche in ambito sportivo.
L'iniziativa s'innesta in un più ampio progetto collegato all'imminente realizzazione dell'importante complesso sportivo denominato appunto "Città-della Sport", che percorrerà la stessa strada in termini di massima apertura verso la figura della donna, del suo ruolo e delle sue nuove esigenze anche in ambito sportivo (www.cittadellasport.com).
In contemporanea con l'evento ed in perfetta sintonia di intenzioni, nella conferenza stampa dell'8 Marzo a Cittadella sarà presentato ufficialmente anche Campionesse.com, il primo portale internet interamente dedicato alle protagoniste dello sport femminile, icone di bellezza e forza fisica e autentiche nuove "dive" dei nostri tempi (www.campionesse.com).
L'originale "provocazione", fatta propria dall'Amministrazione di Cittadella, porta la firma di Maurizio Sangineto, esperto di immagine e comunicazione che con la sua agenzia SANGY srl (www.sangy.com) si è già imposto all'attenzione dei media. Suoi ad esempio lo spot TV dell'Arena di Verona con Placido Domingo in veste di spettatore anziché cantante e la benedizione di un Vescovo via Internet per la prima volta al mondo (Pietro Nonis, Vicenza, 8 Settembre 2000).
L'augurio è che la simbolica provocazione venga raccolta anche da altre realtà che decidano di fare propria questa nuova conquista linguistica e soprattutto di civiltà. E che magari anche la mitica Gazzetta diventi, almeno l'8 Marzo, La Gazzetta "della" Sport.
Sarebbe "meraviglioso" !
L'impresa record di Valentina Vezzali, ''mamma d'oro''
Da quattro mesi è diventata mamma, ma il suo fisico non ne ha risentito. Tanto che ieri ha guadagnato la sua quarta medaglia d’oro mondiale, la prima da mamma, proprio nel giorno in cui sui figlio Pietro ha compiuto 4 mesi.....
Oggi l'uomo nello sport è una donna! E una donna che vince. Un’impresa davvero incredibile. Da quattro mesi è diventata mamma, ma il suo fisico non ne ha risentito. Tanto che ieri ha guadagnato la sua quarta medaglia d’oro mondiale, la prima da mamma. Si chiama Valentina Vezzali e ogni volta che scende in pedana, quella del fioretto, fa sognare l’Italia e il mondo intero. Ai mondiali di scherma di Lipsia, ieri sera, la jesina ha incassato il primo posto del podio nel fioretto femminile, battendo 11-10 al minuto supplementare la tedesca Anja Muller. Con il quarto titolo mondiale in carriera, Valentina Vezzali mette a segno il record assoluto nella storia della scherma italiane ed entra nel libro d’onore degli schermidori.
Mamma Vezzali ha fatto un bel regalo al suo figlioletto Pietro che proprio ieri ha compiuto quattro mesi. Una magia di numeri, ma la ‘fortuna’ c’entra poco quando sulla pedana sale Valentina Vezzali con il suo talento. Una ‘macchina’ si potrebbe pensare visto che solo il 9 giugno scorso era in clinica a Jesi con suo marito Mimmo a far nascere il piccolo. E invece Valentina è soprattutto un’atleta e una donna straordinaria che anche da mamma ha saputo confermarsi la numero uno del fioretto mondiale. Una ripresa record, coronata ancora una volta da un successo. Il quarto iridato, che si aggiunge a una carriera che praticamente non conosce sconfitte: perchè la due volte campionessa olimpica nel fioretto individuale (altri due ori ai Giochi nel fioretto a squadre) le medaglie non riesce quasi più a contarle.
Dopo solo diciotto giorni dal parto Valentina Vezzali era in piscina e palestra per riprendere il peso forma di 53 kg e i primi di agosto è tornata a tirare, in preparazione ai mondiali di Lipsia. “Vi stupirò”, aveva (pre)annunciato un mese fa parlando dell’avventura mondiale. Ha mantenuto la promessa e lo ha fatto! Ai quarti ha fatto fuori la la coreana Nam Yun Hee, mentre in semifinale ha ‘stracciato’ l’ungherese Edina Kanpek. Nella finalissima con la tedesca l’esperienza e la ‘testa’ della Vezzali hanno fatto la differenza. Dopo una partenza in salita, Valentina ha poi rimontato e nel rush finale ha schiacciato l’avversaria. Ed è ancora l’urlo liberatorio, la maschera lanciata in alto a fotografare l’ennesimo trionfo di una campionessa che non conosce tramonto. In pedana la campionessa marchigiana ha fatto rivedere gli occhi già visti in tutte le pedane del mondo, tutte quelle in cui Valentina Vezzali ha lasciato il segno: quelli di una campionessa che non molla mai e che da Lipsia ha lanciato un messaggio per tutte le donne. Si può essere mamme e tornare atlete di altissimo livello: Valentina è andata oltre, perchè a poco più di un anno dall’oro di Atene ha fatto un figlio ed è tornata ancora sul gradino più alto del podio. Poi l’inno italiano, qualche lacrima e l’ennesimo regalo che non ha confronti, perché Valentina Vezzali è una mamma d’oro.
Prima donna arbitro in C2
nessun timore e personalità
Anna De Toni al 'Druso'
BOLZANO - La vera protagonista della partita è lei, la signora Anna De Toni, medico 29enne di Marano Veneto, imponente prestanza fisica, primo arbitro donna in Italia a dirigere un incontro di calcio tra squadre professionistiche. Accade al 'Druso' di Bolzano, il match è Suedtirol-Lecco di C2 e finisce 1-1. Ma gli occhi e gli obiettivi sono tutti per "l'arbitra".
Sullo stesso campo la De Toni aveva diretto il 31 marzo 2004 l'incontro amichevole internazionale di calcio femminile tra le nazionali di Italia e Germania (0-1). E oggi la dottoressa De Toni, della sezione di Schio, prima donna-arbitro promossa alla Can di serie C, oggi ha diretto la sua prima gara tra i professionisti. In serie A e B c'è Cristina Cini, ma nel ruolo di assistente.
Ventinove anni il 12 ottobre prossimo, arbitro effettivo dal 1993, 16 gare in serie D la scorsa stagione, oltre alla Coppa dei Campioni (finale inclusa) e i mondiali under 19 donne, Anna De Toni ha diretto oggi con piglio autoritario e personalità, sempre presente sull'azione, tempestiva e sicura. Non si è mai fatta sorprendere ed è stata impeccabile anche nel non concedere un calcio di rigore ai padroni di casa. Ha ammonito quattro giocatori, tutti per gioco falloso, compreso Christian Arrieta del Lecco, un ex del reality show "Campioni" di mister Ciccio Graziani (in panchina gli altri due Boriello e Spagnoli). Alla fine si è fatta attendere un'ora, ha parlato con il commissario di campo e, come da regolamento, non ha rilasciato dichiarazioni.
Calcio:prima donna arbitro in C,e' esordio per Anna De Toni
(ANSAweb)-BOLZANO, 24 SET-Scatta l'ora per la prima donna arbitro in serie C: Anna De Toni, della sezione di Schio, torna ad arbitrare al Druso di Bolzano, dove il 31 marzo 2004 diresse l'incontro di calcio femminile tra le nazionali di Italia e Germania (0-1). Questa volta pero' l'impegno ha una valenza diversa: infatti domani la prima donna-arbitro, promossa alla Can di serie C dirigera' la sua prima partita tra i professionisti: Suedtirol-Lecco. Anna De Toni, 29 anni il 12 ottobre prossimo, medico, residente a Marano Veneto, arbitro effettivo dal 1993. La signora De Toni e' l'unica donna ad accedere al mondo professionistico: in serie A e' riuscita ad arrivare, prima di lei, solo Cristina Cini, anche se come assistente arbitrale. (ANSAweb).
Europei: ecco la prima donna arbitro
Mer 14 Set, 9:55 AM
La francese Chantal Julien diventera` la prima donna ad arbitrare ai campionati Europei maschili di basket. Avventura dunque particolare per l`arbitro francese, che fara` parte della squadra che saranno al via della manifestazione continentale, in programma in Serbia e Montenegro dal 16 al 25 settembre.
Chantal Julien, 40 anni e professore di sport a Mandelieu-La-Napoule (sud-est della Francia), arbitrera` nel gruppo A, di base a Vrsac. Che una donna arbitrasse gli uomini era accaduto nella Coppa d`Europa, ma mai ai Campionati Europei, ancora meno ai Mondiali. Chantal Julien arbitra dal 1997 in ProA (campionato francese maschile) e ha diretto la finale femminile dei Giochi Olimpici di Atene 2004, dove e` stata la sola donna arbitro a dirigere un incontro maschile, Lituania-Angola.
Una Olander per tutte le stagioni
Lunedì, 11 Aprile 2005
Il 6 marzo Maaren Olander è diventata la prima donna ad arbitrare una gara della massima divisione estone. Ma questo arbitro 29enne sa fare anche altro.
Un donna eclettica
Ha iniziato giocando a tennis per poi diventare portiere della nazionale, Ct della nazionale estone e infine arbitro. Nel frattempo è da molti anni responsabile materiali per la nazionale maschile e per il principale club estone, l'FC Flora.
Prodigio del tennis
Dopo essere stata tennista di livello internazionale da bambina, la Olander ha deciso di passare al calcio a 16 anni. "Il calcio stava diventando molto popolare all'epoca e hanno incominciato a giocare anche le ragazze - ha dichiarato a uefa.com -. Mi ricordo che giocavo a pallone con i maschi nel parco vicino casa".
Amicizie nel calcio
La sua cariera calcistica decolla presto e la porta alla prima squadra femminile creata in Estonia, le Nõmme Chickens. "Ho sentito che c'era una squadra femminile dalle mie parti e mi sono unita a loro. Mi sono entusiasmata sin dall'inizio! Mi piaceva lo spirito di squadra e all'improvviso mi sono fatta tantissime nuove amicizie".
Esperienza in Svizzera
Portiere di talento, la Olander si è trasferita in Svezia giocando con Tärnsjö IF e Östervala IF per quattro anni. "Sono rimasta molto sorpresa dalla professionalità delle ragazze - ricorda -. Persino nelle serie minori trovavo questo atteggiamento ed è lì che mi sono ammalata di calcio per sempre".
Numero 1 dell'Estonia
La Olander diventa portiere della nazionale estone racimolando 17 presenze ma subendo 83 reti. "Mi sono divertita, questo è sicuro. Gli amici mi prendevano in giro dicendomi che mi doveva venire il mal di schiena a furia di raccogliere palloni in fondo alla rete. Ma ho fatto anche delle bellissime parate".
Carriera di allenatore
Dopo aver appeso i guanti al chiodo la Olander ha continuato a giocare a centrocampo per la squadra femminile del club Flora ed è anche diventata allenatore della nazionale femminile per un paio di anni. Nel frattempo è diventata responsabile materiali del club Flora e dell'Estonia.
Diventa arbitro
Il prossimo passo l'ha portata ad usare il fischietto e diventare arbitro. La Olander spiega: "Avevo raggiunto il massimo come giocatrice e mi sono resa conto che non mi interessava allenare. Ma volevo comunque restare coinvolta in questo sport e allora diventare arbitro mi è sembrata una scelta perfetta".
Forse è più facile essere una donna arbitro nel calcio maschile. Gli uomini, infatti, si comportano un pochino meglio quando dirigo io la gara
Maaren Olander
Massimo campionato
La Ollander sta ora maturando esperienze ai massimi livelli nella Meistriliiga. "Devo dimostrare le mie capacità in ogni gara - dichiara -. Se faccio degli errori i giocatori ed il pubblico non lo dimenticano facilmente". Nel frattempo i giocatori devono abituarsi ad accettare le decisioni di una donna arbitro. "Sono l'unico direttore di gara donna in Estonia ma a volte i giocatori se ne dmenticano e si rivolgono a me dicendo 'Signor arbitro. Lo trovo piuttosto divertente".
Prossima mossa
Dopo essere stata giocatore, allenatore, arbitro, responsabile materiali e persino segretaria del club, quale altro lavoro vuole fare? "Per il momento sono felice così ma non si sa mai - dichiara -. Forse farò l'osservatrice dopo la carriera di arbitro. Conoscendomi tutto è possibile"!
LA DONNA SPORTIVA

3.1 IDENTITA’ FEMMINILE E SPORT
La posizione della donna nella società è sempre stata subalterna, in tutti i campi e specialmente in quello sportivo in quanto, tale inserimento, è stato avvertito come un tentativo di trasgredire le regole della sua identità e di minare quella dell’uomo.
In questo contesto essa viene tacciata di anormalità.
L’opinione più diffusa è che la donna atleta che, implicitamente, vorrebbe porsi sulla scala dei valori sportivi mascolini, abbia dei problemi psicologici rimasti insoluti e che crede di poter superare assumendo atteggiamenti contrastanti con la sua natura.
Il corpo è visto come insieme di modi di essere prestabiliti ed obbliga la ragazza ad un controllo sociale.
Ogni devianza diventa sospetto di malattia mentale. Addirittura spesso si arriva ad affermare che le giocatrici siano omosessuali.
La violazione di questo ordine si basa sui ruoli sessuali predeterminati e le trasgressioni sono viste come infrazione all’ordine naturale.
Nella femmina, fin da piccola, non viene inculcata la capacità d’investire sulla propria persona così come accade nel maschio.
Infatti, mentre questo matura per opposizione, la bambina lo fa per affiliazione e quindi da adulta risulta più dipendente nella valutazione di se stessa dal giudizio degli altri.
Considerando il basso numero di sportive praticanti si suppone che, oltre ai fattori socio-organizzativi, esistano delle resistenze psicologiche e culturali fra le stesse donne.
Questo perché la scelta di fare sport mette in crisi la loro identità femminile.
Anche se progressiste le giovani non possono venir meno alle aspettative sociali e al ruolo interiorizzato.
Dunque non è azzardato dire che la donna atleta deve superare resistenze dentro e fuori di sé.
E’ bene, comunque, sottolineare come i comportamenti umani, di entrambi i sessi, scaturiscono da situazioni interattive, in cui ciascuno deve rappresentare un proprio sé coerente con il suo ruolo e con le aspettative derivanti da esso.
Questo è ciò che ci dice la corrente dell’interazionismo che concepisce l’individuo come puro effetto di relazioni.
Maschi e femmine hanno una personalità di base corrispondente ai ruoli ed ai comportamenti funzionali all’organizzazione sociale ed è proprio da qui che essa prende le mosse.
Per anni le teorie freudiane sulla sessualità femminile non hanno permesso al genere in questione di trovare consensi in nessun campo d’azione.
Per Freud Freud, Introduzione al narcisismo, Torino, 1976, pag. 37 la psicologia della donna si sviluppa a partire dalla sensazione di essere un maschio mancato.
Egli, con il complesso di Diana, motivava tutte le carriere, anche quelle sportive, condotte sulla falsariga di quelle maschili dovute, secondo lui, all’incapacità di realizzarsi attraverso la maternità.
A smontare questa tesi intervennero antropologi famosi come Malinowski e la Mead Malinowski e Mead in Salvini, Identità femminile e sport, Firenze, 1982 pag. 54 che sottolinearono come la psicologia maschile e femminile rispecchiasse il tipo di organizzazione socio-culturale che forgia i ruoli sessuali.

3.2 PREGIUDIZI E STEREOTIPI SULLA DONNA SPORTIVA
Come già visto in precedenza, la funzione dello sport è sempre stata quella di mettere in evidenza le potenzialità maschili, di dare un’immagine di virilità perpetuando così l’idea dell’inferiorità femminile.
Ma, è stato proprio l’atteggiamento “positivistico” dello sport che ha contribuito a mettere da parte, nel tempo, i pregiudizi.
Questo perché all’occhio realistico del positivista il corpo femminile perde le sue auree metafisiche e riacquista la sua materialità dissolvendo, almeno in parte, le argomentazioni circa la sua subalternità.
Si è dato, cioè, più risalto alle somiglianze che alle differenze.
Oggi la ragazza che pratica sport è tutt’altro che un’eccezione, ma questo cambiamento è da considerarsi nell’ottica generale dei mutamenti sociali nel loro complesso.
Se la donna è rimasta lontana per molto tempo dall’attività sportiva diffusa, ciò è dipeso anche dal fatto che gran parte dell’opinione pubblica è stata scettica sull’equilibrio psicologico delle praticanti, ed in un certo qual modo lo è ancora adesso.
Questo perché la pratica sportiva femminile è una realtà che mette in discussione gli stereotipi tradizionali di categorizzazione sessuale.
Il senso comune vede nella donna atleta il segno evidente di una deviazione della femminilità, un’anormalità all’insegna di una virilizzazione da scoraggiare.
Le aspiranti atlete, alle volte, si tarpano le ali da sole anche per il timore di compromettere l’immagine della propria presunta femminilità esteriore, e tale teoria è stata corroborata da alcune ricerche americane.
L’escamotage psicologico che usano le sportive per contrastare questo tipo di dissonanza cognitiva è un atteggiamento razionalizzante che ne riduce l’ansia.

3.3 PSICOLOGIA DELLA DONNA ATLETA
Le interpretazioni psicologiche ci dicono che nella donna coesistono due tipi di “IO”, uno sociale ed uno atletico.
Quest’ultimo assomiglierebbe, in tutto e per tutto, a quello dell’atleta maschio.
Questo non vuol dire che la donna voglia imitare l’uomo, ma che la spinta all’agonismo ha le stesse sembianze in entrambi i sessi.
In un congresso del CONI tenutosi a Roma su “Donne e sport” è emerso che il gentil sesso dispone, oggi, dello sport come modalità espressiva della propria personalità.
Gli psicologi ci dicono che le ragazze che si sono seriamente dedicate ad una disciplina sportiva, e specialmente al calcio, hanno dimostrato di avere un’ambizione spiccata ed una ferrea volontà nel perseguire i traguardi prefissati, spesso più ostinata e più metodica di quella espressa dai colleghi maschi.
Dunque, è facile ammettere che lo sport, per la donna, è strumento di emancipazione e di crescita sociale.
Infatti, nella cornice ludico-agonistica dello sport essa dimostra che il suo orizzonte esistenziale è più segnato dalla cultura che dalla sua natura.
Analizzando più a fondo, però, l’espansione della pratica sportiva femminile secondo categorie sociologiche si vede che esso interessa più alcuni strati sociali e nella fattispecie i quartieri urbani più forniti di strutture, segno che la pratica sportiva diffusa non è ancora omogenea ed estesa a tutto il territorio nazionale.
Le ricerche sulla personalità
Numerosi sono stati i tentativi di ricerca per appurare se e in che misura le donne atlete differiscono psicologicamente dalle altre.
I risultati hanno verificato l’ipotesi preconcetta: sono stati registrati punteggi relativamente bassi negli indici di femminilità ed alti negli indici di mascolinità delle sportive.
Mentre i maschi si dedicano allo sport in quanto indotti a dare molta importanza alla competizione e all’abilità personale, le femmine sono sollecitate da fattori socio-emotivi quali la compagnia, il divertimento e l’interazione sociale.
Il problema non risolto è stabilire se il coinvolgimento intensivo nello sport può essere considerato un effetto o piuttosto una causa dell’androginia di alcune atlete.
E a proposito di questo, la percezione stereotipica e l’attribuzione normativa di certi caratteri legati al sesso assegnato tendono ad avvalersi del principio della simmetria, per cui i tratti maschili sono visti come opposti a quelli femminili.
La donna atleta rappresenta una vistosa trasgressione a questo tipo di categorizzazione.
In genere l’androginia si accompagna ad un maggior equilibrio, autostima, intelligenza e creatività, rispetto ai soggetti che si autodefiniscono con tratti più esclusivi di tipo maschile o femminile.
Ed in effetti anche i risultati delle ricerche confermano che le donne che posseggono qualità femminili associate alla dimensione maschile hanno punteggi più alti di autostima.
In sintesi, si può dire che le ragazze sportive risultano critiche verso i valori femminili tradizionali; la realizzazione di se stesse è considerata legata a valori, orientamenti, quali l’autonomia, il movimento, finalizzati al raggiungimento di un equilibrio dinamico.
Parlando di costruzione del sé non possiamo non citare Goffman Goffman, Encounters: Two Studies in the Sociology of Interaction, Indianapolis, 1961, pag. 163 il quale afferma:”Il sé può essere visto come qualcosa che risiede nel sistema di accordi che prevale in una società.
In questo senso esso non risulta di proprietà della persona cui viene attribuito, ma risiede piuttosto nella dinamica del controllo sociale esercitato su di lei, dalla persona stessa e da chi la circonda”. [Goffman, 1961]
E’ proprio in quest’ottica che va valutato l’abbandono precoce di molte giovani atlete, erroneamente attribuito alla loro incostanza.
Esso è, invece, il risultato paradossale di un controllo sociale normativo.
Dorothy Allen D.Allen, in Salvini, Identità femminile e sport, Firenze,1982, pag. 88 sostiene che esiste una frattura fra l’esperienza emozionale personale ed il comportamento richiesto alla ragazza nella pratica sportiva, e ciò ha come conseguenza il preformarsi nella coscienza dell’atleta una data esperienza di sé.
Da qui si evince che la donna, approdata allo sport come ad una potenziale occasione liberatoria, uniforma il proprio sé ad un nuovo sistema di prescrizioni che le impongono di agire in un certo modo.
In sostanza la ragazza è obbligata a far combaciare la propria identità con ciò che gli altri chiamano tale.

Le motivazioni agonistiche nella donna
La donna sportiva offre, con la sua immagine competitiva, un senso di estraneità.
L’agonismo è un qualcosa che non fa parte del bagaglio culturale della femminilità ed è fuori dal senso comune.
Gli studi e le ricerche svolte in questa direzione mettono in risalto come le motivazioni al successo nella donna siano in genere inibite da diversi fattori come il conflitto tra aspettative di ruolo e progetto personale, disistima e scarsi incentivi sociali.
In sostanza le ragazze s’impegnano più per essere accettate che per avere successo.
Le loro motivazioni sono più legate al gruppo, al raggiungimento di traguardi socio-emotivi che alla realizzazione di obiettivi personali.
La spinta alla competizione intesa come bisogno d’affermazione risulta connessa all’adesione o meno all’autostereotipo femminile.
La competitività sul piano sportivo, affine com’è all’autoaffermazione ha un duplice significato da un lato di riconoscimento sociale che porta ad ottenere una conferma pubblica delle proprie capacità e dall’altro di autoaffermazione rispetto al sé nel senso di verifica oggettiva del proprio valore di fronte a l’altro generalizzato.
Nel vissuto agonistico di una ragazza gli elementi dominanti risultano essere:
A) un’esigenza di autoaffermazione e riconoscimento sociale
B) un’elaborazione autonoma, in quanto non prescritta tradizionalmente dal ruolo di genere, di un progetto autoaffermativo attraverso campi di dominio maschili.
C) Una formazione reattiva verso l’inibizione alla competizione.
Il sentimento d’inferiorità e d’impotenza, unito alla paura della perdita della propria femminilità e al rifiuto sociale portano al rigetto del successo da parte della donna.
La competizione sportiva ha la caratteristica psicologica di essere legata al livello di aspirazione e di sicurezza individuale connessi con la fiducia in se stessi, e da questo punto di vista l’atleta femmina si trova svantaggiata rispetto al maschio.
Questo perché la scelta di praticare sport comporta nella donna un conflitto a livello d’identità: mentre sul piano sociale l’uomo l’acquista, la donna la perde.
Tuttavia bisogna anche ammettere che la ragazza, non essendo tenuta in considerazione la sua prestazione atletica, ha più possibilità di vivere l’esperienza ludica che la pratica sportiva offre.
Essa vive, rispetto al suo corrispettivo maschile, con minor risonanza l’ansia d’incapacità.
In sostanza fare sport per una donna può essere un vantaggio ed uno svantaggio allo stesso tempo.
Infatti, vi è un’ambivalenza conflittuale del ruolo femminile nello sport che, se da un lato le può permettere di autoemanciparsi, dall’altro le richiede un consenso capace d’integrarla ancora di più nelle sue forme di alienazione.
Conclusioni
In questo breve iter interpretativo ho cercato di mettere in luce le motivazioni sia di tipo personale e psicologico, sia di tipo socio-culturale, che sono alla base della pratica sportiva femminile.
La femminilità è un costrutto importante per afferrare limitazioni, scambi ed aperture che le donne hanno verso tutti i tipi di realtà sociali.
Anche se alcuni modelli hanno virato in senso androgino è chiaro che lo scienziato sociale non può interpretarli come negazione della femminilità, ma piuttosto come una sua trasformazione.
E’ altresì evidente che le donne oggi chiedono allo sport non solo agonismo, gioco e partecipazione, ma anche un contributo alla loro emancipazione corredata di tutti i risultati della propria femminilità.
.4 SPORT FEMMINILE E MASS MEDIA: UN RAPPORTO DIFFICILE DA SEMPRE
In una società come la nostra, fortemente mediatizzata e dove i canali di comunicazione sono molteplici e spesso dominano la psiche umana, è fondamentale fermarsi a riflettere su come la donna che fa sport viene presentata.
Da sempre la pratica sportiva, come abbiamo visto, è l’esaltazione della mascolinità.
Il fatto che l’agonismo femminile non abbia ancora trovato consensi unanimi è dovuto anche ad una comunicazione se non altro distorta che i mass media propongono di questo.
Più o meno consapevolmente i cronisti se si trovano a dover commentare avvenimenti sportivi al femminile, ed in special modo se si tratta di calcio, usano un linguaggio che tende a riportare tutto nei ranghi della virilità.
Al senso comune suona strano sentir dire “fallo da ultima donna” e non si trova un corrispettivo di “gioco maschio”.
Questi sono solo due esempi molto semplici di come un linguaggio specifico per lo sport al femminile non sia mai stato pensato.
Se si presentano le imprese sportive di un’atleta donna non si parla solo di quelle, ma si racconta anche la sua vita “normale”, quella di moglie, di madre, cosa che non accade per l’uomo, della cui vita privata, anzi, si parla solo in funzione di qualche sua relazione con soubrette o dive della televisione.
In sostanza, le donne atlete così come ci sono presentate dai media sono impoverite nella loro immagine.
Viene sottovalutato l’aspetto prettamente agonistico, mentre viene sottolineato invece, come lo sport sia per loro solo una parte di vita, e neanche la più importante.
In un’indagine svolta su diversi mezzi di comunicazione di massa per studiare come viene rappresentata la donna atleta sono emersi i seguenti temi:
A) la scarsa rappresentazione delle prestazioni sportive femminili e il conseguente annientamento simbolico.
B) La non considerazione del sesso femminile nello sport.
C) Il presunto pericolo per la salute fisica della stessa e i rischi connessi.
D) La presentazione della donna come un’atleta fittizia e dell’atleta come donna fittizia.
La realtà è che la ragazza sportiva, a livello mediatico, appare sostanzialmente a scopo pubblicitario e non come modello di atleta.
L’augurio è che la società, soprattutto attraverso i mass media, sappia in un futuro prossimo rendere giustizia alla donna sportiva e possa sottolinearne le peculiarità sue proprie e non fare solo un confronto con gli uomini.
IL CALCIO FEMMINILE
INTRODUZIONE
Prima di addentrarci nei meandri della complessa organizzazione del calcio femminile è importante sottolineare come questa pratica sia l’emblema della difficoltà dell’evoluzione del ruolo della donna all’interno del mondo sportivo.
Mai per nessun’altra disciplina è stato, e per certi versi è ancora, così difficile trovare spazi e consensi, anche se è giusto dire che proprio in questi anni molta più gente s’interessa ad essa e segue da vicino le sorti della propria squadra del cuore anche se femminile.
E’ evidente che si è sempre pensato al calcio come ad un gioco fatto di resistenza, velocità, contrasti duri e fatica non indifferente; tutte componenti che sembrano essere un esclusivo patrimonio maschile, ed in parte questo corrisponde a verità.
Ma le donne hanno dimostrato che il pallone è uno sport accessibile anche a loro, specialmente oggi che si punta più sul ragionamento, sulla predisposizione tattica, sull’organizzazione di gioco, cose a cui le donne sono molto attente.
E ciò giustifica in parte la crescita e l’evoluzione del calcio femminile negli ultimi anni.
Certo, è anche importante aggiungere che essere calciatrice in Italia è doppiamente difficile perché, come avrò modo di approfondire più avanti, le giocatrici non hanno riconosciuto lo statuto di professioniste, mentre in America questo accade e poi lì il football è lo sport femminile per eccellenza.
Nel Bel Paese, le cose sono esattamente all’opposto e lo strapotere del calcio maschile spiazza completamente quello delle “colleghe” donne.
Quindi è chiaro che a livello sociale il calcio femminile è un “non fenomeno” nel senso che si tende a lasciarlo da parte e a tirarlo fuori solo in casi eccezionali, mentre a livello strettamente atletico viene denigrato perché si tende più a considerare gli effetti negativi che può avere sul corpo delle atlete, piuttosto che mettere in risalto, invece, i vantaggi che può offrire.
Non va dimenticato, inoltre, che il gioco di squadra e l’eterogeneità delle ragazze che si avvicinano al calcio, permette di amalgamare giovani di età diverse, di classi sociali diverse, la cui passione per questo sport diventa l’elemento aggregante.

4.1 BREVE STORIA DEL CALCIO FEMMINILE
Il percorso in salita compiuto dalle società di calcio femminile nel panorama sportivo italiano è stato, fino al 1986, esterno alla “storia” centenaria della FIGC, ma non per questo senza identità e fermenti.
Le prime notizie di attività di calcio femminile in Italia risalgono al 1930 quando a Milano viene fondato il Gruppo Femminile Calcistico e, riportano i referenti dell’epoca, le giocatrici scendono in campo in sottana al contrario delle colleghe tedesche ed inglesi, nazioni in cui, fra l’altro si giocava fin dal 1910.
La storia scarseggia di notizie: queste le tappe significative.
1946: a Trieste nascono due squadre di calcio femminile, la Triestina e le ragazze di San Giusto; nel 1950 a Napoli viene fondata l’Associazione Italiana Calcio Femminile (AICF) con l’adesione di diverse società; nel 1959 a Messina si gioca la partita Roma-Napoli e con questa gara termina la storia dell’AICF; nel 1965 all’Arena di Milano si disputa Bologna-Inter le cui atlete, tutte milanesi, hanno tra i 14 e i 17 anni e l’allenatrice di entrambe le compagini nonché l’arbitro dell’incontro è Valeria Rocchi; nello stesso anno nascono le società Genova e Giovani Viola.
L’anno 1968 è comunemente indicato come l’anno zero: nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile; nel periodo maggio-settembre si disputa il primo campionato italiano a due gironi (Nord e Sud) di cinque squadre ciascuno e viene assegnato il primo scudetto con una finale, giocata a Pisa, che vede di fronte Genova e Roma e che assegna la vittoria alla squadra ligure.
Tutto sembra proseguire sotto i migliori auspici ma, a Roma, il 31 Gennaio 1970 dieci società abbandonano la FICF e firmano l’atto costitutivo della Federazione Italiana Femminile Giuoco Calcio con presidente Aleandro Franchi.
Per la prima volta si parla di serie A, girone unico di 14 squadre; serie B, suddivisa in quattro gironi per un numero complessivo di 24 squadre; si fissano norme sui tesseramenti e ci si pone il problema delle visite mediche.
Sono quindi due le Federazioni, FICF e FFIGC che organizzano due campionati italiani, due vincenti il titolo italiano (Gomma Gomma Milano FFIGC e Real Torino FICF) e tale situazione si protrae fino al 1972 quando, grazie all’opera dell’Avvocato Giovanni Trabucco a Firenze, le due realtà confluiscono dando vita alla Federazione Femminile Italia Unita Giuoco Calcio (FFIUGC) presidente della quale verrà eletto lo stesso Avvocato Trabucco che terrà tale carica fino all’ingresso nella FIGC.
Nel 1986 si parte con 45 formazioni che disputeranno un campionato suddiviso in quattro gironi.
Con l’Avvocato Trabucco l’attività prende slancio, viene ristrutturata sulla falsariga della FIGC cui tutte le società del femminile guardano con un misto tra timore reverenziale e curiosità.
Anno dopo anno si sviluppa la struttura federale con il presidente, due vice presidenti, presidenti nel contempo della Lega Nazionale e della Lega Regionale, consiglieri federali e vengono organizzati campionati: Nazionali, serie A e B, Interregionale serie C e Regionale serie D, nonché l’attività giovanile a livello provinciale e di tornei.
Le norme sul tesseramento cambiano in continuazione per arrivare al vincolo quadriennale in vigore fino al 1996 (ben dieci anni dopo essere confluiti nella FIGC).
Nel 1980, a Bergamo, viene costituita l’Associazione Italiana Calciatrici il cui presidente entra a far parte del Consiglio Federale portando le istanze delle atlete.
Tale associazione continuerà ad operare fino al 1989, anche con la Divisione Calcio Femminile della LND (Lega Nazionale Dilettanti), per poi sciogliersi spontaneamente.
Nel 1983 la FIGC Femminile verrà riconosciuta come aderente al CONI (ricevendo anche un contributo in termini economici) e si cominciano ad organizzare le strutture dei comitati regionali e provinciali ai quali verrà affidata l’attività promozionale.
Durante questi anni, all’interno della FIGC Femminile opererà un settore arbitrale la cui guida sarà affidata all’arbitro internazionale Pieroni di Roma che si avvarrà dell’aiuto di arbitri “dimessi” dal settore della FIGC; inoltre verranno organizzati veri e propri corsi che rilasceranno un patentino per i tecnici che potranno però operare solo nell’ambito femminile.
Nel frattempo l’attività sui campi si svolge da Gennaio a Dicembre con una sosta di venti giorni ad Agosto con l’intento di occupare gli spazi estivi lasciati fuori dal calcio consolidato.
Questa organizzazione del campionato durerà fino al 1985 anno in cui si disputeranno due campionati: il primo da Gennaio ad Agosto e il secondo da Settembre a Giugno per adeguarsi alla FIGC.
L’attività femminile viene quindi inquadrata nella LND con la costituzione del Comitato Calcio Femminile. Vengono mantenuti i diritti acquisiti in ordine al patrimonio atlete e al posto degli organici dei Campionati nazionali e regionali e non viene disputata la Coppa Italia.
All’interno della LND, a partire dal 1987, vengono costituite varie commissioni per studiare norme ad hoc per lo sviluppo del calcio femminile e nel 1989 viene nominato il primo presidente Maurizio Foroni il quale continua sulla strada delle Commissioni, all’interno delle quali è cooptata la presidentessa dell’Associazione Calciatrici.
Si cerca inoltre d’incentivare l’attività a livello regionale.
Nel 1991 viene nominata presidente Evelina Codacci Pisanelli che, articola l’attività nazionale con una serie A a 14 squadre e la serie B a due gironi di 12 squadre ciascuno, mentre inizia l’opera di coinvolgimento dei presidenti regionali, opera che sarà continuata dall’attuale presidente Natalina Ceraso Levati.
Mentre le società attendono la possibilità di eleggere direttamente il loro presidente viene nominata a ricoprire il ruolo di presidente delegato Marina Sbardella che organizza il primo Torneo Giovanile, a livello nazionale e regionale, con una fascia d’età compresa tra i 12 e i 17 anni.
Inoltre allarga la serie A a 16 squadre ed organizza il campionato di serie B in 3 gironi a 10 squadre.
Il primo Maggio 1997 per la prima volta dall’entrata nella FIGC, le società militanti nei campionati nazionali di serie A e B, eleggono il presidente della Divisione Calcio Femminile nella persona di Natalina Ceraso Levati, in ottemperanza alla nuova normativa che prevede anche un Consiglio di Presidenza composto da sei persone (tre presidenti di comitato e tre consiglieri scelti dal presidente di Divisione).
L’attività a carattere nazionale si articola così: serie A con 16 squadre partecipanti e girone unico, serie B con 14 squadre divise in 3 gironi.
Viene istituita la Supercoppa Italiana da disputarsi fra la vincente della Coppa Italia ed il Campionato di serie A.
Proseguendo nell’opera di sviluppo, nel 1998, le società partecipanti alla serie B vengono suddivise in 4 gironi di 12 squadre con play off finali per individuare le tre vincenti che accederanno alla serie A.
Viene poi istituito il torneo Under 14 per rappresentative regionali con atlete partecipanti ai tornei pulcini, esordienti, giovani calciatrici, per incrementare il numero delle praticanti.
Vengono inoltre organizzati numerosi stages estivi con la collaborazione dei Comitati Regionali sotto la guida dei tecnici delle Nazionali per individuare atlete da inserire nella rosa della Nazionale Under 18.
Nel 1999 viene istituito inoltre in collaborazione col Settore Giovanile Scolastico, il torneo di calcio a otto per incentivare l’attività.
Nel contesto di un crescente interesse, con un costante incremento di tesseramenti (9667 atlete) e di società (396), la Nazionale Femminile rappresenta la punta dell’iceberg e la partecipazione ai Mondiali servirà da palcoscenico per la promozione di questo sport che sta cercando di allargare il suo orizzonte e la sua dimensione nel panorama calcistico italiano.
4.2 STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA FIGC
La FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio) si compone essenzialmente di tre leghe: Lega Nazionale Professionisti (serie A e B maschile), Lega Nazionale Professionisti di serie C e Lega Nazionale Dilettanti.
Tale suddivisione è molto importante perché corrisponde non solo a questioni organizzative e burocratiche, ma anche alla spartizione dei soldi del Totocalcio e del CONI in generale.
Ecco spiegato perché c’è chi sostiene che il calcio femminile debba formare una sua lega e quindi partecipare alla spartizione delle risorse economiche con pari dignità rispetto alle altre leghe.
Il calcio femminile nazionale è una divisione della Lega Nazionale Dilettanti.
Quindi le calciatrici non sono e non possono essere professioniste.
Le norme organizzative, in particolare quelle in merito ai tesseramenti sono dunque quelle dei dilettanti, maschi o femmine che siano.
La Lega Nazionale Dilettanti (LND) si suddivide in Settore Giovanile e Scolastico (SGS), Divisione Attività Interregionale (DAI), Divisione Calcio a 5 (DC), Divisione Calcio Femminile (DCF), Comitati Regionali regione per regione che a loro volta si diramano nei comitati provinciali.
Si noti come il calcio femminile risulti teoricamente frammentato, dato che anche il Settore Giovanile Scolastico fa attività femminile ed ogni comitato ha il suo delegato al calcio femminile.
Di fatto la presidenza della Divisione Calcio Femminile si è sempre adoperata per mantenere i contatti con i delegati regionali e con i settori giovanili, ma una struttura così dispersiva qualche problema lo causa comunque.
Per esempio, quando si parla di calciatrici tesserate non vengono considerate le bambine del Settore Giovanile Scolastico, che in alcuni comitati provinciali vengono addirittura contrassegnate dalla M (maschio) per il semplice motivo che….”dato che sono tutti maschi il computer mette M di default!”.
Le donne e il nuovo statuto della FIGC.
Il 14 Ottobre 2000 la FIGC si è dotata di un nuovo statuto che ha in parte risposto a chi sperava di poter dare al calcio femminile una maggiore autonomia.
In generale il nuovo statuto modifica il vecchio linguaggio e inserisce alcuni articoli nuovi, nell’intento generale d’introdurre idee più democratiche e tolleranti.
Per esempio, se prima si scriveva che “la FIGC è la rappresentante esclusiva dell’attività calcistica italiana in campo internazionale”, adesso si scrive che “la FIGC è l’unica federazione sportiva italiana riconosciuta dal CONI, dall’UEFA e dalla FIFA per ogni aspetto riguardante il giuoco del calcio in campo nazionale ed internazionale”.
In questa nuova versione lo statuto si preoccupa di alcuni principi etici che nel vecchio erano del tutto assenti:
A. la formazione sportiva dei giovani calciatori non deve andare a svantaggio della formazione educativa e lavorativa.
B. viene rifiutata ogni forma di discriminazione sociale (anche se quella sessuale non viene citata esplicitamente).
La Divisione Calcio Femminile viene citata per la prima volta nell’articolo 7: la Divisione adesso ha autonomia amministrativa e gestionale, nel vecchio statuto veniva citata come semplice componente della LND con l’unico compito di organizzare l’attività sportiva.
Un’importante novità è quella dell’articolo 8 che prevede l’ingresso nel consiglio federale dei calciatori.
Uno dei requisiti richiesti alle associazioni di calciatori è quello di rappresentare in forma equa atlete ed atleti.
Questo significa che il calcio femminile è esplicitamente riconosciuto nello statuto della FIGC: una conquista di non poco conto.
E non solo: nell’articolo 17 riguardante la composizione dell’assemblea federale, si chiede espressamente che la rappresentanza degli atleti debba essere composta anche di atlete.
Insomma, dal punto di vista di quella che è la “costituzione” del calcio italiano dobbiamo concludere che l’anno 2000 è stato l’anno del pieno riconoscimento del calcio femminile.
Certo, questo non è il traguardo definitivo, anche perché il professionismo al femminile viene implicitamente negato continuando ad inquadrare la Divisione Calcio Femminile nella Lega Nazionale Dilettanti.
Il progetto per l’autonomia
Lo statuto FIGC apre, dunque, una porta che per decenni è stata non soltanto chiusa, ma a volte persino murata.
Il calcio femminile ha raggiunto già una maggiore autonomia, ma ovviamente una cosa sono le norme e un’altra è la prassi e l’effettiva capacità e voglia di applicarle.
La presidentessa della FIGC femminile, Natalina Ceraso Levati, ha allegato al suo programma politico un progetto di attuazione proprio dell’articolo 7, auspicando un settore autonomo per tutta l’attività femminile, tornei regionali compresi e per le calciatrici sopra i 16 anni.
Queste giovani rimarrebbero competenza del Settore Giovanile e Scolastico che parallelamente si sta movendo per incentivare la partecipazione delle ragazze.
4.3 TEMI E PROBLEMI NEL CALCIO FEMMINILE
Dopo aver analizzato a grandi linee l’organizzazione del calcio femminile in Italia, vediamo di esaminare alcune problematiche connesse a questa disciplina e che coinvolgono in prima persona sia le calciatrici sia tutti gli addetti ai lavori.

Il vincolo sportivo
E’ proprio il caso di dire che una firma può cambiare la vita, almeno questo è quanto emerge dall’analisi condotta sugli statuti delle principali federazioni sportive.
Infatti, il valore del cartellino, nel settore dilettantistico, non ha prezzo: primo perché, formalmente, i regolamenti in materia vietano la negoziazione a titolo oneroso, secondo perché la società di appartenenza può impedire all’atleta qualsiasi trasferimento presso altro club, non tenendo quindi in alcun conto la sua volontà; senza il transfert l’atleta non si muove, anche a costo di rimanere inattivo per il resto dei suoi giorni.
Questo è un problema che riguarda milioni di dilettanti e la cosa negativa è che la pratica sportiva, almeno sulla carta, rappresenta un momento d’integrazione e socializzazione, il cui obiettivo primario dovrebbe essere il divertimento, e con esso la facoltà di svolgere attività come, dove, quando e con chi si preferisce.
Purtroppo queste aspettative non vengono rispettate.
I club, in queste condizioni, sono in grado di disporre in maniera del tutto unilaterale del cartellino, decidendo in tutto e per tutto le sorti del proprio tesserato, il cui rapporto può essere interrotto esclusivamente con il consenso della società.
Il caso Panico
Come visto in precedenza, dunque, nel calcio femminile non esiste il divorzio.
La giocatrice è “proprietà per tutta la vita” del suo club con lo status di dilettante, senza possibilità di passare al professionismo.
Emblematico è il caso di Patrizia Panico, attaccante della Enterprise Lazio Calcio Femminile, nonché bomber della nazionale italiana e capocannoniere del campionato italiano.
La Panico ha visto sfumare un contratto milionario con il Philadelphia Charge, una delle otto squadre del Wusa, il campionato femminile statunitense che, ricordiamolo, a differenza di quello nostrano, è professionistico.
Quello della Panico è giustamente diventato un caso per il quale anche Assist, l’associazione nazionale delle atlete, è intervenuta chiedendo a gran voce la collaborazione di tutte le categorie per risolvere al più presto il problema delle limitazioni del vincolo a vita.
In pratica, l’intoppo è stato che la nostra giocatrice in quanto dilettante ed in quanto legata a vita alla propria società di appartenenza, non ha potuto stipulare il contratto perché lo statuto italiano non prevede il passaggio dal dilettantismo al professionismo.
Alla fine a vivere il sogno americano al posto della nostra Patrizia Panico è andata l’islandese Karvelsson.
Si può dire che questa è stata una sconfitta per il calcio femminile di casa nostra in quanto la possibilità per una calciatrice italiana di far parte di questo star-system, avrebbe portato benefici non indifferenti.
Inutile sottolineare come questa vicenda abbia rappresentato una discriminazione che la legge del calcio pratica verso le donne.
La conclusione è stata: niente America per Patrizia e status sportivo italiano che continua ad essere obsoleto ed inaccettabile.
Va ricordato, a questo proposito, che gli uomini dilettanti hanno la possibilità di diventare professionisti, mentre alle donne non è concesso.
La proposta di ASSIST
Innanzitutto bisogna dire che Assist è un’associazione che rappresenta tutte le atlete di tutti gli sport e che si propone di aiutarle nella loro vita di “sportive praticanti”.
Quest’idea è nata da un gruppo di amiche tra cui anche la nota ex calciatrice Carolina Morace, un nome che dà grande lustro al calcio femminile italiano.
E proprio Assist ha proposto tempo fa una legge ed uno statuto dell’atleta, che riguarda essenzialmente la possibilità di avere un contratto di lavoro, la tutela infortunistica ed assistenziale, ma anche l’abbattimento del vincolo a vita e la fine delle discriminazioni nel mondo dei dilettanti.
Una proposta di legge che ha l’obiettivo di dar vita ad uno statuto dell’atleta, che trasferisca tra gli sportivi le norme, i diritti e i doveri propri di tutti i lavoratori.
Per gli sportivi, considerati lavoratori atipici, la proposta di legge chiede il riconoscimento di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
In primo piano il problema del cartellino.
La nuova normativa dovrebbe, infatti, sancire l’illegittimità del vincolo a vita e stabilire la limitazione temporale tra atleti e società.
Tra le richieste c’è anche un nuovo inquadramento professionale degli atleti: il semiprofessionismo, un terzo genere a metà strada tra il professionismo e il dilettantismo, la cui nascita va auspicata come una necessità, così come la tutela assicurativa ed infortunistica.
Questo dovrebbe portare all’abolizione della discriminazione che già il mondo dei dilettanti vive rispetto a quello dei professionisti e maggiormente per le donne che, in questo quadro, rappresentano un sottobosco in cui le differenze sono rimarcate anche nei confronti dei colleghi uomini.
Di questo stato di cose è testimone diretta l’azzurra Silvia Tagliacarne che, per giocare in nazionale, ha dovuto licenziarsi dal proprio posto di commercialista a Milano.
Una scelta che le è costata cara, perché della maglia azzurra non si vive.
Ma questo vale solo per le donne!
4.4 CALCIO FEMMINILE E MASS MEDIA
Quando si parla di calcio maschile è fin troppo facile ammettere che ogni mezzo di comunicazione di massa, dalle radio, alle televisioni, ad internet ne facciano il loro cavallo di battaglia.
Spesso, anzi, c’è un abuso ed un uso indiscriminato dei mezzi di comunicazione di massa circa questo argomento, e non esiste emittente, nazionale, regionale o locale che non possieda uno spazio sportivo dove, ovviamente, il calcio la fa da padrone.
Questo è quello che accade non più solo la domenica, ma in ogni giorno della settimana ed in qualunque periodo dell’anno.
Spostandoci sul versante femminile non possiamo certo annotare lo stesso tipo di trattamento, anzi, ci si accorge di una quasi totale “assenza mediatica” per ciò che concerne il calcio delle donne.
In realtà, bisogna ammettere che negli ultimi anni, c’è stato un crescendo d’interesse per questa pratica, anche grazie alla nascita di molti siti internet, compreso quello ufficiale della Divisione Calcio Femminile, che hanno dato un po’ più di risalto alle competizioni, sia nazionali sia internazionali.
Certo, nulla di paragonabile alla cassa di risonanza che ottengono i colleghi uomini, ma piccoli passi in avanti, seppur timidi, si stanno facendo.
In realtà, quando si pensa al calcio femminile è automatico che salti alla mente il nome di Carolina Morace, ex giocatrice molto famosa sia per le sue imprese di club sia per quelle con la maglia azzurra.
La Morace, dopo aver dato l’addio al calcio giocato, è stata la prima donna a tentare di allenare addirittura una squadra maschile di categoria come la Viterbese.
Questa sua avventura non è poi andata a buon fine, ma almeno è stato un tentativo senza precedenti.
Risulta così abbastanza normale che una donna del calibro di Carolina Morace abbia sempre calamitato su di sé tutte le attenzioni, anche e soprattutto come opinionista televisiva, un’”addetta ai lavori” che, dopo anni di trasmissioni sportive con pseudo intenditrici di calcio, ha spalancato le porte alla professionalità giornalistica femminile in ambito sportivo, sempre surclassata dal fenomeno “valletta” che, comunque, continua ad imperversare nelle trasmissioni sportive di ogni emittente.
Insomma, Carolina ha portato una ventata di competenza calcistica, non più solo dominio maschile; ma, se questo è servito alla sua notorietà personale, minori effetti ha avuto per lo spazio dedicato al calcio femminile giocato.
Un piccolissimo tentativo di far conoscere alla grande platea il calcio femminile è stato fatto nell’ultimo “Derby del cuore” fra attori e cantanti della Roma e della Lazio.
In quell’occasione, la giocatrice italiana più brava del momento, Patrizia Panico, partecipò esibendosi tra le fila della Lazio, sua squadra del cuore.
Indubbiamente, una vetrina così importante come lo stadio Olimpico con tanto di diretta televisiva ha messo in evidenza come una donna possa anche giocare al fianco degli uomini, benché non calciatori di professione e possa anche mettere in luce le sue doti atletiche (in quell’occasione Patrizia segnò anche una doppietta!).
Certo, anche in questo caso ad essere reclamizzata è stata la singola atleta, e non tutto il complesso del calcio femminile, ma questa visibilità è chiaro che deve arrivare pian piano e probabilmente anche attraverso canali meno usuali.
Un esempio su tutti è quello del popolare comico Pino Insegno, noto tifoso anch’egli della Lazio, nonché presidente onorario, insieme alla moglie, della Enterprise Lazio Calcio Femminile, vincitrice dell’ultimo scudetto.
Nell’ultima stagione Pino Insegno è stato il portabandiera del calcio femminile ed è riuscito a fargli avere un ritorno mediatico intervenendo personalmente in famose trasmissioni sportive di successo come “Controcampo” o addirittura riuscendo a portare in studio le giocatrici per dar loro modo di autosponsorizzarsi.
Ora, è chiaro che questa audience abbia riguardato di più la piazza di Roma che è riuscita anche, a livello prettamente sportivo, a creare una realtà calcistica imponente, così come è accaduto anche a Verona con il Foroni, però è stato importante anche riuscire a dare a queste giocatrici il giusto risalto e a valorizzare le loro prestazioni atletiche.
Sempre a proposito della trasmissione televisiva “Controcampo” in onda su ITALIA 1 e condotta da Sandro Piccinini, c’è da riportare una critica ufficiale fatta dal Lazio Club Vicenza “Gigi Casiraghi” nei confronti del noto opinionista Giampiero Mughini, il quale nel corso della puntata del 17 Febbraio 2002 avrebbe detto che “il calcio femminile è cosa diversa dal calcio. Di più, non è cosa da donne”.
I componenti del club sopra citato hanno trovato offensive queste valutazioni prive di cognizione di causa, tacciate da pregiudizi in totale disprezzo del lavoro e della passione di queste ragazze che non scendono in campo per scimmiottare gli uomini, ma che giocano un calcio vero, con altre caratteristiche magari, ma non meno impegnato di quello degli uomini.
Ho citato questo esempio per porre in evidenza come il rapporto tra calcio femminile e mass media sia ancora molto problematico anche per via del fatto che c’è chi osteggia la sua evoluzione dall’interno.
D’altronde, da sempre il pallone a livello mediatico è dominato dalla mentalità maschile, ed è impresa ardua scalzare questo tipo di preconcetti insiti nella maggior parte dei commentatori televisivi e che riflettono anche il pensiero della stragrande maggioranza della gente comune.
La molla del cambiamento può, dunque, scattare solo dall’interno, anche se sono di notevole importanza anche le iniziative esterne benché non prendano le mosse propriamente dal mondo del pallone.
In conclusione, non resta che sperare che i mezzi di comunicazione di massa si accorgano che il calcio ha anche il suo lato femminile e che non c’è bisogno di business e milioni di euro per attirare la gente a godere di una bella e sana partita di calcio femminile.
4.5 INTERVISTE E STORIE DI VITA
NOME: Patrizia
COGNOME: Panico
DATA DI NASCITA: 08/02/1975
LUOGO DI NASCITA: Roma
RUOLO: Attaccante
SOCIETA’: Enterprise Lazio
1. Come nasce la sua passione per il calcio?
Non c’è un motivo ben preciso.
Ho iniziato da piccolissima, già all’asilo giocavo a calcio.
2. A che età ha iniziato a giocare a livello
amatoriale?
In una squadra vera e propria ho iniziato verso i tredici anni.
3. Prima di essere calciatrice lei è stata tifosa di calcio, in particolare della Lazio: questo ha influito sulla sua scelta?
Non credo, perché comunque il calcio mi piaceva sia al maschile sia al femminile, perché poi fondamentalmente il calcio è quello, non ci può essere distinzione.
Comunque mi piaceva il calcio, quindi anche se non fossi stata tifosa mi sarebbe piaciuto lo stesso.
4. Quali sono le motivazioni che la spingono a giocare?
La prima cosa e la più importante è di sicuro la passione, anche perché se manca quella non hai personalità e non riesci a rendere al meglio.
5. Ha trovato ostacoli all’interno della sua famiglia quando ha deciso di voler fare la calciatrice?
No, assolutamente no.
Anzi, i miei genitori sono stati i primi ad incentivarmi a fare sempre di più.
6. Quali sono le difficoltà più grandi nel conciliare gli impegni di lavoro e di famiglia con gli allenamenti e le partite?
Se c’è una difficoltà è proprio questa. Purtroppo siamo dilettanti, però soltanto di status perché poi ci alleniamo tutti i giorni, quindi non si può parlare di dilettantismo.
Poi, anche la mentalità che ci circonda, però diciamo che si sta un po’ oltrepassando quella mentalità maschilista. Comunque resta difficile conciliare lo sport con lo studio, il lavoro, l’amicizia, l’amore e quant’altro.
7. Lei è anche una pedina fondamentale della nostra nazionale: riesce a gestire anche i suoi impegni azzurri senza problemi? Per meglio dire, vestire la maglia azzurra è più un onere o un onore?
Sicuramente indossare la maglia della Nazionale è sempre un onore, però comporta anche sacrifici enormi.
8. Le è mai capitato di sentirsi dire che questo sport le toglie una parte di femminilità?
Sì, tante volte.
Però io non credo che femminilità voglia dire portare una minigonna o una maglia scollata.
Femminilità, secondo me, è avere la consapevolezza di essere donna ed amarsi per quello che si è.
9. All’interno dello spogliatoio ci sono molte rivalità?
Dipende da spogliatoio a spogliatoio.
Per quanto mi riguarda il mio gruppo è compatto e non ci sono rivalità.
C’è sicuramente competizione però sempre fine a se stessa.
10. Secondo lei, quali differenze ci sono tra il calcio maschile e quello femminile, anche a livello tecnico?
Credo che già parlare di differenze sia sbagliato. Comunque, probabilmente la differenza maggiore è che l’uomo e la donna organicamente sono diversi, quindi il calcio maschile è più aggressivo, più veloce.
In ogni modo, io sono dell’idea che a calcio si gioca anche con i piedi, ma fondamentalmente con la testa ed in questo gli uomini non ci possono insegnare niente.
11. Secondo lei, durante la partita, l’agonismo è più moderato rispetto agli uomini?
No. L’agonismo è lo stesso, la tecnica è uguale.
La tattica forse meno, ma stiamo migliorando anche sotto questo aspetto.
L’unica differenza è veramente solo organica.
12. Tempo fa le fu fatta la proposta di giocare in una squadra americana, ma lo statuto di dilettante che vige in Italia non le ha permesso questo trasferimento. Come ha vissuto personalmente tutta questa vicenda?
Inizialmente mi aveva un po’ segnata, poi non so, visto anche come è andato il campionato americano, tutto sommato restare qui a Roma nella Lazio è stata una scelta positiva.
13. Secondo lei, perché in America il calcio femminile è ai vertici dello sport nazionale e qui in Italia non riesce ad affermarsi?
Perché vent’anni fa hanno fatto un progetto scolastico in cui s’inseriva il calcio femminile nelle scuole e dopo vent’anni si sono ritrovati una nazionale campione olimpica e poi campione del mondo, e quindi i risultati ci sono stati.
E’ stato un progetto che è venuto in mente all’ex allenatore della nazionale, l’hanno attuato ed è andata bene.
Invece noi, purtroppo, siamo ancora ancorati al calcio maschile miliardario, un business che purtroppo non diverte più.
14. Il fatto che il calcio femminile non sia così sponsorizzato come quello maschile, è un vantaggio per voi che avete meno pressioni o uno svantaggio perché vorreste più riconoscimenti?
Non si tratta tanto di riconoscimenti, piuttosto di avere quei diritti che, purtroppo, non abbiamo.
Il diritto di poterci allenare tutti i giorni, come fanno gli uomini, però senza pensare ad altro, essendo pagate per questo.
Invece noi dobbiamo preoccuparci sia del lavoro sia dello studio e poi anche dell’allenamento.
15. Tempo fa lei è stata scelta per partecipare al “Derby del Cuore” con la nazionale degli attori e dei cantanti. In quella occasione ha giocato al fianco di soli uomini. Anche se si trattava di una manifestazione a scopo benefico, si è sentita accettata o trattata diversamente in campo in quanto donna?
I primi minuti mi hanno trattata diversamente, facevano quasi finta di non vedermi e non mi passavano la palla. Successivamente, quando ho preso palla, si sono tutti ricreduti.
Però, la cosa positiva è che comunque quel derby ha fatto ricredere molte persone, per lo meno le ha incuriosite e questo già è tanto.
Poi, dalla curiosità alla passione c’è da fare ancora un passo in più.
16. Dunque, quali crede che siano questi passi in più da fare affinché questa disciplina sia più considerata anche a livello mediatico?
Innanzitutto bisogna fare un campionato a squadre ridotte, dove però le squadre partecipanti abbiano tutti i requisiti di una società professionistica.
17. Quali speranze nutre per il calcio femminile?
La mia speranza è innanzitutto quella di alzare il livello del campionato italiano e poi di fare avvicinare molta più gente, ma quando il livello si alza, questo è fisiologico.
E poi, che le giocatrici possano diventare professioniste e siano tutelate anche quando finiscono la loro carriera.
18. Un suo obiettivo personale?
Scudetto alla Ruco Line Lazio (ora Enterprise Lazio) anche quest’anno.

NOME: Adele
COGNOME: Frollani
DATA DI NASCITA: 04/08/1974
LUOGO DI NASCITA: Roma
RUOLO: Centrocampista
SOCIETA’: Enterprise Lazio

1. Come nasce la sua passione per il calcio?
Ho mio fratello e mio cugino che hanno tre anni e due anni più di me, quindi sono cresciuta con loro, ma non me l’hanno trasmessa loro la passione per il calcio, ci sono nata.
2. A che età ha iniziato a giocare a calcio?
A 12 anni nella Lazio.
3. Prima di essere calciatrice è stata tifosa di calcio?
Sì, lo sono tutt’ora anche se un po’ meno.
4. Quali sono le motivazioni che la spingono a giocare?
Perché adoro giocare, entrare in campo, sentire quelle sensazioni che mi dà la partita, le tensioni. In pratica il fatto stesso di giocare.
5. Ha trovato ostacoli all’interno della sua famiglia quando ha deciso di voler fare la calciatrice?
No, assolutamente, forse sono una delle poche.
I miei genitori mi hanno sempre aiutata in questo, si sono sacrificati per accompagnarmi agli allenamenti.
Sinceramente, non ho mai trovato ostacoli.
6. Quali sono le difficoltà più grandi nel conciliare gli impegni di lavoro e di famiglia con gli allenamenti e le partite?
Il poco tempo che abbiamo a disposizione per noi a livello personale.
Però, una riesce a conciliare le cose visto che facciamo pochi allenamenti settimanali e poi sono serali.
7. Quali sono i sacrifici più grandi da affrontare?
A tutt’ora il sabato è sempre impegnato. Mentre magari i miei amici e coetanei vanno in discoteca e a divertirsi, io il sabato sto lì a giocare.
Magari quando andiamo fuori in trasferta il sabato è finito lì e la domenica sono distrutta.
Quindi direi che il sacrificio più grande è proprio questo.
8. Le è capitato di sentirsi dire che questo sport le toglie una parte di femminilità?
Sempre.
Però, secondo me, non è vero, la femminilità si mantiene.
9. Una donna che dedica il suo tempo libero al calcio invece che ad altre attività considerate più “femminili”, riesce ad avere amiche solo all’interno della squadra o riesce a coltivare anche altre amicizie?
Si riescono ad avere entrambe le cose, senza problemi.
10. All’interno dello spogliatoio ci sono molte rivalità?
Sì, però è normale in un gruppo di venti, trenta persone.
11. Secondo lei quali differenze ci sono tra il calcio femminile e quello maschile?
Soprattutto a livello fisico la possibilità che hanno gli uomini di potersi allenare tutti i giorni, due volte al giorno e quindi affinare la tecnica calcistica, cosa che puoi fare solo con il pallone. Noi non abbiamo questa possibilità, ma ciò non vuol dire che valiamo meno.
12. A livello tecnico qual è il suo modello?
Visto che sono della Lazio: Simeone.
13. Il fatto che il calcio femminile non sia così sponsorizzato come quello maschile, è un vantaggio per voi che avete meno pressioni, o uno svantaggio perché vorreste più riconoscimento?
Uno svantaggio, perché non arrivando sponsor non ci è consentito farlo come prima professione e quindi non rientrando a livello economico una si deve adattare a fare un lavoro e poi a prendere il calcio come un “hobby”, che poi alla fine è un lavoro secondario, perché è molto impegnativo.
14. Secondo lei, durante la partita l’agonismo è più moderato rispetto agli uomini?
No, uguale.
15. Quali speranze nutre per il calcio femminile?
Mi auguro che diventi uno sport professionistico e che ci sia la possibilità di poterlo fare come professione
16. Un suo obiettivo personale?
Beh, vincere lo scudetto anche quest’anno con l’Enterprise Lazio Calcio Femminile.
4.6 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE
Se all’estero il calcio femminile è spesso una certezza, in Italia il mondo del pallone in rosa è ancora una realtà tutta da costruire.
Certo, si disputano regolarissimi campionati di serie A, da quest’anno anche di A2, B, C e D, ma tutta l’attività non ha ancora raggiunto la notorietà a livello di mezzi d’informazione.
A colmare le lacune informative ci pensano alcuni siti internet, una rivista mensile (Calciodonne) ed alcuni spazi su periodici specializzati come il Guerin Sportivo ed il mensile Calcio 2000.
Un po’ più di spazio trova la Nazionale maggiore, principalmente perché allenata da Carolina Morace, ma di certo poco e nessuno spazio è dato al campionato che ne meriterebbe senz’altro di più.
Un altro problema è quello dei pochi finanziamenti da parte degli sponsor che non credono in un investimento a lungo termine.
Negli ultimi tempi, tutti gli organi competenti si sono mossi per cercare di dare più blasone al calcio femminile.
Anche la FIGC e la Commissione per le Pari Opportunità hanno cercato un’intesa per una programmazione mirata nel tempo.
Certamente, per migliorare le cose, bisogna convincersi che due modi diversi di vedere la realtà, quella degli uomini e quella delle donne, portano verso l’ottimizzazione delle risorse.
E’ abbastanza evidente che lo sport femminile, ed in particolare il calcio, in Italia deve recuperare terreno rispetto al resto dell’Europa dove si vive un’altra realtà.
Indubbiamente, negli anni, sono stati fatti notevoli passi in avanti, ma siamo ancora lontani dall’idea che la donna possa essere anche una sportiva e possa tranquillamente cimentarsi anche in discipline ritenute prettamente maschili.
L’augurio è che presto la società si accorga che il ruolo femminile si è evoluto e che una donna può essere molte più cose che non solo moglie e madre, ruoli che, d’altra parte, lo sport non può e non deve scalzare, ma che anzi deve riuscire a valorizzare dando dignità alla donna sia in ambito agonistico sia in ambito sociale.

Esempio



  


  1. Antonella

    Tesi arbitraggio e femminilità nel calcio nuove prospettive educative

  2. Benedetta Azzi

    Cerco appunti sull'attivita fisica nella donna e in età postmenopausale per la tesi di laurea in scienze motorie