La filosofia della natura

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LA FILOSOFIA DELLA NATURA
Il primo periodo della speculazione di Schelling, compreso tra il 1794 e il 1796,è caratterizzato dalla ripresa e dallo sviluppo della filosofia di Fichte. Con quest’ultimo Schelling condivide pienamente l’impianto idealistico; il riferimento kantiano alla ‘cosa in sé’ viene sostituito con la ricerca di un principio assoluto da cui derivino sia la forma sia il contenuto della conoscenza. Sin da questa prima fase fichtiana, Schellin manifesta, tuttavia, due esigenze che condurranno a un’aperta critica del suo maestro. In primo luogo, emerge l’istanza di ricercare il fondamento primo della conoscenza non già, fichtianamente, nell’Io puro, bensi’ in un principio originario che ricomprenda in sé sia il momento soggettivo della conoscenza(cioè l’IO trascendentale)sia la sua componente oggettiva (il Non-io-fichtiano).In altri termini, il soggetto e l’oggetto, lo spirito e la natura, sono le due manifestazioni diverse ma equivalenti, dell’unico principio assoluto. In secondo luogo- e di conseguenza-la derivazione fichtiana del Non-io dall’Io appare insoddisfacente a Schelling, dato che essa risolve la natura, ovvero il mondo oggettivo, in un momento interno al soggetto, in un semplice limite che l’Io pone alla propria attività. Viceversa, Schelling intende affermare che, pur essendo strettamente connessa con lo sviluppo del soggetto, la natura ha una realtà propria, irriducibile a una mera proiezione ed autolimitazione dell’Io.Questi interessi inducono Schelling a dedicare alcuni anni della propria attività giovanile, dal 1797 al 1800,all’elaborazione di una filosofia della natura. Sullo sfondo delle riflessioni schellinghiani vi sono due referenti molto importanti; da un lato i recenti studi e le nuove scoperte scientifiche nell’ambito della fisica, della chimica e della biologia, le quali avevano per alcuni versi messo in questione l’impianto meccanicistico della scienza newtoniana; dall’altro,la nuova interpretazione filosofica della natura in termini di vita e di organismo, che era emersa dalle opere di Goethe, di Jacobi e, innanzi tutto, di Kant. Se nella Critica della ragion pura(1781)Kant aveva elaborato una fondazione trascendentale del meccanicismo newtoniano, nella Critica del Giudizio(1796)egli aveva invece ammesso che la categoria della causalità meccanica era assolutamente insufficiente a spiegare i più semplici fenomeni organici, come la crescita di un filo d’erba o il movimento di un verme. La vita organica poteva essere compresa soltanto facendo riferimento alla nozione di ‘fine’ che, non essendo una categoria dell’intelletto, bensì un concetto della ragione, consentiva di oltrepassare, sia pure su di un piano esclusivamente regolativi, un’interpretazione rigorosamente meccanicistica e deterministica della natura. E la critica del giudizio fu l’opera di Kant che esercitò maggiore influenza sulla cultura romantica, profondamente ostile al meccanicismo razionalistico. Da Kant Schelling mutua, radicalizzandole, due importanti convinzioni. La prima è che l’organismo è una realtà unitaria che possiede in se stessa e oggettivamente il proprio principio di organizzazione. La seconda è che l’organicità può essere estesa dal singolo essere vivente a tutta la natura considerata come una totalità. Quest’ultima affermazione,tuttavia,aveva in Kant un valore esclusivamente analogico,e gli consentiva soltanto di sostenere che la natura, nel suo insieme, può essere considerata come un ‘sistema di fini’,cioè una totalità fornita di una finalità complessiva analoga a quella che caratterizza il singolo essere animato. Influenzato dalla tradizione neoplatonica, da Bruno e da Spinoza, Schelling giunge, invece, ad affermare che la natura costituisce un organismo universale nel quale opera un unico principio vitale, l’anima del mondo. In altri termini,sviluppando le riflessioni kantiane sul concetto di organismo,Schelling arriva ad ammettere la stessa nozione-rfiutata da Kant.-di materia vivente.La natura non è materia inerte,ma vita universale intrinseca alla materia stessa,che continuamente si plasma e si trasforma in un continuo divenire.Asserendo che la natura è vita,Schelling attribuisce ad essa,come proprietà fondamentale,l’attività.Ciò equivale a riconoscere la sostanziale omogeneità di natura e spirito,il quale trova appunto nell’attività la sua determinazione principale.Schelling afferma,pertanto,la piena circolarità tra natura e spirito,che non sono né indipendenti,né conseguenti(lo spirito non è lo sviluppo della natura o viceversa),ma i due aspetti paralleli di un unico processo; La natura è lo spirito visibile,lo spirito è natura invisibile. Avendo assimilata la natura all’attività dello spirito, Schelling può applicare pure ad essa il principio della produzione dialettica che Fiche aveva riservato all’IO puro.Anche l’attività della natura consiste infatti in un processo oppositivo,inteso però non già,fichtianamente,come mera contrapposizione dell’oggetto al soggetto,bensì come polarità-interna alla natura stessa-nella quale la tensione tra due elementi esprime insieme la loro unità e la loro opposizione.Schelling riconosce,inoltre,tre diversi tipi di polarità naturale,i quali corrispondono ad altrettanti gradi o potenze della natura.Al livello inferiore si colloca l’opposizione tra le forze attrattive e quelle repulsive,che si esprime soprattutto nella forza di gravità.La scienza corrispondente a questa potenza è la fisica,la quale ha per oggetto la natura inorganica considerata come massa.La seconda potenza esprime l’azione chimica ed è fondata sull’opposizione tra sintesi e analisi:al suo interno si distinguono i fondamenti del magnetismo,dell’elettricità e della luce.Se l’equilibrio ci mettono capo le forze fisiche ha carattere statico,cioè tende a mantenere se stesso,quello risultante delle forze chimiche è precario e reversibile.La terza potenza è,infine,quella organica,nella quale si ha una forza propulsiva continua,suscettibile di arresti solo momentanei.Anch’essa si distingue in tre momenti interni:la sensibilità,intesa come ,cioè capacità di percepire stimoli dall’esterno,propria di ogni forma di materia organizzata;l’irritabilità,cioè l’ che consente il moto degli organismi;e la ‘tendenza produttiva’ ,cioè l’impulso alla generazione che presiede all’auotoriproduzione della specie. Un’altra conseguenza dell’omogeneità tra spirito e natura è il finalismo che caratterizza la filosofia della natura schellinghiana. La finalità,al pari dell’attività,è una determinazione essenziale dello spirito.Quest’ultimo ,infatti,pensa e agisce sempre secondo un fine.Ma se la natura ha,per cosi’ dire,la stessa struttura costitutiva dello spirito,essa non può esprimersi se non in termini di finalità. Kant aveva sostenuto che la natura può essere pensata soltanto in base al concetto della causalità necessaria, visto che essa è l’oggetto delle forme pure del pensiero intellettuale; cioè delle categorie,tra le quali quella di causa-effetto svolge un ruolo primario:solamente nella forma non conoscitiva del giudizio riflettente si poteva introdurre una interpretazione finalistica del mondo naturale.Per Schelling,viceversa,la natura,essendo coessenziale con lo spirito,deve necessariamente essere pensata come organizzata secondo fini:la stessa connessione meccanico-causale dei fenomeni-secondo una concezione prospettata dallo stesso Kant nella Critica del giudizio-è subordinata e funzionale al loro ordinamento finalistico. Ma qual è il principio comune che collega spirito e natura,garantendo la loro radice unitaria?Nell’ Introduzione all’abbozzo di un sistema della fisica natura del 1799-quindi composta quasi al termine del periodo dedicato alla filosofia della natura- Schelling fornisce una soluzione che già prelude alla tesi esposte nel Sistema dell’Idealismo trascendentale del 18000.Mondo della natura e mondo dello spirito sono qui visti nella loro derivazione da un’unica intelligenza,la quale opera però in due modi diversi.Essa può creare inconsapevolmente, avendo come risultato il mondo naturale,oppure con consapevolezza,dando origine alle creazioni dello spirito. Compito della filosofia sarà quello di dimostrare il carattere apparente dell’opposizione tra spirito e natura,rivelandone invece la sostanziale identità.
L’IDEALISMO TRASCENDENTALE
Negli scritti di filosofia della natura Schelling si proponeva di ritrovare il soggetto nell’oggetto,lo spirito nella natura.Nel sistema dell’Idealismo trascendentale del 1800 egli compie invece l’operazione opposta,consistente nel cercare l’oggetto nel soggetto,la natura nello spirito.Se la filosofia naturale mostrava come il carattere organico della natura indichi la presenza in essa di una costituzione analoga a quella dello spirito,il Sistema afferma che l’Io trascendentale non è soltanto espressione di soggettività assoluta(come riteneva Fichte),ma è anche il fondamento della realtà e dell’oggettività del mondo naturale.In questo modo,gli scritti di filosofia della natura e il Sistema appaiono complementari, dal momento che in essi la tesi dell’unità tra natura e spirito viene dimostrata nel primo caso partendo dalla natura per giungere allo spirito ,nel secondo caso invece partendo dallo spirito per arrivare alla natura. La filosofia dello spirito (detta anche filosofia dell’Io o filosofia dell’intelligenza) ,descritta nel Sistema dell’idealismo trascendentale,è fondata sulla nozione di autocoscienza o di IO. A differenza di Fiche,l’autocoscienza non è qui intesa come soggettività pura, alla quale si contrappone un Non-io che esiste soltanto come posizione e momento interno dell’Io assoluto.Per Schelling,l’autocoscienza è sintesi di due attività dialetticamente opposte. Da un lato essa contiene un’attività limitata che produce l’oggetto, ponendolo fichtianamente come limite ,come qualcosa di opposto al soggetto.Infatti,tale attività opera inconsciamente, in modo che l’oggetto appaia al soggetto come qualcosa di datoesternamente.D’altro lato, nell’autocoscienza è contenuta anche un’attività illimitata e limitante,la quale consapevolmente va oltre il limite dell’oggetto,riconoscendo in quest’ultimo un prodotto inconsapevole dell’Io.Queste due attività fondamentali sono anche dette rispettivamente da Schelling attività reale,in quanto produce la realtà dell’oggetto,e attività ideale, visto che oltrepassa il limite rappresentato dall’oggetto ricomprendendolo in sé come produzione dell’Io.L’attività ideale e quella reale,tuttavia,non sono separate,bensi’ costituiscono i due aspetti diversi di un0unica attività dell’autocoscienza che è sintesi assoluta di entrambe.Tale sintesi non è statica,ma dinamica continuamente l’attività reale produce l’oggetto e continuamente l’attività ideale lo oltrepassa riconducendolo a sé.Ciò dà luogo a un infinito processo dialettico tra la produzione inconscia dell’oggetto da parte dell’attività reale e la riconduzione di quest’ultimo alla coscienza dell’attività ideale.In questa sintesi delle due attività consiste l’intuizione intellettuale che l’Io ha di sé stesso come insieme ideale e reale.L’Io è,quindi,unità indissolubile di soggetto e oggetto,di spirito e di natura,di attività consapevole e di attività inconscia.In questo modo gli stessi meccanismi dell’idealismo trascendentale fichtiano venivano piegati alla dimostrazione della tesi(sostanzialmente anti-fichtiani) che nell’autocoscienza l’oggetto entra allo stesso titolo del soggetto e che,quindi,il vero idealismo non può che essere contemporaneamente autentico realismo.Il sistema schellinghiano appare,cosi’,come,un ‘ideal-realismo’ e,in senso analogo,esso sarà definito da Hegel idealismo oggettivo.La sintesi assoluta è ulteriormente illustrata da Schelling attraverso la descrizione dei tre gradi,detti epoche,che descrivono il processo evolutivo della filosofia teoretica.La prima epoca riguarda il passaggio dalla sensazione all’intuizione produttiva. Nella sensazione sembra che il soggetto trovi di fronte a sé un oggetto esterno,rispetto al quale esso appare completamento passivo. Nell’intuizione produttiva, viceversa, l’Io, determinando l’oggetto come un proprio prodotto, risolve la sensazione in un momento passivo-per cui l’oggetto è ‘sentito’ -e in un momento attivo-per cui il soggetto appare come ‘senziente’ .In quanto si intuisce come senziente,l’Io si configura come ‘intelligenza’ ,mentre il suo prodotto-ciò che viene sentito come oggetto -sarà la ‘materia’ .La seconda epoca va dall’intuizione alla riflessione,mediante la quale l’intelligenza diventa consapevole della corrispondenza tra la propria cosituzione e quella del proprio prodotto (cioè della natura)e si riconosce quindi come organismo umano, come vertice estremo dell’organizzazione naturale.La terza epoca va dalla riflessione alla volontà.Per mezzo di un atto di ‘astrazione assoluta’,l’intelligenza giunge, infatti, alla consapevolezza che la propria attività è pure forma,distinta da ogni materia.Ma l’autodeterminazione dell’intelligenza,che si libera da ogni oggetto materiale e si riconosce come pure forma.,è appunto la volontà. Con la volontà si passa dal primo livello della cita dello spirito,che è l’attività teoretica,al secondo grado,rappresentato dalla filosofia pratica.La volontà,punto di partenza di ogni attività pratica ,risultato dall’astrazione del soggetto da qualsiasi condizione materiale, è espressione di libertà.Ma il singolo soggetto libero trova di fronte a sé altre volontà individuali altrettanto libere.Si pone quindi il problema dell’armonizzazione di queste volontà in un sistema che,facendo salva la libertà individuale,garantisca tuttavia la compatibilità tra le diverse libertà.Questo sistema è il diritto.Ma il diritto non può nascere dalla semplice libertà,poiché esso comporta la limitazione coattiva della libertà dell’uno per garantire quella di tutti gli altri .Il diritto implica,quindi,un’ unione di libertà e necessità.che è il corrispettivo pratico dell’unità tra soggetto e oggetto,tra conscio e inconscio.Ma come si può realizzare tale unione di libertà e necessità?Essa si attua nella storia,la quale può essere considerata-secondo una suggestiva metafore shellinghiana-come un dramma in cui c’e l’identità tra l’autore,che ha disegnato il piano generale dell’azione,e i singoli attori,che recitano ciascuno una parte precisa del copione.Cosi’ ognuno è libero,perché obbedendo all’autore non obbedisce che a se stesso; e nello stesso tempo é necessitato, dato che egli persegue un disegno razionale che fa della sua azione uno strumento del tutto. Fuori di metafora, sulla scena storica i singoli uomini agiscono liberamente in vista dei propri scopi; ma, in realtà, la loro azione obbedisce a un piano provvidenziale e razionale che sovrasta ogni intenzione individuale. Così la storia appare come il dominio dell’ Assoluto , inteso come unità di libertà e di necessità, di spirito e di natura, di soggetto e di oggetto, di attività ideale e di attività inconsapevole. Se nella storia tale unità trova la propria concreta realizzazione, essa può tuttavia essere colta solo dalla terza e più elevata attività dello spirito, che é l’ arte . L’arte é il solo ‘organo’ che consenta all’uomo di penetrare l’Assoluto: solamente attraverso l’intuizione artistica infatti l’uomo può cogliere quell’unità di spirito e natura, soggetto e oggetto, conscio e inconscio, che la conoscenza riflessiva ha necessariamente diviso. L’arte, cioè il momento intuitivo che, esprimendosi nel ‘genio’ , ricongiunge ciò che la riflessione speculativa ha diviso, é la vera conoscenza e la vera filosofia. Aderendo pienamente ai canoni romantici, Schelling identifica completamente il filosofo con l’artista. L’opera d’arte, quindi, nella quale si concreta l’attività del genio, avrà una infinità di significati, come infinito é l’Assoluto che essa manifesta. In parte tali significati saranno consapevoli, liberamente voluti dall’artista; in parte saranno inconsci, perchè provenienti dall’Assoluto stesso che guida la mano del genio. Alcuni filosofi del Settecento tedesco, come Baumgarten, Lessing e soprattutto Kant, avevano già difeso l’autonomia dell’arte contro più tradizionali concezioni filosofiche che consideravano l’espressione artistica inferiore alla conoscenza filosofica e scientifica. Con il suo idealismo trascendentale, Schelling si spinge a identificare l’arte con la conoscenza assoluta, subordinando ad essa ogni forma di sapere raziocinante e discorsivo. In questo senso il suo sistema può essere considerato una forma di ‘idealismo estetico’.
LA FILOSOFIA DELL’IDENTITA’
Il periodo dell’attività schellinghiana che va dal 1801 al 1805 é solitamente indicato come ‘filosofia dell’identità’ . In realtà, non si tratta di una fase completamente nuova nello sviluppo del suo pensiero, quanto piuttosto l’esplicitazione di un punto di vista implicitamente già insito nel suo pensiero precedente. Il tema fondamentale della filosofia di Schelling era sempre stato quello dell’unità tra natura e spirito. Fino al 1801 però a questa unità egli tentava di giungere partendo dai due termini opposti, che dovevano essere congiunti: così gli scritti tra il 1797 e il 1800 (relativi alla filosofia della natura) partivano dal mondo naturale per reperire in esso la struttura dello spirito, mentre il Sistema dell’idealismo trascendentale del 1800 partiva dal soggetto per giungere all’oggetto. Con la filosofia dell’identità, il cui ‘manifesto’ é l’ Esposizione del mio sistema filosofico del 1801, Schelling intende invece ‘ partire direttamente dall’unità assoluta per derivare da essa l’opposizione ‘. La filosofia della natura e l’idealismo trascendentale appaiono come due prospettive unilaterali, che vanno riconsiderate dal punto di vista della totalità e restituite alla loro giusta collocazione all’interno del sistema. Il fondamento dell’intera realtà é ora ricercato nell’ Assoluto , concepito come identità indifferenziata (o anche ‘uni-totalità’) di soggetto e oggetto, di spirito e natura, di conscio e inconscio. L’Assoluto non é nessuno di questi termini opposti, ma é la radice comune che precede la loro successiva separazione. La scissione degli opposti e la conseguente distinzione dell’uni-totalità in una pluralità di manifestazioni specifiche, non appartiene al piano della realtà e del sapere assoluti, ma solamente a quello dell’ apparenza. E’ questa concezione dell’ Assoluto come indifferenza (cioè assenza di differenziazione) che Hegel criticherà nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito del 1807 con la celebre immagine della ‘ notte in cui tutte le vacche sono nere ‘ : secondo l’ex-compagno di Tubinga il concetto schellinghiano di unità assoluta, eliminando ogni differenziazione sostanziale tra gli opposti, esclude la possibilità di interpretazione dialettica e impedisce di caratterizzare la specificità delle diverse realtà all’interno del sistema. Anche se la filosofia dell’identità non presenta soluzioni di continuità rispetto al precedente pensiero di Schelling, i problemi che essa pone sono diversi. La difficoltà fondamentale non é più quella di rinvenire lo spirito nella natura o, viceversa, l’oggetto nel soggetto. Essa consiste, piuttosto, nello spiegare come la ‘differenza’ possa nascere dall’ ‘indifferenza’. Se la realtà é essenzialmente uni-totalità, priva di differenziazioni interne, come si può arrivare alla distinzione di una molteplicità di esseri? Come si passa dall’Assoluto all’opposizione tra soggetto e oggetto, spirito e natura, conscio e inconscio? Non certo tramite un passaggio graduale, di tipo emanativo, dal momento che Schelling insiste sul fatto che tra l’Assoluto e il finito non c’é forma alcuna di omogeneità: se quello é l’essere, questo é non-essere, irrealtà, nulla. Per rispondere a questa domanda, nello scritto Filosofia e religione del 1804 Schelling introduce il concetto di ‘salto’ o anche, in termini più religiosi, di ‘caduta’. Ma questa nozione segna lo spostamento del suo pensiero dall’ambito dell’idealismo speculativo a quello di una filosofia a sfondo religioso, in cui hanno sempre più peso suggestioni mistiche e irrazionalistiche attinte specialmente dalla lettura di Jacob Bohme, cui Schiller é indirizzato da Franz Baader.

LA FILOSOFIA DELLA LIBERTA’
La svolta in senso religioso del pensiero schellinghiano, già annunciata in Filosofia e religione del 1804, trova espressione compiuta nelle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana , del 1809. Quest’opera infatti appartiene alla fase del pensiero schellinghiano che é comunemente detta ‘filosofia della libertà’. Alla base di essa vi é una ripresa, in termini filosofici, del teismo . Nè il panteismo spinoziano, che risolve Dio nella natura, nè la teologia morale di Fichte (e, prima di lui, Kant), che esaurisce l’essenza divina nell’ordine morale del mondo, costituiscono adeguate rappresentazioni della divinità. Il vero Dio é vita e persona , al pari dell’uomo che é fatto a sua immagine e somiglianza. Come l’uomo, dunque, anche Dio é soggetto al divenire, per quanto assurda possa sembrare quest’affermazione a chi astrattamente lo concepisce come ‘atto purissimo’, come perfezione compiuta e immota. Se Dio diviene, é possibile distinguere in lui un momento attuale, in cui egli arriva all’esistenza, e un momento potenziale, che rappresenta il fondamento della sua esistenza. Il fondamento é illustrato da Schelling come una radice oscura, connotata di volta in volta da termini come ‘inconscio’, ‘tenebra’, ‘egoismo’, ‘ipseità’, ‘collera’. In un’altra metafora schellinghiana esso é descritto come ‘ il desiderio che prova l’eterno Uno di generare se stesso ‘. Ma, soprattutto, esso indica la presenza della natura in Dio stesso. Viceversa, il polo dell’esistenza, espresso coi termini di ‘conscio’, ‘luce’, ‘amore’, rappresenta il conseguimento dello spirito. Le cose create non sono in Dio stesso, ma dipendono dal fondamento. La creazione consiste proprio nel progressivo passaggio dall’oscurità originaria alla luce, ovvero nell’esplicazione e nell’attuazione di ciò che nel fondamento é potenziale e nascosto. Tra tutte le creature l’ uomo é la sola in cui questo processo avviene completamente, in modo che la tenebra primordiale dell’inconscio si traduca nella luminosità dell’intelletto. Dunque l’uomo partecipa dei due princìpi al pari di Dio . Ma in Dio questi due princìpi sono indisgiungibili e costituiscono un’unità assoluta, per cui il fondamento non può mai essere indipendente dall’esistenza, il principio oscuro non può mai tradursi in quello della luce. Nell’uomo, invece, questi due princìpi risultano separabili. Il principio oscuro, che nell’uomo si estrinseca come volontà individuale ed egoistica, può opporsi al principio positivo, alla volontà illuminata dell’intelletto e diventata, perciò, volontà universale . Nella possibilità dell’indipendenza del principio negativo da quello positivo, della prevalenza della volontà egoistica su quella universale, risiede la possibilità del male . Quest’ultimo non é dunque una semplice privazione di essere, una non-realtà, come voleva la tradizione del ‘male metafisico’ che va da Agostino di Ippona a Leibniz; di sicuro il male rappresenta una distorsione o, come Schelling stesso si esprime risentendo dell’influenza di Baader, una ‘ malattia ‘ , nella quale si fa un abuso della volontà individuale, anteposta patologicamente alla volontà universale. Ma questa malattia é reale, dato che il male affonda la sua radice se non in Dio, nel fondamento stesso di Dio, sebbene solo l’uomo sia pienamente responsabile di esso. E la libertà consiste proprio nella facoltà di scegliere tra il bene e il male; questo non vuol dire che Schelling accolga la tesi deterministica che ammette il libero arbitrio, lasciando la decisione al caso: così come, in modo analogo, egli aborre la soluzione deterministica che sottrae l’uomo a qualsiasi responsabilità. Come in Dio, anche nell’uomo la libertà coincide con la necessità . Ma in Dio tale coincidenza significa che la necessità con cui Dio procede dal fondamento all’esistenza (in lui princìpi indisgiungibili) é insieme un atto di assoluta libertà. Nell’uomo, invece, la convergenza tra libertà e necessità trova espressione nella natura individuale, in base alla quale ciascuno sceglie tra bene e male. Per un verso infatti l’uomo é necessitato dalla sua stessa natura, ma per un altro verso quest’ultima é stata ‘decisa’ nel momento in cui, con la creazione, egli é emerso dal fondamento di Dio. Ognuno opera in base a ciò che é; ma é ciò che ha deciso di essere quando é uscito dalla natura di Dio. Questa duplicità emerge bene in chi, per giustificarsi di un’azione malvagia dice ‘sono fatto così’: in ciò si esprime, allo stesso tempo, l’impossibilità di agire diversamente e la consapevolezza di essere fatto in quel modo per colpa propria. Le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana , la più chiara esposizione della filosofia della libertà, rappresentano pertanto un netto distacco dalla filosofia dell’identità, sebbene in esse riaffiori spesso l’armamentario concettuale e terminologico proprio di quel periodo. La filosofia dell’identità era fondata sulla risoluzione del finito, considerato pura apparenza, nell’infinito, il quale soltanto esprime la realtà assoluta. La filosofia della libertà ‘ restituisce invece al finito, al mondo e all’uomo una realtà propria ‘. Altrettanta realtà viene riconosciuta al male e alla libertà individuale, che nella prospettiva dell’identità assoluta svanivano anch’essi, al pari di tutti gli altri aspetti finiti, come pure apparenze di fronte alla perfezione e alla necessità dell’Assoluto. Questo implica, di conseguenza, anche il recupero di una dimensione tragica della vita : a fronte della quietistica concezione dell’identità assoluta, in cui si dissolvono tutte le divergenze, i contrasti e le opposizioni, la filosofia della libertà descrive la realtà come un immenso dramma cosmoteandrico, in cui la lotta e la tensione non sono soltanto date dall’unione-separazione tra Dio e l’uomo, ma anche dalla polarità interna, oltrechè a tutte le creature, al loro stesso creatore.
LA FILOSOFIA POSITIVA
Dopo il 1809, anno della pubblicazione delle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana , Schelling rimase a lungo in silenzio. La cultura tedesca stava assistendo al trionfo filosofico del grande Hegel, il suo antico compagno e amico, ora suo avversario. Nulla era ormai più lontano dalle posizioni di Schelling dell’identificazione hegeliana della realtà con la ragione e della conseguente pretesa di potere spiegare tutto e di giustificare per mezzo del pensiero dialettico. Conseguenza di questa sua avversione è la nozione di filosofia negativa , alla quale è riconducibile la stessa filosofia dell’identità che Schelling aveva elaborato nel 1801. La ragione può solamente cogliere l’essenza (il quid sit ) delle cose, non la loro esistenza (il quod sit ) . Ogni filosofia puramente speculativa e fondata su argomentazioni a priori può determinare solo il lato negativo della conoscenza, ciò senza di cui la conoscenza non è possibile, e non il lato positivo, ciò da cui essa sorge . Il pensiero razionale definisce soltanto le condizioni negative della conoscenza , quelle senza le quali le cose non possono essere pensate, ma lascia impregiudicato il problema della loro esistenza. Alla filosofia negativa occorre, quindi, opporre una di filosofia positiva , che schelling elabora nelle opere più tarde: Filosofia della mitologia e Filosofia della rivelazione , frutto dei corsi universitari tenuti a Monaco e a Berlino. Il punto di partenza del pensiero positivo non può più essere il semplice a priori speculativo, ma deve consistere in un dato di esperienza (da qui l’espressione di ‘empirismo filosofico’ con cui Schelling denota quest’ultima fase del suo pensiero) anche se l’esperienza non va qui intesa come semplice conoscenza sensibile, bensì come esperienza metafisica ed extra-storica. La filosofia positiva non è una semplice forma di conoscenza teoretica, ma è un sapere che si traduce in attività pratica, in fede, in una vera e propria religione filosofica. La filosofia positiva si divide in filosofia della mitologia e filosofia della rivelazione. La filosofia della mitologia ha per oggetto la religione naturale, intesa come il manifestarsi di Dio nella natura attraverso le determinazioni di una coscienza umana archetipa e originaria. Le diverse rappresentazioni della divinità che caratterizzano il politeismo antico non sono il frutto di fantasie individuali o fenomeni culturali fortuiti, ma il risultato del processo necessario attraverso il quale l’uomo, considerato come entità metastorica, ha naturalmente sviluppato la propria coscienza del divino in assenza di una rivelazione positiva. Le concezioni mitologiche non devono dunque essere interpretate come ‘allegorie’ di un significato concettuale (cioè ‘negativo’) ma come ‘tautegorie’ in cui il senso emerge necessariamente (e ‘positivamente’) dal suo stesso sviluppo all’interno della coscienza umana. La di filosofia della rivelazione invece si riferisce alla manifestazione diretta di Dio, che si autorivela all’uom’ con un atto di libertà assoluta. Solo attraverso questa via l’uomo potè pervenire alla conoscenza di Dio come persona vivente, che si incarna nel Figlio. Se la filosofia della mitologia spiega lo sviluppo delle religioni pagane e politeistiche, la filosofia della rivelazione ha per oggetto la religione rivelata ed il proprio fulcro nel cristianesimo . Oltre alla filosofia della rivelazione, Schelling presagisce, tuttavia, l’avvento di una terza fase della filosofia positiva (corrispondente a quella dello Spirito Santo, invocata da Gioacchino da Fiore e ripresa nel ‘700 da Lessing) nella quale la religione filosofica supera sia la religione naturale del Padre sia quella rivelata del Figlio. Del resto, lo sviluppo triadico della filosofia positiva era già stato anticipato in quelle Lezioni di Stoccarda del 1810 che avrebbero dovuto costituire il nucleo di un’opera progettata, ma mai conclusa, sulle Età del mondo . La totalità del tempo viene divisa in di 3 epoche (passata, presente e futura) che scandivano nello stesso tempo la storia del mondo e quella della manifestazione di Dio. L’andamento di questo processo rivela una radice nettamente neoplatonica (come gnostico è il termine eone usato per indicare ciascuna delle 3 epoche). L’epoca passata rappresenta il momento del fondamento da cui Dio oscuramente scaturisce; l’età presente l’esplicazione di Dio nel mondo; l’età futura il ritorno necessario del mondo a Dio.

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