Appunti di Filosofia per il 5° anno

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Testo

FILOSOFIA PER LA CLASSE 5
Idealismo: teoria della realtà e della conoscenza che attribuisce all'intelletto un ruolo fondamentale nella costituzione del mondo: nel corso della storia della filosofia, il concetto di idealismo ha conosciuto numerose elaborazioni e applicazioni. Nella sua forma più radicale esso equivale al solipsismo, la concezione secondo cui la realtà coincide con l'attività intellettiva dell'Io e nulla esiste realmente all'infuori dell'Io. L'idealista, tuttavia, non nega l'esistenza del mondo esterno o naturale, e si oppone anzi a chiunque pretenda di poterlo ridurre a un mero processo di pensiero. L'attività dell'intelletto, d'altro conto, è in grado di generare e conoscere modalità dell'essere che altrimenti non potrebbero esistere, come il diritto, la religione, l'arte e la matematica. Inoltre, il modo in cui gli oggetti naturali si manifestano nell'esperienza umana è in qualche misura una conseguenza dell'attività dell'intelletto, ed è fondamentale considerare questa influenza se si desidera che le indagini sul mondo abbiano un carattere scientifico.
L'idealismo nella storia del pensiero
Platone può essere considerato un lontano precursore dell'idealismo moderno, poiché postulò l'esistenza di un mondo di idee che solo imperfettamente si riflettono nei vari oggetti dell'esperienza comune. Egli affermò che queste forme ideali non sono soltanto più chiaramente intelligibili, ma anche più reali degli oggetti, effimeri e sostanzialmente illusori.
Nel XVIII secolo, il filosofo irlandese George Berkeley affermò che ogni realtà oggettiva si può ridurre a idea: ciò comporta che ogni aspetto dei fenomeni di cui si ha coscienza sia riducibile alle idee presenti nella mente. Le idee, tuttavia, non dipendono dall'esistenza di oggetti esterni, ma sono prodotte nella mente umana direttamente da Dio.
Dal canto suo Immanuel Kant formulò una versione meno radicale dell'idealismo mediante un'indagine critica sui limiti della conoscenza possibile. Secondo Kant, tutto quel che si può conoscere degli oggetti è il modo del loro apparire nell'esperienza (fenomeno); non è invece possibile conoscere ciò che le cose sono in sé (noumeno). Egli, tuttavia, asserì che i principi fondamentali della conoscenza si fondano sulla struttura della mente del soggetto percipiente piuttosto che sull'esistenza del mondo esterno. All'idealismo "soggettivo" di Berkeley, Kant contrapponeva pertanto un idealismo "trascendentale": soltanto la componente formale della conoscenza è relativa al soggetto, mentre ciò che si conosce è oggettivo.
Nel XIX secolo il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel negò la teoria kantiana secondo cui l'intelletto umano è costitutivamente incapace di conoscere ciò che le cose sono in sé, sostenendo al contrario la fondamentale intelligibilità di ogni aspetto del reale. Secondo Hegel, inoltre, le conquiste più preziose dello spirito umano (la cultura, la scienza, la religione e lo stato) non sono il risultato di processi naturali dell'intelletto, ma sono prodotte dalla dialettica, l'attività di una ragione libera che riflette. Propria dell'idealismo "assoluto" o "oggettivo" è la concezione del mondo quale obiettiva idealità razionale, che si trova anche in altre versioni del pensiero idealista, nelle opere dei tedeschi Johann Fichte e Friedrich Schelling, del britannico Francis Bradley, degli statunitensi Charles Peirce e Josiah Royce.
Nel XX secolo due filosofi italiani contribuirono ulteriormente allo sviluppo dell'idealismo. Giovanni Gentile elaborò la nozione di pensiero come atto puro, una posizione simile alla concezione hegeliana dello spirito, privata della trascendenza e situata in una condizione di immanenza. Da tale concezione, detta "attualismo", in cui la realtà si risolve nell'atto del pensiero, diverge la personalissima elaborazione filosofica di Benedetto Croce che, partendo da posizioni prossime allo storicismo, approdò alla teoria del concetto puro, con profonde conseguenze sulla riflessione storiografica e filosofica italiana della prima metà del Novecento.
Fichte, Johann Gottlieb (Rammenau, Sassonia 1762 - Berlino 1814), filosofo tedesco, propugnatore di una teoria idealistica della realtà e dell'atto morale. Fichte studiò teologia a Jena e a Lipsia; il suo Saggio di una critica di ogni rivelazione (1792), apparso anonimo e inizialmente attribuito al filosofo tedesco Immanuel Kant, gli permise di ottenere la cattedra di filosofia a Jena nel 1793.
Nel 1799, tuttavia, Fichte fu accusato di ateismo e costretto a rassegnare le dimissioni. Continuò a scrivere e a tenere conferenze divenute celebri, tanto che nel 1805 ottenne la cattedra di filosofia a Erlangen e nel 1810 divenne il primo rettore elettivo della nuova università di Berlino. In quegli anni, gli ultimi della sua vita, l'indipendenza degli stati tedeschi venne minacciata dalle ambizioni di Napoleone e Fichte sostenne energicamente la nascita di una coscienza nazionale tedesca.
L'opera di Fichte comprende: Fondamenti dell'intera dottrina della scienza (1794), Fondamenti del diritto naturale (1796-97), Sul fondamento della nostra fede in un governo divino del mondo (1798), La missione dell'uomo (1800) e Discorsi alla nazione tedesca (1808).
Fichte sostenne che la filosofia deve essere una scienza: essa deve essere dedotta sistematicamente da un'unica proposizione autoevidente e deve illustrare il fondamento dell'esperienza. Egli condivideva complessivamente la filosofia critica di Immanuel Kant, a eccezione della dottrina kantiana della non-conoscibilità della "cosa-in-sé" e della dicotomia tra ragion pura e ragion pratica; il fondamento di tutta l'esperienza è l'attività pura e spontanea dell'Io. L'Io ha autocoscienza della sua libera attività come autoaffermazione, che inevitabilmente lo porta a imbattersi nel "non-Io", o alterità. La coscienza è quest'incontro dialettico tra "Io" e "non-Io", in cui il sé e il mondo si definiscono e si realizzano reciprocamente. L'idealismo etico di Fichte, con la sua enfasi sulla volontà morale, derivò in grande misura da questa concezione; le sue teorie hanno esercitato una considerevole influenza sul pensiero filosofico successivo.
Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph (Leonberg, Württemberg 1775 - Bad Ragaz, Svizzera 1854), filosofo tedesco, uno degli esponenti più importanti dell'idealismo Schelling si formò allo Stift (collegio teologico) di Tubinga, dove conobbe G.W.F. Hegel e Friedrich Hölderlin. Laureatosi nel 1792 con una tesi di argomento mitologico, Schelling si confrontò poi con le filosofie di Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte, interessandosi contemporaneamente al dibattito sul panteismo1 di Baruch Spinoza e alla filosofia naturale del Rinascimento.
Durante un soggiorno a Lipsia pubblicò scritti che fondono l'idealismo trascendentale con la filosofia della natura (Idee per una filosofia della natura, 1797; Sull'anima del mondo, 1798). Nel 1798 divenne professore all'università di Jena; al 1799 risale il Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura, opera che presenta una forma di metafisica, in cui il superamento della "filosofia della riflessione" fichtiana si configura come una postulazione dell'unità organica di spirito e natura; questa unità si coglie unicamente mediante un'"intuizione intellettuale" simile a quella che presiede alla creazione artistica.
Nel 1802 Schelling fondò con Hegel il "Giornale critico di filosofia" e nel 1804 pubblicò Filosofia e religione; con l'ascesa sulla scena culturale dell'astro di Hegel, Schelling si ritirò dall'insegnamento. Nel 1827 riprese l'insegnamento, a Monaco di Baviera, e dal 1841 a Berlino. Oltre alle riflessioni sul mito (Filosofia della mitologia), l'ultima filosofia, la "filosofia positiva", tentò una critica della "filosofia negativa" rappresentata da Kant e da Fichte.
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich (Stoccarda 1770 - Berlino 1831), filosofo idealista tedesco, fu uno dei pensatori più influenti del XIX secolo. Dopo gli studi classici superiori, incoraggiato dal padre venne ammesso al seminario dell'università di Tubinga, dove divenne amico del poeta Friedrich Hölderlin e del filosofo Friedrich Schelling. Completati gli studi di filosofia e teologia, Hegel divenne precettore privato, dapprima a Berna nel 1793 poi a Francoforte nel 1797. Due anni dopo morì il padre, lasciandogli una rendita che gli permise di sospendere l'attività di precettore.
Nel 1801 si trasferì a Jena, dove portò a termine la Fenomenologia dello spirito (1807; trad. it. 1933-1936; ed. più recente 1995), un'opera tra le più importanti nella filosofia moderna. Si trattenne a Jena fino all'ottobre del 1806, quando l'occupazione francese lo costrinse alla fuga. Dopo aver soggiornato per un breve periodo a Bamberga, dove lavorò come giornalista presso la "Bamberger Zeitung", divenne professore di filosofia al ginnasio di Norimberga.
Negli anni di Norimberga pubblicò La scienza della logica (1812, 1813, 1816; trad. it. 1924-1925; ed. riveduta 1968). Nel 1816 accettò la cattedra di filosofia presso l'università di Heidelberg, dove pubblicò un'esposizione completa e sistematica della sua filosofia, l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817; trad. it. 1907). Nel 1818 gli venne offerta la cattedra di filosofia che era stata di Johann Fichte all'università di Berlino, dove rimase fino alla morte.
L'ultima grande opera pubblicata da Hegel furono i Lineamenti di filosofia del diritto (1821; trad. it. 1913); dopo la morte videro la luce, a cura di alcuni dei suoi studenti, gli appunti delle lezioni: l'Estetica (1835-1838; trad. it. 1963), le Lezioni sulla storia della filosofia (1833-1836; trad. it. 1930-1945), le Lezioni sulla filosofia della religione (1832; trad. it. 1974-1983) e le Lezioni sulla filosofia della storia (1837; trad. it. 1941-1963).
In possesso di una prfonda conoscenza della filosofia greca, Hegel incentrò dapprima i suoi studi e le sue analisi sulle opere di Baruch Spinoza, Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant, Fichte, Friedrich Heinrich Jacobie Schelling. L'influenza di questi filosofi è evidente nelle opere di Hegel, benché egli non ne condividesse l'orientamento filosofico.
Intenti filosofici
Era intento di Hegel elaborare un sistema filosofico che potesse comprendere in sé le idee dei suoi predecessori, formando una cornice concettuale al cui interno potesse essere filosoficamente compreso il divenire storico. Un tale intento non poteva che sortire una comprensione completa della realtà, concepita quale totalità identificabile come l'oggetto della filosofia; a questa totalità egli si riferì come all'Assoluto, o Spirito assoluto. Secondo Hegel, il compito della filosofia è tracciare l'itinerario di sviluppo dello Spirito assoluto. Ciò implica in primo luogo il chiarimento della struttura intrinsecamente razionale dell'Assoluto; in secondo luogo una dimostrazione delle modalità con cui l'Assoluto si manifesta nella natura e nella storia; in terzo luogo, un'illustrazione del carattere teleologico2 dell'Assoluto, che esibisca il finalismo intrinseco alla dinamica, al "movimento" dell'Assoluto nella storia.
Dialettica
Riguardo alla struttura razionale dell'Assoluto, Hegel affermò che "ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale". Quest'affermazione può essere interpretata considerando l'assunto hegeliano secondo cui l'Assoluto deve essere concepito come pensiero puro, o Spirito puro, coinvolto nel processo della sua stessa crescita. La logica che è sottesa a questo processo di sviluppo è la dialettica. Il metodo dialettico implica che il movimento, il processo, sia il risultato del conflitto tra opposti. Questa dimensione del pensiero hegeliano è analizzabile secondo le categorie di tesi, antitesi e sintesi. La tesi, che può essere ad esempio un'idea o un movimento storico, ha in sé un'incompiutezza che genera il suo opposto, l'antitesi, un'idea o un movimento opposti. Il risultato della contraddizione, del movimento degli opposti, è un terzo momento, la sintesi, che supera e risolve il conflitto a un livello superiore conciliando in una verità più comprensiva la verità dei due poli opposti (tesi e antitesi). La sintesi è una nuova tesi che innesca un ulteriore movimento dialettico, generando in questo modo un processo di sviluppo storico e intellettuale continuo. Lo stesso Spirito assoluto si sviluppa con un movimento dialettico verso il fine ultimo.
Per Hegel, quindi, la realtà è intesa come l'Assoluto che si dispiega dialetticamente in un processo di sviluppo di sé. In questo processo lo Spirito assoluto si manifesta sia nella natura sia nella storia. La natura è l'Idea assoluta o l'Essere che oggettiva se stesso in forma materiale. Le coscienze finite e la storia dell'uomo sono il movimento in cui si manifesta l'Assoluto stesso in ciò che gli è più affine, cioè la coscienza o spirito. Nella Fenomenologia dello spirito Hegel contrassegnò i momenti successivi di questo manifestarsi, dal livello di coscienza più semplice all'autocoscienza assoluta, fino alla ragione.
Autocoscienza dell'Assoluto
La meta del divenire dialettico può essere compresa più chiaramente nello stadio della ragione: mentre la ragione finita progredisce nella comprensione, l'Assoluto progredisce in direzione dell'autocoscienza. L'Assoluto infatti giunge a conoscere se stesso mediante l'accrescersi della capacità di comprensione della realtà da parte dell'intelletto umano. Hegel analizzò i tre stadi di questo progresso del pensiero: arte, religione e filosofia. L'arte coglie l'Assoluto nelle forme materiali, esprimendo la razionalità nelle forme sensibili del Bello. L'arte viene superata dalla religione, che coglie l'Assoluto per mezzo di immagini e simboli; la religione più filosofica è per Hegel il cristianesimo, poiché in esso il manifestarsi dell'Assoluto nel finito è riflesso simbolicamente nell'incarnazione. La filosofia, tuttavia, è lo stadio speculativo supremo, poiché coglie l'Assoluto razionalmente. Quando si è realizzato questo momento, l'Assoluto è pervenuto alla piena autocoscienza e il processo ha raggiunto il proprio fine. Solamente a questo punto Hegel identificò l'Assoluto con Dio. "Dio è Dio", Hegel affermò, "solo nella misura in cui conosce se stesso".
Filosofia della storia
Nel corso dell'analisi delle manifestazioni dello Spirito assoluto, Hegel contribuì significativamente a molte discipline filosofiche, che comprendono la filosofia della storia e l'etica. Per la storia le due categorie-chiave sono ragione e libertà. "L'unico pensiero", sostenne Hegel, "che la filosofia reca alla riflessione sulla storia è il semplice concetto di 'ragione'; che la ragione è sovrana del mondo, che la storia del mondo, quindi, si presenta a noi come un processo razionale". In quanto sviluppo razionale, la storia documenta della crescita della libertà umana, poiché la storia umana è un processo dalla schiavitù alla libertà.
Etica e politica
Il pensiero etico e politico di Hegel emerge con chiarezza nella discussione sulla moralità (Moralität) e l'eticità (Sittlichkeit). Al livello della moralità, ciò che è giusto o sbagliato riguarda la coscienza individuale. Si deve tuttavia procedere oltre, fino al livello dell'eticità, poiché il dovere, secondo Hegel, non è nella sua essenza un risultato del giudizio individuale: gli individui si completano solo all'interno di un contesto sociale; di conseguenza, la sola cornice entro la quale il dovere può esistere davvero è lo stato. Hegel considerava la partecipazione alla gestione dello stato uno dei doveri civili supremi. Idealmente, lo stato è la manifestazione della volontà generale, che è l'espressione più alta dello spirito etico: l'obbedienza alla volontà generale è pertanto l'atto di un individuo libero e razionale.
Fortuna del pensiero hegeliano
Alla sua morte, Hegel era il filosofo più importante in Germania. Il suo pensiero era diffuso e studiato e i suoi allievi godevano di un'alta reputazione. Gli hegeliani, tuttavia, si suddivisero presto in due correnti note come destra e sinistra hegeliana: teologicamente e politicamente l'interpretazione che gli hegeliani di destra fornirono dell'opera del maestro ne accentuò gli aspetti conservatori: essi evidenziarono il ruolo del cristianesimo nella filosofia hegeliana e l'ortodossia politica del pensiero di Hegel. Molti hegeliani di sinistra, invece, approdarono a posizioni atee e politicamente rivoluzionarie. Dalla sinistra hegeliana emersero figure come Ludwig Feuerbach, Bruno Bauer, Arnold Ruge, Moses Hess e Karl Marx. Marx in particolare approfondì la concezione hegeliana secondo la quale lo sviluppo storico è un movimento dialettico, ma rifiutò l'idealismo di Hegel in favore di un deciso materialismo3.
La metafisica idealistica di Hegel ebbe un forte impatto sulla filosofia italiana, francese e inglese del XIX e del XX secolo, influenzando filosofi come Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Francis Herbert Bradley e persino americani come Josiah Royce. Seppure nell'ambito di un deciso rigetto delle sue posizioni filosofiche, Hegel ebbe grande influenza sul filosofo danese Søren Kierkegaard e, attraverso questi, sull'esistenzialismo; la fenomenologia riprese e sviluppò il concetto hegeliano di coscienza. Il notevole impatto dell'opera di Hegel sulla filosofia successiva è fedele testimonianza della straordinaria fecondità e profondità del suo pensiero.
Schopenhauer, Arthur (Danzica 1788-Francoforte sul Meno 1860), filosofo tedesco, noto per la sua filosofia pessimistica. Schopenhauer studiò presso le università di Gottinga, Berlino e Jena. Si stabilì quindi a Francoforte sul Meno, dove condusse una vita solitaria, studiando approfonditamente le filosofie buddhista e induista e il misticismo.
Venne anche influenzato dalle concezioni del teologo domenicano, mistico e filosofo eclettico Meister Eckhart, del mistico Jakob Böhme e dagli eruditi del Rinascimento e dell'Illuminismo. Nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819; trad. it. 1993), considerò fondamentali per la sua filosofia atea e pessimista elementi etici e metafisici.
Schopenhauer non condivideva le posizioni dell'idealismo e si oppose alle idee del filosofo tedesco G.W.F. Hegel, che identificava realtà e razionalità. Schopenhauer accettava invece, pur con alcune differenze, la concezione del filosofo tedesco Immanuel Kant secondo la quale i fenomeni esistono solo in quanto oggetti della percezione, dissentendo invece da Kant sul fatto che la "cosa-in-sé" fosse un limite irraggiungibile, posto oltre l'esperienza; egli la identificò invece con la volontà. Secondo Schopenhauer, tuttavia, la volontà non si limita all'azione consapevole; l'esperienza del sé, comprese le inconsapevoli funzioni fisiologiche, è volontà. Partendo dal principio che la volontà è l'intima natura del proprio corpo, che è "rappresentazione", apparenza fenomenica nel tempo e nello spazio, Schopenhauer concluse che l'essenza del mondo materiale è un'unica volontà universale.
Per Schopenhauer il tragico dell'esistenza scaturisce dalla caratteristica della volontà di vita di spingere l'individuo al raggiungimento di mete successive, senza potersi mai placare, poiché la volontà è infinita. Essa conduce pertanto l'individuo al dolore, alla sofferenza e alla morte e in un ciclo infinito di nascita, morte e rinascita; l'attività della volontà può solo essere portata alla cessazione mediante un atteggiamento rassegnato, nel quale la ragione governa la volontà cercando di placare la lotta.
Questa concezione della volontà come impulso vitale proveniva a Schopenhauer dall'intendimento della natura della coscienza come istanza essenzialmente impulsiva. La sua metafisica fu marcatamente influenzata dal buddhismo, che egli unì felicemente alle idee cristiane nelle sue dottrine etiche.
Kierkegaard, Søren Aabye (Copenaghen 1813-1855), filosofo danese autodefinitosi "scrittore cristiano", il cui interesse per l'esistenza del singolo e per il valore delle scelte individuali impresse segni profondi nella teologia e nella filosofia contemporanee, in modo particolare nell'esistenzialismo.
Fu educato in un'atmosfera rigidamente pietista e venne assai influenzato dal padre, ricco mercante e scrupoloso luterano dalla cupa religiosità. Studiando teologia e filosofia presso l'università di Copenaghen conobbe la filosofia hegeliana dalla quale, tuttavia, prese le distanze. Nel 1840 si fidanzò con la diciassettenne Regine Olsen; il matrimonio tuttavia gli parve incompatibile con la vocazione filosofica che sentiva crescere dentro di sé. Nel 1842 ruppe improvvisamente il fidanzamento e contemporaneamente comprese di non voler diventare un pastore luterano. L'eredità lasciatagli dal padre gli consentì di dedicarsi interamente all'attività intellettuale, e nei rimanenti quattordici anni di vita portò a termine più di venti opere.
Le opere di Kierkegaard sono intenzionalmente asistematiche e abbracciano generi letterari disparati: saggi, aforismi, parabole, epistolari e diari. Contrario a ogni filosofia sistematica, egli pose l'accento sulla natura ambigua e paradossale della condizione umana, affermando che i problemi fondamentali della vita eludono le spiegazioni razionali e oggettive; la verità più grande appartiene infatti al singolo, temporalmente determinato. Kierkegaard sostenne inoltre che la filosofia sistematica considera l'esistenza umana non soltanto da una falsa prospettiva ma, spiegando la vita in termini di necessità logica, diviene anche un mezzo per sfuggire alla responsabilità etica. Non esistono infatti criteri oggettivi che stabiliscano la validità incondizionata di una scelta.
Nella sua prima opera importante, Aut-aut, (1843), descrisse due stadi dell'esistenza tra cui l'individuo può scegliere: lo stadio estetico e quello etico. La forma di vita estetica è una sorta di raffinato edonismo4 che si fonda sulla ricerca incessante del piacere e sulla soddisfazione dei desideri, destinate però a sfociare nella frustrazione e financo nella disperazione. La forma di vita etica è caratterizzata invece da un intenso e appassionato impegno individuale nell'adempimento del dovere e degli obblighi pubblici e religiosi socialmente sanciti. In seguito Kierkegaard vide in questa sottomissione al dovere la cessazione della responsabilità individuale e postulò un terzo stadio, quello religioso, in cui la sottomissione alla volontà di Dio, pur nella sua paradossale assurdità, disvela la libertà autentica.
In Timore e tremore (1843) Kierkegaard illustrò la necessità di compiere il "salto" nella vita religiosa, che è "assurda" e rischiosa. L'individuo vi è condotto dal sentimento dell'angoscia (Il concetto dell'angoscia, 1844), che è fondamentalmente timore del nulla ma nel contempo apertura di un orizzonte di libertà.
Verso la fine della sua vita Kierkegaard fu coinvolto in aspre polemiche con il luteranesimo danese, che proseguì dal periodico "Il momento" e con la pubblicazione satirica "Il corsaro". Gli ultimi scritti, come La malattia mortale (1849), danno rilievo alla sofferenza quale essenza di una fede autentica, riflettendo una visione sempre più cupa del cristianesimo. Kierkegaard, inoltre, rese più pungente la critica alla moderna società europea avviata con l'Età presente (1846), per la sua mancanza di passione e per il suo materialismo. Lo sforzo che gli richiedevano l'inesauribile attività di scrittore e le polemiche cui prese parte compromisero gradualmente la sua salute. Nell'ottobre del 1855 fu colpito da paralisi; morì un mese dopo.

Si può riscontrare l'influenza della filosofia di Schopenhauer nelle prime opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nei drammi musicali del compositore tedesco Richard Wagner e in molte opere filosofiche e artistiche del XX secolo.

Nietzsche, Friedrich Wilhelm (Röcken 1844 - Weimar 1900), filosofo, poeta e filologo classico tedesco, uno dei pensatori più importanti del XIX secolo. Figlio di un pastore luterano, rimasto orfano in tenera età, Nietzsche venne allevato dalla madre e dalla sorella. Dopo essere stato ammesso alla celebre scuola teologica di Pforta, contrariamente alle aspettative della madre, che l'avrebbe voluto pastore, Nietzsche studiò filologia classica alle università di Bonn e Lipsia, diventando professore della disciplina all'università di Basilea a soli 24 anni; in quell'epoca si delinearono sempre più chiaramente le sue inclinazioni filosofiche. Fu amico del musicista Richard Wagner, ma in seguito il loro rapporto degenerò progressivamente e si ruppe nel 1878; da alcuni anni, tuttavia, Nietzsche era malato e sofferente di crisi nervose; la salute cagionevole lo aveva costretto al congedo dall'insegnamento nel 1876. Nel 1889 fu colto da una grave forma di pazzia da cui non si riprese mai; visse errando per l'Europa, spesso ospite di amici e protagonista di complicate vicende umane e sentimentali. Ricoverato dapprima in clinica e poi curato dalla sorella Elisabeth, morì nel 1900.
Studioso della cultura greca, in particolar modo dei presocratici, di Platone e di Aristotele, Nietzsche attinse ispirazione anche dalle opere di Arthur Schopenhauer e dalla musica di Richard Wagner.
Tra le sue opere si ricordano: La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), Considerazioni inattuali (1872-74), Così parlò Zarathustra (1883-85), Al di là del bene e del male (1886), Genealogia della Morale (1887), L'Anticristo (1988), La gaia scienza (1882), Ecce Homo (1889). Dagli anni Sessanta è in corso di completamento l'edizione filologica italo-tedesca delle opere complete di Nietzsche da parte di Giorgio Colli e Mazzino Montinari.
Fra le tematiche più ricorrenti negli scritti di Nietzsche, asistematici e ricchi di percorsi argomentativi tra loro correlati, è rintracciabile la deriva etica e la destituzione dei valori fondamentali per la vita individuale (rappresentati soprattutto dal cristianesimo), fatto che egli definisce nichilismo5; l'annientamento dei fondamenti morali e religiosi della civiltà occidentale viene sintetizzata nella celebre affermazione: "Dio è morto". Ai valori tradizionali, propri di una "morale schiava" caratterizzata dalla debolezza dell'individuo e dal risentimento che nasconde l'interesse (esemplare la morale cristiana del sacrificio), Nietzsche oppone una "trasvalutazione" che darebbe vita alla figura dell'uomo disincantato e consapevole del nulla, eroicamente responsabile della propria finitezza, il superuomo (Übermensch) nato per andare "oltre" l'uomo del presente.
Il superuomo afferma la vita accettandone la sofferenza, il dolore e le contraddizioni che l'accompagnano con gioioso (dionisiaco) amore per l'esistenza; è un creatore di valori ed è per questo privo di valori fissi e immutabili, al di là del bene e del male, artefice di una "morale autonoma".
Secondo Nietzsche, ogni comportamento umano è motivato dalla "volontà di potenza". Nella sua accezione positiva, la volontà di potenza non rappresenta unicamente l'esercizio del potere sugli altri individui, ma anche su se stessi a fini creativi.
Il pensiero di Nietzsche è stato talvolta interpretato come paradigma di una società oligarchica ed è stato identificato con le filosofie totalitarie. Molti studiosi negano queste connessioni, attribuendole a un fraintendimento dell'opera di Nietzsche; l'opera postuma La volontà di potenza (1906), inoltre, che sembrava corroborare questa interpretazione, si scoprì essere il frutto di un accostamento arbitrario di aforismi operato dalla sorella Elisabeth e dall'amico Paul Gast.
Le teorie di Nietzsche sono all'origine delle riflessioni di protagonisti del pensiero contemporaneo come Karl Jaspers e Martin Heidegger, del filosofo ebreo-tedesco Martin Buber, del teologo tedesco-americano Paul Tillich, dello scrittore Albert Camus e di Jean-Paul Sartre, di Michel Foucault e di Jacques Derrida. Nietzsche esercitò un fascino profondo sui pensatori esistenzialisti, sulle correnti fenomenologiche, strutturaliste, sul poststrutturalismo francese e sui movimenti connessi con il postmoderno. Buona parte della filosofia contemporanea francese e tedesca nasce sotto il segno di Nietzsche, così come a lui si ispirano le correnti di critica letteraria statunitense che si definiscono "decostruzioniste”.
Positivismo Sistema filosofico fondato sulla conoscenza empirica dei fenomeni naturali, per il quale la metafisica e la teologia sono considerate sistemi di conoscenza inadeguati.
Sviluppo
Il termine positivismo venne introdotto dal filosofo francese Auguste Comte, ma alcuni concetti positivisti risalgono all'opera di David Hume, del filosofo francese Henri de Saint-Simon e di Immanuel Kant.
Comte chiamava positivismo la tendenza costruttiva della realtà specularmente opposta alla metafisica tradizionale. La costruzione di un mondo "positivo", fondato sulla scienza e sulla conoscenza dei fatti liberati dai dogmi, doveva anche inaugurare una nuova organizzazione della società e del sapere scientifico. Il tema filosofico positivistico fu articolato da altri pensatori quali i filosofi britannici John Stuart Mill e Herbert Spencer e il fisico e filosofo austriaco Ernst Mach.
Mill si richiamava a Comte, ma insisteva soprattutto sull'esigenza empiristica per la quale l'unico criterio valido è l'esperienza; Spencer recuperò invece una forma dogmatica e metafisica, sottolineando che la filosofia si fonda sulle verità sostenute dalle scienze. Mach, fondatore dell'empiriocriticismo, riprese le critiche al dogmatismo per affermare la necessità che la scienza procedesse a una descrizione più semplice possibile del mondo.
Positivismo logico
Nel corso del XX secolo un movimento filosofico interessato agli sviluppi della scienza moderna rifiutò le concezioni positivistiche, che fondavano la validità della conoscenza sull'esperienza individuale, e sottolineò il primato della verificabilità scientifica. Tra gli studiosi appartenenti a questa corrente, noti come positivisti logici, vi furono Ludwig Wittgenstein, Bertrand Russell e G.E. Moore. Fu il Tractatus logico-philosophicus (1921) di Wittgenstein a determinare un aperto rifiuto della metafisica e a considerare l'empirismo come necessità logica.
Oggi i positivisti che hanno rigettato le posizioni del Circolo di Vienna preferiscono farsi chiamare empiristi logici per dissociarsi dall'enfasi posta dai primi pensatori sulla verificabilità: essi sostengono che il principio stesso di verificazione sia inverificabile.
Comte, Auguste (Montpellier 1798 - Parigi 1857), filosofo positivista francese, uno dei primi teorici della sociologia6. Comte frequentò l'Ecole Polytechnique a Parigi dal 1814 al 1816, ma ne venne espulso per aver partecipato a una sommossa studentesca; per parecchi anni fu segretario del celebre teorico socialista Claude de Saint-Simon, la cui influenza è ravvisabile in molti scritti comtiani. Gli ultimi anni della vita di Comte vennero turbati da periodi di malattia mentale.
Sensibile alla rivoluzione scientifica, politica e industriale del suo tempo, Comte auspicava una ristrutturazione globale dell'assetto sociale, ottenuta grazie all'opera di diffusione di una mentalità scientifica. Egli affermò che lo studio interdisciplinare dei processi evolutivi, particolarmente dei progressi delle scienze, avrebbe sortito la "legge dei tre stadi", che vengono analizzati nella sua opera più importante, il Corso di filosofia positiva (6 voll., 1830-42).
Ogni scienza o settore della conoscenza attraversa tre diversi stadi teorici: lo stadio teologico o fittizio, lo stadio metafisico o astratto e, da ultimo, lo stadio scientifico o "positivo". Nello stadio teologico si diffondono spiegazioni puerili degli eventi, riconducibili all'azione degli dei o di Dio; nello stadio metafisico i fenomeni vengono spiegati ricorrendo ad astratte categorie filosofiche; nell'ultimo stadio di questa evoluzione, quello scientifico, non si ricercano spiegazioni assolute delle cause dei fenomeni, ma si indagano le modalità di relazione tra essi, col proposito di giungere a generalizzazioni empiriche passibili di verifica.
Comte applicò alla politica la teoria dei tre stadi: lo stadio teologico introduce nozioni come il diritto divino dei sovrani; lo stadio metafisico comporta concetti come contratto sociale, uguaglianza e sovranità popolare; lo stadio positivo impone un approccio scientifico o "sociologico" (termine coniato da Comte) all'organizzazione politica. Piuttosto critico verso i regimi democratici, Comte immaginò una società stabile governata da un'élite di scienziati che avrebbe applicato metodi scientifici per risolvere i problemi dell'umanità e migliorarne le condizioni sociali.
Benché si sia rifiutato di credere in un essere trascendente, Comte apprezzò il contributo della religione alla stabilità sociale. Nel suo Sistema di politica positiva (4 voll., 1851-54) egli presentò la sua "religione dell'Umanità", tesa a promuovere un comportamento socialmente vantaggioso. Comte, tuttavia, viene ricordato soprattutto per il suo ruolo nella storia del positivismo.
Spencer, Herbert (Derby 1820 - Brighton 1903), sociologo britannico annoverato fra i padri fondatori della sociologia per i suoi studi evoluzionisti sul mutamento sociale. Come autodidatta, Spencer si avvicinò all’evoluzionismo del naturalista francese Jean Lamarck, del quale fece propria la teoria, oggi del tutto superata, secondo cui le caratteristiche acquisite da un organismo sarebbero trasmissibili ereditariamente. Nel 1855 pubblicò così I principi di Psicologia, in cui riprese la teoria evoluzionista lamarckiana sostenendo che tutta la materia organica nasce in modo indifferenziato, differenziandosi solo successivamente in seguito all’evoluzione. In quegli anni iniziò inoltre a occuparsi della classificazione di tutti i campi del sapere all’interno di un sistema filosofico, basato sulla prospettiva evoluzionista, che riassunse nel Sistema di Filosofia Sintetica (1860). Nel 1862 scrisse i Principi fondamentali, a cui seguirono nel 1864-1867 i due volumi dei Principi di biologia, i tre volumi dei Principi di Sociologia (1876-1896) e i due volumi dei Principi di etica (1892-1893).
Per quanto le opere di Spencer non abbiano mai goduto di grande considerazione, il suo ambizioso progetto di classificare in modo sistematico tutto il sapere all’interno di una prospettiva evoluzionista gli ha garantito un posto duraturo fra i pensatori della seconda metà del XIX secolo.
Marx, Karl (Treviri 1818 - Londra 1883), filosofo, economista e politico tedesco, fondatore con Friedrich Engels del socialismo scientifico.
Marx studiò nelle università di Bonn, Berlino e Jena. Nel 1842 divenne dapprima collaboratore e poi direttore della "Rheinische Zeitung" (Gazzetta renana) di Colonia. I suoi articoli, incentrati sulla critica delle condizioni sociopolitiche dell'epoca, gli crearono problemi con le autorità: il giornale fu, infatti, soppresso nel 1843. Marx si recò quindi a Parigi, dove instaurò contatti con i movimenti socialisti, completò la sua formazione teoretica in filosofia e si dedicò ai primi studi di economia politica. Nel 1844 incontrò Engels; entrambi si accorsero di essere pervenuti per strade differenti alla medesima concezione della necessità storica di una rivoluzione e collaborarono (fino alla morte di Marx) alla sistematizzazione dei principi teoretici del comunismo, oltre che all'organizzazione di un movimento operaio internazionale fondato su tali principi.
Il Manifesto del Partito comunista
Espulso dalla Francia nel 1845, Marx si stabilì a Bruxelles dove organizzò una rete internazionale di gruppi rivoluzionari definiti "comitati di corrispondenza comunista". Nel 1847 la Lega dei comunisti chiese a Marx e a Engels di formulare un manifesto di principi del comunismo; nacque così il Manifesto del Partito comunista. Nella sezione centrale del Manifesto Marx presenta la teoria del materialismo storico, formulata in seguito in Per la critica dell'economia politica (1859) che individua nel sistema economico dominante di ogni epoca ciò che determina la forma di organizzazione sociale e la configurazione storica e politica dell'epoca stessa; inoltre il Manifesto evidenzia la nozione di lotta di classe come processo dialettico che plasma il corso della storia. Da queste premesse teoriche Marx concluse che, nell'epoca dominata dalla forma di produzione capitalista, la classe dei capitalisti sarebbe stata eliminata da una rivoluzione organizzata dal proletariato, che avrebbe distrutto interamente la società esistente per costituire una società senza classi.
Esilio politico
Dopo la pubblicazione del Manifesto scoppiarono le rivoluzioni in Francia e in Germania e il governo belga, temendo che l'ondata rivoluzionaria potesse giungere anche in Belgio, bandì Marx, che tornò a Parigi e poi nuovamente a Colonia, dove fondò e diresse il periodico comunista "Neue Rheinische Zeitung" (Nuova gazzetta renana) e si dedicò all'attivismo politico. Nel 1849 fu arrestato e processato con l'accusa di incitamento all'insurrezione armata; fu assolto, ma costretto a lasciare il paese e a chiudere il giornale. In seguito, nel medesimo anno venne nuovamente espulso dalla Francia; si trasferì quindi a Londra, dove rimase fino alla morte.
In Inghilterra scrisse Il Capitale (vol. 1, 1867; voll. 2 e 3, a cura di F. Engels e pubblicati postumi nel 1885 e 1894; trad. it. 1946-47), un'analisi sistematica e storica dei meccanismi di produzione e di distribuzione della ricchezza, in particolare entro il sistema capitalistico, effettuata con l'intento di enuclearne le contraddizioni e di individuare il significato dei processi economici. In questa opera Marx presenta la teoria dello sfruttamento della classe operaia da parte dei capitalisti: questi ultimi pagherebbero agli operai solo una parte del valore prodotto nel ciclo di produzione delle merci, realizzando un plusvalore e oggettivando in merce il lavoro dell'operaio (vedi Capitale).
Nell'opera La guerra civile in Francia (1871) Marx analizzò l'esperienza del governo rivoluzionario istituito a Parigi durante la guerra franco-prussiana, noto come la Comune di Parigi, interpretando la Comune come una conferma storica della necessità per i lavoratori di impadronirsi del potere politico con un'insurrezione armata e distruggere poi lo stato capitalistico. Queste idee sono presentate anche nella Critica del programma di Gotha (1875); in Inghilterra Marx collaborò anche con quotidiani sia europei sia americani, come il "New York Tribune", con articoli sugli eventi politici e sociali.
Ultimi anni
Dopo la scioglimento della Lega comunista nel 1852, Marx mantenne i contatti con centinaia di rivoluzionari con i quali fondò a Londra nel 1864 la Prima internazionale, di cui tenne il discorso inaugurale, redasse lo statuto e diresse il consiglio generale; in seguito, dopo la soppressione della Comune, anche l'Internazionale andò in declino. Altre opere importanti di Marx sono i Manoscritti economico-filosofici (1844; pubblicati postumi nel 1932); La sacra famiglia, il primo lavoro compiuto in collaborazione con Engels (1842); L'ideologia tedesca (1845-46); Miseria della filosofia (1847).
Fortuna delle teorie di Marx
La fortuna delle dottrine di Marx si accrebbe dopo la sua morte con l'affermarsi del movimento operaio. Le sue teorie, conosciute in seguito con il nome di marxismo o socialismo scientifico, costituirono una delle principali correnti del pensiero contemporaneo. La sua analisi dell'economia capitalista e la sua teoria del materialismo storico, della lotta di classe e del plusvalore sono alle fondamenta del socialismo moderno. Rilevanti rispetto all'azione rivoluzionaria sono le teorie dello stato capitalista e della dittatura del proletariato, riprese in seguito da Lenin. Queste idee costituirono il cuore del bolscevismo e della Terza internazionale.

Freud, Sigmund (Freiberg, Moravia, ora Repubblica Ceca 1856 - Londra 1939), medico e neurologo austriaco, fondatore della psicoanalisi7. Il suo principale contributo fu la creazione di un approccio del tutto innovativo alla comprensione della personalità umana, sulla base della scoperta dell'esistenza dell'inconscio. Creò, inoltre, una tecnica di trattamento delle nevrosi e dei disturbi mentali che, con le opportune modificazioni, viene utilizzata ancora oggi. Anche se fu oggetto di numerose critiche, Freud è universalmente considerato una delle menti più creative dell'epoca moderna.
Primi anni di vita e studi
Nato in Moravia, dopo numerosi spostamenti dovuti al crescente antisemitismo, Freud si stabilì con la famiglia a Vienna; da bambino avrebbe voluto diventare avvocato, ma studiò invece medicina all'università di Vienna: stimolato dai lavori scientifici di Johann Wolfgang von Goethe, desiderava approfondire la conoscenza delle scienze naturali per risolvere alcune sfide che si ponevano agli scienziati dell'epoca.
Al terzo anno di università, Freud iniziò a studiare il sistema nervoso centrale, nel laboratorio diretto da Ernst Wilhelm von Brücke, e vi si appassionò al punto da tralasciare le altre materie: si laureò, infatti, con tre anni di ritardo rispetto al previsto.
Nel 1881, terminato il servizio militare, ottenne l'abilitazione all'esercizio della professione medica; restò, tuttavia, al laboratorio di fisiologia dell'università per continuare gli studi intrapresi. Nel 1883, su pressione di von Brücke, abbandonò con riluttanza la ricerca teorica per dedicarsi alla pratica clinica.
L'influenza di Charcot
Freud passò tre anni presso l'Ospedale generale di Vienna, dove si dedicò alla psichiatria, alla dermatologia e alle malattie nervose. Lasciò il posto nel 1885, per un incarico accademico in neuropatologia all'università di Vienna, e, nello stesso anno, ottenne una borsa di studio per frequentare a Parigi le lezioni del neurologo Jean-Martin Charcot. A quell'epoca Charcot, direttore dell'ospizio della Salpêtrière, trattava i disturbi nervosi con la suggestione ipnotica: Freud iniziò così a occuparsi di isteria e a incanalare i propri interessi verso la psicopatologia o lo studio scientifico dei disturbi mentali.
Dal 1886, dopo aver conseguito la specializzazione in malattie nervose, esercitò privatamente la professione medica a Vienna, incontrando tuttavia una violenta opposizione da parte della classe medica che non condivideva le sue concezioni poco ortodosse sull'isteria e sull'ipnosi mutuate da Charcot.
La nascita della psicoanalisi
Il primo scritto di Freud, Sull'afasia, fu pubblicato nel 1891; si trattava di uno studio su un disturbo neurologico, dovuto a una lesione del cervello in cui viene colpita la capacità di pronunciare le parole e i nomi di uso comune. L'ultimo lavoro di argomento neurologico fu un articolo sulle paralisi cerebrali infantili pubblicato nel 1897. Fu scritto, però, solo per l'insistenza dell'editore, poiché a quell'epoca Freud era già attivamente impegnato a ricercare spiegazioni psicologiche, e non fisiologiche, dei disturbi mentali: i suoi scritti successivi riguardano infatti quasi esclusivamente la disciplina da lui stesso definita (1896) psicoanalisi.
Isteria
I primi studi di Freud in ambito psicoanalitico furono condotti con la collaborazione del medico viennese Josef Breuer. I risultati furono presentati in forma definitiva nel 1895, con il titolo Studi sull'isteria. In questo scritto (molto influenzato dagli studi di fisiologia), i sintomi isterici venivano presentati come manifestazioni di energia emotiva non scaricata, in relazione a un trauma psichico completamente dimenticato (o, in termini psicoanalitici, "rimosso" ). Attraverso l'induzione di uno stato ipnotico, diventava possibile recuperare il ricordo del trauma e scaricare, attraverso la catarsi, le emozioni a esso associate e causa dei sintomi. Questa pubblicazione segnò l'avvio della costruzione su basi cliniche della teoria psicoanalitica.
L'inconscio
Tra il 1895 e il 1900 Freud sviluppò molti concetti successivamente entrati a far parte della teoria e della tecnica psicoanalitica. Poco dopo la pubblicazione degli scritti sull'isteria, abbandonò l'uso dell'ipnosi e del metodo catartico per dedicarsi allo studio dei flussi spontanei di pensiero dei pazienti, rivelatori dei processi mentali inconsci e della struttura della nevrosi.
Freud trovò attraverso l'osservazione clinica le prove dell'esistenza di meccanismi mentali quali la rimozione e la resistenza. Definì la rimozione come un dispositivo inconscio capace di rendere inaccessibile alla coscienza il ricordo di eventi dolorosi o minacciosi e la resistenza come una difesa inconscia contro l'emergere dei sentimenti rimossi, per evitare l'ansia. Egli scoprì i processi inconsci avvalendosi delle libere associazioni dei pazienti come guida per l'interpretazione dei sogni e degli errori verbali (i cosiddetti "lapsus freudiani", considerati sintomatici di desideri inconsci).
Contributi controversi
L'analisi dei sogni portò Freud a teorizzare l'esistenza della sessualità infantile e del cosiddetto complesso di Edipo, il presunto legame erotizzato del bambino verso il genitore del sesso opposto, cui si accompagnano sentimenti di ostilità verso l'altro genitore. Questi concetti erano in linea con l'enfasi attribuita da Freud alle basi biologiche del comportamento umano (soprattutto sessualità e aggressività) e costituivano i punti più controversi della costruzione psicoanalitica.
L'aggettivo "freudiano" è spesso utilizzato in riferimento proprio a queste teorie, intrise di un ricco simbolismo, che tentavano di conciliare il conflitto tra i fattori biologici e le determinanti culturali del comportamento (estetica, capacità cognitive e religione); in questo periodo sviluppò anche la teoria del transfert (il processo per cui la qualità dei rapporti emotivi stabiliti con i genitori nella prima infanzia tende a essere riprodotta successivamente con le altre persone). La chiusura di questo ciclo di studi fu segnata dalla pubblicazione dell'opera più importante di Freud, L'interpretazione dei sogni (1900), che comprendeva molte esperienze personali registrate in tre anni di autoanalisi a partire dal 1897 e illustrava tutti i concetti basilari della teoria e della tecnica psicoanalitica.
Nel 1902 Freud divenne professore di ruolo all'università di Vienna, non tanto per il riconoscimento della sua opera scientifica, quanto per l'interessamento di un suo paziente molto influente: la comunità medica gli era, infatti, ostile e la successiva pubblicazione delle opere Psicopatologia della vita quotidiana (1901) e Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), non fece che aumentare il dissidio. Freud continuò a lavorare prevalentemente solo, in quello che chiamò uno "splendido isolamento". Dal 1903, cominciò tuttavia ad avere un piccolo gruppo di seguaci che lavoravano con lui, tra i quali gli austriaci William Stekel, Alfred Adler e Otto Rank, l'americano Abraham Brill e gli svizzeri Eugen Bleuler e Carl Gustav Jung; a essi si aggiunsero nel 1908 lo psichiatra ungherese Sándor Ferenczi e l'inglese Ernest Jones.
Riconoscimento internazionale
La crescente notorietà del movimento psicoanalitico rese possibile la costituzione nel 1910 di un'organizzazione mondiale, chiamata Associazione psicoanalitica internazionale. Mentre il movimento si ingrandiva, grazie anche all'adesione di nuovi membri di altri paesi europei e degli Stati Uniti, Freud dovette affrontare il dissenso interno al gruppo originario, in particolare le critiche di Adler e Jung, che fondarono altre scuole in aperto contrasto con la teoria freudiana sull'origine sessuale della nevrosi. Freud reagì elaborando ulteriormente i propri concetti basilari e sviluppandoli in numerose pubblicazioni.
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, ridusse l'attività clinica per dedicarsi all'applicazione delle proprie teorie all'interpretazione della religione, della mitologia, dell'arte e della letteratura. Nel 1923 fu colpito da un cancro alla bocca, per il quale dovette sottoporsi a cure quotidiane molto dolorose e a numerosi interventi chirurgici. Nonostante questa sofferenza, nei successivi sedici anni continuò a scrivere soprattutto su problemi culturali e filosofici. Appartengono a questo periodo opere come Totem e tabù (1913), L'Io e l'Es (1922), Nuove lezioni introduttive sulla psicoanalisi (1933) e L'uomo Mosè e la religione monoteistica (1939).
Dopo l'invasione nazista dell'Austria nel 1938, Freud si rifugiò con la famiglia a Londra, dove morì nel 1939.
Croce, Benedetto (Pescasseroli, L'Aquila 1866 - Napoli 1952), filosofo, storico e uomo politico italiano. Frequentò scuole cattoliche e compì gli studi presso l'università di Roma. Nonostante gli interessi giovanili per la teologia, Croce elaborò una posizione laica e anticlericale. Nel 1903 fondò la rivista "La Critica", sulla quale pubblicò molti dei suoi scritti. Divenne membro del Senato nel 1910; fu ministro della Pubblica istruzione dal 1920 al 1921 e ministro senza portafoglio nel governo Badoglio. Oppositore del fascismo, redasse il famoso "Manifesto" degli intellettuali antifascisti contro il regime di Benito Mussolini. Nel 1947 fondò l'Istituto italiano di studi storici.
Croce fu profondamente influenzato dal sistema filosofico idealista del tedesco G.W.F. Hegel. Riferendosi al proprio pensiero come "filosofia dello spirito", espose le sue idee in quattro importanti volumi pubblicati tra il 1902 e il 1917: Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902), Logica come scienza del concetto puro (1905), Filosofia della pratica (1909), Teoria e storia della storiografia (1917).
Croce definì la logica "pensamento del concetto", indipendente dalle rappresentazioni particolari e dai loro contenuti, che pure ne costituiscono le basi reali. L'importanza della logica crociana consiste proprio in questa definizione del carattere "universale" e "concreto" dei concetti logici, distinti da quelli della matematica e della scienza, considerati "pseudoconcetti" in quanto rientrano nell'attività pratica.
Croce credeva nel libero arbitrio e in uno stile di vita fondato sull'apprezzamento del bello; concepiva la storia come filosofia in movimento, un'interpretazione del passato in termini del presente. Poiché secondo lui gli storici espongono l'essenziale dell'umano e del naturale in relazione a cause ed eventi, egli sostenne che la storia dovesse essere dominio dei filosofi. Questa riduzione della filosofia a storiografia è di particolare interesse, perché colloca la stessa filosofia al centro dei problemi concreti che l'uomo ha proposto e propone nel corso dell'evoluzione storica. Tra le altre opere di Croce si possono menzionare: Breviario di estetica (1912), La storia come pensiero e come azione (1938), Il carattere della filosofia moderna (1940), Storiografia e idealità morale (1959).

Esistenzialismo Tendenza filosofica che sottolinea la responsabilità individuale, la libertà di scelta e l'autenticità dell'esistenza e che ha influenzato diversi scrittori nel XIX e XX secolo.
Temi fondamentali
L'esistenzialismo comprende posizioni eterogenee, difficili da definire univocamente; si possono tuttavia individuare temi comuni a tutti gli scrittori esistenzialisti. Il tema fondamentale del movimento è suggerito dal nome stesso: l'interesse per l'esistenza concreta dell'individuo, per la soggettività, la libertà individuale e la possibilità della scelta.
Individualismo morale
La filosofia morale, sin da Platone, aveva considerato il sommo bene universale e unico, e la perfezione morale un'imitazione passiva di individui perfetti. Nel XIX secolo il filosofo danese Søren Kierkegaard, il primo scrittore autodefinitosi esistenzialista, si oppose a questa tradizione: il sommo bene si doveva identificare nell'irriducibile singolarità di una vocazione. Altri scrittori esistenzialisti approfondirono il tema etico kierkegaardiano dell'opzione individuale non dipendente da valori universali, convinti che la scelta morale non implicasse giudizi oggettivamente e razionalmente fondati su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Nel XIX secolo il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche asserì inoltre che spetta all'individuo decidere quali situazioni siano morali.
Soggettività
Tutti gli esistenzialisti, seguendo Kierkegaard, sottolinearono l'importanza dell'azione individuale nella decisione sui temi della moralità e della verità, evidenziando l'unicità dell'esperienza, il coinvolgimento personale nell'azione e il primato della prospettiva dell'individuo agente su quella dell'osservatore distaccato e obiettivo. Di qui la diffidenza degli esistenzialisti verso l'argomentazione sistematica: Kierkegaard, Nietzsche e gli altri autori ricorsero a modalità espressive asistematiche, quali aforismi, dialoghi, parabole e altre forme letterarie. Nonostante la posizione antirazionalista, la maggior parte degli esistenzialisti non può essere definita irrazionalista, poiché non negò ogni validità al pensiero razionale, ma delimitò l'ambito di accessibilità della ragione o della scienza alle questioni fondamentali della vita. Inoltre, persino la scienza non parve loro priva di elementi non razionali: Nietzsche, ad esempio, sosteneva che l'assunzione scientifica di un universo ordinato è solo un'utile finzione.
Scelta e responsabilità
Il tema più importante nella letteratura esistenzialista è probabilmente quello della "scelta", libertà fondamentale dell'uomo che, non possedendo una natura o un'essenza prestabilita, plasma se stesso grazie alle scelte individuali. Nella formulazione del filosofo francese Jean-Paul Sartre, l'esistenza precede l'essenza. La scelta è quindi centrale e inevitabile per l'esistenza umana: persino il rifiuto di scegliere è una scelta. La libertà di scelta comporta un impegno, poiché la libertà individuale di creare il proprio percorso implica l'accettazione del rischio e delle responsabilità che ne derivano.
Terrore e angoscia
Kierkegaard sostenne l'importanza, nell'esperienza individuale, della paura di oggetti specifici, ma soprattutto di un senso generale d'inquietudine, che egli chiamò "terrore", inteso come la modalità con cui Dio chiama ciascun individuo all'impegno esistenziale. Il termine "angoscia" (in tedesco Angst) svolge un ruolo simile nell'opera del filosofo tedesco Martin Heidegger, in cui l'angoscia conduce al confronto tra il soggetto e il nulla. Nella filosofia di Sartre, il termine "nausea" denota la consapevolezza dell'assoluta contingenza dell'universo e "angoscia" è il riconoscimento della totale libertà di scelta a cui è condannata l'esistenza individuale.
Pascal
Il primo ad anticipare le riflessioni dell'esistenzialismo moderno fu il filosofo francese Blaise Pascal, che rifiutò il rigoroso razionalismo del contemporaneo René Descartes, denunciando, nei suoi Pensieri (pubblicati postumi nel 1670), la presunzione della filosofia sistematica di dimostrare l'esistenza di Dio e l'essenza dell'uomo. Come gli esistenzialisti, egli concepì la vita umana in termini di paradossi: lo stesso essere umano, commistione di mente e corpo, è paradosso e contraddizione.
Kierkegaard
Kierkegaard, generalmente considerato il fondatore del moderno esistenzialismo, opponendosi al sistema dell'idealismo assoluto del filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel, sottolineò l'assurdità della condizione umana, che esige un impegno totale dal singolo: questi deve essere sempre disposto ad abbandonare i modelli codificati per abbracciare un'esistenza intrinsecamente valida. Egli sostenne un "salto della fede" nell'esistenza cristiana che, sebbene assurda e rischiosa, è secondo lui l'unica forma di impegno capace di salvare l'individuo dalla disperazione.
Nietzsche
Nietzsche, pur senza conoscere il pensiero di Kierkegaard, influenzò il pensiero esistenzialista successivo criticando radicalmente le tradizioni metafisiche e morali, e opponendovi il pessimismo tragico e la volontà affermatrice di vita, ostile al conformismo morale della maggioranza. A differenza di Kierkegaard, il cui attacco alla moralità convenzionale giunse a una forma di cristianesimo individualista, Nietzsche proclamò la "morte di Dio", respingendo persino tutta la tradizione morale giudeo-cristiana a favore di un ideale eroico pagano.
Heidegger
Heidegger, come Pascal e Kierkegaard, reagì al tentativo di fondare la filosofia, in particolare la fenomenologia del filosofo tedesco Edmund Husserl, su basi puramente razionali. Heidegger sottolineò l'incomprensibilità di un mondo nel quale gli esseri umani non colgono la ragione del loro esserci: ogni individuo deve scegliere una meta e perseguirla con appassionata convinzione, certo della morte e della mancanza di significato della sua esistenza. Heidegger conferì al pensiero esistenzialista un'originale coloritura ontologico-linguistica.
Sartre
Sartre diede per primo il nome "esistenzialismo" alla propria filosofia, divenendo in Francia la figura di spicco dell'omonimo movimento, che si affermò a livello internazionale dopo la seconda guerra mondiale. La filosofia di Sartre è esplicitamente atea e pessimista: gli esseri umani aspirano a fondare la vita su una base razionale, benché ne siano incapaci; ne fanno così una "futile passione". Sartre, tuttavia, concepì il proprio esistenzialismo come una forma di umanesimo che dava rilievo alla libertà dell'uomo, alla possibilità di scelta e alla responsabilità, e cercava inoltre di conciliare le sue tesi con l'analisi marxista della società e della storia.
Esistenzialismo e teologia
Sebbene il pensiero esistenzialista comprenda l'intransigente ateismo di Nietzsche e di Sartre o l'agnosticismo di Heidegger, la sua origine nelle filosofie profondamente religiose di Pascal e di Kierkegaard prefigurò la sua influenza sulla teologia del XX secolo. Il filosofo tedesco Karl Jaspers, pur rifiutando espliciti riferimenti a teorie religiose, influenzò la teologia contemporanea con la sua attenzione alla trascendenza e ai limiti dell'esperienza umana. I teologi protestanti tedeschi Paul Tillich e Rudolf Bultmann, il teologo cattolico francese Gabriel Marcel, il filosofo russo ortodosso Nikolaj Berdjaev e il filosofo ebreo Martin Buber raccolsero molti degli spunti di Kierkegaard, in particolare la convinzione che un senso di personale autenticità e di impegno siano essenziali alla fede religiosa.
Esistenzialismo e letteratura
Alcuni esistenzialisti espressero il proprio pensiero in letteratura: la più grande figura di letterato esistenzialista fu il romanziere russo Fëdor Dostoevskij. Nel suo Memorie dal sottosuolo (1864), l'antieroe alienato che emerge dal romanzo ha un'indole imprevedibile e perversamente autodistruttiva; solo l'amore cristiano, che non è esprimibile filosoficamente, può salvare l'umanità da se stessa. Un personaggio del romanzo I fratelli Karamazov (1879-1880), Aljosha, afferma: "Dobbiamo amare la vita più del suo significato".
Nel XX secolo, le opere dello scrittore Franz Kafka risentono dell'influenza di Kierkegaard, Dostoevskij e Nietzsche. L'influsso di Nietzsche è percepibile anche nei romanzi di André Malraux e nei drammi di Sartre. L'opera dello scrittore Albert Camus è usualmente associata all'esistenzialismo per l'importanza che in essa rivestono temi come l'apparente assurdità e futilità della vita, l'indifferenza dell'universo e la necessità di impegnarsi per una giusta causa. Anche il cosiddetto teatro dell'assurdo riprende tematiche esistenzialiste, in particolare i drammi di Samuel Beckett e Eugène Ionesco. Negli Stati Uniti l'influsso dell'esistenzialismo sulla letteratura fu più indiretto e mediato; sono tuttavia riscontrabili risonanze del pensiero kierkegaardiano nei racconti di scrittori come John Updike e Walker Percy; tematiche esistenzialiste vengono evocate anche nell'opera di scrittori tra loro molto differenti quali Norman Mailer, John Barth e Arthur Miller.
Heidegger, Martin (Messkirch, Baden 1889-1976), filosofo tedesco, allievo di Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia. Considerato il filosofo più originale del XX secolo, sviluppò la fenomenologia in senso ontologico ed esistenziale. Heidegger studiò teologia cattolica e filosofia presso l'università di Friburgo, divenendo libero docente nel 1915 a Friburgo, per poi assumere nel 1923 la cattedra di filosofia a Marburgo e dal 1928 nuovamente a Friburgo.
Essere e tempo
Oltre che da Husserl, Heidegger fu influenzato dalla filosofia greca (soprattutto dai presocratici, da Platone e da Aristotele), dal filosofo danese Søren Kierkegaard e dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Nella sua opera più importante, Essere e tempo (1927; trad. it. 1962), Heidegger affrontò quello che considerava il problema filosofico (e umano) essenziale: la ricerca del senso dell'essere (Sein), riguardante espressamente l'uomo e la sua esistenza nel mondo. Per rispondere a questa domanda Heidegger analizzò le strutture fondamentali dell'esistenza umana, l'"esserci" (Da-sein). I modi di essere dell'uomo – che Heidegger chiama "esistenziali" (Existenzialen) – sono: la situazione affettiva (Befindlichkeit), l'essere-gettato (Geworfenheit), il discorso (Rede), la deiezione (Verfallenheit), l'essere-per-la-morte (Sein zum Tode), la coscienza (Gewissen) e la storicità (Geschichtlichkeit). L'essere umano è gettato in un mondo che non ha costruito, dove incontra oggetti potenzialmente utili, oggetti naturali o prodotti della cultura. Poiché questi oggetti e artefatti giungono dal passato e sono usati nel presente per un vantaggio futuro, Heidegger postulò una relazione fondamentale tra le modalità essenziali degli enti e dell'essere e la trama temporale. L'esistenza dell'uomo è quindi un essere-nel-mondo (in-der-Welt-sein) caratterizzato dalla cura (Sorge), il cui senso più proprio è la temporalità.
L'individuo, tuttavia, rischia di venire sommerso dalla quotidianità e dal vuoto conformismo della massa. Ne deriva un senso di angoscia (Angst) che costringe l'uomo a confrontarsi con la coscienza della morte e con la mancanza ultima di significato dell'esistenza; solo in questo confronto l'individuo trova il significato autentico dell'essere e della libertà.
Opere successive
Dopo la seconda guerra mondiale, in opere come Introduzione alla metafisica (1953; trad. it. 1959), Heidegger si rivolse all'interpretazione di particolari concezioni dell'essere sviluppate in Occidente. In contrasto con la concezione degli antichi greci, la società tecnologica moderna ha favorito un atteggiamento puramente manipolatorio, che ha deprivato l'essere e l'esistenza umana di significato, una condizione che Heidegger definì nichilismo. L'umanità ha dimenticato la sua autentica vocazione: ritrovare la comprensione profonda dell'essere, realizzata dai primi filosofi greci e andata perduta nella speculazione filosofica successiva.
Diffusione della filosofia di Heidegger
L'originale trattazione di Heidegger di temi quali la finitezza umana, la morte, il nulla e l'autenticità portò un accostamento all'esistenzialismo, e la sua opera ebbe un'influenza determinante sul filosofo francese Jean-Paul Sartre. Heidegger rifiutò, a ogni modo, le interpretazioni in chiave esistenzialista del suo pensiero. A partire dagli anni Sessanta, l'interesse nei suoi confronti crebbe anche al di fuori dell'Europa continentale, esercitando una crescente attrazione anche sui filosofi di lingua inglese.8
Sartre, Jean-Paul (Parigi 1905-1980), filosofo francese, drammaturgo, romanziere e pubblicista politico, fu un esponente di spicco dell'esistenzialismo. Studiò all'Ecôle Normale Supérieure di Parigi, dove ebbe tra i compagni Raymond Aron, Maurice Merleau-Ponty e la sua futura compagna, Simone de Beauvoir. Insegnò filosofia nei licei dal 1929 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. In questo periodo scrisse le prime opere, che miravano alla rifondazione della psicologia sulla base del metodo fenomenologico e della psicologia della Gestalt9, rivolgendo un'attenzione particolare agli aspetti "concreti" dell'esistenza. Dal 1940 al 1941 fu prigioniero dei tedeschi; una volta rilasciato insegnò a Neuilly e più tardi a Parigi, e partecipò attivamente alla Resistenza francese, fondando nel 1941 il movimento "Socialismo e libertà", che poi confluì nell'organizzazione nazionale della Resistenza. Nel 1943 pubblicò L'essere e il nulla (trad. it. 1964) opera fondamentale del primo periodo filosofico. Nel 1945 Sartre abbandonò l'insegnamento e fondò con Merleau-Ponty e Simone de Beauvoir la rivista di politica e letteratura "Les Temps Modernes", divenendone caporedattore. Dopo il 1947 fu attivo come socialista indipendente; negli anni della Guerra Fredda, criticò tanto l'URSS quanto gli Stati Uniti. Negli anni Cinquanta, pur sostenendo le ragioni dei sovietici, ne criticò spesso la politica in diversi scritti.
Le opere filosofiche di Sartre fondono la fenomenologia del filosofo tedesco Edmund Husserl, la metafisica dei filosofi tedeschi G.W.F. Hegel e Martin Heidegger, e la visione "umanistica" della prima produzione di Karl Marx in un unico orientamento di pensiero denominato "esistenzialismo". Questo indirizzo, che ritiene indissolubile il rapporto fra attività teoretica e il mondo della vita, letteratura, psicologia e azione politica, divenne un movimento di portata mondiale.
L'essere e il nulla
Nell'opera L'essere e il nulla Sartre espresse la teoria secondo la quale la coscienza è assoluta libertà e trascendenza, posta di fronte a un mondo "oggettivo" assurdo e immutabile. Questa soggettività assoluta e libera è "condannata" a progettarsi mediante le proprie scelte, senza l'intervento salvifico della morale tradizionale o della fede religiosa. Solo la ricaduta nella "malafede", in forme di falsa coscienza, oggettiva la coscienza integrandola nel dato e privandola della responsabilità che, acquisita in virtù della sua trascendenza, possiede verso se stessa e l'esistente. Anche le opere teatrali e i romanzi di Sartre esprimono la convinzione dell'autore che la libertà e l'accettazione della responsabilità personale siano i valori principali dell'esistenza.
Critica della ragione dialettica
Nell'opera filosofica dell'ultimo Sartre, Critica della ragione dialettica (1960; trad. it. 1963), l'attenzione dell'autore si sposta dalla libertà del soggetto alle leggi dell'agire storico. Sartre affermò che l'ambiente in cui l'individuo è inserito conduce alla serialità, a una collettività falsa, impersonale e priva di autentica prossimità all'altro. Soltanto attraverso l'azione di un gruppo, che è rivoluzionaria perché infrange l'immobilità della serie, è possibile riconquistare il potere e la libertà individuale. Nonostante questa esortazione all'attività politica rivoluzionaria mediata dalla teoria, Sartre non aderì al Partito comunista, dalle cui posizioni spesso si allontanò, criticando, ad esempio, l'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956 e quella della Cecoslovacchia nel 1968.
Altre opere
Tra le altre opere di Sartre vi sono i romanzi La Nausea (1938; trad. it.1958) e la raccolta incompleta Les Chemins de la liberté (Le strade della libertà), che comprende L'età della ragione (1945; trad. it 1965), Il rinvio (1945; trad. it. 1948) e La morte dell'anima (1949; trad. it. 1954); una biografia dello scrittore Jean Genet, Santo Genet, commediante e martire (1952; trad. it.1962); le opere teatrali A porte chiuse (1945; trad. it. 1965), La sgualdrina timorata (1946; trad. it. 1963) e I sequestrati di Altona (1959; trad. it. 1963); l'autobiografia Le parole (1964; trad. it. 1964); una biografia dello scrittore Gustave Flaubert, L'idiota di famiglia (3 voll., 1971-72; trad. it. 1977).

1 Panteismo: dottrina che identifica l'universo (greco, pan, "tutto") con Dio (greco, theós). Il pensatore può muovere da un'idea della realtà divina e indagare poi la relazione tra ciò che non è divino e il divino; questa posizione viene comunemente denominata "panteismo acosmistico". Oppure, il pensatore può partire da una comprensione della finitezza e mutevolezza della realtà e dare il nome di Dio alla loro totalità onnicomprensiva; questo orientamento è chiamato "panteismo ateistico".

2 Teleologia (Greco, telos, "fine"; logos, "discorso"), in filosofia, scienza o dottrina che interpreta l'universo in termini finalistici. La teleologia si fonda sull'assunto che l'universo ha uno scopo. Nella filosofia aristotelica, la spiegazione, o la giustificazione, di un fenomeno o processo deve essere rinvenuta non solo nello scopo o nella causa immediata, ma anche nella "causa finale", la ragione per la quale il fenomeno esiste o è stato creato. Nella teologia cristiana, la teleologia costituisce un argomento fondamentale a favore dell'esistenza di Dio, poiché l'ordinamento e il corso della natura non paiono casuali: se l'architettura del mondo è intelligente, deve esistere un Architetto divino. I sostenitori della teleologia si oppongono alle interpretazioni meccanicistiche dell'universo, che si fondano solo sullo sviluppo organico o sulle cause naturali. Il potente impatto delle teorie dell'evoluzione di Charles Darwin, che sostenne che le specie si sviluppano per selezione naturale, ridusse notevolmente l'influenza delle argomentazioni teleologiche tradizionali. Nondimeno, tali argomentazioni sono state avanzate nuovamente nei primi anni Ottanta con l'insorgere di una tendenza creazionista.

3 Materialismo: in filosofia, dottrina secondo cui l'intera esistenza è risolvibile in materia o in un attributo o effetto della materia. Secondo questa tesi, la materia è la realtà ultima, mentre sono responsabili della coscienza trasformazioni chimico-fisiologiche a livello del sistema nervoso. Il materialismo è pertanto il contrario dell'idealismo, che sostiene la supremazia dello spirito e considera la materia come un aspetto o un'oggettivazione dello stesso. Il materialismo estremo o assoluto è noto come "monismo materialistico". Il materialismo filosofico ha origini antiche e ha conosciuto nel corso della storia varie formulazioni.
Si applica, ad esempio, il termine "materialismo cosmologico" per caratterizzare un'interpretazione materialistica dell'universo; il "materialismo antireligioso" trae invece origine dall'ostilità verso i dogmi delle religioni ufficiali, in particolare quelli del cristianesimo: tra le figure di spicco di questa tendenza vi furono i filosofi illuministi del Settecento francese Dénis Diderot, Paul Henri d'Holbach e Julien de la Mettrie. Secondo il "materialismo storico" propugnato nelle opere dei suoi esponenti Karl Marx e Friedrich Engels, in ogni epoca storica il sistema economico prevalente, che produce i beni strettamente necessari per vivere, ne determina la forma di organizzazione sociale, la storia politica, religiosa, etica, intellettuale e artistica.
In epoca moderna, specialmente nei paesi di cultura anglosassone, il materialismo filosofico è stato profondamente influenzato dalla dottrina dell'evoluzione, così da poterne essere assimilato alla più ampia teoria. I sostenitori dell'evoluzionismo superano il mero antiteismo, o ateismo del materialismo, e si propongono di dimostrare come le diversità e le differenze nella creazione siano l'effetto di processi naturali, non del sovrannaturale.

4 Edonismo (Greco, hedoné, "piacere"), in filosofia, la concezione secondo cui il piacere è il solo bene della vita e il perseguimento di esso è lo scopo ideale della condotta.

5 Nichilismo (Latino nihil, "nulla"), definizione di varie filosofie radicali, i cui seguaci rifiutano ogni valore positivo e non credono in nulla. Il termine fu per la prima volta usato per designare nel Medioevo gli eretici cristiani. Tra il 1850 e il 1860 in Russia fu riferito a quei giovani intellettuali che, sotto l'influsso delle idee occidentali, ripudiarono la cristianità, poichè consideravano la società russa arretrata e oppressiva, e auspicarono un cambiamento rivoluzionario. Il termine venne usato in un'accezione positiva dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche per indicare la negazione della morale consolidata e la sua sostituzione con un nuovo sistema di valori.
6 Sociologia: disciplina scientifica che studia lo sviluppo, la struttura e le funzioni delle società umane. Strutture e istituzioni (come le classi, la famiglia, il potere, la scuola ecc.) e problemi sociali (come la criminalità e la devianza) costituiscono i principali oggetti degli studi sociologici.
La sociologia parte dal presupposto che le azioni degli esseri umani siano profondamente influenzate dal contesto storico-culturale. All’interno della disciplina si distinguono tre orientamenti: la microsociologia, che studia interazioni sociali quotidiane, considerate le unità elementari di base di una società; la macrosociologia, che analizza strutture sociali più ampie come lo stato, i fenomeni economici , la mobilità sociale e le relazioni internazionali; e un terzo orientamento, che cerca di unificare le due prospettive sottolineando le profonde influenze reciproche tra istituzioni e interazioni sociali.

7 Psicoanalisi: termine che si riferisce alla teoria sulle relazioni tra processi consci e inconsci, creata da Sigmund Freud e alla tecnica di trattamento basata sull'investigazione dell'inconscio, che ha costituito lo strumento per la formulazione della teoria.

9 Psicologia della Gestalt: scuola di psicologia che si occupa prevalentemente dello studio della percezione e delle leggi che la regolano. Secondo gli psicologi della Gestalt, parola tedesca che può essere approssimativamente tradotta con "configurazione", le immagini vengono percepite come configurazioni globali più complesse della somma delle loro singole parti: la forma di una spirale inserita nella veduta panoramica di una città viene ad esempio percepita come la sagoma di una cattedrale. La psicologia della Gestalt nacque come protesta contro l'associazionismo che nei primi anni Venti dominava la psicologia e che considerava la percezione come il risultato di un'attività di costruzione di singole parti separate. Intorno al 1910 Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Koffka rifiutarono questa impostazione e proposero un nuovo approccio che, pur rispettando i criteri di scientificità, fosse più adeguato all'oggetto studiato dalla psicologia e desse maggior conto dell'influenza del contesto sulla percezione. Anche se la percezione rimane il settore maggiormente influenzato, questo approccio si è successivamente esteso ad aree come il pensiero, la memoria e l'estetica.

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  1. silvoa

    La diversità culturale di hannerz