Kant-Storia, politica e diritto

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Testo

STORIA, POLITICA E DIRITTO
Il disegno della storia dell’uomo
La concezione kantiana della storia è basata sulle filosofie illuministiche (concezione ottimistica e progressiva delle vicende umane) e sul pensiero di Rousseau (muove dall’antitesi natura/civiltà per una condanna del mondo moderno, affidando alla comunità politica il compito della “restaurazione” dell’umanità).
Kant legge la storia alla luce dello scopo ultimo: le azioni umane appartengono all’ordine del fenomeno e sono perciò determinate causalmente. Lo storico deve quindi fondare una vera e propria “scienza storica”; ma si potrebbe anche filosoficamente pensare che tutta la storia sia volta ad un fine. Un punto di vista del genere considera i fenomeni come una totalità, e perciò avrà bisogno del concetto di totalità e poi di quello di fine per realizzarsi, in uso regolativo e non costitutivo.
La storia è un processo di sviluppo delle facoltà razionali umane, che si realizza progressivamente e indefinitivamente a livello di specie e non di individuo, perché tutti abbiamo la stessa ragione.
La storia comincia quando l’uomo passa dalla vita governata dall’istinto a quella governata dalla ragione, in cui si manifesta la possibilità di libertà. Questo cambiamento investe prima i bisogni primari come la nutrizione, che presenta ora delle alternative di scelta, o la generazione, con la possibilità di separare la sessualità dalla riproduzione, poi l’aspettativa del futuro, poi la progettualità e infine la consapevolezza di essere superiore agli altri animali e di poterli usare ai propri fini (ma va là!!). Sorgono i nuovi bisogni e quindi i primi scontri.
Si tratta di un passaggio doloroso, fonte di incertezza e di caduta morale, perché solo ora l’uomo è capace di far del male e quindi soggetto a imputazione morale. Ma è un passaggio che avviene sotto la luce della ragione, ed è quindi l’inizio di un lungo processo di perfezionamento, in cui l’uomo scopre che anche gli altri sono esseri razionali uguali a lui, per cui non possono usarlo come mezzo (seconda legge dell’imperativo categorico).
L’uomo da ora deve assumersi tutta la responsabilità del male che compirà nella vita. La libertà, compresa quella di compiere questo male, segna la differenza, e quindi la possibilità per l’uomo di essere iniziatore di processi: la natura, dotando l’uomo di libertà, ne ha fatto un essere che deve ricavare tutto da se stesso.
E’ solo l’idea di una natura con una finalità che permette di pensare le azioni dell’uomo come qualcosa di diverso da un gioco senza scopo. E allora assume un senso la tensione che spinge l’uomo a vivere in società con gli altri ma contemporaneamente a dissociarsi per inseguire la felicità personale, perché è questa tensione, chiamata insocievole socievolezza, che permette alla natura di attuare la sua finalità, il progresso della specie. Il progresso è inteso come sviluppo della cultura, cioè della razionalità.
Insomma, Kant guarda alla storia con interesse normativo, più che descrittivo: in quanto ha un fine, indica un modo di agire orientato a questo fine.
Libertà e diritto
Una società civile è quella in cui vige il diritto, che è l’elemento che garantisce l’accordo fra reciproche libertà
Kant non esclude lo stato di natura dalla società civile, ma non essendoci coazione, cioè possibilità di far rispettare questo diritto, si tratta di uno stato provvisorio.
Il diritto, come insieme di leggi, obbliga, ma mentre la legge morale………….bo, non ho capito.
Tutto ciò non esclude la possibilità di un rapporto tra moralità e diritto: uno stato ordinato razionalmente favorisce infatti la vita morale. Ma lo stato non assume come fondamento la moralità.
Lo stato non ha nemmeno il compito di garantire la felicità dei cittadini, che è cosa dell’individuo: se lo facesse cadrebbe nel paternalismo, considerando i cittadini come minorenni. Il paternalismo non è altro che una forma di dispotismo, il regime in cui vi è coazione senza libertà, e lo stato è giusto solo quando opera una mediazione fra le due parti.
Kant si colloca così all’interno della tradizione liberale, a causa della visione progressiva e positiva dell’antagonismo sociale, la polemica contro il dispotismo, l’eudemonismo e il paternalismo, la libertà come fondamentale prerogativa dell’individuo. Molto viva è l’influenza di Rousseau, come nell’affermazione che il potere può spettare soltanto alla volontà collettiva del popolo, intesa però non come fondamento della sovranità (come era secondo Rousseau), ma come modello al quale il sovrano deve ispirarsi: il sovrano deve legiferare come se le sue leggi provenissero dalla volontà comune di tutto il popolo.
Come Rousseau, Kant crede che a fondamento della società civile stia un contratto originario, con il quale gli individui rinunciano alla libertà esterna per riappropiarsene subito come membri di un corpo comune. Ma mentre per Rousseau questo contratto era un fatto storico, per Kant si tratta di un’idea regolativa di valore pratico, perché è il modello a cui ispirarsi.
Come Locke, Kant pensa che la divisione dei poteri sia fondamentale per la giustizia, ma esclude come Hobbes che ciò possa significare una limitazione dei poteri dello stato. Per raggiungere il proprio fine, il potere sovrano dovrà poter esigere l’obbedienza, da cui si capisce bene che per Kant il consenso non è a fondamento del potere e che non è possibile secondo lui alcuna ribellione. Il sovrano può, tramite riforme e non referendum, perfezionare la costituzione.
Si tratta dunque di un assolutismo illuminato.
Nelle sue teorie, Kant si mostra interessato non a fondare da capo la società politica, ma semplicemente a chiarire le condizioni della costruzione di una società razionale. Questa costruzione ha luogo sul piano del fenomeno ed è perciò l’immediata realizzazione di un’idea.
Uno dei temi centrali della sua filosofia politica è la pubblicità, che pone un limite all’illegittimità della protesta. Il fatto che il sovrano non è obbligato al rispetto del popolo perché questo non può protestare, vuol dire che egli non può essere ingiusto nei suoi confronti. Il limite di questa ingiustizia è dato dalla pubblicità: infatti una legge che non si può rendere pubblica è certamente ingiusta, e comunque il cittadino-suddito mantiene il diritto di opporsi di fronte ad un potere che va contro la libertà collettiva. Questa libertà di pensare e di dire pubblicamente ciò che si pensa non può essere negata, pena l’annullamento del pensiero: fino a che punto, infatti, penseremmo se non potessimo fare gli altri partecipi dei nostri pensieri?
In questa libertà si colloca il compito degli intellettuali: essi devono impegnarsi per la realizzazione dell’Illuminismo, che è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve a sé stesso. La minorità è l’incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza l’aiuto di un altro. Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!
La pace perpetua come compito storico
In uno scritto Kant si chiede se il genere umano progredisca costantemente verso il meglio. La risposta non può provenire dall’esperienza, perché anche se riuscissimo a dimostrare che fin ora l’uomo è sempre progredito, non potremmo dimostrare che lo farà ancora in futuro. Comunque, questa necessità del progresso, se non può essere affermata, può essere pensata: sappiamo che l’uomo ha progredito fin ora e, in virtù della legge morale che impone all’uomo di perfezionarsi, si può ritenere che continuerà a farlo.
Meta del progresso è la creazione di una società razionale conforme alla libertà, cosmopolitica, cioè capace di abbracciare le relazioni reciproche tra i popoli: solo così sarà possibile abbattere la guerra e istituire una pace perpetua. Questa pace è un dovere, perché la nostra ragione morale pratica dice che “Non ci deve essere nessuna guerra”. Per cui non ha senso chiedersi se questa pace perpetua sia possibile: dobbiamo agire come se fosse possibile, perché questo è il nostro dovere.

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