Il pensiero aristotelico

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

Voto:

1.5 (2)
Download:314
Data:10.04.2001
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
pensiero-aristotelico_1.zip (Dimensione: 8.94 Kb)
trucheck.it_il-pensiero-aristotelico.doc     36.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

IL PENSIERO DI ARISTOTELE:

La natura e il movimento
La fisica e la scienza della natura in generale, L e la natura sono l’insieme di quelle cose, di quegli esseri che hanno in se stessi un principio di movimento e di quiete.
La natura non è governata dalla pura necessità, ma in vista di un fine, e perché deve essere così.
Per movimento, Aristotele intende quello locale (vale a dire uno spostamento da un luogo all’altro), ma anche il movimento, il cambiamento in generale, cioè ogni passaggio da uno stato ad un altro.
Aristotele ammette quattro tipi di movimento, ciascuno dei quali comporta un passaggio dalla potenza all’atto: sostanziale (di generazione e corruzione), qualitativo (che modifica la qualità), quantitativo (di accrescimento e diminuzione), e il locale, che distingue i vari esseri naturali, e che è il più importante, e da cui dipendono tutti gli altri.
Aristotele pone come caratteristica comune ad esseri naturali ed artificiali una tendenza al movimento e alla trasformazione, ma, allo stesso tempo, anche all’immobilità.
Gli esseri naturali hanno un luogo naturale nel quale stanno sempre immobili, e, se sottratti da lì, cercano di occuparlo di nuovo.

Potenza e atto
Aristotele intende la potenza come principio di movimento, ma anche di trasformazione: la trasformazione come passaggio da uno stato ad un altro. Ogni essere si trasforma, o perché è in grado di farlo autonomamente, o, invece, grazie all’aiuto di una forza esterna.
La potenza può essere agire (indeterminatamente, oppure in un certo modo), o patire (sentire semplicemente, o invece con una precisa modalità).
Al contrario, gli esseri possono essere soggetti anche all’impotenza, cioè alla privazione, al non essere ingrado di compiere un passaggio che comporti l’acquisizione di certe caratteristiche insite nella propria natura.
L’impotenza è, quindi, un qualcosa che non si sa, oppure che si ha ma che se ne viene privati con violenza, o, ancora, qualcosa che sarebbe necessario avere, ma che non si ha, come modalità o quantità, nel momento opportuno, oppure che non si ha proprio.
L’atto precede la potenza, perché non vi può essere alcun passaggio dalla potenza all’atto senza un atto preesistente. Ogni essere vivente è sempre un atto con una potenzialità che si esprimerà nell’atto successivo. Questa teoria vuole fornire un’idea che vede la realtà perfetta e compiuta, pensata per rispondere alla paura verso il disordine.
L’insieme di tutti gli atti è perfetto e compiuto.
Secondo il concetto di causa- effetto ogni essere ha implicito in sé contemporaneamente l’effetto dell’atto precedente, e la causa di quello successivo.

Le quattro cause
Socrate si poneva la domanda “Ti es ti?” (“che cos’è?”): quella che si pone invece Aristotele è più scientifica, poiché vuole conoscere le cose come veramente esse sono. Diventa quindi un “perché?”, “perché è così?”, e la risposta è perché è così che va la natura.
Con un interesse teoretico, perciò a senso, si cerca la Verità non per cambiarla, ma per esserne informati e per curiosità, per lasciarla così com’è.
Aristotele elenca quattro cause, che possono individuare la causa prima. Queste sono: la causa materiale, l’essenza, perché è la causa di ciò che una cosa è nella sua perfezione scientifica e ultima, la causa formale, il concetto matematico, la definizione, la causa efficiente (ciò che provoca la trasformazione è la causa efficiente di ciò che viene cambiato), e la causa finale, il fine del cambiamento.
Le prime due cause agiscono fuori dal tempo, le altre due dentro. In Natura queste cause ne formano una unica.

Il pensiero e l’infinito
Aristotele è pienamente consapevole della potenza straordinaria del pensiero, che può conoscere i principi primi dell’Essere, ma per quanto riguarda il mondo fisico, non può prescindere dai dati sensibili e dell’esperienza.
Il tempo e il movimento sono infiniti, così come l’universo e l’infinito moto perfetto e circolare delle sfere sono eterni, pertanto è infinito il pensiero che conosce l’Essere e l’Universo.
Aristotele afferma la non esistenza del vuoto, accendendo in tal modo una polemica con Democrito, che affermava che fosse quella realtà nella quale gli atomi possono muoversi.
Il vuoto, secondo lui, è un tutto uguale, omogeneo; non c’è nulla verso il quale i corpi possono muoversi, e quindi devono restare immobili.

La metafisica
La tendenza al sapere è presente in tutti, e nasce da un amore per le sensazioni, come la vista, che ci permette di vedere gli oggetti che ci circondano.
L’uomo è in grado di produrre oggetti e di ragionare, e questo lo deve all’esperienza.
La conoscenza teoretica è superiore a quella pratica, perché conosce le cause. Le sensazioni da sole non producono alcuna sapienza; tra le varie scienze, alcune soddisfano le necessità dell’uomo, altre rendono più piacevole la sua vita: queste sono migliori.
La filosofia prima è quella che conosce tutto; si occupa di principi primi e perciò può insegnare; è esatta perché relativa ai principi primi; ha come scopo il conoscere in sé, è migliore di tutte le altre scienze perché conosce il fine di tutte le cose.
La filosofia nasce “a causa della meraviglia”: all’inizio ci si meravigliava delle cose più semplici, che sono state risolte attraverso le scienze particolari: così l’uomo ha cominciato a porsi problemi più complessi, fino a domandarsi il perchè di ogni cosa.

Sostanza e accidente
L’accidente è ciò che accade, ma che potrebbe anche non accadere. Ci sono accidenti “eterni”, eternamente legati ad un soggetto, ma che non appartengono alla sua sostanza.
La sostanza, invece, definisce tutti gli enti, indipendentemente dalla loro natura. Non c’è niente che non sia sostanza. Sostanza è materia e forma. La “sostanza seconda” si riferisce alla specie e al genere, e quella “immobile”, si occupa dei principi primi e dell’Essere, definisce Dio come “motore immobile”.

La psicologia
Il corpo è una sostanza in potenza; l’anima, la sostanza in atto, lo rende vitale.
L’anima ha molte facoltà: quella nutritiva o vegetativa, sensitiva, quindi appetitiva, e razionale. L’uomo ha tutte queste facoltà, ma in lui prevale quella razionale; questa unifica tutte le altre, perché può lavorare autonomamente.

L’ETICA

Per i più, la felicità, che coincide con il piacere, è le modalità di vivere peggiore, assieme alla politica e alla contemplazione. Ciò è causato dalla cattiva influenza della classe dirigente verso quella più bassa.
La politica dovrebbe soddisfare il desiderio di onore, che però dipende più da chi lo tributa che da chi lo riceve, infatti si cerca sempre il consenso delle persone sagge e virtuose. Dunque la Virtù e la saggezza sono superiori all’onore stesso.
Quindi la Virtù dovrebbe essere superiore alla politica, ma siccome la virtuosità non garantisce l’elisione di ogni pericolo, non è necessariamente fonte eterna di felicità.
Pertanto, il vero Bene, il Bene Assoluto, può essere ricercato solo passando una vita contemplativa.
La virtù è una via di mezzo, poiché la medierà viene posta tra l’eccesso e il difetto, ed è la scelta migliore, e, ancora, come tra tanti punti presi di una grandezza di medio ne si può trovare uno solo, così la vita virtuosa è una sola.
Ogni uomo ha il potere di decidere, di deliberare, però non è in grado di deliberare su tutto (su ciò ad esempio che è smisurato, come la diagonale e il lato del quadrato, o le cose dell’Universo); può deliberare sulle cose che dipendono da lui e che agiscono, sulle opinioni, sui mezzi, e sulle azioni che hanno un esito prestabilito; lo scopo per cui egli agisce è l’oggetto della sua volontà, che deve essere il Bene.
Il Bene è ciò che a ciascuno pare Bene, così, mentre per l’uomo virtuoso è bene ciò che veramente lo è, per il vizioso può essere tutto. E’ l’uomo stesso, che, essendo un virtuoso, sa di dover compiere, e lo fa, azioni virtuose, e quindi raggiunge il bene.
Poiché l’attività razionale è connessa con due delle tre parti dell’anima, quella intellettiva, che è la ragione, e quella appetitiva, che è invece dominata dalla ragione, si hanno due specie di virtù: l’intellettiva, o dianoetica, e la morale, o etica.
Le virtù intellettive o dianoetiche, di carattere intellettuale, riguardano la parte razionale dell’anima, come la prudenza e la sapienza, e consistono nel retto esercizio dell’attività razionale. La virtù dianoetica per eccellenza è la sapienza, attività razionale.
Le virtù etiche o morali consistono nel realizzare in una azione il giusto mezzo tra due estremi opposti. Sono virtù pratiche, riguardanti la parte affettiva dell’anima, come la giustizia, la magnanimità, la generosità o il coraggio.
La felicità è l’impegno serio, e la felicità più grande la porta la scienza. Ci sono modalità di vivere la felicità che possono essere vissute solo dalle persone appartenenti al ceto sociale più basso, e dal momento che queste non sono pari all’uomo, egli non può condividere la loro felicità.
Il filosofo può essere felice anche restando solo, e disprezzando il volgo, dunque, e così, essendo superiore, pensa solo a cose immortali, per diventare lui stesso immortale. Tutto questo lo fa con l’aiuto della ragione, e per il filosofo è un privilegio possederla.
Coloro che non l’hanno sono condannati a restare nella loro condizione; e per gli uomini, utilizzando l’intelletto vivrà una vita migliore.

La politica
L’uomo è per natura un essere sociale, poiché non è capace di produrre da solo ciò di cui ha bisogno, e quindi anche la creazione di uno stato deriva da un modo di comportarsi che segue la natura.
Il filosofo, comunque, non vuole proporsi uno Stato ideale, bensì un sistema politico stabile, ottenuto da un sapiente equilibrio degli interessi espresso in un insieme di leggi funzionanti.
In quel momento le poleis stavano andando in rovina a causa di continui litigi e conflitti, e Aristotele voleva dare il suo contributo per portarli a termine.
La politica è la ricerca di quei principi per i quali è nata e si è sviluppata una concreta comunità umana. Perciò Aristotele studia le costituzioni delle singole città per comprendere quella realtà basata esclusivamente sull’esperienza e la pratica, non quindi sulla teoria, senza ricercare stati perfetti e ideali.
Lo stato nasce quando un insieme di persone si danno una costituzione, diventando così un vero organismo politico. Lo stato ha lo stesso fine della famiglia, perché si tende a realizzare la felicità di coloro che ne fanno parte.
Aristotele distingue tre forme di governo, ciascuna delle quali presenta una propria degenerazione, che si ha quando chi detiene il potere lo utilizza a suo piacimento invece che per la comune utilità.
Queste sono la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia. Le loro degenerazioni sono la tirannide, l’oligarchia, e la demagogia; nella prima si cerca il bene per un solo individuo, nella seconda per i ricchi, nella terza per i poveri. Comunque, il miglior governo si ha quando vi è equilibrio tra l’aristocrazia e la democrazia.
L’educazione dei cittadini deve essere unica e identica per tutti, e perciò affidata allo stato e non ai privati.
Se in uno stato la costituzione è degenerata oltre i limiti, vi saranno sempre alcuni cittadini in grado di dare a sé stessi una buona educazione, perché esiste sempre una morale individuale, legata a quella civile ma da essa indipendente.
Se lo stato è il fine dell’uomo, la caratteristica principale di quest’ultimo è quella di essere un animale politico, destinato a vivere in comunità, e a realizzarne la migliore..
Lo stato ha carattere naturale, per questo chi vive fuori di esso non è un uomo, ma bestia, o al contario, Dio.
Infine, la schiavitù degli esseri inferiori e la trasformazione in schiavi di prigionieri politici erano fenomeni naturali: nella realtà esistono libertà e schiavitù, e quindi è inutile negare la loro naturalità.
Il ruolo del padrone e del servo devono comunque esser ben individuati e definiti, perché un padrone che si comporta da buon padrone ed uno schiavo che agisce da buon schiavo portano ad un vantaggio reciproco.

LA POETICA

Aristotele, come Platone, considera l’arte un’imitazione; il poeta è infatti imitatore, come il pittore o qualunque altro artista che produce immagini.
Nel suo pensiero troviamo una grande apertura verso una filosofia dominata dal sapere epistemico: la poesia è un’attività teoretica, ha perciò lo scopo di conoscere la Verità, in quanto espone una Verità generale. Secondo Aristotele il filosofo può essere poeta, e il poeta filosofo.
Aristotele nega la separazione tra il mondo fenomenico e il mondo delle idee, e in questo modo vuole rivalutare l’arte, affermando che essa riproduce la realtà empirica, e inoltre tende a coglierne i nessi ideali, a penetrarne il senso profondo e l’intima coerenza, descrivendo i fatti non come essi sono accaduti realmente, ma quali invece possono accadere in determinate condizioni.
L’arte assume così un grande valore di purificazione (catàrsi), perché ci fa osservare il mondo delle nostre passioni da un punto di vista superiore.
Aristotele tratta anche della poesia in sé e per sé, nella sua purezza, e in essa assegna un posto di grande importanza al genere drammatico e in particolare alla tragedia.
La tragedia deve suscitare tre sentimenti: il consenso umano, la pietà e la fama. Questi tre sentimenti ripropongono la concezione dell’uomo come destinato a vivere in comunità (e la comunità si regge sulla comunicazione della percezione del bene, del male, del giusto e dell’ingiusto), oppure come mosso alla virtù dalla pietà per l’innocente e dalla paura per la sventura.
La filosofia è per pochi, ma dato il suo carattere teoretico, proprio grazie alla tragedia si può rivolgere a tutti gli uomini per aiutarli a realizzare la propria natura.

Esempio