Filosofia Ellenistica

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FILOSOFIA ELLENISTICA
EPICUREISMO
L’Epicureismo prende il nome dal suo fondatore, Epicuro di Samo (342 – 270 a.C.), un filosofo greco, educato dal padre e dai filosofi Panfilo e Nausifane, che, dopo brevi soggiorni ad Atene e a Colofone, fondò una scuola filosofica, dapprima a Mitilene, sull'isola di Lesbo, poi a Lampsaco, in Asia Minore. Ritornato ad Atene nel 306 a.C., vi si stabilì definitivamente e fondò una scuola, detta anche Giardino, poiché sorgeva in una casa circondata da un ampio parco. Epicuro fonda la sua scuola con l'intento di far conoscere agli uomini la via che porta alla felicità. Non fa distinzione tra Greci e Barbari, uomini liberi e schiavi, perché il contesto storico in cui lui agisce è lontano da quella concezione per la quale la filosofia è riservata al cittadino, inteso come di appartenente alla poleis. Egli si rivolge all'uomo in quanto tale senza alcuna distinzione.
La scuola di Epicuro consisteva in un’associazione di amici che s’impegnavano a condurre vita comunitaria, secondo le regole stabilite dal maestro: infatti, gli epicurei conducevano una vita equilibrata, sia nel piacere che nel dolore, vivendola con indifferenza, cioè senza farsi travolgere emotivamente.
Alla scuola di Epicuro si affollavano discepoli provenienti da tutta la Grecia e l'Asia Minore, attratti dalla sua intelligenza e dal suo fascino. Rispetto alle altre scuole filosofiche, quella Epicurea mantiene nei secoli inalterata la dottrina di base.
Epicuro benché si ispiri a Platone ed Aristotele, concepisce un'idea di filosofia che di base è fortemente materialistica.
Epicuro fu un autore molto prolifico, scrisse più di 300 libri, ma di essi restano solo tre lettere e brevi frammenti conservati da Diogene Laerzio. Altre fonti d'informazione circa le dottrine di Epicuro sono le opere di Plutarco, Cicerone e Seneca, ma soprattutto il De rerum natura di Lucrezio, che resta la fonte più preziosa delle nostre conoscenze sull'epicureismo. Da queste fonti, emerge una sintesi della dottrina epicurea, che comprende tre parti: la logica, la fisica e l’etica.
LA LOGICA
Epicuro considerò la logica come un criterio della verità, cioè come un canone (regola) per orientare l’uomo verso la felicità.
Base del sapere è la sensazione, da cui dipende ogni nostra conoscenza. La sensazione è sempre vera e, se l’uomo spesso sbaglia, è perché non si attiene alla pura evidenza ma la falsifica con supposizioni e pregiudizi. Le sensazioni avvengono attraverso gli influssi di atomi che c’imprimono le immagini: esse sono separate le une dalle altre, ma si uniscono quando danno all’uomo la memoria delle cose.
LA FISICA
Riallacciandosi alla dottrina atomistica di Democrito, Epicuro concepisce la realtà come costituita da aggregati di atomi che si muovono nel vuoto, che si differenziano per quantità, cioè per forma, grandezza e peso. Per Epicuro tutto ciò che esiste è corpo, perché solo il corpo può agire; di incorporeo egli ammette solo il vuoto. Tutti i corpi nascono e muoiono attraverso l’aggregazione e la disgregazione degli atomi, che sono unità indivisibili, in continuo movimento (clinamen) nel vuoto.
Epicuro si discosta dal determinismo democriteo, introducendo un elemento di casualità, vale a dire il principio secondo cui gli atomi, nel loro movimento di caduta nel vuoto, possono deviare dalla traiettoria perpendicolare, senza che di ciò vi sia una causa. Probabilmente Epicuro, oltre a rendere possibile la spiegazione della formazione degli aggregati atomici, intendeva in questa maniera sottrarre l'agire dell'uomo a una necessità di tipo deterministico e renderne possibile la libertà e la costruzione di un'etica.
Nella sua concezione materialistica dell'universo, Epicuro ammette, tuttavia, l'esistenza degli dei: di essi abbiamo, infatti, delle immagini, seppure confuse, che sarebbero prodotte da flussi di atomi emanati dalle divinità stesse. Tuttavia, gli dei vivono negli spazi vuoti fra mondo e mondo, e non influiscono minimamente sulle vicende umane: pertanto, il timore degli dei è infondato e costituisce solamente una superstizione. Anche l'anima per Epicuro è costituita di atomi, sebbene sottilissimi e mobili, ed è mortale: quando il corpo si distrugge, l'anima si disperde con esso. Da ciò non deriva, però, che dobbiamo temere la morte: infatti, l'uomo non può avere esperienza della propria morte, poiché ciò presupporrebbe, in qualche modo, una sopravvivenza dell'anima rispetto al corpo.
Scopo di Epicuro è quello di dimostrare:
o che ogni cosa è composta di atomi materiali, compresa l’anima, sicché tutto col tempo si corrompe e non esiste una via ultraterrena dell’anima: l’anima è, quindi, mortale, cioè muore con il corpo;
o che gli atomi si combinano a caso; nulla dunque è predeterminato o ha un fine;
o che gli dei vivono negli intramundia, cioè in spazi cosmici, e perciò non sono soggetti a corruzione e sono immortali, ma conseguentemente non possono intervenire nel mondo degli uomini; le caratteristiche fondamentali degli dei sono, quindi, l'immortalità e la felicità.
Il Fato per Epicuro non può esistere perché tutto si può ricondurre alle leggi della natura libere da ogni predisposizione e quindi casuali.
L'ETICA
L'etica epicurea deve condurre alla felicità, che consiste nel piacere. Ma la felicità viene definita anche come atarassia, assenza di turbamento, e aponia, assenza di dolore.
Per garantire il raggiungimento dell'aponia e dell'atarassia Epicuro ha distinto:
o piaceri naturali e necessari: i piaceri che sono strettamente legati alla conservazione della vita dell'individuo, che sono gli unici che veramente giovano sottraendo il dolore del corpo.
o piaceri naturali ma non necessari: i piaceri che sono variazioni superflue dei piaceri del primo gruppo. Questi piaceri non hanno più quel limite perché non sottraggono il dolore corporeo, ma variano solo il piacere e possono provocare un notevole danno.
o piaceri non naturali e non necessari: i piaceri vani, nati dalle opinioni degli uomini, che sono tutti desideri legati al desiderio di ricchezza, potenza e onore. Questi piaceri non tolgono dolore al corpo ma provocano sempre turbamento all'anima
Poiché il mondo è senza un fine e ogni cosa è affidata al caso, l’uomo non può avere altro scopo se non quello di fuggire il dolore e cercare il piacere e la felicità.
L’uomo però non è in generale felice, e ciò dipende dai mali che derivano dalla sua ignoranza e superstizione. Secondo Epicuro, scopo della filosofia è quello di far conoscere agli uomini la vera natura delle cose eliminando le false credenze che sono solo frutto dell'ignoranza, liberando l'uomo da quelle malattie dell'anima che impediscono il raggiungimento della felicità. Tali mali si possono ricondurre a quattro tipi:
o il male che deriva dal timore degli dei: la dottrina epicurea dimostra che gli dei non possono occuparsi delle umane passioni, essendo estranei al nostro mondo. Inoltre, se essi si prendessero cura delle nostre vicende e passioni, perderebbero quella perfetta felicità che è propria della natura divina.
o il male che deriva dal timore della morte: questo timore è assurdo perché implica il venir meno di ogni sensazione. L’uomo non può fare esperienza della morte, poiché se c’è l’uomo non c’è la morte, se c’è la morte non c’è più l’uomo.
o il male che deriva dal timore del male fisico e morale: i primi non sono mai reali, e comunque se sono insopportabili non durano a lungo, poiché, nella peggiore delle ipotesi, ce ne libera la morte; i dolori dell’anima sono i più gravi; a essi però si può opporre l’indifferenza, l’apatia.
o il male che deriva dai nostri desideri insoddisfatti, che è il più diffuso.
La filosofia è essenzialmente terapia, in quanto fornisce un quadruplice rimedio, o tetrafarmaco. A questo scopo essa richiede una certa conoscenza della natura, quale può accordarsi con l'esperienza sensibile. Dopo aver dimostrato l'assurdità del timore degli dei e l'errore di temere la morte, Epicuro vuole dimostrare che il bene è facile a procurarsi e facile a tollerarsi il male. Il bene è identificato da Epicuro con il piacere, secondo una prospettiva che prende il nome di edonismo. Esso non consiste, però, nel semplice godimento sensibile, ma nel piacere stabile, da intendersi come privazione del dolore. L'uomo è felice quando gode di ciò che ha, in modo tale da raggiungere l'atarassia.
L'ideale di felicità cui s’ispira Epicuro risulta, pertanto, caratterizzato soprattutto in maniera privativa (come "assenza di dolore" e "assenza di turbamento"), non diversamente da come i filosofi stoici a lui contemporanei teorizzavano l'apatia, cioè la liberazione dalle passioni. Nondimeno, Epicuro, distinguendosi in ciò dal rigorismo morale degli stoici che respingono il piacere come criterio di valutazione etica, ammette quei piaceri derivanti dalla soddisfazione dei bisogni naturali, che non arrecano danno o dolore fisico all'individuo. Il dolore, in cui consiste il male, se è intenso non è mai destinato a crescere illimitatamente, la morte, infatti, vi pone fine, e, se è prolungato, allora è mite e facile da tollerare.
Epicuro vive in un periodo nel quale l'uomo ha cessato di essere uomo – cittadino, ed è diventato uomo – individuo. Fra questi individui l'unico legame è dato dall'amicizia. Nella filosofia di Epicuro, si considerava l'amico come non una persona utile da utilizzare, ma una persona con cui stare bene. Epicuro dice che i sentimenti di amicizia sono fonte di grande piacere i sono privi di qualsiasi cattiva conseguenza. C'è, infatti, nell'amicizia, una serenità profonda perché si può conservare più a lungo libera da cattivi sentimenti.
La vita politica viene considerata innaturale, comporta dolori e turbamenti, compromette l'aponia e l'atarassia, quindi la felicità. Infatti, i piaceri provenienti dalla vita politica sono pure illusioni. Gli epicurei vivono lontano dalle folle e in disparte, perché solo rimanendo in sé e vivendo in tranquillità può essere trovata la pace dell'anima. Nella concezione di Epicuro, non vi è spazio per una partecipazione alla vita politica, per quanto egli raccomandasse al saggio di non commettere mai ingiustizia.
SCETTICISMO
Lo Scetticismo è quella dottrina che, affermando l'inesistenza di un criterio valido di distinzione del vero dal falso, considera il dubbio come insuperabile per l'uomo.
Più che i sofisti, i quali di fatto non negavano l'esistenza di un criterio di verità, ma ne sottolineavano il carattere mutevole e soggettivo, gli scettici dell'età ellenistica riconoscevano come loro precursori i seguaci della scuola di Megara, che avevano individuato alcuni casi esemplari di antinomie insolubili.
Se si accoglie la distinzione tradizionale di uno scetticismo dottrinale e di uno metodico, per cui il dubbio non è un risultato definitivo, ma solo un mezzo per la ricerca della verità, le più antiche formulazioni rigorose del primo vanno ricercate in Pirrone e nella sua scuola (sec. IV – III a.C.).
Dalla dimostrazione dell’impossibilità di una non illusoria certezza, derivano, sul piano del comportamento, alcuni atteggiamenti tipici del saggio scettico, come la sospensione del giudizio (εποχή), la rinuncia a esprimere opinioni (αφασία), l'indifferenza di fronte a tutte le alternative (αδιαφορία) e la connessa imperturbabilità (αταρασσία).

STOICISMO
Lo Stoicismo e una dottrina filosofica, fondata da Zenone di Cizio (323 – 263 a.C.), che consiste nell’atteggiamento di impassibile e virile sopportazione delle sventure, del dolore, delle avversità.
Lo stoicismo nacque verso la fine del IV sec. a.C., quando Zenone fondò in Atene la “scuola del portico”, così detta perché aveva sede nella Stoà Pecile, “portico dei dipinti”, in Atene, dove gli stoici erano soliti riunirsi.
Nei sei secoli di vita del movimento si distinguono tre fasi:
o l'antica stoà (secc. III – II a.C.), dominata dalle personalità di Zenone, di Cleante di Asso e di Crisippo di Soli, che fu chiamato il secondo fondatore della scuola;
o la media stoà (secc. II – I a.C.), caratterizzata dalla mitigazione del rigorismo originario attraverso apporti di varia provenienza, dal platonismo all'aristotelismo e all'epicureismo; è il periodo in cui lo stoicismo, rappresentato dalle personalità eminenti di Panezio di Rodi e di Posidonio di Apamea, entra nel mondo culturale romano;
o la nuova stoà (secc. I – III d.C.), che abbandona le tendenze eclettiche precedenti e si ricollega con il pensiero dei fondatori, manifestando, tuttavia, in alcuni casi, una sensibilità religiosa sconosciuta ai primi maestri; le figure più rappresentative di questa fase, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, emergono dallo stoicismo romano.
Anche la dottrina stoica comprende tre parti: la logica, la fisica e l’etica; la relazione fra le tre parti della filosofia, la logica, arte del pensare e del discorrere bene e includente, quindi, gnoseologia, dialettica e retorica, la fisica, esatta cognizione delle cose, e l'etica, arte del vivere bene, era resa evidente dagli stoici con il paragone dell'uovo: la logica è il guscio, la fisica la chiara e l'etica il tuorlo.
Secondo la logica stoica, tutte le conoscenze umane derivano dalle impressioni lasciate sui sensi dalle cose, cioè possiamo pensare a qualcosa solo se la conosciamo. Solo dopo avere giudicato qualcosa possiamo dare il nostro assenso attraverso la ragione, attività ordinatrice degli stessi, e solo se le cose sono molto evidenti, cioè non hanno bisogno di essere dimostrate, sono vere; in caso contrario bisogna esaminare più a fondo l’esperienza. L'iniziativa del soggetto e la possibilità dell'errore intervengono con l'assenso, il quale deve essere, quindi, concesso solo quando si è al cospetto di una rappresentazione afferrante (fantasia catalettica): l'evidenza con cui l'oggetto s’impone è l'unico criterio di verità. Depositandosi nella memoria e accumulandovisi, le impressioni fungono da anticipazioni e da nozioni comuni e rendono possibile il ragionamento. Come gli epicurei, anche gli stoici riconoscevano che la sensazione è la base di ogni conoscenza.
La fantasia è la facoltà di creare immagini. La fantasia catalettica, per gli stoici, era la percezione dell'immagine accompagnata dal riconoscimento dell'oggetto che la produce; essa costituisce il criterio gnoseologico della verità, in quanto obbliga a riconoscere, dietro l'immagine, l'oggetto reale.
Il pensiero, manifestazione dell'attività dell'egemonico (anima), consiste nel collegare ogni impressione con le rappresentazioni catalettiche tesaurizzate nella memoria.
Gli stoici, all’opposto degli epicurei, concepiscono l’universo come divino, retto dalla provvidenza. La fisica stoica deriva dall'intuizione eraclitea del fuoco, forza produttiva e ragione ordinatrice, anima posta all'interno del grande corpo cosmico. Nel Λόγος universale, tutte le cose hanno la giustificazione del loro essere e la propria ragione seminale (λόγος σπερματικός). Il Λόγος è legge immutabile e, al tempo stesso provvidenza, (πρόνοια) e la necessità è razionale predisposizione entro la quale il destino del singolo trova una positiva collocazione. Il Λόγος è il principio attivo, in quanto è l’essenza della materia, che invece viene ad essere il principio passivo. L'universo, scaturito dalla tensione del λόγος – fuoco e della materia, chiude ogni fase della sua esistenza nella conflagrazione universale e torna a vivere in necessari cicli identici perennemente ricorrenti (eterno ritorno).
Per gli stoici il saggio è colui che vive secondo natura e segue la ragione. L'etica stoica si fonda sul principio che l'uomo è partecipe della ragione universale e portatore di una scintilla del fuoco eterno. Ciò che impedisce l'adeguamento della condotta alla razionalità sono le passioni, subendo le quali l'uomo per debolezza di giudizio si sottomette al contingente. La virtù consiste nel vivere con coerenza, scegliendo sempre ciò che è conveniente alla propria natura di essere razionale.
Nello stato di assenza delle passioni, l’apatia, quello che poteva apparire come male e dolore si palesa come un punto positivo e necessario del disegno della provvidenza universale. Il saggio stoico raggiunge questa frigida e aristocratica altezza raccogliendosi in sé e vivendo in una sorta di impassibile autosufficienza. Come portatori della ragione universale, infine, gli uomini sono tutti forniti di pari dignità, e legati da un rapporto solidale, che ignora le irragionevoli borie individuali e di stirpe. Gli stoici, infatti, enunciarono anche la teoria del diritto naturale alla libertà, condannando la schiavitù.
La filosofia ellenistica ricercava la felicità e il come essere felici; i filosofi stoici trovavano la felicità nel senso del dovere che lo attribuivano attraverso la ragione. Infatti, l'uomo era guidato dall'istinto che lo induceva a nutrirsi, conservarsi e a prendersi cura di sé, e dalla ragione che garantiva l'accordo dell'uomo con se stesso e la natura. Essi distinguevano le azioni in:
o azioni immorali: contro l'Etica e la ragione
o azioni neutre: che non facevano né bene e né male
In questo modo, il dovere divenne il principio etico degli stoici: il dovere conduceva alla felicità e quindi a un fine etico.
Quando, infatti, l'uomo non poteva realizzare il suo dovere per cause esterne, aveva come compito quello di uccidersi, poiché non avrebbe potuto raggiungere una felicità.
Inoltre, tutte le altre azioni erano determinate dagli istinti poiché non sono nostre libere scelte.
Gli storici consideravano virtuoso colui che attuava la legge del dovere. Il Saggio era colui che riusciva a stare lontano dalle emozioni rimanendo in uno stato di apatia.
Nella storia dell'etica occidentale, la tesi stoica della virtù come vittoria sulle passioni resta un motivo permanente, così come l'immagine del filosofo per eccellenza finisce per identificarsi, nella coscienza comune, con la figura del saggio stoico, apatico e autosufficiente.
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