Aristotele.

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

ARISTOTELE

Aristotele nacque a Stagira nel 384 a. C. ed entrò nella scuola di Platone a 17 anni rimanendovi fino alla morte del maestro. Dopo questo fatto Aristotele lasciò l’Accademia e ricostituì una piccola comunità platonica, dove tenne per la prima volta un insegnamento autonomo. Tornato ad Atene, fondò una scuola chiamata Liceo. Le opere a noi giunte sono solo quelle che Aristotele usava per le necessità del suo insegnamento, suddivise in due gruppi: le opere acroamatiche, cioè destinate all’insegnamento o scritti esoterici, quelli che usava come appunti per l’insegnamento; gli scritti essoterici, quelli destinati al pubblico
Molte sono le caratteristiche che differenziano Aristotele dal maestro, soprattutto dovute al fatto che il primo si trovò a cavallo tra l’età classica ed ellenistica, mentre Platone in piena età classica. Per prima cosa Platone vedeva il filosofo destinato alla politica, una specie di legislatore, mentre con Aristotele c’è la nuova concezione del filosofo come sapiente o scienziato professore, dedito alla ricerca e all’insegnamento. In secondo piano Platone guardava il mondo secondo un’ottica verticale e gerarchica, che distingueva realtà vere da realtà false e fra conoscenze vere e conoscenze apparenti, mentre Aristotele aveva una visione del mondo secondo un’ottica orizzontale ed unitaria, che considerava tutte le realtà su un piano di pari dignità ontologica, e tutte le scienze su un piano di pari dignità gnoseologica. Di conseguenza la filosofia diventa la scienza prima, ossia la disciplina che studia l’oggetto comune a tutte (l’essere) e i principi comuni a tutti (i principi dell’essere). Infine possiamo osservare anche una diversità di metodi tra i due filosofi: il primo usava un sistema aperto che riproponeva interrogativi e soluzioni continui, mentre il secondo usava un sistema chiuso, cioè un insieme fisso di verità rigidamente connesse tra loro.
Ad Aristotele bisogna dare il gran merito di aver approfondito il concetto di metafisica. Per indicare tale disciplina egli usava il termine filosofia prima, e nelle sue opere né da ben quattro definizioni: la metafisica studia le cause e i principi primi, studia l’essere in quanto essere, studia la sostanza, studia Dio e la sostanza immobile. Di queste quattro quella più approfondita è sicuramente la seconda, infatti, affermare che la metafisica studia l’essere in quanto essere equivale a dire che non studia una realtà in particolare, ma la realtà in generale. A questo punto Aristotele si ritrova a dover dare una definizione di essere; innanzi tutto afferma che l’essere non ha un’unica forma, bensì una molteplicità di aspetti, ed enuncia quattro modi di darsi dell’essere: l’essere come accidente, l’essere come categorie, l’essere come vero e l’essere come atto e potenza. Per categorie Aristotele intende le caratteristiche fondamentali dell’essere, una specie di generi sommi di Platone: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l’agire, il subire, il dove, il quando e talvolta ne aggiunge altre due, l’avere e il giacere. Di tutte le categorie la più importante è la sostanza, cioè il centro di riferimento di tutte le altre; questo implica che l’essere non ha né un unico significato né parecchi significati diversi tra loro, bensì una molteplicità di significati collegati. Per considerare l’essere in quanto essere Aristotele utilizzò il principio di non contraddizione, che consisteva nell’impossibilità di affermare e negare allo stesso tempo che una stessa cosa fosse e non fosse.
Per sostanza il filosofo intende l’individuo, che è un ente autonomo. Ogni sostanza forma un sinolo, cioè un’unione indissolubile di forma e materia. Per forma Aristotele intende la natura propria di una cosa, mentre per materia intende il soggetto di cui una cosa è fatta. Dalla sostanza bisogna distinguere l’accidente, che designa invece una caratteristica causale e fortuita della sostanza, che quindi essa può e non può avere. Tutto questo sta ad indicare che la sostanza è l’oggetto proprio della scienza, perciò tutte le scienze, intente alla definizione della sostanza, hanno lo stesso valore e la stessa dignità.
La teoria della sostanza è strettamente legata alla dottrina delle quattro cause; Aristotele enumera, infatti, quattro tipi di cause delle cose: causa materiale, formale, efficiente e finale.
Il principale bersaglio della polemica aristotelica sono soprattutto i platonici, infatti, secondo Aristotele, le idee platoniche sono nient’altro che la natura di una cosa, cioè la loro forma. Essendo le idee fuori delle cose, non è possibile che esse siano causa delle cose, quindi al posto delle idee egli pone le forme intese come strutture immanenti degli individui. In sintesi, le idee diventano inutili doppioni, che complicano, anziché semplificare, ciò che devono rendere comprensibile.
La teoria delle quattro cause è connessa al problema del divenire. Constatato che il divenire esiste, come spiega la scuola eraclitea, il problema è come debba essere pensato. In contrasto con Parmenide, Aristotele afferma che il divenire sarebbe irrazionale solo se esso consistesse nel passaggio del non essere all’essere e viceversa: tale passaggio è però impossibile, perché dal nulla, nulla può venir fuori. Quindi egli ritiene che il divenire implichi il passaggio da un certo tipo di essere ad un altro, e di conseguenza l’unica realtà diventa l’essere, mentre il divenire diviene solo una modalità dell’essere. Per pensare la realtà del divenire, Aristotele elabora i concetti di potenza e atto; per potenza si intende la possibilità, da parte della materia, di assumere una determinata forma. Per atto si intende la realizzazione di tale capacità (il pulcino è la gallina in potenza, come la gallina è l’atto). Il punto di partenza del divenire è quindi la materia come privazione, di una certa forma, mentre il punto di arrivo è l’assunzione di tale forma. Aristotele ritiene anche che l’atto sia superiore alla potenza, infatti, l’atto è temporalmente prima della potenza, e quindi è superiore in quanto costituisce la causa, il senso e il fine della potenza.
Come definizione di metafisica, Aristotele ha affermato anche che essa studia Dio; la prova della sua esistenza è tratta dalla cinematica, ossia dalla teoria generale del movimento inteso come possibilità di nuove condizioni o forme. Egli afferma che tutto ciò che è in moto è necessario che sia mosso da altro; ovviamente non è possibile risalire all’infinito, altrimenti sarebbe inspiegabile il movimento iniziale dalla cui constatazione si è partiti. Per cui, essendo necessario fermarsi e non andare all’infinito, ci deve essere per forza un principio primo ed immobile. Quindi Aristotele identifica il motore immobile con Dio, riferendogli degli attributi: Dio è atto puro, Sostanza incorporea, Essere eterno e Causa finale del mondo. Due sono, infatti, i protagonisti della storia dell’universo: la materia prima (tende alla perfezione) e Dio (che la attrae). Contrariamente a quanto si possa pensare, la teoria di Aristotele è di tipo politeista, poiché esistendo molti cieli esisteranno altrettanti motori immobili.
La logica non rientra nella classificazione di scienze in Aristotele, poiché essa ha per oggetto la forma comune di tutte queste, cioè il procedimento dimostrativo. Per designare la sua dottrina del ragionamento, ossia il sillogismo (alla base della logica), Aristotele usava la parola analitica. L’Arganon aristotelico si articola in una logica del concetto, in una logica della proposizione e in una del ragionamento. Secondo Aristotele gli oggetti del nostro discorso, cioè i concetti, possono essere disposti secondo una scala di maggiore o minore universalità e classificati mediante un rapporto di genere e specie. Ogni concetto di un determinato settore è, infatti, specie (il contenuto) di un concetto più universale e genere (il contenente) di un concetto meno universale. Di conseguenza si può sostenere che la comprensione (l’insieme delle note o qualità caratteristiche di un concetto) e l’estensione (il numero degli esseri cui fa riferimento un concetto) stanno fra di loro in un rapporto inversamente proporzionale, in quanto, arricchendosi l’una s’impoverisce l’altra.
Chiarita la natura dei concetti e delle categorie, Aristotele passa ad esaminare quelle frasi che costituiscono asserzioni; tali enunciati s’identificano con le proposizioni. Egli distingue le proposizioni in vari tipi. Prima di tutto si distinguono in affermative e negative, in secondo luogo in universali (soggetto universale) e particolari (soggetto riferito ad una classe). Infine si possono aggiungere le proposizioni singolari (soggetto un ente singolo). Lo Stagirita considera anche le modalità delle proposizioni distinguendo la semplice asserzione (A è B), la possibilità (A è possibile che sia B) e la necessità (A è necessario che sia B). A proposito della verità Aristotele da due teoremi fondamentali: il primo è che la verità è nel pensiero, non nell’essere o nella cosa; il secondo è che la misura della verità è l’essere o la cosa. Di conseguenza il vero consiste nel congiungere ciò che è realmente congiunto e nel disgiungere ciò che è realmente disgiunto.
Dopo aver parlato della natura delle proposizioni, Aristotele passa ad argomentare circa le strutture e i modi del ragionamento. Secondo il filosofo greco noi ragioniamo quando passiamo da proposizioni a proposizioni che abbiano fra di loro determinati nessi, e che siano, in qualche modo, le une cause di altre, le une antecedenti e le altre conseguenti. Il sillogismo è un discorso (= ragionamento) in cui poste talune cose (= le premesse) segue necessariamente qualcos’altro (= la conclusione). Il sillogismo tipo risulta composto da tre proposizioni, due delle quali (la premessa maggiore e la premessa minore) fungono da antecedenti e la terza (la conclusione) da conseguente. Inoltre nel sillogismo si hanno tre termini o elementi: il maggiore, il minore e il medio. Il termine maggiore e il termine minore compaiono anche nella conclusione dove si presentano uniti tra loro nelle vesti di soggetto (il minore) e di predicato (il maggiore) grazie al termine medio. In base alla posizione occupata dal termine medio, Aristotele distingue tre figure di sillogismo: nella prima il termine medio è soggetto della premessa maggiore e predicato della minore; nella seconda è predicato di entrambe le premesse; nella terza è soggetto di entrambe le premesse. A queste tre se ne può aggiungere una quarta nella quale il termine medio è predicato della maggiore e soggetto della minore.
Aristotele è ben consapevole del fatto che la validità di un sillogismo non s’identifica con la sua verità, in quanto questo, pur essendo logicamente corretto, può partire da premesse false. Quindi egli si sofferma sul sillogismo scientifico o dimostrativo, che parte da premesse vere. Il problema principale è come ottenere queste premesse, ed Aristotele risponde affermando che esse s’identificano negli assiomi, ossia con quelle proposizioni vere di verità intuitiva che risultano comuni a più scienze o a tutte le scienze, come il principio di non contraddizione, il principio d’identità ed il principio del terzo escluso (tra due opposti contraddittori non c’è via di mezzo) .

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