L'occhio

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Testo

L’OCCHIO

Embriologia

La formazione dell'apparato oculare è il risultato dell'attività di matrici di natura varia: nervosa, mesenchimale ed ectodermica, e inizia molto precocemente, verso la quarta settimana di vita intrauterina. Nell'uomo l'occhio deriva da due processi distinti: 1. la formazione, verso la quarta settimana, della vescicola oculare primitiva (per evaginazione della vescicola cerebrale anteriore), la quale dà origine alla sclera, alla coroide, alla retina e organi annessi; 2. la formazione della fossetta cristallinica (per invaginazione dell'epidermide), da cui prendono origine il cristallino e l'umor vitreo.

Anatomia

L'occhio , presente in quasi tutti i vertebrati nonché in molti invertebrati, provvede alla trasformazione dell'energia luminosa in segnali nervosi comprensibili dai centri superiori. Consta di un globo, situato nella cavità orbitale, in cui si distinguono un polo anteriore (corneale) e uno posteriore (ottico) congiunti dall'asse anatomico (che pur essendo orientato nello stesso modo non coincide con l'asse ottico percorso dai raggi luminosi).
L'occhio può essere paragonato a una camera oscura circolare la cui parete è costituita da tre membrane concentriche: sclerotica (o sclera), tonaca vascolare (o uvea) e retina. La sclerotica, biancastra e resistente, ha funzioni protettive: è provvista di numerosi orifizi per il passaggio dei vasi e dei nervi e anteriormente dà luogo alla cornea, lamina trasparente che presenta una faccia anteriore convessa e una posteriore concava delimitante la camera anteriore dell'occhio. La membrana vascolare, che a livello della superficie interna della sclera è detta coroide, a livello della cornea forma una serie di piccole pieghe raggiate (corpo ciliare) quindi un diaframma (iride) avente colore variabile nei singoli individui, attraversato da un foro (pupilla) che si allarga e si restringe in relazione all'intensità dei raggi luminosi. Lo strato sensibile è rappresentato dalla retina, semitrasparente, formata dalle terminazioni del nervo ottico e costituita da dieci strati concentrici di cellule e fibre nervose, fra cui quello dei coni e dei bastoncelli incaricati rispettivamente della percezione dei colori e dell'intensità luminosa.
L'occhio è dotato di mezzi rifrangenti, rappresentati (in senso anteroposteriore) dalla cornea, dall'umor acqueo, liquido che riempie la camera anteriore, delimitata dalla cornea e dall'iride, dal cristallino costituito da una lente biconvessa posta dietro all'iride e avente la prerogativa di variare la propria curvatura in base alla distanza dell'oggetto e dal corpo vitreo, o umor vitreo, sostanza gelatinosa rivestita da una membrana ialina, che riempie lo spazio compreso fra il cristallino e la porzione visiva della retina.
• Il globo oculare, mantenuto in situ posteriormente da una formazione fibrosa, la capsula di Tenone, è ricoperto anteriormente dalla congiuntiva che riveste anche la parete interna delle palpebre ed è lubrificata dalle lacrime, prodotte dalle ghiandole lacrimali.
Gli altri annessi oculari od organi accessori dell'occhio sono rappresentati dalle vie lacrimali che convogliano le lacrime, dai sei muscoli motori dell'occhio e dalle palpebre con le ciglia.
L'irrorazione sanguigna dell'occhio è assicurata da un doppio sistema vascolare consistente in arterie per la retina, rappresentate da rami dell'arteria oftalmica (circolazione retinica), e in arterie ciliari che si distribuiscono alle altre parti dell'occhio (circolazione ciliare). Il sangue della retina si raccoglie nella vena della retina, mentre quello della circolazione ciliare converge nelle quattro vene vorticose che sfociano nelle vene oftalmiche, tributarie del seno cavernoso.
Nel bulbo oculare non esistono vasi linfatici, ma il movimento della linfa è assicurato da vari spazi e fessure che fungono da vie linfatiche.
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Patologia

Oftalmologia

I disturbi dell'occhio rilevano cause svariatissime: infettive, microbiche, virali, allergiche, degenerative, dismetaboliche e possono essere localizzati all'apparato oculare, come le uveiti, la panoftalmite, il glaucoma, il distacco di retina, alcune neoplasie, oppure possono dipendere da malattie interessanti tutto l'organismo, come le retinopatie ipertensive e diabetiche; spesso le malattie di un occhio si propagano anche all'altro (oftalmite simpatica).
Le ferite e le malattie dell'occhio possono determinare la perdita o l'abolizione della funzione) oppure possono richiedere l'enucleazione del globo oculare o provocarne l'atrofia. Per evitare la deformità risultante dalla mancanza di un occhio, si ricorre alle protesi, cioè all'introduzione nell'orbita di un occhio artificiale. Quando l'occhio è solo parzialmente atrofizzato, si applica sul moncone residuo un pezzo di smalto o di materia plastica che imita esternamente la superficie dell'occhio sano; la protesi partecipa allora a tutti i movimenti del moncone e dà un'illusione pressoché completa.
È inoltre in fase di realizzazione una specie di occhio artificiale composto da una telecamera miniaturizzata montata sugli occhiali che capta le immagini e le invia a un computer portatile che, a sua volta, traduce le immagini in segnali digitali e li manda a una griglia di elettrodi impiantata in permanenza sulla corteccia visiva del cervello; questa griglia crea un sentiero tracciato dal segnale creando così nella corteccia visiva un’immagine formata da diversi lampi di luce coordinati tra loro.

Invertebrati

Tutti gli organismi animali sono sensibili alle radiazioni luminose: anche gli unicellulari, i protozoi, benché privi di organi fotorecettori, vengono attratti o respinti da radiazioni di diversa intensità e lunghezza d'onda. Il più semplice organismo capace di percepire la presenza di una sorgente luminosa è la medusa degli scifozoi che è munita sul margine dell'ombrello di cellule sensibili alla luce. Talvolta le cellule fotorecettrici sono accompagnate da cellule pigmentate (es. turbellari e anellidi policheti) o associate in macchie oculari (es. planaria). Alla patella, che vive ancorata agli scogli, è offerta la possibilità di riconoscere il movimento della sorgente luminosa grazie agli occhi a calice: in essa l'insieme delle cellule visive è posto in fondo a una fossetta in modo che un oggetto luminoso in moto le impressiona in tempi successivi.
È nell'occhio del nautilo (cioè 500 milioni circa di anni fa, ché a tanto risale questo genere di cefalopodo) che la natura ha inventato la prima camera oscura: le cellule visive sono poste in fondo a una fossetta fornita di apertura molto stretta attraverso la quale i raggi luminosi proiettano sulla parete opposta un'immagine rovesciata come in una camera oscura. Applicando all'apertura dell'occhio a calice un mezzo diottrico (cornea e cristallino), la natura, alla fine, ha realizzato il principio della macchina fotografica: quest'occhio, che chiameremo occhio a lente, è proprio dei molluschi cefalopodi, degli aracnidi miriapodi e dei vertebrati, compreso l'uomo.

Vertebrati

Generalmente sferico o subsferico, il globo oculare si presenta nei pesci abissali allungato in senso anteroposteriore e sporge dall'orbita (occhi telescopici, che permettono di raccogliere le minime quantità di luce diffuse negli strati più profondi). L'accomodazione del cristallino che nei pesci è una sferetta rigida, è affidata a tre formazioni: il processo falciforme, una lamina vascolarizzata che si stacca dalla coroide, il muscolo retrattore della lente (di fibre lisce) e la campanula di Haller che, raggiunta la superficie posteriore della lente cristallina, vi si salda e può perciò avvicinarla alla retina accomodando l'occhio alla visione degli oggetti lontani. Negli anfibi, l'accomodazione, questa volta alla visione vicina, è compito di un muscolo protrattore, la cui contrazione allontana il cristallino dalla retina. Nei rettili, negli uccelli e nei mammiferi l'accomodazione è realizzata non con uno spostamento totale del cristallino, ma attraverso la modificazione del suo raggio di curvatura: tale compito è svolto da una propaggine della coroide, a forma di cono nei rettili trasformata in una lamina nera pieghettata (pettine) negli uccelli; sembra però che le funzioni principali del pettine siano quella nutritiva e di regolatore della pressione endoculare, in quanto l'accomodazione del cristallino è dovuta soprattutto all'azione dei muscoli ciliari, come nei mammiferi.
La sclerotica, che nella maggior parte dei mammiferi e nei ciclostomi è fibrosa, si presenta cartilaginea nei pesci, anfibi e monotremi, parzialmente ossificata in buona parte dei rettili e degli uccelli.
Le palpebre appena accennate nei selaci, sono ridotte a pliche anulari nei teleostei (non hanno ragione d'essere in occhi costantemente bagnati e puliti dall'acqua), ben sviluppate negli anfibi, rettili (negli ofidi e in alcune lucertole si possono fondere in un'unica palpebra trasparente, detta occhiale) e uccelli e accompagnate dalla membrananittitante e dalla ghiandola di Harder, che secerne un liquido grasso e sbocca presso l'angolo interno dell'occhio nel sacco lacrimale.
Il campo visivo varia nelle diverse classi di vertebrati in relazione alla posizione degli occhi e alla loro grandezza: negli animali con occhi laterali il campo visivo è più ampio rispetto a quelli con occhi frontali (proscimmie, scimmie e uomo): ad es. l'ampiezza è di 300º negli uccelli contro i 160º dell'uomo, mentre il settore della visione binoculare è più ridotto (140º per l'uomo, da 60º a 30º per gli uccelli); tutti gli animali notturni (i rapaci tra gli uccelli, i lemuri tra i mammiferi) hanno occhi notevolmente sviluppati rispetto alle dimensioni dell'animale perché, avendo abitudini crepuscolari o notturne, devono utilizzare al massimo la poca quantità di luce disponibile. Un caso unico è offerto dal camaleonte che ha gli occhi mobili in ogni direzione e indipendenti l'uno dall'altro.

Occhi composti

Negli insetti e in genere nei crostacei si realizzano due tipi di visione grazie a organi visivi particolari, chiamati occhi composti perché costituiti da numerosi occhi semplici od ommatidi. Ogni unità visiva è formata da una cornea(esagonale negli insetti, quadrata nella maggior parte dei crostacei), un cristallino e una retinula; gli ommatidi, in ogni occhio composto, possono raggiungere il rilevantissimo numero di quattromila (es. ape).
Quando il pigmento isola tra loro i singoli ommatidi, ogni retinula è impressionata soltanto dai raggi di luce che giungono a colpirla direttamente attraverso la cornea dell'ommatidio e perciò raccoglie una limitata porzione dell'immagine: in questo caso l'immagine completa risulta dal mosaico di tante immagini parziali e si ha la visione per apposizione. Quando manca il pigmento, i raggi emanati da ciascun punto dell'oggetto stimolano le retinule di più ommatidi e ciascuna di queste raccoglie i raggi provenienti da più punti: in tal caso si realizza una maggiore fusione delle singole immagini e si ha la visione per sovrapposizione. Lo stesso occhio composto può funzionare nell'uno e nell'altro modo in seguito allo spostamento del pigmento: in piena luce si ha il primo tipo di visione come se l'animale mediante una visione reticolata volesse localizzare gli oggetti compresi nel campo visivo; nelle ore crepuscolari e notturne si ha la visione per sovrapposizione. Secondo gli ultimi studi, la frequenza di fusione delle immagini nella mosca è sei volte superiore a quella dell'uomo con la conseguenza che nella mosca si avrebbe un'analisi molto più minuziosa dei movimenti rapidi.

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