Umanesimo

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Testo

sm. [sec. XIX; da umano]. 1) Primo momento del più vasto e complesso fenomeno rinascimentale, sorto in Italia e diffusosi gradualmente nell'intera Europa, dalla prima metà del sec. XV a tutto il XVI, coinvolgendo vaste sfere del pensiero e dell'attività umana (filosofia, filologia, arte, letteratura, scienze). 2) Per estens., ogni concezione o teoria che esalta i valori umani. 3) Per estens., l'insieme degli studi classici e filologici.990000 120501 cenni storiciL'u. fu preceduto fin dalla seconda metà del sec. XIV da episodi isolati (Petrarca), tra i quali si potrebbero includere il cosiddetto rinascimento carolingio e i "ritorni" del sec. XII, che si sogliono definire col nome di preumanesimo, importanti e originali, certamente fondamentali nell'accelerare il trapasso di tutto un sistema di vita e di pensiero dal Medioevo all'etàmoderna. La ricerca dei testi classici, lo studio del mondo greco-romano, la stessa indagine filologica non costituiscono l'aspetto essenziale dell'u., ma ne sono elementi quasi secondari. L'essenza dell'u. sta nella consapevole scelta di un ideale di vita realmente umana, liberata cioè dal mistico terrore di una religione che molti umanisti sottopongono a una critica serrata, propugnando il ritorno a un sereno paganesimo. Altri invece, se non si rifugiano in un ambiguo ompromesso, anche per il timore di sanzioni ecclesiastiche, tentano di conciliare 'esaltazione della mente umana con l'idea di un Dio che è origine e traguardo ultimo di ogni travaglio dell'uomo (Giannozzo Manetti, Poggio Bracciolini, Tomaso Parentucelli, che sarà papa Niccolò V, Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II, Guarino Guarini, Vittorino da Feltre). L'origine del termine u. è da ricercarsi nella definizione data ai primi del Quattrocento dall'aretino Leonardo Bruni (1370-1444) agli studi letterari ( studia umanitatis), in quanto adatti a formare una completa personalità umana. Del resto, la efinizione, insieme a quella di humanae litterae, proviene dai classici, quegli stessi ai quali gli umanisti si rifacevano, scegliendoli come modelli da imitare. L'u. allargò gli orizzonti aperti dai preumanisti con la scoperta e la diffusione di nuovi codici e di nuovi autori, ma soprattutto con la riscoperta del mondo greco, favorita da alcuni eventi casuali. Nel 1395 era giunto a Venezia da Costantinopoli come ambasciatore lo studioso bizantino Manuele Crisolora, che fu chiamato da Salutati nel 1397 a insegnare il greco nello Studio iorentino. Fondatori del primo cenacolo umanistico di Firenze furono il teologo Luigi Marsili (ca. 1342-1394) e Coluccio Salutati (1331-1406), seguaci di Petrarca. Fu proprio Salutati a enunciare la formula programmatica dell'u. filologico del Quattrocento, quando affermò che la sapienza e l'eloquenza sono le doti precipue dell'uomo e che la poesia è al vertice dell'umano sapere. Partendo da queste premesse, ebbe inizio una minuziosa ricerca dei testi classici, celati in biblioteche private e nei monasteri, dei quali nel Medioevo si aveva soltanto qualche arido elenco, e si intuì l'importanza di un collegamento storico con l'antichità, nel tentativo di cancellare il buio della lunga crisi provocata dalle minazioni barbariche. Importante fu soprattutto la convinzione di molti umanisti che non si dovesse imitare pedissequamente quanto era stato fatto dai classici, ma che si dovessero piuttosto ottenere modelli per creare nuovi valori. Tra i ricercatori e i filologi che si distinsero in quel primo periodo vanno ricordati il siciliano Giovanni Aurispa (1376-1459), Guarino Veronese (1374-1460) e il fiorentino Poggio Bracciolini (1380-1459). L'altro evento che favorì un successivo ampliamento dell'orizzonte umanistico fu il sopraggiungere in Italia di numerosi studiosi greci in occasione del concilio che si svolse a Firenze tra il 1438 e il 1439 per un tentativo di unione con la Chiesa orientale e, in seguito, dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453), l'arrivo di teologi e poligrafi greci che ercavano asilo in Italia: il cardinale Giovanni Bessarione, Teodoro Gaza, Giorgio Gemisto (Pletone), Costantino Lascaris, Demetrio Calcondila, il già citato Crisolora, che divennero maestri della cultura classica ed ellenistica nelle accademie sorte a Firenze e Roma e presso alcune corti italiane dove si manifestava il nuovo fenomeno del mecenatismo, non sempre per puro amore del sapere, ma più spesso per desiderio di prestigio o per creare uno schermo politico capace di attenuare le scontentezze di molti perla perdita delle libertà civili. Il mecenatismo, se da una parte favorì la creazione di opere d'arte di irripetibile splendore, provocò anche il pullulare di opere volte soltanto all'adulazione e destinate quindi a una morte precoce, come avvenne a Firenze coi Medici, a Roma coi diversi pontefici, a Milano coi Visconti e gli Sforza, a Urbino coi Montefeltro, a Napoli con gli Aragonesi, a Mantova con i Gonzaga, a Ferrara con gli Estensi, a Venezia con la Serenissima. Firenze fu il centro maggiore dell'u. ai tempi di Cosimo il Vecchio (1389-1464) e di Lorenzo il Magnifico: Cosimo fondò la prima biblioteca pubblica in Italia (Laurenziana) e preparò il terreno per la stupenda fioritura di artisti e di umanisti che abbellì la signoria di Lorenzo. Marsilio Ficino (1433-1499) fu interprete di Platone e capo ell'accademia che dal filosofo greco prese il nome; Leonardo Bruni si interessò soprattutto delle dottrine filosofiche e politiche di Aristotele e Giovanni Pico della Mirandola cercò di conciliare la dottrina filosofica di Aristotele con quella di Platone. Tuttavia, i filosofi del Quattrocento non si proposero di cercare modelli dogmatici, piuttosto di ottenere un orientamento problematico, sforzandosi di piegare la metafisica degli antichi maestri agli insegnamenti della religione cristiana, intesa adesso come esaltazione dello spirito. Verso la metà del Quattrocento si andò attenuando la ripulsa manifestata da molti contro il volgare e contro le opere di autori come Dante, Petrarca e Boccaccio. Fra i difensori del volgare e di Dante va ricordato Cristoforo Landino (1424-1498); inoltre, nel 1441, Leon Battista Alberti indisse un certame coronario che avrebbe dovuto dimostrare le possibilità letterarie della lingua parlata: il contrasto tra fautori del latino e quelli del volgare si trascinò per tutto il sec. XVI, quando con Pietro Bembo la questione della lingua venne ufficialmente aperta, con la proposta di amalgamare alla vitalità del fiorentino l'imitazione dei classici. È un errore però considerare l'u. un movimento esclusivamente letterario: le opere in latino risentono tutte dell'imitazione (erano stati scelti a modello Cicerone per la prosa, Virgilio per l'epica, Catullo e gli elegiaci per la lirica) e raggiungono quindi nel migliore dei casi una certa perfezione stilistica, in cui consiste un altro dei motivi propri dell'u.: la ricerca formale di contro a quella didascalico-allegorica, quindi ontenutistica, degli autori medievali. Nella sua fase umanistica, il Rinascimento affermò il valore della cultura intesa come impegno a costituire una società di uomini liberi, tesi a difendere i valori mondani: dai primi umanisti, come Salutati, Bruni e Bracciolini, che ricoprirono la carica di cancellieri della Repubblica fiorentina, fino a Machiavelli e a Guicciardini, l'evolversi degli ideali umanistici manifesta chiaramente la ferma volontà degli uomini del Quattrocento e del Cinquecento di stabilire un primato della vita attiva su qualsiasi reliquia di ascetismo medievale, e spesso anche contro il litteratum otium che era stato caro a Petrarca e a Boccaccio. Le stesse iniziative prese da principi e da pontefici ne sono un segno: basta ricordare la fondazione della Biblioteca Vaticana da parte di Niccolò V (1397-1455) e quella dell'Accademia romana da parte di Pomponio Leto (1428-1497) con scopi letterari e archeologici, nello stesso ambiente al quale appartennero Lorenzo Valla (1407-1457) e Flavio Biondo (1392-1463) - l'uno codificatore ella retorica ciceroniana, l'altro iniziatore della storiografia umanistica.Il nuovo mondo orale, spirituale, culturale trionfò nel secolo successivo.@ uomo politico e letterato (Firenze 1514-Venezia 1548). Figlio di ierfrancesco del ramo cadetto dei "Popolani" e di Maria oderini, alla morte dei genitori fu preso sotto la sua protezione dallo zio Clemente VII che lo affidò alla tutela del cardinale Passerini, portandolo poi con sé a Roma. Ivi il M., che sotto le apparenze del giovane solitario e dedito agli studi covava risentimenti e passioni esaltate, improvvisamente compì un gesto clamoroso e gratuito: una notte decapitò le otto statue dei barbari dell'arco di Costantino e quelle delle Muse e di Apollo della basilica di S. Paolo. Espulso da Roma, si recò a Firenze, diventando intimo amico per scelleratezze del cugino Alessandro, duca di Firenze dal 1532. Questo non gli impedì però di tenere segreti legami con i fuorusciti repubblicani, finché il matrimonio che il duca contrasse nel 1536 con Margherita d'Austria non fece precipitare la situazione: la prospettiva che egli potesse avere discendenti, che gli avrebbero ostacolato l'ascesa al ducato, spinse Lorenzo al delitto. Attirato Alessandro in una casa solitariacol pretesto di un convegno amoroso, lo uccise il 6 gennaio 1537. Compiuta l'impresa non seppe però né rivendicare il ducato, né proclamare la repubblica: fuggì a Bologna, poi a Venezia, vagabondò in Francia e in Turchia, infine si stabilì a Venezia e ivi, benché cercasse di tenersi il più possibile nascosto, il 26 febbraio 1548 fu raggiunto e ucciso da un sicario di Cosimo I. §Diede al teatro una commedia, l' Aridosia (1536), dove l'ispirazione classica è arricchita da elementirealistici e da un linguaggio vivace. Scrisse anche versi, lettere e un' Apologia (1539), sobria ed eloquente, con cui volle dimostrare la necessità del tirannicidio da lui compiuto. Alla sua figura hanno dedicato drammi A. De Musset ( Lorenzaccio) e Sem Benelli ( La maschera di Bruto, 1908).@ umanista italiano (Terranova, Valdarno, 1380-Firenze 1459). Di famiglia povera, venne a Firenze, dove fu avviato alle lettere da Coluccio Salutati, che lo introdusse, in qualità di scrittore apostolico, presso la curia romana. Nel 1414 seguì l'antipapa Giovanni XXIII al Concilio di Costanza e assistette al supplizio di Girolamo da Praga, di cui diede notizia in una celebre lettera. Nel 1418 si recò in Inghilterra presso il cardinale Enrico di Beaufort. Riottenuto, nel 1423, l'ambito ufficio di segretario apostolico, visse a Roma fino al 1453, quando, più che settantenne, fu chiamato alla Cancelleria della Repubblica di Firenze. Fu sepolto in Santa Croce. Raffinato umanista e filologo - fu uno dei fondatori della nuova scienza filologica in cui si esprimeva il fervore culturale e lo spirito critico propri dell'Umanesimo -, profondo conoscitore dell'antichità classica, dedito a ricerche archeologiche, portò alla luce numerosi monumenti della letteratura latina durante i suoi viaggi in Francia e in Germania. Nell'abbazia di Cluny scoprì due orazioni sconosciute di Cicerone, nel monastero di San Gallo presso Costanza un esemplare completo della Institutio oratoria di Quintiliano, altre orazioni ciceroniane, i primi tre libri e mezzo degli Argonautica di Valerio Flacco. Portò alla luce nel 1417, tra l'altro, le Selve di Stazio e le Puniche di Silio Italico. In un viaggio successivo trovò la Storia di Ammiano Marcellino e il De Rerum natura di Lucrezio. Il meglio di B. non è da ricercare negli otto libri dell' Historia Florentina (1445), dove prevale la fredda imitazione di Livio, ma nell'epistolario, il più bello dell'etàumanistica; nei quattro libri del De varietate fortunae(1431-48); nei dialoghi filosofici, come il De avaritia(1429), paradossale difesa dell'avarizia, il De nobilitate liber(1440) e il De infelicitate principum(1440), nei quali i diritti dell'intelligenza sono polemicamente rivendicati contro i pregiudizi dei nobili e l'ottusità dei potenti, e soprattutto nel Liber facetiarum(1438-52). In questa vivacissima raccolta di aneddoti, di burle, di motti di spirito si rivela appieno lo spirito beffardamente caustico di B. che, raccogliendo le maldicenze udite negli ambienti curiali, ci lasciò la migliore testimonianza della vita libera e spregiudicata delle corti quattrocentesche.@ umanista italiano (Roma 1405 o 1407-1457). Studiò nell'ambiente umanistico di Roma e si trasferì poi a Pavia (1431) come maestro di eloquenza. Qui scrisse il De voluptate(poi rielaborato), che cerca di conciliare l'etica cristiana con la naturale tendenza al piacere. Nel 1433 un libello di V. contro l'ignoranza dei giuristi contemporanei ( De insigniis et armis) lo costrinse a trasferirsi prima a Milano, poi (1435) a Napoli, presso la corte di Alfonso d'Aragona. Qui scrisse alcune delle sue opere più apertamente anticuriali: il dialogo De libero arbitrio(1439), dove polemizza vivacemente contro la tradizione scolastica e l'aristotelismo tomistico; l'opuscolo De falso credita et ementita Constantini donatione(1440), dove dimostra falso il documento della donazione di Costantino a papa Silvestro; il De professione religiosorum(1442), dove è rimesso in discussione il valore dei voti monastici. Un'opera su commissione sono gli Historiarum Ferdinandi regis Aragoniae libri tres, la cui mediocrità è riscattata dall'esaltazione della storiografia come la più completa attività dell'uomo. Chiamato a Roma (1448) come scrittore apostolico, dopo l'elezione di Niccolò V, V. compose le Adnotationes in Novum Testamentum(1449), applicazione al testo evangelico degli agguerriti strumenti della nuova filologia, e pubblicò il suo capolavoro, le Elegantiarum latinae linguae libri VI, organica trattazione degli aspetti grammaticali, lessicali, sintattichestilistici del latino, ricondotto al modello ciceroniano contro le deformazioni della "barbarie" medievale.

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