Umanesimo e Rinascimento

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Testo

UMANESIMO e RINASCIMENTO

Introduzione all’Umanesimo
Questo periodo va simbolicamente da Petrarca (suo primo esponente) fino a Lorenzo il Magnifico. C’è una nuova mentalità: vi è un grande interesse per l’uomo e si contrappongono i classici latini e greci al medioevo in modo molto esagerato; si arriva al fanatismo in quanto gli stessi classici vengono “divinizzati”. La maggior parte degli storici di oggi affermano che l’Umanesimo è un proseguimento del Medioevo, ma ne diventa rottura per volontà degli stessi umanisti, soprattutto politicamente con la crisi di Chiesa e Impero e con l’affermazione degli Stati Nazionali come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, il Portogallo (il culmine della rottura con il Medioevo). Tutto ciò porta all’ascesa della classe borghese-imprenditoriale ai danni dell’aristocrazia e del clero favorita notevolmente dalla scoperta dell’America. Prevale l’interesse per la filosofia e per la natura con un certo abbandono della teologia, l’interesse si sposta verso l’uomo anche in ambito artistico. Si perde principalmente il senso gerarchico del cosmo. Si parla di un uomo divinizzato che cerca in tutti i modi di dominare la natura in 2 vie:
➢ Esoterica, gnostica, magica.
➢ Naturalistico-scientifica → Rivoluzione Scientifica (soprattutto per le scoperte. La stessa rivoluzione è anche mentale: non bisogna più studiare le materie umanistiche ma quelle scientifiche. Tra i maggiori esponenti troviamo: Copernico, Newton, Galileo Galilei).
La vera filosofia cristiana finisce con la “Scolastica” e il suo ultimo esponente fu Scoto. Nel 300-400, alcuni autori laici ed ecclesiastici danno vita ad una nuova filosofia, laica, anti-cristiana. Questo tipo di filosofia non rinnega del tutto Dio ma è centrata principalmente sull’uomo e sulla natura e si rifà al “Platonismo” e all’ “Aristotelismo”. Più precisamente i primi esponenti, seguendo in modo esagerato Platone, tendono maggiormente all’esoterismo e alla gnosi, i secondi, seguendo in maniera esaltata Aristotele, tendono soprattutto al naturalismo, allo scetticismo e quindi all’ateismo. Abbiamo gli ultimi avanzi dei due più grandi filosofi di nuovo decristianizzati, si prende in esame proprio il peggio dei due. Tra i neo-platonici ricordiamo Marsiglio Ficino, Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam, Niccolò Cusano, tra i neo-aristotelici troviamo Pietro Pomponazzi.

MARSIGLIO FICINO
Nasce nel 1433 e muore nel 1499. Vive a Firenze e fu un grande personaggio sotto Cosimo il vecchio e poi sotto Lorenzo il Magnifico, diventando suo maestro. Il primo lo fece studiare e gli diede denaro per fondare la prima e famosa “Accademia Platonica” (1460). Ciò significa ricominciare il paganesimo “estinto” con Giustiniano nel 1529. Lo scopo era certamente quello di distruggere il Cristianesimo e la Chiesa Cattolica. La sua opera più importante è la “Theologia Platonica de Immortalitate Animorum” dove riprende il “Timeo” e le “Enneadi” di Plotino, affermando che tutti i grandi filosofi e personaggi della storia (Zaratustra, Mosè, Agostino, Confucio e anche Gesù) sono dei portavoce di Dio che egli ha scelto per parlare agli uomini; essi hanno detto in maniera diversa le stesse cose; quindi c’è una sola religione: la “Docta religio”o “Pia Filosofia” ed è universale per tutti. L’uomo, per lui, può cogliere Dio solo con l’amore e l’estasi che si ottiene tramite la magia e la conoscenza della Cabala. L’uomo, essendo microcosmo, ha in sé il cosmo che può essere dominato da lui stesso.

PICO DELLA MIRANDOLA
Nasce nel 1463 e muore nel 1494. Fu scomunicato essendo uno stregone, gnostico e cabalista. Studia le tematiche gnostiche – cabalistiche approfondendo Platone e Averroè. Scrive un’orazione: “De hominis dignitate” nella quale afferma la natura perfetta dell’uomo, della sua centralità e dignità. L’opera è considerata un manifesto del Rinascimento anti-cattolico. Può essere identificato come una sorte di pre-illuminista. Infine difende il libero arbitrio e condanna l’astrologia, distaccandosi da Ficino.

ORATIO DE HOMINIS DIGNITATE
Pico della Mirandola, indubbiamente uno degli ingegni più vivaci dell' Accademia platonica, dotato di una cultura immensa e disordinata e di una memoria divenuta proverbiale, riecheggia nell' orazione "de hominis dignitate" gli argomenti già in parte trattati dall' umanista Giannozzo Manetti, tuttavia con quella consapevolezza di natura teoretica che difettava nello scrittore precedente. Pico esalta l' uomo per una delle sue caratteristiche specifiche, il libero arbitrio, la libertà di innalzarsi sino a Dio oppure discendere sino ai bruti. Tale libertà gli é assicurata dal fatto che il Creatore provvide all' uomo sul finire dell' opera creativa, e lo pose perciò nel "centro indistinto" dell' universo, unico essere a cui fosse concesse di determinare da se stesso il proprio destino. Pare opportuno osservare che osservazioni come quelle dell' Oratio de hominis dignitate, sebbene ispirate ad una religiosità piuttosto astratta e generica, tale che permette la citazione così della Bibbia, come del Timeo e del Corano, non potevano neppure immaginarsi senza l' esperienza cristiana. Certe concise e solenni affermazioni degli umanisti sono incomprensibili senza la parola nuova del Vangelo: l' esaltazione dell' uomo é troppo più alta di quello che fosse possibile ai pagani. Interessante é l' epiteto che Pico attribuisce a Dio, chiamandolo "architectus", che risulta molto simile a quello usato da Platone a riguardo dal Demiurgo, "che sempre geometrizza" . L' uomo non é stato fatto né mortale né immortale, né celeste né terreno perché lui stesso possa scegliere la forma che gli é più cara, quasi come se “libero e sovrano artefice” del suo destino. Non sarebbe stato degno di Dio all' ultimo del generare, quasi per esaurimento venir meno: e così egli diede il meglio di sé creando l' uomo, decidendo che a lui non poteva essere dato nulla di proprio e che quindi gli fosse comune tutto ciò che alle singole creature era stato dato di particolare.

ERASMO DA ROTTERDAM
Nasce nel 1466, muore a Basilea nel 1536. Va contro la Chiesa cattolica medievale ed esalta il libero arbitrio e la libertà umana (considerata “libero esame”). Vuole tornare al Cristianesimo primitivo, elogiando la povertà evangelica della Chiesa che, secondo lui, deve lasciare tutte le sue ricchezze. Non diventerà mai un vero protestante, in quanto Lutero parlava di “servo arbitrio” mentre lui affermava il contrario. Fu fatto anche cardinale.

PIETRO POMPONAZZI
Nasce nel 1462 e muore nel 1524. Docente di filosofia a Bologna, Padova e Ferrara, durante la sua vita combatté sempre la Chiesa e il pensiero cattolico. Naturalista e ateo, si rifà all’Averroismo latino. Scrive 3 opere importanti:
1) “De immortalitate animae” = Nega l’immortalità dell’anima perché materiale e mortale come il corpo. L’anima “odorat” solo l’immortalità ma non è immortale.
2) “De Incantationibus” = Spiega come sono possibili i miracoli con delle influenze astrali che di cielo in cielo arrivano nel mondo e ispirano un uomo che acquista grandi poteri (praticamente nega Gesù).
3) “De fato” = Afferma che se gli astri ci influenzano noi non siamo liberi e quindi il libero arbitrio non esiste.

GLI ASTRI SULL’UOMO
Se tutti gli eventi del mondo, comprese le azioni umane, sono deterministicamente regolati da un piano che li trascende (gli astri), resta da chiarire quale spazio rimanga alla libertà dell' uomo. Pomponazzi risolve questo problema ricorrendo all' argomentazione, mutuata dalla tradizione stoica, che sostituisce su questo punto il suo costante riferimento all' aristotelismo, secondo cui il libero arbitrio si identifica con la spontanea partecipazione all' ordine prestabilito: la libertà può pertanto coesistere con la provvidenza divina, concepita come ordine razionale che governa il mondo e quindi, in termini stoici, come fato. Tutto questo significa che al determinismo astrologico non sono soggetti soltanto i fenomeni naturali, ma anche le azioni umane: nel pensiero di Pomponazzi il "fato", che pure può identificarsi con la provvidenza di Dio, sembra prevalere sul libero arbitrio dell'uomo, il quale nella sua limitatezza può anche scambiare per ingiustizia la giustizia intrinseca che, in modo apparentemente paradossale, regna nel mondo. Gli astri sono strumento di Dio e non mentono: tutto è prevedibile e spiegabile.

GLI ASTRI SUI FENOMENI NATURALI
Secondo Pomponazzi ogni accadimento dipende dall'ordine naturale. Tutti i fenomeni sono infatti determinati necessariamente dalle congiunzioni e dai movimenti degli astri, dei quali Dio si serve come di strumenti intermedi per esercitare la propria azione sul mondo. Nell' universo esiste dunque un ordine regolare, perché regolari sono i moti astrali: l'astrologia é così legittimata come strumento di indagine (e insieme come testimonianza) dell'ordine naturale e razionale che regna nel mondo. Di conseguenza non c'é alcun bisogno di ricorrere all'intervento di entità soprannaturali (quali i dèmoni) per spiegare ciò che agli ignoranti appare come un prodigio. La "prodigiosità" di alcuni fenomeni consiste solamente nel fatto che talvolta queste congiunzioni si ripetono a intervalli molto lunghi, rendendo il fenomeno particolarmente raro, inconsueto e, quindi, apparentemente prodigioso.
Pomponazzi morirà suicida.

NATURALISMO ITALIANO
Aspetto fondamentale del Rinascimento italiano è la diffusione delle idee naturalistiche. Fra i più importanti esponenti troviamo i calabresi Bernardino Telesio e Tommaso Campanella, e Giordano Bruno (di Nola).

BERNARDINO TELESIO
Nasce nel 1509 e muore nel 1588. La sua opera più famosa fu il “De rerum natura iuxta propria principia” (1586), dove afferma che tutto ciò che esiste è materia, mossa da 2 forze che la dilatano e la restringono provocando il divenire delle cose: il caldo e il freddo. Si rifà all’“Ilozoismo” e parla di “Panpsichismo” (tutto ha un’anima e la materia ha un’anima nel sensibile). Afferma che il contatto con le cose provoca dolore o piacere. La felicità e la virtù consistono solamente nel trovare piacere.

GIORDANO BRUNO
Nasce nel 1548 a Nola e muore bruciato a Roma (Campo de fiori) nel 1600. E’ considerato un idolo delle forze anti-cattoliche, con lui muore tutto l’Umanesimo o Rinascimento (quindi un’intera era).
San Roberto Bellardino (gesuita e dottore della chiesa) ha cercato di salvarlo nel suo processo durato 8 anni. Disse, nel pieno della Controriforma, che il mondo è Dio. A 18 anni viene fatto domenicano e nel 76 viene espulso per eresia. Girerà per l’Europa fermandosi a Ginevra (città prettamente calvinista), con il rischio di essere bruciato. Ma riuscì abilmente a scappare quando Calvino lo volle uccidere e si rifugiò a Venezia che nel 92 lo consegna alla Santa Inquisizione. San Roberto Bellarmino avrebbe salvato Giordano Bruno se questo non avesse avuto idee panteiste. Infatti affermò che Dio è il mondo e che l’universo è infinito come Dio, ed è Dio (assoluta antitesi con la Chiesa). Si rifà all’Ermetismo (da Ermete Trimegisto), al platonismo gnostico. Tra le accuse vi erano spiritismo, magia nera e forse aperto satanismo. Disse di essere riuscito a “rompere le catene ed aprire gli occhi all’uomo”. Per lui l’uomo tramite la ragione abbatte la superstizione della religione, e tramite la magia arriva a dominare la natura e il mondo. E’ il simbolo della lotta contro la religione, il dogmatismo. Giordano Bruno ha un monumento innalzato dalla massoneria. Vi è uno storico d’oggi che riprende molto il filosofo, Giordano Bruno Guerri, che ha scritto tutti libri contro il cattolicesimo, offendendo anche Santa Maria Goretti.
Bruno cerca di spiegare che rapporto c'é tra universo e Dio: si serve dell' esempio della statua, già usato da Aristotele. Il rapporto tra Dio e il mondo é lo stesso rapporto che c'é tra lo scultore e la statua : se io guardo la statua, essendo essa effetto dello scultore, io conoscendo la statua conosco in qualche misura anche lo scultore; ma non lo conosco totalmente perché nella statua ci mette una parte di sé, non tutto se stesso: rimane una parte che é inconoscibile. Bruno fa anche una distinzione tecnica tra due parole, nella sua opera " Della causa principio ed uno " . C'é differenza tra dire causa e dire principio: causa é quando qualcosa produce restando fuori dalla cosa prodotta ("ciò che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l'essere fuor de la composizione"), principio é quando qualcosa é parte di ciò che ha prodotto ("ciò che intrinsecamente concorre alla costituzione della cosa e rimane nell'effetto"): per esempio nelle famose quattro cause di Aristotele, la causa materiale e quella formale sono principi perché generano la cosa e ne fanno parte; quella efficiente no perché sta fuori dalla cosa prodotta. Lo scultore in questo senso é causa e principio contemporaneamente perché agisce dall' esterno, ma qualcosa di sé all' interno della statua lo lascia. Lo stesso discorso vale per il rapporto Dio - mondo: il mondo é l' effetto di Dio. Dio ha prodotto nel mondo e in qualche modo é quindi presente nel mondo , nulla impedisce tuttavia di pensare che Dio non si sia "esaurito" nel creare il mondo: mantiene una sottile distinzione Dio-mondo. Il mondo é sì un' estrinsecazione di Dio, ma ciò non significa che Dio sia tutto solo nel mondo. Però Bruno faceva questa aggiunta: come filosofo posso conoscere solo ciò che Dio ha messo di sé nel mondo: nel mondo colgo la presenza di Dio. Non posso però, come per la statua, conoscere tutto Dio, posso conoscere come Dio si é espresso nell' universo. Non posso conoscere Dio in sé, ma posso conoscerlo come presente nel mondo: si parla di "Deus super omnia" e "Deus insitus omnibus": l' idea di un Dio che sta sopra all' universo ma che vi sta anche dentro. Allora Bruno diceva che quello che é Deus super omnia l' uomo non può conoscerlo (a meno che Dio non glielo voglia far sapere tramite verità rivelate, alle quali peraltro Bruno non pare dare molto peso); come filosofo posso conoscere Dio solo nella misura in cui si é calato nell' universo: questo consente a Bruno di poter dire che non si può parlare del Dio che non si é calato nell' universo: non può (perché la ragione non può arrivare a tanto) e non vuole (perché non nutre interesse per la questione). Bruno ammette che Dio esista come super omnia, ma fino a che punto il suo discorso era sincero? Probabilmente era solo una scusa quella che il Dio super omnia non lo si può conoscere e quindi non se ne può parlare perchè forse Bruno credeva solo in quello insitus omnibus.

TOMMASO CAMPANELLA
E’ uno dei primi personaggi che ci inoltra nel 600. Nasce nel 1568 e muore nel 1639. Fu un domenicano ma cacciato perché mezzo eretico. Da un lato comunista-eretico, dall’altro quasi cattolico-reazionario. Viene condannato per 27 anni in carcere e verso gli ultimi anni della sua vita si rifugia da Luigi XIII dove viene protetto e scrive le sue ultime opere. Aderisce alle teorie naturalistiche di Telesio affermando che ogni conoscenza deriva dai sensi che colgono solamente l’apparenza delle cose, invece, per cogliere l’essenza, è necessaria la magia (neo-platonico in parte). Ha una visione panteista dell’universo e tutto ha una sua vitalità, perfino la materia. Afferma che Dio esiste e si divide in 3 elementi (chiamati proprincipi):
➢ Potenza → “Pon”
➢ Sapienza → “Sin”
➢ Amore → “Mor”
Ogni cosa che esiste ha in maniera relativa queste facoltà. L’uomo è potente e impotente, sapiente ed insipiente, amore e odio allo stesso tempo. Solo in Dio queste facoltà sono assolute, perfette. Riguardo la visione politica scrive 2 opere:
1) “La monarchia di Spagna”: Afferma che ci deve essere un impero cattolico universale in tutto il mondo, con tutti i principi che formano il senato. Il capo del senato è l’imperatore, il capo dell’impero è il Papa.
2) “La città del sole”: Opera utopica, si rifà a Platone. Afferma che bisogna vivere in una repubblica allo stato naturale senza proprietà privata. Il raccolto e le donne devono essere in comune. C’è un potere centrale che stabilisce quanti figli vanno fatti e da chi. Bisogna abolire anche il matrimonio.
La religione deve essere naturale: c’è un Dio ed esiste l’immortalità dell’anima. Questo Dio è rappresentato da un sacerdote (Re metafisico) e da 3 suoi “aiutanti” “Pon”, “Sin”, “Mor”. Con lui finisce il naturalismo italiano.

Il pensiero di Campanella ha in comune con quello di Telesio il principio della consapevolezza del proprio sentire. In Campanella tuttavia, questo assunto si trasforma, con più forza e più esplicitamente che in Telesio, nel principio dell'universale animazione della natura. Il mondo naturale appare come permeato da una forza di attrazione che induce tutti i corpi a ricercare il contatto vicendevole e a godere di esso, in modo da riempire ogni porzione dello spazio ed eliminare il vuoto. Gli esseri si trovano pertanto in un rapporto di universale interazione reciproca: studiando tale connessione e le proprietà naturali degli enti, che da essa conseguono, l'uomo può intervenire sulla natura per mezzo della magia - tema assente in Telesio - la quale trova quindi una piena legittimazione come strumento di indagine e di operatività. La nozione di una universale interazione delle cose implica immediatamente il principio dell' unità della natura, comprovato del resto dal fatto che da Dio, che è assoluta unità, non può derivare nulla di sostanzialmente molteplice. Di conseguenza , la molteplicità é mera apparenza : la differenziazione dei singoli esseri finiti non si fonda su una distinzione reale e metafisica, ma soltanto sulla loro distinguibilità logica e formale. Essendo se stessa, ogni cosa si differenzia dalle altre, non é le altre: in questo senso essa contiene il non essere, il nulla. Ma tale non essere, e la molteplicità che su di esso si fonda, é un' astrazione che può essere colta solo dalla ragione e non tocca la sostanza del mondo, che é e che non può che essere unica e unitaria.
Ciascuna delle tre primalità (“Pon”, “Sin”, “Mor”) può esplicare se stessa solo in virtù di un originario riferimento al soggetto. Così la prima primalità é potenza di agire e di patire soltanto in quanto é potenza di essere un soggetto che agisce e che patisce. La primalità dell' amore induce gli enti a permanere nel loro stato, in quanto ciascuno di essi ama il proprio essere (come oggetto) e fonda su ciò il proprio rapporto con gli oggetti esterni: amiamo il cibo che ci nutre in quanto amiamo noi stessi nutriti; amiamo la luce che ci illumina in quanto amiamo noi stessi illuminati. La primalità della sapienza, a sua volta, é conoscenza della realtà in quanto é primariamente conoscenza di sè e solo conseguentemente conoscenza delle modificazioni che gli oggetti esterni imprimono sul soggetto: non si conoscono direttamente le cose, ma si conosce se stessi modificati dalle cose. La relazione tra il soggetto conoscente e l' oggetto conosciuto si fonda su un originario rapporto del soggetto con se stesso. Campanella distingue dunque una forma di conoscenza illata, cioè proveniente dall' esterno, e una forma di conoscenza innata, consistente appunto nella originaria consapevolezza che il soggetto ha di se stesso. Senza questo originario e preliminare sapere di sè (scire sui) non sarebbe infatti possibile alcuna consapevolezza del mutamento indotto nel soggetto dall' azione degli oggetti esterni e, quindi, neppure alcuna conoscenza di questi ultimi. Il conoscere implica un parziale permanere nel proprio stato originale e un parziale mutarsi. Esso significa, in certa misura, "divenire altro", cioè morire in parte a se stessi.
La conoscenza, come trasmutazione della natura del conoscibile, é una perdita parziale di essere, un aspetto del continuo divenire proprio della caducità degli enti creati. Per ciò stesso, tuttavia, essa fornisce un accesso alla vita eterna quando come oggetto conoscibile si ponga la divinità: in questo caso il risolversi nell' oggetto conoscibile implica una trasmutazione della natura divina. Anche nella dottrina della conoscenza, quindi, Campanella conferma la profonda religiosità del proprio pensiero. Il mondo della natura viene da Campanella investito di sacralità. Esso é per un verso un libro scritto dalla mano di Dio e per altro verso il tempio vivente di Dio stesso. L' aspetto della vitalità é ciò che maggiormente conta agli occhi di Campanella , che in esso pone le basi di una rinnovata formazione religiosa e intellettuale dell' uomo. Il libro del mondo rappresenta il testo originale al quale rivolgersi, perché sommo é il suo autore, mentre i libri dei filosofi ne sono solamente trascrizioni, che in quanto tali sono intaccate da molteplici errori. Campanella si pone dunque in aperta polemica con la cultura libresca, nei confronti della quale l' appello alla natura riveste la funzione di un richiamo all' importanza dell' esperienza diretta. La pur stimabile figura di Pico della Mirandola rappresenta l' archetipo dell' intellettuale da biblioteca, nutrito di libri, ma soltanto di quelli. Dal canto suo, Campanella dichiara di aver imparato dall' "anatomia" , cioè dall' investigazione diretta, di un filo d' erba o di una formica più di quanto avrebbe potuto imparare da tutti i libri letti da Pico della Mirandola.

TOMMASO MORO
Nasce a Londra nel 1480, muore nel 1535. Stette alla corte di Enrico VIII e fu anche suo primo ministro. Gnostico come Erasmo da Rotterdam (suo amico), fu anche mistico, cabalista (quasi per moda) e grande umanista. Riprese Campanella nella “Città del Sole” e scrisse “Utopia” (1516, nessun luogo) imitando Platone. Immagina un’isola dove non c’è proprietà privata e ogni famiglia vive di agricoltura con piccoli scambi, prende da dei “silos” quanto gli basta per nutrirsi e per vivere. La religione è un culto in Dio e nell’immortalità dell’anima, ma non esiste un vero e proprio culto pubblico. Afferma che nell’aldilà ci sarà un premio o un castigo e l’ateo non è tollerato perché si dirige contro il bene dello stato. Non segue Enrico VIII nell’Atto di Supremazia perché non voleva morire eretico e andare contro Roma, perciò Enrico VIII prima lo minaccia, lo destituisce, poi lo allontana, lo arresta, lo tortura, in seguito organizzerà un processo falso e infine, per sua insistenza, lo fece uccidere. Comunque morì affermando la sua fedeltà a Roma e al Cattolicesimo. Fu fatto santo in quanto il martirio porta al paradiso.

NICCOLO’ CUSANO
Di Ques, tedesco, in seguito latinizzato Cusano. Nasce nel 1401, vive in pieno Umanesimo, muore nel 1464. Diventa sacerdote e cardinale ma è quasi totalmente eretico e anche gnostico.
➢ “De docta ignorantia” o “Apologia doctae ignorantiae”, opera importante.
➢ l’ “Idiota”: conseguenza della prima opera.
➢ “De pace fidei”, sua ultima opera, quella più significativa.
Nel “De docta ignorantia” o “Apologia doctae ignorantiae” afferma e esalta la “dotta ignoranza”, il suo ragionamento era: noi conosciamo sempre tramite paragoni, esprimere un giudizio significa fare paragoni diretti o indiretti. Ogni mio giudizio è sempre rapportato a qualcos’altro.

CONOSCENZA = GIUDICARE → COMAPARAZIONE e DEFINIZIONE

Se io dico che una cosa è bella, è perché ho rapportato a questa cosa molte altre cose. La comparazione è però sempre possibile tra 2 elementi finiti: esiste, necessariamente, un‘entità che non è finita ma infinita ed incomparabile = Infinito = Dio che, essendo infinito, non si può conoscere e non può essere comparato ad altro. Riguardo l’infinito non si può dire nulla (teologia negativa = non conoscere, non spiegare). Famosa la sua frase: “Non c’è rapporto proporzionale tra finito e infinito” nella quale è chiara una critica fideistica a San Tommaso. Afferma che l’infinito è assoluto, non ha nulla fuori di sé altrimenti sarebbe limitato, finito, però l’infinito in quanto è negazione del finito, è aldilà di tutti i limiti o confini; cioè è all’aldilà degli opposti (essi sono uno limite all’altro). Continua affermando che gli opposti si risolvono tutti nell’infinito:“Coincidentia oppositorum” (perfino il bene e il male si risolvono nell’infinito → bene e male in Dio = Gnosi). Così Dio sarà anche all’aldilà della distinzione atto-potenza. Cusano poi fa un attacco micidiale ad Aristotele, contrastando e svalutando uno dei 3 principi della logica aristotelica. “A non può essere non A” questo è il principio di non contraddizione, per Cusano invece in Dio “A può essere non A”, dicendo ciò fa crollare il principio su cui si basa tutto l’occidente e sostiene che Dio può avere entrambi gli opposti. 2+2 fa 4, ma in Dio può fare anche 5 → Gnosi = Dio può avere quanto il vero, tanto il falso, quanto il bene, tanto il male e cioè è aldilà del principio di non contraddizione. Perciò ritiene, in generale, che gli uomini non debbano pronunciarsi mai (atteggiamento simile all’Afasia scettica), oppure se si pronunciano devono affermare e negare una cosa allo stesso tempo. La nostra sapienza è sapere di non sapere (riprende Socrate), la conoscenza consiste nell’ “Intelligere Incromprensibiliter” (capire incomprensibilmente, cioè capire e non capire allo stesso momento =”Docta ignorantia”). Il vero sapiente è così l’“Idiota”, è colui che sa di non sapere → Scetticismo di ogni forma di conoscenza, è la completa antitesi di Tommaso. Bisogna andare avanti per congetture, ipotesi non per certezze, poi se si riesce a dominare o vincere bene, altrimenti è uguale. Per dimostrare il tutto realizza degli esempi di matematica, svelando come gli opposti coincidano.

E’ logico che in geometria una retta e una curva siano opposti, ma questo è illusorio perché se apriamo o rettifichiamo la curva, questa diventa una retta che coincide con l’altra.
All’infinito tutto coincide con il tutto, finito e infinito coincidono.

Curva e tangente = cose finite = male.
Retta = cosa infinita = bene.
Dice anche che il più grande e il più piccolo, all’infinito, coincidono.
In seguito si pone il problema di come spiegare il rapporto Dio-mondo. Se, come abbiamo già detto, in Dio abbiamo la “coincidentia oppositorum”, come spiegare il rapporto finito-infinito? Come un punto di luce contiene infiniti raggi, così come l’unità contiene la molteplicità (non c’è 2 senza 3), Dio è l’Uno contiene la molteplicità delle cose = il mondo. Il punto di unione tra finito e infinito è Gesù Cristo che è vero Dio e vero uomo (cioè ha due nature). Conclude col dire che il mondo (o universo) è quindi infinito. Cusano è certamente gnostico. L’ultima sua opera, quella forse più significativa è il “De pace fidei”. Siamo, come già detto, nel XV secolo, e lui immagina 17 saggi di 17 religioni del mondo che discutono difendendo ognuno la propria religione. Continuando la discussione i 17 saggi si accorgono di avere le stesse idee e di credere allo stesso Dio in maniera diversa. Quindi perché bisogna essere in contrasto, se ognuno ama e crede nello stesso Dio a modo suo? Quest’opera è considerata la prima della storia umana sull’ecumenismo (fusione delle religioni → tolleranza religiosa).

Il concetto di dotta ignoranza, vuol proprio sottolineare l'inattingibilità da parte dell' uomo dell' assoluto: il rapporto tra la nostra conoscenza e Dio (l' assoluto) é lo stesso che si instaura tra un poligono inscritto e la circonferenza alla quale é inscritto: il poligono e la circonferenza, per definizione, non saranno mai uguali tuttavia man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina sempre di più alla circonferenza; così l' uomo può avvicinarsi sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente. Questo modo di pensare é già sotteso alla tolleranza di Cusano: pur convinto che il cristianesimo di tutte e tre sia la religione migliore, Cusano sostiene che nessun punto di vista potrà mai esaurire l' essenza di Dio e darne un' immagine giusta: la pluralità delle fedi aumenta la conoscibilità di Dio, quasi come se moltiplicasse i lati del poligono. Certo, se ci fosse una religione che da sola cogliesse l' intera essenza di Dio allora le altre sarebbero erronee e da scartare, ma visto che non é così allora la pluralità delle fedi, ossia i più punti di vista che si hanno di Dio, diventano una ricchezza: é come se si moltiplicassero i lati del poligono, ci si avvicina sempre di più a Dio. Di fatto, secondo Cusano, l'essenza di Dio, nella sua inesauribilità e ineffabilità (riprendendo Plotino) potrebbe essere colta solo se Dio fosse visto da un' infinità di punti di vista, cosa che però é inattuabile. Cusano non usa questa metafora , ma tuttavia é come se vedesse Dio sotto forma di sfera: da qualsiasi punto di vista la osserviamo abbiamo una corretta visuale, ma non completa; se siamo già in due e sommiamo le nostre visuali, che sono entrambe corrette, la visuale complessiva risulterà maggiore; se ipoteticamente potessimo moltiplicare all' infinito i punti di vista, come detto, avremmo una visuale completa di Dio: quindi, quante più religioni ci sono, tanti più punti di vista su Dio (tutti corretti) si hanno. Dio stesso, dice Cusano, appare all'uomo a seconda di come l' uomo lo guarda: appare adirato all' uomo che lo guarda adirato, appare benevolo all' uomo che lo guarda benevolo. L' idea di tolleranza non é solo un' idea di tolleranza religiosa, ossia un puro e semplice "buonismo" , ma dipende dallo stesso impianto generale della filosofia di Cusano. Un discorso analogo vale per le tesi con cui difende, prima, il conciliarismo e con cui lo attacca, dopo. La distinzione che Cusano effettua in primo luogo é tra presiedere il concilio e presiedere nel concilio; il papa non presiede il concilio, ma nel concilio, il che é ben diverso; per arrivare a questa conclusione Cusano si serve delle parole di Cristo in persona, rivolte ai discepoli: "ogni volta che vi ritrovate in nome mio , io sono lì presente" . Quindi il concilio, ossia l' assemblea di tutti i fedeli, quando si riunisce in nome di Dio , é come se fosse presieduto da Dio stesso; e il papa quindi che funzione ha? Secondo Cusano egli presiede nel consiglio, ha cioè un ruolo di coordinamento, di dare attuazione alle delibere, di "primus inter pares" , ma non ha assolutamente funzione di comando. Filosoficamente più interessante é l' argomentazione di cui Cusano si serve per dimostrare contro il conciliarismo: il papa compendia la Chiesa; con il papa é come se fosse lì presente tutta la Chiesa riunita in un punto solo. Cusano parla di Chiesa "complicata" nel papa, ossia "piegata insieme" quasi come un foglio accartocciato. La Chiesa, invece, é la sua esplicazione, ossia, riprendendo l' immagine del foglio accartocciato, essa é il foglio che si apre dopo essere stato accartocciato. Quest' idea deriva a Cusano da Platone e dai neoplatonici: vi é rapporto tra il Bene in sé e le cose che da lui derivano: la Chiesa altro non é che lo "sviluppo" del foglio di carta accartocciato, ossia del papa. Questo rapporto di complicazione (papa) - esplicazione (Chiesa) non va tanto letto in chiave aristotelica, quanto piuttosto in chiave platonica: infatti Cusano in un certo senso prende da Aristotele i concetti di potenza (il papa , la complicazione) e atto (la Chiesa, l' esplicazione), però per lui l' atto non é superiore alla potenza, ma, viceversa, la potenza (il papa) é superiore all' atto (la Chiesa) , riprendendo evidentemente il rapporto platonico tra Bene e realtà: il Bene in Platone era una complicazione della realtà, per dirla alla Cusano, però si trovava ad un livello decisamente superiore ad essa. Il papa risulta quindi essere superiore alla Chiesa e, di conseguenza, anche al concilio. Esaminiamo ora gli aspetti più metafisico-teologici di Cusano: il testo più importante e dove meglio emerge l' intera sua filosofia é la Dotta ignoranza, concetto che dice aver avuto nel viaggio di ritorno dall' Oriente; dice esplicitamente che questo concetto non é propriamente suo, ma che l' ha elaborato e ripreso da altri filosofi più antichi. Cusano ragiona su cosa é la conoscenza: la conoscenza consiste nell' instaurare rapporti di proporzione tra quello che già conosciamo e quello che non conosciamo ancora; é come se nella nostra mente avessimo degli "attaccapanni" dirà in seguito qualcuno: ogni nuova conoscenza va collegata, confrontata e proporzionata alle precedenti: in fin dei conti il paragone usato da Cusano per descrivere il processo conoscitivo è come quello dell' equazione dove bisogna trovare la x.

NICCOLO’ MACHIAVELLI
Nasce a Firenze nel 1467 e muore nel 1527. Morto Lorenzo il Magnifico a Firenze vi è la Repubblica del Soderini (1498-1512) che chiama come suo segretario (ministro degli esteri) proprio Machiavelli. Lui non è ne un filosofo, ne un letterato, è soltanto “un uomo che fa considerazioni” di valenza politico-filosofica. E’ uno degli uomini più importanti di tutto il 500 italiano per il pensiero perché le sue opere hanno influenzato il mondo moderno. Lui è il padre della nuova scienza politica. Machiavelli : politica = Cartesio : filosofia. Egli è la svolta della politica. Nel periodo precedente (medievale), la politica era subordinata alla religione e alla morale, è una scienza a sé, ciò che conta veramente per Machiavelli è il raggiungimento del fine, del “Bene” anche a costo di uccidere; celebre è la sua frase: “Il fine giustifica i mezzi”. Per lui, riguardo un politico, un’azione politica deve essere giudicata per il bene comune, per il fine e non come l’ha raggiunto, con quali mezzi; sostanzialmente non esiste l’idea di peccato. Scrive varie opere, quelle più importanti sono sicuramente “Il principe”, “I discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, “La Mandragola”, “Le Istorie fiorentine” e altre di minore importanza.

“Il principe” e Cesare Borgia.
Da’ dei consigli a Giuliano per governare bene (ricordiamo che egli lo salva e gli fa costruire una villa). Machiavelli viaggiò molto e conobbe i personaggi principali anche delle vari corti. Dice che il mondo è così, sbagliato, violento, principalmente per le lotte del tempo tra le signorie. Machiavelli non esprime direttamente giudizi morali; per lui il principe deve adeguarsi e adattarsi al mondo, deve essere tanto forte quanto furbo (volpe e lione), deve saper usare ciò che serve quando occorre, gli scrupoli religiosi o morali non servono assolutamente a niente, il principe, però, deve essere religioso solo “esternamente”, sia perché i popoli vogliono un principe religioso, sia come arma contro le rivolte per regnare = “istrumentum regnum” (religione come unico strumento per governare). Fondamentalmente con la religione si minaccia l’Inferno a chi si ribella, il Paradiso a chi si comporta decentemente e non si ribella.
Machiavelli ammira Cesare Borgia, perché lui, approfittando del padre che aveva fatto carriera, si arricchì ed era riuscito a farsi un piccolo stato in Umbria, che poi cercò di espandere. Tutti gli altri signori non erano d’accordo su ciò. Così Cesare, furbamente, una sera li invita tutti a cena promettendo loro una benedizione del papa, ma quella stessa sera con un’ascia li uccide tutti. Quindi in seguito poté conquistare tutti gli stati confinanti senza alcun problema. Su questo fatto Machiavelli disse: “moralmente deplorevole, politicamente geniale”. Per lui il principe deve sempre mirare in alto, essere ambizioso, poiché più miri lontano, più arrivi lontano, come una freccia. Il padre di Cesare muore ed egli si reca al conclave e fa eleggere un papa amico, ma questo muore subito, Cesare però si ammalerà e non potrà più recarsi al conclave per l’elezione di un nuovo papa. Viene così eletto Giulio II, acerrimo nemico dei Borgia che, subito dopo esser stato eletto, attacca lo stato dei Borgia distruggendolo.
In conclusione secondo Machiavelli non basta essere volpe e leone, infatti nella vita degli uomini agisce una forza suprema e l’uomo stesso non può contrastarla: è la “fortuna”. Questa è come un fiume in piena, c’è un solo modo per rimediare alla situazione: costruire gli argini quando questo è calmo. Simbolicamente il principe deve proteggersi da eventuali problemi possibili, se gli argini non sono abbastanza forti, il fiume li distrugge e la fortuna ti “travolge”. Quindi la fortuna è una forza estranea più forte che abbandona o aiuta l’uomo. La “Virtus” del principe consiste nell’affrontare “sia la fortuna che la sfortuna”. Molti critici si sono posti se Machiavelli era monarchico veramente, e lui stesso, nei discorsi, dice di non esserlo ma afferma la necessità di un potere forte e spietato principalmente per la situazione storica in cui è vissuto. La più perfetta forma di governo, secondo lui, è la Repubblica sul “modello” romano, riprendendo la teoria di Polibio. Infatti questo tipo di Repubblica era 3 in 1 (simile al medioevo cristiano). E’il terzo uomo della storia a parlare di “Unità d’Italia”; il primo fu Dante, il secondo Petrarca.
Infine Machiavelli conclude “Il principe” con un’invocazione o lamento. Fa intendere che gli dispiace di dover glorificare i principi esaltati, ma ciò accade perché l’Italia è spezzettata, è divisa, non è unita come altri stati (Francia, Spagna, Inghilterra, diventati monarchie nazionali). Si chiede il motivo di ciò, e ne da’ le colpe allo Stato Pontificio, poiché sta al centro dell’Italia, e non è né troppo debole per essere conquistato, né troppo forte per conquistare, questo, per lui, è la vera rovina. E in un certo senso accetterebbe anche il Papa per unire l’Italia. Conclude “Il principe” con l’invocazione dell’Unità dell’Italia. Machiavelli consiglia anche di non utilizzare i mercenari perché tradiscono sempre e non hanno “amor di patria”, concetto che invece possiede il principe.

RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Il 500 è l’inizio della “Nuova Scienza” con la prima Rivoluzione Scientifica. E’ una rivoluzione principalmente di mentalità, finora il mondo occidentale guarda Tommaso e Aristotele in maniera positiva, anche se la linea platonica non si accosta prettamente alla scienza. Si sono tralasciate le leggi con le quali la natura è strutturata: le leggi matematiche. Il precursore della “Rivoluzione scientifica” è Leonardo da Vinci, egli ha studiato la natura tramite la matematica e l’esperienza. Leonardo nomina l’unione di queste due “Tecnica volta a scoprire nuove cose”; questa “tecnica” porta al progresso.
La prima Rivoluzione Scientifica cambia inizia e finisce con la pubblicazione di due opere che hanno cambiato la mentalità moderna:
➢ “De rivolutionibus orbium celestium” = (1543) Scritta da Niccolò Copernico, è un vero e proprio crollo di un ideologia e di un mondo; al centro dell’universo non c’è più la terra ma il sole. E’ considerata la rottura con il passato.
➢ “I principi matematici di filosofia naturale” = Scritta da Newton.
In 150 anni è cambiata la mentalità scientifica del mondo. Perfino la Chiesa fu costretta ad accettare queste teorie, principalmente quella di Copernico.

COPERNICO
Polacco, cattolico, che sostituisce all’impostazione geocentrica, l’ipotesi eliocentrica. Copernico utilizza il termine “ipotesi” invece di “tesi” perché altrimenti sarebbe andato in contrasto con il pensiero della Chiesa, in tal modo, senza esasperare troppo le sue idee, non fu mai perseguitato. Galileo, in seguito parlerà di “tesi” e per questo verrà condannato. Copernico accetta anche tutte le altre impostazioni aristoteliche – tomistiche (es: i cieli sono 55 e sono fatti di etere).
Copernico scopre tre movimenti della Terra i cui due principali sono:
1. il movimento di RIVOLUZIONE, ossia il moto della Terra intorno al Sole;
2. il movimento di ROTAZIONE , ossia il moto della Terra sul suo stesso asse.
Quindi Copernico cerca in ogni modo di riallacciarsi alle tesi degli antichi; va poi detto che il concetto di rivoluzione indica un cambiamento rapido e radicale: quella scientifica é senz' altro una rivoluzione.
La teoria di Copernico, però, finisce per entrare in contraddizione: Aristotele aveva dimostrato la finitezza del mondo basandosi su un unico centro di rotazione (e aveva senso: se c' é un centro, un alto e un basso generale, allora il mondo deve essere finito); Copernico invece mantiene l' idea di finitezza del mondo (attenendosi alla tradizione) pur avendo ammesso l' esistenza di due centri di rotazione (distaccandosi dalla tradizione) , il che non ha nessuna logica.

TYCO BRAHE
Boemo-cecoslovacco, afferma che l’universo è composto tutto da materia e non dall’etere (la famosa quinta essenza di Aristotele) altrimenti non si spiegherebbero le comete. L’universo è composto soltanto da: acqua, aria, terra e fuoco. La vera novità introdotta da Brahe é che per lui non tutti i moti del cielo sono circolari: certo, egli continua a riconoscere il moto circolare dei pianeti, ma non riconosce quello delle comete, che lui chiama "ovale", ossia a cerchio deformato (e non ellitticco , come dirà Keplero). Nell' elaborare il suo sistema, che é passato alla storia con il nome di "sistema ticonico", Brahe é vincolato da una duplice esigenza: egli riconosce la validità del sistema copernicano (sa infatti che funziona meglio rispetto a quello geocentrico) che per la sua semplicità aveva riscosso grande successo all' epoca e vorrebbe mantenere questo sistema, tuttavia vuole evitare di imbattersi nelle critiche che venivano generalmente mosse al sistema copernicano: in primo luogo era incompatibile con la Bibbia (la quale afferma che il Sole é in moto), in secondo luogo andava contro il senso comune dire che la Terra, che noi vediamo irrimediabilmente ferma , ruota intorno al Sole (solo con Galileo il paradosso sarà risolto): ancora oggi siamo abituati a dire che il Sole tramonta o sorge , ma in realtà é fermo e siamo noi che ci spostiamo. Infine Brahe non voleva andare contro la tradizione aristotelica, che voleva la Terra ferma al centro dell' universo finito. Quindi Brahe, pur riconoscendo la validità del sistema copernicano, non se la sente di andare contro questi tre principi e dà vita ad un sistema ibrido, dove possiamo ravvisare l' incontro tra copernicanesimo e aristotelismo: voleva prendere il meglio, ma in realtà non fa che creare un sistema che non ha i vantaggi nè dell' uno nè dell' altro: non é nè semplice (come quello copernicano) nè tradizionale (come quello aristotelico). Egli vuole mantenere la Terra (T) al centro dell' universo (evitando così le 3 critiche sopra elencate). Intorno alla Terra (T) fa girare il Sole (S), con un' orbita grande, e la Luna (L), con un' orbita più piccola. Fin qui siamo assolutamente nell' ottica aristotelica, ma nella sua teoria c’è anche il copernicanesimo.

KEPLERO
Polacco, afferma che il movimento dei pianeti è ellittico, non circolare: questo è l’errore di Aristotele. Anche lui nega l’esistenza dell’etere.
Famose le 3 leggi di Keplero:
1) Le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il Sole occupa uno dei due fuochi;
2) La velocità orbitale di ciascun pianeta varia in modo tale che una retta congiungente il Sole e il pianeta percorre, in eguali intervalli di tempo, eguali porzioni di superficie dell' ellisse;
3) I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono nello stesso rapporto dei cubi delle
rispettive distanze dal Sole.
La prima Rivoluzione Scientifica è, essenzialmente, nella prima fase, astronomica.

GALILEO GALILEI
E’ una delle menti più elevate insieme a Cartesio e Newton. Nasce a Pisa nel 1564, muore nel 1642 nella villa di Arcetri. Studiò matematica, fisica e astronomia. Opere importanti:
➢ “Il saggiatore”
➢ “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico-copernicano” (1632).
Sempre nel 1632 viene condannato dalla Chiesa agli arresti domiciliari nella villa di Arcetri a causa della sua “tesi”. Comunque scrisse altre due opere importanti.
Ebbe una ottima formazione scientifica, studiò Euclide e Archimede, conobbe le teorie dei suoi predecessori e ciò che lo rese famoso fu l’uso del cannocchiale (inventato però dagli olandesi) che riadattò fino al microscopio per scoperte scientifiche. Scoprì le macchie solari, che la luna era montuosa come la terra, che attirava le maree, scoprì anche i satelliti di Giove chiamati “pianeti medicei” in onore dei Medici (essendo toscano). Dopo tutto alcune sue teorie sono anche infondate. Aderisce all’ipotesi copernicana sostenendola vera e interpretandola in chiave anti-aristotelica. E’ lui che trasforma questa ipotesi in tesi. Comunque distruggere Aristotele, significa distruggere Tommaso. Esaltando le sue idee finì davanti al Santo Uffizio dove sarà giudicato da San Roberto Bellarmino (stesso protagonista della vicenda di Giordano Bruno) che tentò di difenderlo ma dopo 20 anni di processo, Galileo, pienamente convinto delle sue idee, venne condannato agli arresti domiciliari. Nel “saggiatore” scrivendo i rapporti tra fede e scienza si salvò dicendo: “Bibbia (“Lex Divina”) e Natura (“Lex Naturae”) sono entrambe figlie di Dio. La prima è indirizzata alla salvezza dell’anima, la seconda allo studio dell’uomo. Finché non ci sono leggi della natura che vanno contro la Bibbia, la Scienza deve essere autonoma”. Conclude col dire che nella Bibbia non c’è scritto che l’Universo è assolutamente geocentrico, anche se questo fatto rimane un po’ in dubbio in quanto non si sa se lui ci credeva veramente oppure se era solo un pretesto per salvarsi.

FRANCIS BACON
Latinizzato Francesco Bacone. Nasce nel 1561 e muore a Londra nel 1626. Protestante, sarà cancelliere del re inglese, e, essendo giudicato per corruzione, sarà costretto a ritirarsi per salvarsi. Voleva distruggere Aristotele, il quale, secondo lui, aveva un merito: l’invenzione del “metodo di ricerca” (“Organum”) accettato per ben 2000 anni. Vuole comporre un “Nuovum Organum”; cioè un sistema di ricerca che faccia approdare l’uomo alla scienza, distruggendo completamente l’opera di Aristotele, e arrivando in conclusione all’ “Instauratio Magna” (istaurazione del sapere). Per lui, bisogna smetterla di parlare di chiacchiere e sillogismi, occorre studiare la natura e arrivare all’Istauratio Magna e per questo sono necessari 2 momenti (parti) del Novum Organum:
• “Pars destruens” = E’ la parte iniziale che viene utilizzata per eliminare gli errori del passato;
• “Pars costruens” = E’ la parte finale che è il metodo di conoscenza che porta alla vera Scienza.
Chiama gli errori “Idola” (Immagini) e per lui sono di 4 tipi:
1) Idola tribus (idoli della tribù) = errori comuni ad ogni essere umano. Rappresentano la propensione che noi abbiamo agli errori naturali (es.: quando si giudica senza conoscere).
2) Idola specus (idoli della caverna, spelonca) = errori che l’uomo commette a causa della propria indole, delle proprie passioni. Bacone si rifà al mito della caverna.
3) Idola fori (idoli del foro, del mercato) = errori che l’uomo acquisisce parlando con gli altri.
4) Idola teatri (idoli del teatro) = errori delle filosofie del passato, che ci vengono recitate a copione dalla nascita.
Bisogna fare piazza pulita di tutti gli errori, questa è la “Pars destruens”. Dopo questa noi ci saremo purificati, e così si potrà iniziare la “Pars costruens”.
Studiando la natura (o la scienza) ciò che apprendiamo deve essere diviso in 3 tabule:
• “Tabula presentiae” = Noi cataloghiamo tutte le situazioni in cui un certo fenomeno è presente o accade (caldo → sole, stufa)
• “Tabula absentiae” = Noi cataloghiamo tutte le situazioni in cui un certo fenomeno non è presente o non accade (opposto del primo _ caldo → frigo)
• “Tabula graduum” = Dove noi scriviamo in che grado un fenomeno è assente o presente.
In seguito a tutto ciò occorre fare l’Esperimento Cruciale, cioè passare alla fase pratica. Poi se vogliamo dominare veramente la natura occorre la magia e l’alchimia e cioè la Gnosi.
Infine l’induzione baconiana, differisce da quella aristotelica, che è “inductio per enumerationem semplicem” limitandosi a registrare il numero dei fatti senza ricercare quale fosse la forma o natura dei corpi stessi. Poi Bacone aggiunge che dopo il lavoro delle tabule, se non è stato possibile ricavare con sicurezza la causa del fatto, si stabilisce allora un’ipotesi, “vindemiatio prima”, cioè si suppone una causa e si compiono degli esperimenti artificiali per verificare se questi confermano più o meno l’ipotesi. L’ipotesi è dunque una spiegazione provvisoria di fatti ancora non completamente spiegati; è un’idea anticipata. Nella determinazione di questa ipotesi lo scienziato si lascia guidare dal fiuto, “fiuto baconiano” (il cane ha fiuto verso la preda, lo scienziato verso la verità), che costituisce la dote principale del ricercatore. Così obbedendo alla natura, è dato all’uomo di impadronirsi di essa e di farla servire ai suoi scopi (“natura non nisi parendo, vincitur”), cioè la natura è vinta se non obbedendo. Il nuovo sapere da all’uomo il potere, la forma di dominare la natura: “il sapere è potere”. Così il dominio del sapere sulla realtà della natura è possibile perché la verità del conoscere è identica alla verità dell’essere (“veritas essendi et veritas cognoscendi idem sunt”).

Introduzione alla filosofia moderna
Inizia con Cartesio che ne è il padre. Con essa si intende anche il periodo del Rinascimento. Cartesio sta al pensiero come il 1789 sta alla storia. Cartesio è la chiave di volta, l’anti-Tommaso. Il 600 è il secolo del “razionalismo”, anti-camera dell’illuminismo (si è poco cattolici). Cartesio è considerato il padre del razionalismo. Il 600, però, è anche il secolo dell’ “empirismo”, i cui esponenti si schierano contro Cartesio. Parlando in termini di rivoluzione francese, gli empiristi sono giacobini, Cartesio è un grondino. Egli afferma di essere cattolico ma in realtà è anti-cristiano.
Tutta la filosofia del 600 si divide in due grandi blocchi: Cartesiani e Anti-cartesiani. Cartesio viene attaccato sia dai Cartesiani che dagli Anti-cartesiani, è lo spartiacque della filosofia, padre teorizzatore dell’ateismo moderno. Le 3 prove che da dell’esistenza di Dio molto probabilmente sono solo un pretesto per non fare la fine di Giordano Bruno.

CARTESIO
Renes de Cartes, latinizzato Cartesio. Nasce nel 1596 in Francia, muore giovane l’11 febbraio del 1650 in Svezia, perché chiamato dalla regina. Studia dai Gesuiti, approfondisce grammatica, retorica e filosofia. Poi va all’università di Poiters e si laurea. Nel 1618 va a combattere nella Guerra dei 30 anni e studia le questioni fisico-matematiche e musica. La notte del 10-11 novembre 1619 fa un sogno sulla filosofia. Dal 1626-27 fino al 1630 scrive le sue opere matematico-scientifiche più importanti. Nel 1637 scrive l’opera chiave: “Il discorso sul metodo”. Abbandona così la fisica e la matematica abbracciando la metafisica e la filosofia. Frequentò anche la setta dei Rosacroce (gnostica), partecipava a sette sataniche ed era cabalista e pre-massonico.

L’INTUIZIONE DI UNA SCIENZA MERAVIGLIOSA (il metodo I° parte)

Racconta che il 10 novembre del 1619 ebbe una intuizione per trovare i fondamenti di una scienza meravigliosa. Affronta il problema del metodo: se Aristotele ha sbagliato tutto ed è stato seguito fino ad ora, occorre trovare un nuovo metodo scientifico. Questo problema se lo sono posti anche i filosofi precedenti, ma lui si sente veramente chiamato a risolvere la caduta di Aristotele, anche per questo può definirsi anti-aristotelico. Nel 1627-28 pubblica le “Regole per la guida dell’intelligenza”, in questa opera ci sono le 4 regole per una ricerca certa e giusta:
1) l’evidenza = perché la scienza deve essere certa ed evidente.
2) l’intuito = con il quale si raggiunge l’evidenza, “atto con cui è dato cogliere la verità”.
3) la deduzione = questa scaturisce dall’intuito.
“Io intuisco una cosa evidente e ne traggo una deduzione”.
4) Enumerazione ordinata = ordinare le conseguenze ottenute e dedotte.
L’insieme di queste regole costituiscono il “Metodo”.
Cartesio poi parla di Nature semplici (quelle colte intuitivamente), di “cogito” (il nostro pensiero), e fa una distinzione tra:
• Res cogitans → sostanza pensante = l’anima;
• Res extensa → sostanza estesa = il corpo.
In un’opera del 1630 parla di Dio: “Le verità matematiche sono stabilite da Dio e ne dipendono completamente come tutto il resto delle creature”. E’ gnostico in quanto Dio non può cambiare le verità matematiche. Poi continua : “Il fondamento di tali verità è in Dio, che avrebbe potuto crearle diversamente. Queste verità ci sono state impresse ab eterno nelle nostre menti (innatismo platonico)”. Queste sono le fondamenta del suo pensiero che svilupperà durante la sua vita.

LA FISICA MECCANICISTICA

Scrive varie opere scientifiche di vario genere che sfociano nel discorso del metodo. Nell’opera “Il mondo” attacca completamente Aristotele e accetta la Rivoluzione Copernicana, dando una visione meccanicistica della natura. Immagina che Dio abbia creato il mondo come materia, intesa pura estensione (senza l’entelechia di Aristotele), per questo il mondo è infinito. Dio ha applicato alla materia il movimento attraverso le 3 leggi del principio di inerzia:
1) “Ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato finché le altre urtandola non la costringono a cambiarlo”;
2) “Quando un corpo respinge un altro non può trasmettere o sottrarre ad esso nessun movimento, senza perderne o acquistarne nello stesso tempo una certa quantità”;
3) “Quando un corpo si muove, tende sempre a continuare il proprio movimento in linea retta”.
Cartesio afferma così che tutto l’universo è retto da queste leggi meccaniche. Esclude l’etere nella struttura dell’universo; esso è composto solo da: aria, acqua, terra e fuoco. Riprendendo Democrito afferma che dal movimento nascono infiniti mondi.

L’HOMME MACHINE

Nel libro intitolato L’Uomo, Cartesio è il primo a parlare di uomo macchina. Cartesio intende spiegare l’uomo con i principi della meccanica, cioè, di spiegare i fenomeni vitali e sensitivi (non il pensiero) con le stessi leggi fisiche e meccaniche: l’Homme Machine. Per Cartesio, non siamo come degli Automi, come “Orologi”. Il nostro corpo è un’insieme di organi, divisi e separati dagli altri, aventi ognuno un ruolo specifico. Per esempio, i nostri nervi sono come i conduttori o i tubi delle macchine idrauliche, lo stimolo dei sensi è trasmesso al cervello mediante dei filamenti simili ai tiranti delle macchine. Tali filamenti hanno all’interno dei pori dove si muovono degli spiriti che vanno al cervello e che provocano l’azione del cervello e il movimento dei muscoli. La parte principale del corpo è il cervello, nel cui centro c’è una ghiandola, chiamata Ghiandola Pineale o Conarium, che un ruolo fondamentale. Tutti gli spiriti giungono in questa ghiandola, che, quindi è “la sede dell’immaginazione e del senso comune (anima)”. Proprio qui avviene il misterioso contatto tra la Res Estensa e La Res Cogitans (contatto anima-corpo). L’anima è un elemento in più, immortale, che da vita e non è tutt’uno con il corpo. Per questo lui vede Dio come un meccanico, non un creatore, che ci ha assemblati.

Il Discorso sul Metodo (II° parte)

Negli anni trenta continua a scrivere le sue opere scientifiche e nel 37 pubblica tre opere chiamate La Diottrica, Le Meteore e La Geometria, introducendole con un’altra opera intitolata Il Discorso Sul Metodo con la quale dà l’addio definitivo all’attività di scienziato per dedicarsi all’attività filosofica. Con questa ultima opera, Cartesio intende dare il Metodo definitivo, cercato dai suoi predecessori, sul quale basare la Scienza sistemando le sue idee scritte nelle Regole. Per Cartesio il Metodo si deve basare su quattro regole:
1) Evidenza: “non accogliere mai come vera ciò che non conoscessi con evidenza essere tale”;
2) Analisi: “dividere ognuna delle difficoltà che io esaminassi in tante particelle quanto fosse possibile e richiesto per meglio risolverle”;
3) Sintesi: “condurre per ordine i miei pensieri cominciando dagli oggetti più semplici e facili da conoscere per ascendere, a poco a poco, come per gradi, alla conoscenza dei più composti”;
4) Enumerazione: “fare dappertutto delle enumerazioni così complete e delle revisioni così generali da essere certo di nulla omettere”.
In seguito, Cartesio da anche una definizione di matematica in sé. Al contrario del pensiero scolastico (chiesa) che distingueva tra Ma tematiche Pure (aritmetica e geometria) e Matematiche Miste (astronomia, musica e ottica), Cartesio parla di Mathesis Universalis (Matematica Universale), eliminando le distinzioni tra i vari tipi di matematica. Fu lui che sostituisce ai numeri le lettere “A”, “B” e “C” per indicare le grandezze note e “X”, “Y” e “Z” per le grandezze ignote e sostituisce i numeri alle lettere per gli esponenti. Lui non parla mai di Fisica poiché per parlare di essa occorre la metafisica.

La Morale Provvisoria

Cartesio dice che, poiché si sta per addentrare nello studio della filosofia, deve darsi delle regole, un metodo di studio come aveva già fatto per la Scienza. Esse sono delle regole morali di condotta chiamate Morale Provvisoria (provvisoria perché non definitiva, che avrebbe scritto alla fine dei suoi studi, ma ciò fu impossibile a causa della sua morte). Dice che non si può parlare di fisica se prima non si parla di metafisica. Anche per la metafisica occorre darsi delle regole affinché “egli rimanesse non irresoluto nelle sue azioni mentre la ragione lo obbligava ad esserlo nei suoi giudizi”. La morale si basa su tre regole :
1. obbedire alle leggi ed ai costumi del paese, conservando la religione tradizionale e regolandosi in tutto secondo le opinioni più moderate e più lontane dagli eccessi. Usa questa regola per evitare l’accusa di ateismo, si dice che al ministro protestante Revius che lo interrogava riguardo alla religione rispose “ho la religione del mio re, e quella della mia nutrice”
2. essere più fermo e risoluto possibile nell’azione e di seguire con costanza anche l’opinione più dubbiosa una volta che fosse stata accettata
3. cercare di vincere piuttosto se stessi che la fortuna e di cambiare i nostri pensieri più che l’ordine del mondo. Nulla è interamente in nostro potere tranne i nostri pensieri.

Metafisica

Dal dubbio al cogito

Nel 40 Cartesio intraprende lo studio della metafisica scrivendo le meditationes. Scrive 6 meditationes immaginando di stare in una locanda dinanzi ad un caminetto per sei giorni mentre il settimo lo dedica al riposo. Il primo giorno riprende il discorso sul metodo dando come prima regola quella dell’evidenza, possiamo fondare una scienza solo su cose certe. Per eliminare tutto ciò che non è evidente usa un metodo estremo, pone tutto sotto dubbio (dubbio metodico). Elimina come un rasoio tutto ciò che può avere anche solo un minimo di dubbio. Il dubbio va applicato ai tre criteri di conoscenza:
• Sensibile
• Memoria fantasia
• Ragione
La maggior parte delle nostre conoscenze sono derivano dai sensi, questi, secondo Cartesio, non sono attendibili perché se mettiamo un remo nell’acqua questo ci appare spezzato anche se non lo è. I sensi ingannano e la conoscenza sensibile deve essere eliminata, con questo presupposto dobbiamo eliminare anche il corpo o res extensa perché anche questo è colto con i sensi. Cartesio dice che molte volte capita di vivere delle situazioni e non riusciamo se sono sogni o realtà, quindi anche la forma fantasia-memoria non è attendibile. Rimangono solo le conoscenze di ragione. Cartesio esagera il dubbio (dubbio iperbolico) ipotizzando l’esistenza di un Dio ingannatore che ci fa credere come intuitivamente vere tutte le verità scientifiche, che può far si che 2 + 2 faccia 5. Cartesio capisce che quest’ipotesi è troppo esagerata quindi l’accantona ed introduce la figura di un genio maligno. Questo ci può ingannare nelle verità scientifiche intuitive, con ciò Cartesio ha distrutto ogni forma di conoscenza, non c’è nulla di vero su cui possiamo fondare la scienza. Cartesio dice però che il dubbio presuppone il pensare ed il pensare presuppone l’esistenza da qui la frase “cogito ergo sum”, quindi se dubito o la certezza di esistere. Cartesio riprende le categorie aristoteliche. Cartesio dice che oltre alla sua res cogitans esiste una certezza assoluta su cui si basa. Non esistono con certezza gli altri esseri umani perché anche questi sono colti con i sensi.

Dal cogito a Dio

Affermare che esisto con certezza solo io e non gli altri e detto solipsismo. Se siamo cose pensanti siamo formati da idee che dobbiamo enumerare. Esistono tre tipi di idee :
1. Idee adventitiae : cioè le idee esterne colte con i sensi
2. Idee factitiae : cioè le idee frutto della fantasia che sono fatte da me
3. Idee innate : quelle immesse da Dio
4. Noi tra tutte le nostre idee abbiamo sicuramente quella di Dio. L’idea di Dio non può essere ne adventitiae perché Dio non è una cosa sensibile ne fictitiae perché in natura il più piccolo non può generare il più grande. Siccome Dio è per noi perfetto ,eterno ed immortale mentre noi siamo imperfetti e finiti, l’idea di Dio non può essere generata dall’uomo. L’idea di Dio è quindi innata e ci è stata immessa da Dio stesso. Il fatto che abbiamo l’idea di Dio è dimostrazione della sua esistenza.

II e III prova dell’esistenza di Dio

Se io sono una res cogitans non mi sono creato e non ho il potere di mantenermi in vita, deve quindi esistere un essere che ha potere sia sulla vita che sulla morte. Questo essere è Dio che mi ha creato finito dandomi l’idea dell’infinito. La terza prova dell’esistenza di Dio è uguale alla prova ontologica di Anselmo. Non è possibile concepire Dio come un essere assolutamente perfetto se non ammettiamo la sua esistenza.

Dio garante di verità
Adesso Cartesio è giunto alla conclusione che esiste con certezza lui come cogito e Dio come essere perfetto altrimenti non sarebbe tale. Se Dio è perfetto non può essere ingannatore e non può permettere al genio maligno di ingannarci sulle verità razionali ed evidenti. Dio perché è amore diviene garante di verità quindi le nostre conoscenza anche quelle sensibili sono vere. La prima garanzia che Dio ci da è quella della res extensa quindi il corpo esiste. Dio è per Cartesio il terzo termine che ci permette di passare dalla certezza del nostro io alle altre certezze.

Il dualismo cartesiano
La res extensa e la res cogitans sono tra loro separate, secondo Cartesio. Capita però a volte che queste siano collegate, la causa e da ricercare nella ghiandola pineale, l’odierna epifisi, dove avviene l’unico contatto tra le due res. Questa spiegazione è molto debole e per questo fu ripresa e cambiata dai futuri filosofi.

Il problema dell’errore e le passioni

Negli anni 40 aveva già scritto e dato tanto quindi in questi ultimi anni prima di morire abbozza solo un opera che rimane in sospeso:” Le passioni” In questa opera afferma che le passioni sono fondamentalmente tutte buone il problema consiste solamente nel dominarle e di non farsi trascinare nell’eccesso. In oltre paragona la filosofia ad un albero dicendo che di questo grande albero:
• Le radici corrispondono alla metafisica;
• Il tronco è la fisica;
• I rami sono la meccanica, la medicina e la morale .
Lo scopo della filosofia è di rendere la vita più lunga e serena.
In oltre se Dio è garante di verità, che non può avere dato all’uomo una facoltà per errare dunque l’errore non sta nella conoscenza di una cosa ma nel giudizio di quella cosa (nel nostro giudizio)
Nel dare giudizio occorrono 2 facoltà : L’intelletto e la Volontà.
La volontà in sé è perfetta perché essa è illimitata la volontà cade in errore quando giudica ciò che non conosce (quando và oltre la ragione).
Quando giudichiamo ciò che conosciamo non possiamo sbagliare.

NEWTON
La materia và studiata scientificamente, con lui si arriva alla geometrizzazione della natura. Critica Cartesio per la Res Extensa e si rifà all’atomo di Democrito, Epicureo e Lucrezio. Si occupa di fisica ed espone il principio di gravitazione universale: “due corpi si attraggono con forza direttamente proporzionale alla quantità di materie di ciascuno di essi e inversamente proporzionale al quadrato della distanza”. Newton non è ateo, il suo modo di credere in Dio lo si potrebbe definire Teismo: il pensare che esiste un creatore nel senso che senza di lui (Dio) non si spiegherebbe né la creazione né la perfezione di essa. Senza Dio non si potrebbe spiegare la fisica.
Inoltre egli afferma:” Lo spazio e il tempo sono entità assolute ed effetti emanativi di Dio, forme della presenza di Dio stesso nel mondo. Per lui Dio è sempre e dovunque e solo la sua presenza rende ragione all’ordine del cosmo. Senza Dio, i pianeti e le stelle si scontrerebbero, nulla sarebbe perfetto”.

Esempio