Umanesimo e Rinascimento

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Testo

TEORIA
3.1 L’ORIZZONTE SOCIALE E CULTURALE DEL MONDO SIGNORILE
3.1.1 Riassestamento della società italiana e sviluppo del sistema signorile
Il culmine della disgregazione sociale ed economica nel nostro paese avvenne nel 1380, dopodichè ci fu un rilancio del commercio, nella nostra penisola fu molto veloce grazie a nuove tecniche agricole e a nuove colture. Molti commercianti favoriscono lo sfruttamento terriero ampliando i loro terreni. Molti soldi, però, vengono impegnati per costruire opere architettoniche e d’arte che esibiscono il potere politico ed economico della famiglia. Ciò significa che c’è un certo benessere e una certa sicurezza economica. Si ha quindi uno sviluppo culturale nelle città ma non nelle campagne.
L’acquisizione di terreni fa sì che i mercanti ricchi si confondano con l’aristocrazia feudale. I primi si insediarono durante lo sviluppo dei comuni. C’è quindi una nuova aristocrazia che gode di antichi privilegi o di prerogative di diversa origine (il patriziato è un’aristocrazia comunale e mercantile).
La società è retta da una gerarchia molto rigida che suddivide le classi: coloro che hanno ricchezze e potere entrano nell’aristocrazia pur essendo di origini e di guadagni borghesi. Ma l’aristocrazia feudale torna alla rimonta con baldanza e freddezza nel calcolo del potere.
In questo periodo oltre all’aristocrazia che comunque non è nuova, si afferma l’uomo come individuo e i suoi fini terreni, la sua intelligenza sulla gerarchia dell’epoca.
Per completare il culto dell’individuo nascono le Signorie, piccoli stati che come capi hanno dei signori che mantengono la pace fra gli stati e fra le famiglie aristocratiche e non. I poteri dei signori divennero ereditari trasformando lo Stato in una proprietà personale. Ogni signore aspirava a rendere la propria città capitale.
Lo sviluppo economico dell’Italia avviene in questo periodo. Infatti ha il monopolio del mercato mondiale. Si acquisiscono anche nuove tecniche: si diffondono gli orologi meccanici, la polvere da sparo che cambia il modo di far guerra, e ovviamente la stampa che cambia il concetto di cultura. Tutto ciò ha una notevole incidenza sulla vita quotidiana.
3.1.2 Il Rinascimento: concetto e realtà
Il termine significa un rilancio dello sviluppo economico e attenzione alla vita terrena e mondana. Nel Rinascimento (XV e XVI secolo) l’uomo si impegna culturalmente a non essere oggetto di magia e a non credere più in cose trascendentali, diventa quindi più razionale. L’uomo quindi studia la natura e ne diventa il signore, vuole la gloria ed è disposto ad operare per il bene della società.
Alcuni studiosi ritengono che il Rinascimento cominci con Petrarca e Boccaccio, altri che sia il periodo culminante, quello delle guerre in Italia. C’è stata la sovrapposizione con l’Umanesimo, che è stato quando alcuni hanno sentito una rinascita e si sono messi a studiare i brani classici che erano stati dimenticati oppure capiti male. Quindi la cultura tornò classica.
Durante il XV secolo continuò a esserci il mito della renovatio, cioè di una rinnovazione del cristianesimo puro come quello delle origini. Gli uomini del XV e della prima metà del XVI secolo sentirono che stavano rinascendo, che le tecniche e le arti avrebbero messo l’Italia al centro della vita culturale europea. L’umanesimo non è la premessa del Rinascimento, bensì l’espressione fondamentale che riscopre e ripropone i classici.
Bisogna pensare che l’uomo del Rinascimento credeva che anche la politica fosse un’opera d’arte, e tutto era fuori controllo della religione e della morale.
L’Umanesimo ha visto un rafforzarsi delle antiche strutture e delle lacerazioni. Infatti tutto era rivolto al passato come ideali, ai classici e quindi un equilibrio per niente scontato.
3.1.3 La cultura nella vita sociale
Coloro che si ritengono uomini di cultura seguono le impronte di Boccaccio e Petrarca, e come loro, diventano filologi e pedagogisti. Hanno potere e svolgono incarichi di potere, ma non senza difficoltà.
Il mondo universitario, che pure si sta estendendo, resta sempre al di fuori degli sviluppi. A parte alcune eccezioni come Guarino Veronese, Valla e Poliziano per il resto il mondo universitario è estraneo alla filologia e alla letteratura. Solo nella seconda metà del XV secolo si avrà un nuovo vigore.
Il pubblico è d’élite poiché parlano in latino e gli argomenti sono altamente culturali. Gli scambi sono internazionali.
A Firenze ci sono stretti rapporti tra le persone di cultura: questo è derivato dal fatto che a Firenze ci sia stata una tradizione municipale in cui tutti sono uguali. A Firenze gli umanisti che fino alla prima metà del XVI secolo rimangono attaccati alla tradizione municipale, con l’affermarsi dei Medici, diventano cortigiani e ciò che scrivono è tutto per esaltare il signore che li sostiene economicamente.
A mano a mano che le famiglie dei signori si affermano la cultura cambia con loro e gli umanisti fanno letteratura in base alle esigenze di corte.
In questo periodo gli artisti non sono più considerati semplici artigiani, ma hanno coscienza delle cose che fanno e sono loro, con le loro opere, a intrecciare il tessuto sociale e culturale della città.
3.1.4 I centri culturali
Nella seconda metà del XV secolo acquisiscono importanza centri culturali che prima erano marginali e che ora, grazie ad alcune famiglie signorili, hanno importanza culturale.
Naturalmente Firenze detiene il primato dal 1380 fino al 1492, poiché il suo dialetto è conosciuto in tutta Italia. Inoltre promuove occasioni d’incontro non solo tra italiani, ma con gente europea.
Nella seconda metà del secolo XV Venezia diventa un polo di attrazione per il nord e questo è dovuto alle famiglie aristocratiche che sono al potere. La produzione è in volgare del tutto svincolata da Firenze. A Venezia inoltre c’è una forte corrente greca, uomini acculturati appena arrivati dalla defunta Costantinopoli. Padova, Vicenza e Verona sono importanti centri culturali.
Ma nell’Italia del nord ci sono anche la Milano dei Visconti e degli Sforza, la Ferrara degli Estensi, la Mantova dei Gonzaga, la Bologna dei Bentivoglio e la Rimini dei Malatesta. C’è inoltre la Urbino di Federico da Montefeltro, la Roma dei papi e delle corti dei cardinali più potenti e la Napoli della dinastia Aragonese.
Ci furono molti scambi di studiosi e scrittori che volevano espandere la loro cultura e creare un pubblico nazionale o addirittura internazionale.
3.3 LA LETTERATURA UMANISTICA
3.3.1 Il trionfo dell’Umanesimo
Il modello umanistico vuole riscoprire le forme originarie degli antichi classici. Infatti è grazie agli umanisti, cioè coloro che studiano i classici in latino, che ci fu un movimento intellettuale. Nel “secolo dell’Umanesimo” si rafforzeranno i principi educativi e comportamentali.
Tutto ciò attribuì maggior valore all’individuo e alla vita mondana, e mi se al centro l’educazione letteraria che pone l’uomo in confronto col passato e col futuro. Tutto sta però nella retorica dell’eleganza della parola e la perfezione formale. La perfezione e l’eleganza sono virtù e valore dell’individuo. Tutto sta quindi nell’equilibrio e nella razionalità. La poesia diventa l’arte per eccellenza, è colei che è più nobile delle scienze pratiche ed è retorica. È vista come ornamento ed è lei che dà la gloria e l’onore, esalta il potere.
Le scuole fanno fatica ad accogliere il nuovo intellettualismo, poiché le scuole accordavano più importanza alla teologia e alla filosofia. L’Umanesimo ritrova l’individuo e guarda con diffidenza la vita monastica e tutte le forme ascetiche della religiosità.
L’intellettuale tende a separare la propria ideologia dall’orizzonte comune di ideologie passate. Ritengono inoltre che i valori siano uguali per ogni classe sociale.
L’umanista vuole raggiungere posizioni di altro prestigio, per questo esalta i signori per cui lavora, ma se la ricompensa che i signori gli danno non la ritiene sufficiente, con molta spregiudicatezza e cinismo cambia signori e alle volte anche idee politiche.
3.3.2 Tendenze e fasi dell’Umanesimo nell’età signorile
Durante l’età signorile dell’Umanesimo non si può fare un discorso generale, poiché se si guardano i vari scritti bisogna dividere il periodo in sei fasi principali:
1. Umanesimo repubblicano: diffuso a Venezia e soprattutto a Firenze nel periodo della repubblica e dell’oligarchia, l’obbiettivo è connettere letteratura e impegno civile.
2. Umanesimo cortigiano: diffuso nel resto delle corti della penisola, considera la letteratura come sostegno e ornamento del signore.
3. Umanesimo laico e mondano: esalta la vita terrena e la fisicità e naturalità dell’uomo e il suo desiderio di gloria e potere, arriva a estremi quasi pagani.
4. Umanesimo cristiano: vorrebbe che si tornasse ai valori del cristianesimo originario cercando di unire i valori classici e i valori cristiani.
5. Umanesimo filologico: ricostruisce i testi antichi basandosi sulla storicità degli eventi, non tiene conto delle teorie.
6. Umanesimo filosofico: riparte da un modo nuovo di rapportarsi alla filosofia antica non tenendo conto della filosofia medioevale, riprende con rigore teorico.
Spesso i caratteri si contrastano nello stesso scrittore oppure emergono successivamente negli anni. Fino alla prima metà del Quattrocento c’è un Umanesimo repubblicano, poi regna l’Umanesimo filosofico. L’unica suddivisione che si può veramente fare è quella geografica e di successione degli intellettuali.
3.3.7 L’Umanesimo fiorentino
Il primo impulso è dato da Firenze dove ci sono intellettuali che lavorano sulle orme del Petrarca e del Boccaccio. Questo periodo viene definito Umanesimo civile che ha un forte legame con la municipalità. A Firenze del resto era definita l’antica repubblica romana poiché la cultura umanistica era stata sempre presente in quella città e anche i non-intellettuali partecipavano alle discussioni degli intellettuali.
Alla fine del Trecento e inizio Quattrocento c’è lo scontro tra Milano e Firenze. Milano era già un ducato, Firenze era ancora un municipio. Ma quando i Medici salirono al potere e fecero diventare una signoria Firenze molti intellettuali cambiarono ideologie passando dalla repubblica alla signoria con molta disinvoltura.
3.4 LA NUOVA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA
3.4.1 La Firenze di Lorenzo il Magnifico
Dopo la morte di Cosimo (1464) e del figlio Piero (1469) la famiglia de’Medici andò in mano a Lorenzo, figlio di Piero, che regnò fino alla morte (1492). Subì l’attentato diretto alla famiglia ordito dalla famiglia dei Pazzi e dal papato, ove perse la vita il fratello minore Giuliano (28 aprile 1478), la repressione fu dura e rinsaldò il potere della famiglia.
Per mantenere il controllo si fece fautore dell’equilibrio tra gli stati italiani e fece di Firenze un centro letterario e intellettuale che aveva come raccolta il palazzo fiorentino e tutte le ville medicee. Firenze divenne una “novella Atene”.
Oltre che per le ricchissime opere d’arte, Firenze si impose anche come insegnamenti greci, e arrivò l’insegnamento di una nuova filosofia ricollegata a Platone e al platonismo.
Ma Lorenzo tiene viva la tradizione municipale prestando attenzione ai componimenti volgari. Questo viene usato per dialogare con la sua “brigata”, cioè la sua corte che è composta da borghesi e da aristocratici; e usa il volgare per le celebrazioni popolari. Nel 1470 viene riscoperto maggiormente il volgare e si riprendono gli scrittori del ‘300. E ancora una volta, Firenze s’impone come modello italico.
Ma il mondo ideale di Lorenzo non era così facile da realizzare: l’equilibrio era precario e non completo. L’ideale di Savonarola, già negli ultimi anni di regno del Magnifico, andarono a intaccare le fragili fondamenta di Firenze e dopo la morte di Lorenzo fecero scorrere a Firenze un senso d’inquietudine.
AUTORI
3.3.12 Leon Battista Alberti
Vissuto dal 1404 al 1472. Confronta il suo sapere letterario e umanistico con le arti, e dà a queste ultime un’espressione sia ideale che pratica. Infatti fu anche architetto. Afferma il legame tra Umanesimo teorico e lavoro artistico.
Alberti aveva un problema: il rapporto tra l’uomo e il mondo esterno, e quindi la fortuna che resiste all’intelligenza umana.
Alberti riteneva che il volgare fosse un’ottima lingua, soprattutto perché tutti la potevano comprendere. Scrisse opere sia in volgare che in latino e inaugurò l’Umanesimo volgare.
Nacque a Genova nel 1404, da famiglia Fiorentina esiliata e che viveva l’esilio drammaticamente, e ciò era motivo di litigio in famiglia.
Studiò diritto a Bologna, intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1472 ricevette l’incarico di abbreviatore apostolico e visse con le rendite ecclesiastiche. Andò spesso a Firenze, ma preferì vivere nelle corti dei signori, ma soprattutto alla corte papale, a Roma dove morì nel 1472.
Dalla giovinezza fino al 1440 circa scrisse brevi prose in latino chiamate Intercoenales, poiché andavano lette tra pietanze e bevande. Ebbero una grande diffusione tra il ‘400 e il ‘500 ma poi vennero dimenticate e ritrovate nel 1964 nel convento di San Domenico a Pistoia. Non hanno una struttura fissa ma possono essere dialoghi morali o favole o scherzi o figurazioni simboliche che rimandano un po’ al greco Luciano da Samosata. Alberti, con i paradossi, guarda la vita in modo freddo e impassibile, in alcuni casi il mondo dà significati sicuri e indiscutibili, in altri non dà sicurezze.
Molto più famosi sono i Quattro Libri della famiglia i primi tre scritti tra il 1433 e il 1434 e l’ultimo a Firenze nel 1440. traendo spunto dalle sventure politiche i dialoghi della famiglia Alberti arrivano a discutere dell’organizzazione della famiglia. La famiglia è l’unico punto saldo in mezzo alla vita mondana. La famiglia esercita la virtù che sola può contrastare la fortuna. Ma alla fine non dà uno schema su come dev’essere la vita famigliare, dice solo che deve parere saggia. Si basa sulla tradizione mercantile e su una saggezza spicciola, alla donna viene data una posizione subalterna.
Egli dice quali devono essere valori della vita mercantile, che lui ha abbandonato dopo aver abbracciato la vita ecclesiastica. Ma quei valori sono ormai superati, nel III libro infatti Giannozzo spiega la vita della villa di campagna che è fine a se stessa, ma ormai non è più così.
Nel IV libro si parla dell’amicizia, ma diversamente da come se ne è parlato fino ad allora: è un rapporto pratico di coesione sociale, spiega come avviene che ci sia un rapporto di fiducia tra gli individui.
L’Alberti cerca di intrecciare il volgare e il latino, ne risulta una prosa sbrigativa, razionale e aspra, molto lontana dall’eleganza del Boccaccio. Non vuole che la lingua coincida solo col toscano, ma con tutta la penisola.
Il resto delle opere dell’Alberti esprime sempre il rapporto tra virtù e fortuna, esaltando la capacità dell’uomo di resistere alle sventure.
Tra gli scritti latini va ricordato il Momus, che parla aggressivamente ma non è identificabile, scritto a Roma tra il 1443 e il 1450.
Esalta la capacità creatrice dell’uomo nei suoi trattati di arte, che sono fondamentali per l’arte e per la trattatistica sull’arte.
3.3.8 Poggio Bracciolini
Nato nel 1380 a Terranova di Valdarno. Per lungo tempo ricoprì la carica di segretario della Curia, pur rimanendo laico. Ebbe contatti internazionali, come il Petrarca, e fu attento agli eventi della prima metà del ‘400. fu un umanista laico, assetato di sapere e contrario a qualsiasi dogma o regola troppo rigida. Rivolto verso forse di edonismo paganeggiante. Riscoprì o fondamentali della cultura latina. Molto famose le sue epistole, specialmente quella dl 18 maggio 1416 a Niccolò Niccoli e quella del 19 maggio 1416 a Leonardo bruni sul supplizio di Girolamo da Praga (eretico). Nel suo libro Liber Facetiarum si vedono gli squilibri della vita sociale.
3.4.6 Lorenzo il Magnifico, signore e scrittore
(1449-1492). Di lui si ha una personalità varia. La sua formazione è legata ad alcuni insegnanti come Argiropulo o Landino, alla comica brigata che frequentava, e ricevette dalla famiglia un senso di ordine e dovere, soprattutto verso i letterati, perché se si controllano loro si controlla il presente.
A soli vent’anni riceve lo stato fiorentino e nonostante il governo non rinuncia alla sua passione letteraria. Il suo obbiettivo fu di rendere Firenze il centro dell’equilibrio italico.
Il suo non è un atteggiamento da signore illetterato che protegge gli artisti e non li capisce, anzi era lui in prima persona uno scrittore. Con lui l’umanesimo entra in pieno nella vita sociale. Tutto questo è stato grazie a un forte carattere, ma i tempi non erano pronti per una tale rinascita, e così morto il Magnifico, tutto finì con lui.
La sua produzione è varia, non ha uno stile ben rpeciso e spesso è lasciata incompiuta. Usa molto il volgare, riscoprendo gli autori del Trecento, ma con uno stile nuovo che si deve ai classici. Purtroppo il suo cruccio fu di non avere un proprio stile, la sensazione di non trovare se stesso.
3.4.7 Le opere di Lorenzo: tra generi e stili diversi
È difficile dare una logica cronologia agli scritti di Lorenzo, molte opere non raggiunsero mai una redazione completa, altre furono manoscritte e pochissime furono stampate. La cronologia che abbiamo sarà basata su ipotesi.
All’inizio le sue rime sono molto legate alla sua istruzione letteraria, ha due linee di lavoro: una lirica che riprende il Petrarca e l’altra giocosa che deriva dal Pulci. Insieme alle forme rustiche e dialettali c’è la ricerca del perfetto come per Dante e Petrarca. In questi scritti si comprende Nencia da Barberino: 20 ottave sulla satira del villano. In questo il mondo contadino viene visto in modo distaccato e divertito, è comunque una lirica amorosa.
Nella seconda parte è influenzato da Ficino, il quale lo porta vicino ai poeti stilnovisti e al neoplatonismo. Scrive le Orazioni e l’Altercazione. Ispirandosi al Convivio e alla Vita nova spiega alcune suo rime, soprattutto quelle idilliche e delicate, ferme in una rasserenata bellezza.
Nella terza parte arriva Poliziano che riporta il paesaggio mitico e primigenio. Qui il Magnifico riprende argomenti latini e mitici come Amori di Venere e Marte.
Negli ultimi anni il classicismo porta a un’inquietudine religiosa, che prende anche Lorenzo. Ha timore del Savonarola e mette tutto per iscritto. Scrive anche una rappresentazione su San Giovanni e San Paolo.
Ma la vita quotidiana continuava con le feste che culminavano col carnevale, e per accattivarsi il popolo Lorenzo scrisse molte Carnascialesche, la più celebre è Canzona di Bacco, probabilmente dedicata a un carnevale con dei carri ispirati a Bacco e Arianna.
Questa è l’opera della giovinezza, della voglia di vivere contro il tempo che scorre troppo veloce. È il contrario dell’umanesimo, va contro ogni equilibrio così difficilmente instaurato.
OPERE
Vita privata e vita pubblica (Leon Battista Alberti)
Nei primi due libri Della Famiglia, c’è il padre di Leon Battista, Lorenzo, che parla nel primo libro del rapporto tra padri e figli e dell’educazione, e ne parla con Lionardo Alberti. A questo dialogo assistono Leon Battista e il fratello Carlo e poi si aggiungne anche Adovardo. Nel secondo libro si parla dei matrimoni e dell’allargamento della famiglia e qui inizia a parlare Leon Battista. Nel terzo libro si parla dell’economia della casa e qui arriva Giannozzo un vecchio mercante che basa la sua sapienza sulla sua attività mercantile e dice che bisogna spendere solo per i bisogni. Giannozzo spiega inoltre che non vuole saperne degli onori che la prodigalità verso lo stato e la vita cittadina comporta, solo l’intrusione di Lionardo che concorda sul fatto che per prima venga la famiglia e l’amicizia, ma che se si vuole vivere a se stessi e vivere bene bisogna avere anche qualche onore pubblico, tra cui ricoprire qualche carica ufficiale. Giannozzo ribadisce l’importanza della famiglia e che lui ha quattro dati essenziali della vita privata: due interni, e cioè la famiglia e le ricchezze, e due esterni, l’amicizia e l’onore. L’onore è il quieto vivere nella vita pubblica. Logicamente è tutto legato all’aristocrazia fiorentina che è basata sul modello statale.
Il supplizio di Girolamo da Praga (Poggio Bracciolini)
L’attenzione europea a metà del 1416 era sul concioli di Costanza, voluto dall’imperatore Sigismondo per sanare lo Scisma d’Ocidente (si era arrivati ad avere due papi o anche tre). Poggio si trovava là con papa Giovanni XXIII, ma più che dal concilio era attratto dalle biblioteche conventuali piene di reperti latini.
Ma la sua attenzione venne attratta da Girolamo da Praga, seguace di Giovanni Huss, che era stato condannato a morte per eresia. Questi lo vide come uomo moderno, sapiente e d’incrollabile moralità che si era messo contro un clero corrotto e calunniatore, quest’ultimo era preoccupato dalla propaganda morale di Girolamo.
Girolamo centra la sua difesa sulle falsità di testimoni falsi, comprati dal clero vizioso. Poggio non è attratto dalla dottrina di Girolamo che in alcuni punti discorda con quella cattolica, ma dalla sua eloquenza, paragonata a quella degli antichi, e dalla sua morte straordinaria, con socratica dignità.
La Canzona di Bacco (Trionfo di Bacco e Arianna) (Lorenzo de’Medici)
Questo “canto carnascialesco” non ha doppi sensi osceni come succedeva spesso a quel tempo. È ispirato al carnevale del 1490, e più esattamente riguarda il carro di Bacco. Si vede l’influenza di Ficino che nel suo De vita pone Bacco come metafora della gioia e della letizia.
Nel ritornello c’è l’intreccio delle gioie del presente e della precarietà del domani. Infatti si capisce che è un’esaltazione della gioia, con una nota di malinconia.
Nelle prime 5 strofe c’è la presentazione dei personaggi:
1. Bacco, Arianna e le ninfe
2. I satiretti
3. Le ninfe accettano l’inganno amoroso dei satiri
4. Sileno
5. Re Mida (considerazione sulla vanità della ricchezza)
Durante la presentazione si fanno considerazioni sull’amore, la felicità e il riso. Le ultime due strofe invitano la cittadinanza a lasciar perdere il lavoro, togliere qualsiasi pena, ma resta il ritornello finale sulla fugacità del tempo.
La ballata delle rose (Angelo Poliziano)
Poliziano scrisse molte canzoni a ballo, quindi poesie musicabili, cantabili e ballabili. In questa, che è la più famosa, è una ragazza che esorta le compagne a fare come lei e a cogliere le rose e intrecciarle in ghirlande. Questa è ovviamente una metafora, in quanto la rosa sta a significare la bellezza della giovinezza che svanisce presto.
La lirica si svolge in primavera, come molte opere di quel tempo (Botticelli), e ne esalta i colori pastello, leggeri e delicati. In tutta la poesia però non c’è mai una sorta di rimpianto per il tempo passato, anzi è un invito, anche nella terza e quarta strofa, a prendere l’attimo sfuggente e a vivere l’amore presente: una visione dell’amore pervasa da una senso di serena e leggiadra armonia.
Probabilmente fu composta nel 1485, mentre teneva delle lezioni sui componimenti di Virgilio riguardo la fioritura delle rose. Il bello della poesia sta nella leggerezza delle immagini, così calde, tranquille e dolci.
Il lamento per la morte di Euridice (Anegelo Poliziano)
È la storia di Orfeo ed Euridice. La prima scena è ambientata in Tracia, dove Aristeo racconta a Mopso della sua passione per la ninfa Euridice, la quale è morta morsicata da un serpente mentre era inseguita da Aristeo. Allora Orfeo scende nell’Ade per cantare un’ode che aveva precedentemente placato le fiere e invertito il corso dei fiumi. Tutto questo per riavere l’amata Eurudice.
Nella prima ottava, Orfeo, manifesta tutto il suo dolore, poi scende all’Ade e chiede ai mostri infernali (cerbero e le Furie) che gli venga lasciato il passo. Tutto questo grazie al potere della sua poesia.

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