Lettere a Lucilio (Seneca), libro VI lettere VIII

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Testo

LETTERA VIII
LA NATURA SI APPAGA DI POCO: SONO I VIZI
CHE INVECE PRETENDONO MOLTO
Mi lamento, litigo, mi adiro: questo perchй ancora desideri quello che augurт la nutrice o il precettore o la madre? Comprendi quanto male essi ti abbiano augurato? Come ci sono nemici i voti dei nostri cari! e tanto piщ nemici quanto hanno avuto piщ felice compimento. Ormai non mi meraviglio affatto che fin dalla prima fanciullezza siamo perseguitati da tutti i mali: siamo cresciuti fra cattivi auguri dei parenti. Possano gli Dei anche ascoltare la nostra voce che non chiede benefici: ma fino a quando chiederemo sempre qualche cosa agli Dei, quasi non bastassimo da noi a procurarci il necessario alimento? Fino a quando riempiremo colle messi le piazze delle grandi cittа? Fino a quando tutta un 'intera popolazione mieterа per noi? E fino a quando avverrа che molte navi e non da un solo mare rechino le provvigioni per una sola mensa? Un toro si sazia pascolando in pochissimi iugeri di terreno: una selva basta per piщ elefanti, l'uomo trae il suo alimento dalla terra e dal mare. E che? La natura che ci ha dato un corpo cosм piccolo ci ha invece dato poi un ventre cosм insaziabile da superare l'aviditа delle bestie piщ grosse e piщ voraci? Nient'affatto. Come и poco infatti ciт che noi diamo veramente alla natura! Essa и soddisfatta di poco. Non и la fame che ci costa tanto ma и il gusto della pompa. Pertanto questi schiavi del ventre, come li chiama Sallustio, devono essere noverati non fra gli uomini ma fra gli animali, e alcuni neppure fra gli animali ma fra i morti. Si puт dire che vive veramente colui che sa giovare ai molti e sa per questo servirsi di se stesso: ma coloro che rimangono chiusi in una torpida pigrizia stanno nella loro casa come in un sepolcro; e si puт benissimo incidere il loro nome sul marmo della soglia. Essi hanno preceduto se stessi nella morte. Addio.

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