Lettere a Lucilio (Seneca) Libro IX - Lettera VI

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Testo

LETTERA VI

OSSERVA CON SDEGNO CHE GLI ESERCIZI DEL CORPO

SONO TROPPO SPESSO PREFERITI A QUELLI DELLO SPIRITO

E PARLA DELLA FALSA FELICITА

Oggi posso liberamente attendere a me stesso: ed il merito non и mio, ma dello spettacolo che ha chiamato tutti gl'importuni al gioco della palla. Nessuno oggi irromperа nella mia stanza, a disturbare il mio pensiero che procede piщ audacemente proprio perchй sicuro della sua tranquillitа. Non si и sentito picchiare alla porta, la tenda dell'ingresso non sarа sollevata: mi sarа permesso di camminare solo, cosa necessaria in modo particolare per chi cammina da sй seguendo una via veramente sua. Non tengo forse presente nel mio cammino l'opera di coloro che mi hanno preceduto? Certo tengo presenti essi e la loro opera: ma mi permetto anche di trovare col mio pensiero qualche cosa di nuovo, e mi permetto anche di mutare qualche cosa e persino di abbandonare totalmente qualche cosa del pensiero che ci hanno lasciato. Io non mi faccio schiavo di essi: dт loro il mio consenso. Pur troppo ho detto una parola troppo grande quando ho creduto di potermi godere un po' di silenzio indisturbato: ecco mi giunge dallo stadio un immenso clamore che non turba la mia tranquillitа, ma mi induce a riflettere su una contraddizione che c'и nella vita. Penso fra me quanti hanno cura di esercitare il corpo e quanto pochi abbiano cura di esercitare la mente, quale concorso ci sia ad un infido e inutile spettacolo e viceversa quale deserto vi sia intorno alle buone attivitа dello spirito, e penso poi come siano deboli di animo coloro che ammiriamo per la robustezza delle braccia e delle spalle. E mi fermo a riflettere in modo speciale su questo: penso che se un corpo puт coll'esercizio acquistare tale forza di resistenza da sopportare pugni e calci non di una sola persona e passare il giorno sotto un sole cocente e sopra l'arena arsa, tutto bagnato del proprio sangue, quanto piщ facilmente puт rinvigorirsi l'animo in modo da reggere vittoriosamente i colpi della fortuna, e subito risollevarsi quando sia stato abbattuto e calpestato. Il corpo infatti per essere forte ha bisogno di molte cose: l'animo cresce per una sua forza interiore, si alimenta e si esercita da sй. Gli atleti hanno bisogno di molto cibo, di bere molto, di molto olio per ungersi e infine di un lungo esercizio: la virtщ invece puт essere acquistata senza grande preparazione e spesa.
Tutto ciт che ti puт rendere buono и giа in te. Che cosa ti fa bisogno per essere buono? Una cosa sola, volerlo. E che cosa puoi volere di meglio che strapparti a questa servitщ che opprime tutti e che gli stessi schiavi anche della piщ vile condizione nati in mezzo a tutte le brutture cercano di scuotere? Essi per la libertа danno quel peculio che hanno messo insieme a spese del loro ventre: e non brami tu di conquistarti a qualunque prezzo la libertа, tu che nella libertа credi di essere nato? E che? guardi il tuo scrigno? non и quello un bene che si possa comprare. Vana parola и la libertа con cui si segnano i contratti: non la possiedono nй coloro che comperano nй coloro che vendono. Bisogna che a te stesso chieda questo bene, e che tu stesso te lo dia. Anzitutto liberati dal timore della morte, che ci impone un vero giogo, e poi liberati dal timore della povertа. Se vuoi persuaderti che non c'и in essa alcun male, confronta il volto dei poveri e il volto dei ricchi, e vedrai che il povero ride piщ sovente e con piщ sinceritа, perchй non ha gravi preoccupazioni, e se egli ha qualche turbamento и cosa che passa subito come leggera nuvoletta. Invece la gioia di costoro che sono detti felici и falsa gioia, oppure и una tristezza degenerata in finzione ed и tanto piщ grave perchй l'uomo in queste condizioni non puт mostrare apertamente la propria infelicitа e deve far la parte dell'uomo felice, col cuore roso dalle tribolazioni.
Ricorro spesso a questo paragone perchй non ne trovo un altro con cui possa esprimere piщ efficacemente questa commedia della vita nella quale pur troppo sosteniamo cosм male le parti che ci vengono assegnate. Quello che incede pettoruto sulla scena e a testa alta dice: "Ecco io sono il signore di Argo; Pelope mi ha lasciato un regno che dall'Ellesponto si stende fino all'istmo battuto dal mare Ionio" и uno schiavo e riceve per questo suo lavoro cinque moggia di farina e cinque denari al mese. Quell'altro che superbo e tracotante gonfio d'orgoglio per la fiducia nella sua forza esclama: "se non stai quieto, o Menelao, cadrai morto sotto i colpi della mia destra ", anch'egli riceve un salario giornaliero, e dorme su uno strapunto. Ebbene lo stesso tu puoi dire di tutti codesti effemminati che passano portati in lettiga sulle teste della folla: la felicitа di tutti costoro и solo una maschera di felicitа; se tu li spogli di quella finzione ti appaiono quali sono, oggetto di disprezzo. Quando tu devi comprare un cavallo tu vuoi che gli sia tolta la gualdrappa, e cosм pure fai togliere i vestiti agli schiavi messi in vendita affinchй non ti resti celato qualche difetto fisico. E viceversa vuoi giudicare un uomo riguardandolo adorno di ricchi panni? I mercanti di schiavi nascondono con certi loro abili veli ciт che possa dispiacere ai compratori che cosм si insospettiscono proprio degli ornamenti. Se tu vedi una gamba o un braccio con una fascia tu richiedi che ti venga mostrata la carne nuda. Vedi quel re di Scizia o di Sarmazia col capo adorno di diadema? Se tu vuoi conoscerlo e giudicarlo in tutta la sua veritа, levagli la benda; quanto male essa nasconde! Che diremo degli altri? Se vuoi giudicare te stesso metti da parte il denaro, la casa, le cariche e guarda tu dentro te stesso, invece di affidare come ora il giudizio di te stesso agli altri. Addio.

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