Platone: gnoseologia e idee

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Testo

Gnoseologia e idee
Il Protagora: l'attacco alla sofistica
La cosa più importante che Platone riprese da Socrate è l'esistenza di una verità oggettiva suprema e uguale per tutti, in contrasto con la filosofia sofistica ateniese del V e IV sec. a.C.. Protagora diceva che "l'uomo è misura di tutte le cose", e quindi che la conoscenza è personale e dovuta alle sensazioni; le qualità sono vere in quanto appaiono tali all'individuo che le percepisce. In questo modo, però, la sensazioni non sono in grado di dire cosa una cosa sia, ma il nostro rapporto con essa. Mi spiego meglio: se tocco una cosa "calda" non posso giudicare oggettivamente che sia calda, ma posso sicuramente dire che è calda in rapporto a me, cioè che è più calda di me. Ma se io mi riscaldo, percepirei quella cosa meno calda di quanto mi è sembrata prima. Anzi, finché non la tocco, poiché non c'è sensazione, quella cosa non è né calda, né fredda. Una feroce critica che muove Platone è questa: nel momento in cui non si tocca un oggetto, non si può sapere se è caldo o freddo, anche se la memoria dice che è caldo. Il ricordo perde quindi validità. Ma poiché sapere vuol dire anche ricordare ciò che si è imparato, il sofista a causa della sua stessa teoria non potrebbe essere sapiente. Un altro fatto che autoconfuta Protagora è che la sua dottrina, proprio secondo la sua dottrina, non è che una delle verità, quella che per lui è più vera. Perché allora dovrebbe essere vera per tutti? Terza confutazione: se la verità è personale, anche la virtù è personale, e non può essere insegnata. E allora, perché i sofisti si facevano pagare fior di quattrini e si proclamavano "maestri di virtù"?
Il Menone: la conoscenza come reminescenza
In un altro dialogo, si racconta di come Socrate abbia portato uno schiavo assolutamente digiuno di geometria a dimostrare un teorema sul quadrato. Nonostante all'inizio sia ostacolato da opinioni comuni, attraverso la maieutica socratica riesce a dimostrarle da solo. Come è possibile, se nessuno gli ha mai insegnato geometria e se la figura stessa poteva trarre in inganno? Platone conclude che il conoscere è ricordare (anamnesi): l'anima (che ora intendiamo come il principio raziocinante dell'uomo) doveva già conoscere l'argomento di cui si stava parlando, e poiché non l'ha imparato in questa vita, deve averlo fatto in un'altra. Platone si richiama così alla credenza orfica della metempsicosi, ma al di là della spiegazione religiosa c'è una lezione più profonda che si può ricavare anche dal Fedone: l'anima ha una predisposizione innata al conoscere, non derivata dai sensi; il sapere latente può essere risvegliato (e non generato, come per Protagora) dall'esperienza.
I gradi della conoscenza
Nella Repubblica Platone enuncia i diversi livelli della conoscenza, operando una fondamentale distinzione tra doxa, cioè opinione, e epistème, cioè scienza, la conoscenza della verità. La sofistica non poteva portare oltre il primo. Secondo una famosa immagine marinaresca, la "prima navigazione" con la vela non riesce a condurre alla meta; solo l'inizio della "seconda navigazione", quella con la fatica dei dialecticorum remis si può arrivare alla meta, alla scienza. Vi sono due livelli di doxa: l'eikasia, o immaginazione, e la pistis, o credenza. Attraverso l'allegoria della caverna, Platone spiega cosa significhino questi stati. Immaginiamo un uomo sempre vissuto incatenato in una caverna in cui l'unica fonte di luce è un fuoco. Quest'uomo non si può voltare, e può vedere solo le ombre lungo le pareti. Poiché nella sua vita non ha visto che ombre, è sicuro che siano cose reali. Questo stadio è l'eikasia, quello più lontano dalla vera conoscenza: scambiare la rappresentazione di una cosa per la cosa stessa, ad esempio credere che una statua sia l'uomo che essa rappresenta. Ad un certo punto, l'uomo si libera e riesce a vedere, i veri oggetti che lanciavano le ombre. Questo stadio è la pisitV, in cui si conoscono gli oggetti della realtà, ma solo in rapporto ai sensi, come nel sapere sofistico. Anche l'episthmh si divide in due livelli: il pensiero discorsivo, o dianoia, e lo stadio ultimo della scienza, l'intellezione o noesis. L'uomo finalmente può uscire dalla caverna, e vedere le cose reali; ma il sole, simbolo della verità, lo acceca, e può scorgere le cose molto a fatica. Questa è la fase della dianoia, in cui da una cosa particolare si giunge per astrazione alla verità, come in un problema di geometria si parte dalla figura, che non è però che una rappresentazione particolare di un caso più generale, che viene sfruttato come ausilio. Quando gli occhi dell'uomo si sono abituati alla luce, può vedere le cose in sé, non mediate più da niente. Questa è la noesis, in cui si possono considerare le categorie generali senza partire da un caso particolare. Queste sono le idee. Platone, ferrato in geometria, enunciò che
doxa : episteme = eikasia : pistis = dianoia : noesis
Le idee
E ora, che cosa sono le idee, la base fondamentale del pensiero platonico? Quando noi vediamo un cavallo, il cervello ricerca automaticamente nella memoria e riconosce il cavallo come un qualcosa che ha già visto e dice: "è un cavallo". Ma noi riconosciamo un cavallo come tale anche se non abbiamo mai visto quel cavallo in particolare. Che cosa c'è allora nel nostro cervello? C'è un qualcosa che ha tutte e sole le caratteristiche generali di tutti i cavalli, la "cavallinità", il "cavallo in sé", l'idea (eidos) di cavallo. Più precisamente, è la forma o l'aspetto distintivo delle cose (nel nostro caso del cavallo) che ne costituisce l'essenza o il modello essere e immutabile (tutti i cavalli si devono rispecchiare nell'idea di cavallo, perché attraverso di essa noi diremmo "quello è un cavallo"). E l'importante è che può essere colto solo attraverso l'intellezione, allo stesso modo di come da tre tracciati su un foglio di carta si risale a un triangolo generico. Antistene derideva Platone: "Io non ho mai visto una cavallinità", e il secondo replicava: "Non hai gli occhi per vederla", che era un velato modo per offenderne le capacità intellettive.
Le idee e la definizione socratica
Già Socrate aveva dato una spinta verso la teoria delle idee attraverso il problema della definizione. Ma mentre in Socrate la definizione è un atto puramente verbale il più possibile universale, al quale si giunge dopo un accordo razionale (omologhia) tra i dialoganti. E poi, chiedere "ti estì" la virtù è strumentale a conoscerla e quindi a metterla in pratica, secondo l'intellettualismo etico. In Platone l'idea è universale di per sé, ed è fine a se stessa: non si parla dell'idea della cavallinità per studiare il cavallo.

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