Materie: | Appunti |
Categoria: | Filosofia |
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Data: | 04.09.2001 |
Numero di pagine: | 8 |
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Testo
FEDONE
Il Fedone è un dialogo giovanile di Platone , in cui si affronta la ricerca della vera causa : Platone si rende conto che i sofisti e Anassagora avevano torto e si imbatte così nella dottrina delle idee . E' un'opera che si può affiancare al Menone perché Platone anche qui si sofferma a lungo sull'anamnesi, la reminescenza. Anche nel "Fedone",dialogo ambientato nel periodo dopo la condanna e prima della sua morte,Socrate parla con due Pitagorici a riguardo della preesistenza dell'anima:egli li porta a capire la questione servendosi di esempi:tira in ballo la scienza dell'uomo e quella della lira,che sono evidentemente diverse tra loro; Socrate afferma che agli innamorati,nel momento in cui vedono una lira o un vestito che il loro amato è solito usare,succede quanto segue:riconoscono la lira e nel pensiero colgono l'idea del ragazzo a cui appartiene la lira:la reminescenza consiste proprio in questo,riuscire a ricordarsi cose tramite vari "agganci",aspetti che stimolano il ricordo.Nel "Menone" Socrate parla con uno schiavo privo di cultura e gli pone una serie di domande mirate e legate al teorema di Pitagora;chiaramente lo schiavo non lo conosce,ma Socrate ponendogli solo domande specifiche lo porta alla soluzione:è un tipico caso di maieutica. L'unica spiegazione possibile è che lo schiavo si ricordi di un qualcosa che già conosceva,ma aveva dimenticato:giacché non l'ha conosciuto nell'attuale vita significa che l'ha conosciuto in un'altra dimensione (l'altopiano dell'iperuranio).Tale dimenticanza è legata al momento dell'incarnazione:nella sua vita terrena l'uomo può avere momenti in cui ricorda. L'apprendimento è quindi interpretato come il recupero di conoscenze acquisite dall'anima prima di incarnarsi in un corpo,ma dimenticate al momento della nascita e rimaste latenti in essa.Si definisce giustamente Platone "INNATISTA",perché sostiene che quando nasciamo sono già presenti in noi alcuni elementi di conoscenza.Lo schiavo il teorema ce l'aveva già nella sua mente,si trattava solo di ricordarglielo.Quali sono dunque le vie per ricordare? Un modo,come nel Menone,è avere qualcuno che ci aiuti (Socrate),un altro (più impegnativo)è usare bene la propria esperienza (come nel caso di Pitagora ,che per primo si ricordò con la sua esperienza del teorema che gli è attribuito:in realtà lui non l'ha inventato,se l'è solo ricordato per primo).Oltre a sostenere la preesistenza dell'anima,Platone era anche convinto della sua immortalità e della sua eternità:l'anima è viva per definizione e un corpo è vivo o morto a seconda che abbia o meno un'anima;l'anima,quindi,dà e toglie la vita.E' un qualcosa che partecipa all'idea di vita e che di conseguenza non può partecipare a quella di morte,come il numero 3 partecipa all'idea di dispari e non può partecipare a quella di pari.Per Platone ciò che può corrompere l'anima è l'ingiustizia;essa però non può distruggerla:se l'ingiustizia,che è il suo male peggiore,non è in grado di annientarla,è chiaro che neanche i mali minori ce la faranno. L'anima,essendo increata,è anche eterna ed immutabile.Per Platone vivere significa prepararsi alla morte perché il distacco dell'anima dal corpo va preparato moralmente:bisogna liberarsi dalle passioni legate al corpo superandole (un po' come era per i Pitagorici e per gli Orfici:occorreva purificarsi).Dal punto di visto gnoseologico,l'anima disincarnata coglie facilmente le idee nell'Iperuranio;in Platone compare la frase "omoios teo",che significa ottenere un tale perfezionamento da diventare tutt'uno con la divinità.Va poi ricordato che Platone aveva identificato diversi livelli di conoscenza,i cui 2 più importanti sono quello della conoscenza sensibile (doxa),basato su un sapere sensibile,instabile e dettato dalle opinioni,e della conoscenza intellegibile (episteme),sicura,certa e basata su cause vere e proprie. A noi viene da pensare che la differenza tra la doxa e l'episteme ad esempio quando osserviamo un libro consista nel conoscerlo meglio o peggio;pensiamo che guardandolo si abbia una conoscenza sensibile e superficiale,mentre esaminandolo da un punto di vista geometrico se ne abbia una intellettuale. Platone invece è convinto che ad ogni livello di conoscenza corrisponda un oggetto preciso:non è che cogliamo il libro prima con i sensi e poi con l'intelletto.Per Platone dopo che esaminiamo attentamente il libro in modo sensibile,esso ci rievoca con le sue forme geometriche l'idea di parallelepipedo,che è totalmente differente dal libro stesso.Infatti il libro partecipa all'idea di parallelepipedo,cioè la imita,ma non lo è:quando in matematica si dimostra su un parallelepipedo disegnato,in realtà si dimostra sull'idea stessa di parallelepipedo:le regole di dimostrazione valgono per tutti i parallelepipedi perché in realtà vanno riferite solo all'idea del parallelepipedo;d'altronde le misure che risultano dalla dimostrazione non potranno mai essere esattamente compatibili con quelle del nostro disegno:lo sono esclusivamente con quelle dell'idea (quando noi diciamo di disegnare un triangolo rettangolo,diciamo un'assurdità perché è impossibile che un angolo risulti esattamente di 90°:in realtà esiste solo l'idea di triangolo rettangolo).Di conseguenza ci sono anche 2 soggetti conoscitivi:a conoscere il libro è la sfera del sensibile(il corpo),mentre a conoscere il parallelepipedo è la sfera dell'intellegibile(l'anima).Tutto questo dimostra che vi è una stretta parentela tra l'anima e le idee,che non a caso Platone dice essere costituite dello stesso materiale metafisico ed entrambe eterne: vale a dire che sono immutabili.Che cos'è la dottrina delle idee?La parola "idea",innanzi tutto,deriva dalla radice greca "id-"che è a sua volta riconducibile al verbo "orao",vedere:è quindi qualcosa che si può vedere ma non con gli occhi, bensì con l'intelletto;la percezione degli oggetti sensibili risveglia il ricordo delle idee dell'iperuranio,le quali permettono di misurare l'inferiorità e la deficienza degli oggetti sensibili rispetto ad esse. Così qualunque oggetto sensibile possa essere detto bello, non coincide mai con l'idea della bellezza nella sua perfezione ed immutabilità. L'idea di bellezza,per esempio, è il modello ed il criterio in base al quale possiamo denominare belli determinati oggetti:infatti è perché già possediamo l'idea di bellezza che possiamo designare belli questi altri oggetti.Nei primi dialoghi Platone aveva presentato l'indagine di Socrate proiettata alla ricerca di definizioni,ossia di risposte corrette alla domanda:"Che cos'è x ?"(dove x sta per bello,giusto...).Per Platone la risposta a questa domanda consiste nel rintracciare l'idea in questione(per esempio l'idea di bellezza,di giustizia...).L'idea è dunque un "universale":ciò significa che i molteplici oggetti sensibili,dei quali l'idea si predica,dicendoli per esempio belli o giusti,sono casi o esempi particolari rispetto all'idea:una bella persona o una bella pentola sono casi particolari di bellezza,non sono la bellezza.Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento,soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse;proprio questa differenza di livelli ontologici,ossia di consistenza di essere,qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti. L'attività di un artigiano,per esempio di un costruttore di letti,è descrivibile da parte di Platone come un insieme di operazioni che mirano a foggiare un determinato materiale (in questo caso il legno) secondo il modello dell'idea del letto,alla quale egli si riferisce costantemente con il suo pensiero. L'idea è quindi dotata di esistenza autonoma,né dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere pensata;essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano.La partecipazione all'idea,per esempio,di bellezza rende un determinato oggetto sensibile bello.Si usa solitamente dire che le idee abbiano una triplice valenza:1)Ontologica (dal participio del verbo essere greco):due cavalli,per esempio,si assomigliano perché compartecipano all'idea. L'idea rende conto di ciò che una cosa è.Le cose sono infatti quel che sono perché imitano le idee.2)Gnoseologica (dal verbo greco "gignosco",conoscere):noi conosciamo le cose perché facciamo riferimento all'idea di uguaglianza:nella realtà empirica l'uguaglianza non esiste;essa esiste in un'altra dimensione.Due uomini si assomigliano perché partecipano entrambe all'idea di uomo.3) Assiologica (da "axiologia",la scienza che studia i valori):l'idea è il modello (in Greco "paradigma") imitando il quale ogni cosa tende al bene,che è lo scopo di ogni cosa:per un cavallo il bene sarà correre veloce.Ovviamente le imitazioni non potranno mai essere uguali al modello;questo avviene per diversi motivi:uno che merita di essere ricordato è che le idee nell'iperuranio non avevano né forma,né colore,né dimensioni...quindi se disegniamo un triangolo bianco è già diverso dal modello che non aveva alcun colore e che paradossalmente li aveva tutti. Platone sostiene quindi la causa finale:secondo lui la causa il motivo per cui avviene una cosa è il suo fine stesso;la causa finale di una casa è farvi abitare della gente:ci sono però anche delle "concause"(che noi definiremmo "la condizione senza la quale..."),in questo caso i mattoni,il cemento...la vera causa finale però è l'idea stessa,sul modello della quale la casa è costruita:il fine della casa infatti è essere fatta sul modello dell'idea di casa,cioè nel migliore dei modi:il meglio di ogni categoria corrisponde infatti alla sua idea. I sofisti avevano individuato solo una causa riferita alla materia;Platone non accetta questo e dice,servendosi di una metafora legata alla tecnica della navigazione,che la loro "prima navigazione" era fallita,e che quindi lui si serve della "seconda navigazione",quella che si usa quando non c'è vento e ci si serve dei remi:è una navigazione più faticosa,ma più sicura.Della "seconda navigazione" Platone ce ne parla nel "Fedone":Socrate racconta che in gioventù era stato attratto dalla scienza naturale,che era tipica dei sofisti (non a caso Aristofane nelle sue commedie ce lo presenta come un sofista con la testa fra le nuvole)ma poi se ne era allontanato per dedicarsi alla vera filosofia e aveva così effettuato la seconda navigazione. Anassagora , fra i filosofi naturalisti, sembrava, con la sua dottrina del “Nous”, aver trovato la vera causa delle cose. Ma a questa affermazione, di per sé eccellente, Anassagora non seppe dare adeguato fondamento. Infatti, il “Nous” avrebbe dovuto spiegare come tutti i fenomeni siano strutturati in funzione del meglio, presupponendo quindi una precisa conoscenza, da parte del “Nous”, del Bene e del Male. Ma Anassagora non ha saputo fare questo e ha continuato ad assegnare agli elementi fisici - le “omeomerìe” - un ruolo di causa determinante. Gli elementi fisici sono solo una causa ausiliare, non la vera causa. Ma se vogliamo spiegare la «vera causa» noi non possiamo riferirci a cause fisiche; la vera causa, ossia la causa reale, è l’Intelligenza che opera in funzione del meglio. Occorre guadagnare quel «meglio», ossia quel «Bene», in funzione di cui opera l’intelligenza, il quale sta al di là del fisico e del sensibile; occorre quindi guadagnare il piano dell’essere intelligibile, metasensibile, ovvero l’essere «metafisico». La verità delle cose sta appunto nelle realtà intelligibili, che Platone ha chiamato “Idee”, pure forme, eterni modelli delle cose, rispetto alle quali le cose sensibili sono un mezzo o strumento di realizzazione, non quindi l’essenza delle cose, ma ciò mediante cui l’essenza si realizza nella sfera del sensibile . Questa scoperta delle Idee come vero essere, intelligibile, incorporeo, immutabile, in sé e per sé esistente, è stato in passato considerato il vertice speculativo del pensiero platonico (oggi noi sappiamo che Platone, nelle «Dottrine non scritte», si è spinto ancora oltre con la teoria dei Principi primi e supremi.). Hegel scriveva addirittura che proprio nella formulazione della dottrina delle Idee sta «la vera grandezza speculativa» di Platone, «grazie alla quale egli segna una pietra miliare nella storia della filosofia e quindi nella storia universale»(Hegel, “Lezioni sulla storia della filosofia” . Socrate (e anche Platone) non solo si era allontanato dai sofisti,ma addirittura cercava di far comprendere ai suoi concittadini che il loro metodo era sbagliato:essi non danno motivazioni razionali e partono dal presupposto (in particolare Protagora) che non esista una verità:l'uomo è misura di tutte le cose);per di più i sofisti si fanno pagare per i loro discorsi raffinati e privi di verità;per dimostrare la loro bravura effettuano dimostrazioni assolutamente paradossali (vedi quella di Lisia).