I pionieri del romanzo del 900

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Testo

L’età della crisi Dibattito sul Futurismo
(1880-1930) romanzo del = (Arte)
900

Prima guerra mondiale Nietzsche
Schopenauer
Freud →sistema nervoso

Differenza di potenziale

PAGANO ANTONIA
V A LINGUISTICO
Introduzione: dibattito sul romanzo del 900
Filosofia: Nietzsche
Schopenauer
Freud
Letteratura
Inglese: James Joyce
Virginia Woolf
Letteratura
francese: Marcel Proust
Letteratura
spagnola: Camilo Josè Cela
Letteratura
italiana: Pirandello
Letteratura
latina: Petronio
Arte: Futurismo
Storia: Prima guerra mondiale
Biologia: sistema nervoso
Fisica: differenza di potenziale
IL ROMANZO DEL XX SECOLO
e la sua crisi
La crisi I primi decenni del Novecento furono anni di profonda e decisiva evoluzione del romanzo. Essa è accompagnata da una discussione sulla sua validità: secondo il poeta e critico Paul Valery il romanzo crea delle illusioni all’uomo e lo inganna, iniziando così quel periodo denominato “età della crisi” dove per crisi s’intende, appunto, la messa in discussione dello sviluppo delle nuove tecniche del romanzo. Si può affermare che l’Ottocento è stato il secolo di maggior gloria del romanzo moderno fondato sul principio di verosimiglianza. Il narratore è guidato dalla convinzione di poter riprodurre la realtà servendosi di alcune tecniche ad esempio: la rappresentazione di personaggi tipizzati, spesso caratterizzati come eroi o eroine; l’ampia e dettagliata descrizione di ambienti e figure umane; il trattamento del tempo del racconto in modo lineare e più possibilmente vicino al succedersi delle fasi cronologiche e logiche della vicenda; un intreccio fortemente strutturato; l’impiego di numerosi dialoghi e l’uso della terza persona narrante. Questo romanzo realista è retto da un preciso patto narrativo, cioè il narratore racconta una storia che il lettore deve credere vera, come realmente accaduta.
La crisi della concezione realista si consuma alla fine del XIX secolo, quando si discute sulla nozione stessa di realtà. I filosofi e gli scienziati dell’epoca dimostrano che è impossibile definire “realtà” il mondo fenomenico, quello cioè che noi viviamo, poiché non esiste per tutti la medesima realtà, oggettivamente ed universalmente valida. La realtà non può essere ricostruita sulla base di un meccanismo secondo il quale ogni causa determina un effetto, come avevano creduto di poter fare i romanzieri naturalisti francesi. La realtà scaturisce da un atto di intuizione individuale, dalla coscienza del singolo.
Le innovazioni Le tecniche di narrazione cambiano:
• La concentrazione può avvenire su un solo personaggio che può anche non essere il protagonista.
• Non ci sono più lunghe e dettagliate descrizioni, ma più spazio per la psicologia dei personaggi.
• Il trattamento del tempo del racconto non è più lineare ma deformato e subordinato ai ritmi dell’attività interiore.
• Un intreccio debole, talvolta assente o difficilmente ricostruibile.
• L’impiego di nuove strategie narrative come il monologo interiore e il flusso di coscienza che permettono di registrare in forma diretta ciò che avviene nella coscienza del personaggio.
• L’uso della prima persona narrante.
Come conseguenza, si può osservare che il vecchio patto narrativo su cui era basato il romanzo realistico dell’Ottocento, nel Novecento è invalidato e sostituito da un nuovo patto: il narratore parla di una realtà soggettiva, che non ha la pretesa di verità universale o scientifica ed il lettore assume la posizione di critico, poiché ognuno può sviluppare la sua interpretazione, per questo il romanzo del novecento offre numerose chiavi interpretative.
Le influenze Gli autori del periodo della crisi sono caratterizzati dal superamento dei modelli culturali del passato e da un sentimento d’insofferenza e disagio esistenziale. Essi ricavano una nuova visione del mondo dal pensiero filosofico di autori quali Schopenauer, Nietzsche e Bergson i quali affossarono uno dei principi fondamentali del pensiero positivista ottocentesco secondo il quale attraverso l’osservazione e l’esperimento si poteva pervenire alla conoscenza della realtà. Schopenauer nell’opera “Il mondo come volontà e rappresentazione” affermava che la realtà non è quella del mondo fenomenico. Inoltre diceva che l’uomo oscilla tra la noia e il dolore e può sottrarsi da questa esistenza solamente distaccandosi dal mondo. Ed è proprio questo concetto d’estraneità che prendono in esame autori come Italo Svevo, Franz Kafka, Thomas Mann o Robert Musil. Altro filosofo che contribuisce alla formazione del romanzo del Novecento è Nietzsche che mette al centro della sua indagine sull’uomo i desideri, le spinte irrazionali della psiche, la forza vitale, la creatività dello spirito umano per elaborare il concetto di Übermensch “superuomo” o meglio “oltre-uomo” dove l’uomo cerca di superare i propri limiti per realizzare le proprie illimitate potenzialità. Il filosofo che indusse i romanzieri del Novecento a rivedere l’aspetto del tempo nella narrazione fu Bergson, dato che era ritenuto normale lo scorrere lineare del tempo secondo un procedimento logico-cronologico. Bergson distinse il tempo della coscienza e il tempo della scienza. Il tempo della coscienza è il flusso della vita psichica, ed è unico ed organico. Non è una linea retta dove passato, presente e futuro sono dei segmenti separati, ma è un flusso continuo dove passato e futuro coesistono nel presente, l’uno nella memoria l’altro nella proiezione.
Resta infine da considerare l’influenza della psicoanalisi di Freud che iniziò ad impressionare i vari scrittori di questo periodo: gli studi sui sogni, sulla sua importanza e il significato rivelatore; i lapsus e gli atti mancanti; le pulsioni dell’io; e infine, la scoperta dell’inconscio, questa separazione tra lato cosciente e incosciente della psiche umana.
I “pionieri” Gli autori vengono definiti “pionieri” poiché aprono nuove strade nel campo della narrativa. Essi iniziano a sperimentare nuove forme del romanzo, sia dal punto di vista stilistico sia dei contenuti e delle tematiche.
Per la narrativa tedesca ricordiamo Thomas Mann che con “I Buddenbrook” inaugura il nuovo secolo. Questo romanzo narra l’ascesa e il declinio di una ricca famiglia di commercianti attraverso quattro generazioni, esso costituisce una riflessione critica dell’autore sul mondo borghese al quale egli stesso appartiene. Le sue opere successive sono d’influenza psicoanalitica.
Originale e fuori dagli schemi fu anche l’opera di Herman Hesse, personalità irrequieta ed ostile alle regole, sviluppa nell’infanzia esperienze personali di violenza psicologica che influiscono sulla sua opera: conflitto fra individuo e società, dualismo bene/male, problemi esistenziali.
Ricordiamo anche il praghese Franz Kafka che ci mostra un mondo moderno allucinante ed enigmatico: un labirinto di castelli, di tribunali invisibili e di grotteschi templi della Legge, che schiacciano e annientano l’individuo, facendone una creatura estremamente sola e alienata.
Ma sono gli autori della narrativa inglese quelli più significativi. Ricordiamo Joseph Conrad che introduce il tema della tragica solitudine dell’uomo moderno e affronta le inquietudini del male e dell’ignoto anche su un piano simbolico. Ma i più importanti sono decisamente James Joyce e Virginia Woolf .
James Joyce apporta innovazioni non solo sul piano tematico ma anche su quello espressivo. Secondo lui l’artista ha una sensibilità eccezionale che riesce a vedere nelle cose ciò che gli altri non vedono e traduce in simboli e immagini il senso delle sue visioni. Il suo compito è parlare della verità che può nascondersi in particolari anche insignificanti e nelle azioni poco oneste; verità, che è un’intuizione soggetiva e creativa poiché non intende comunicare una verità universalmente valida, ma la verità di una coscienza. Inoltre attiva lo sguardo di un occhio interiore, capace di vedere nell’inconscio dell’uomo, creando così una particolare tecnica, il monologo interiore, attraverso il quale il lettore conosce direttamente le attività interiori del personaggio. Portando questa tecnica alle estreme conseguenze, il flusso di coscienza, Joyce colloca il lettore nel libero fluire di pensieri, emozioni, ricordi del personaggio e nei suoi processi mentali.
Virginia Woolf cambia radicalmente il modo di narrare, infatti, sostituisce il mondo del narratore onnisciente, colui che tutto sa e tutto comprende, con un narratore invisibile che lascia la parola ai personaggi, adottando il loro punto di vista, creando come conseguenza tante microunità narrative e riflessive che costituiscono un flusso ininterrotto difficilmente riconducibile alla trama normale.
Un altro nome importante è quello del francese Marcel Proust legato al nome della monumentale opera “Alla ricerca del tempo perduto” un’opera divisa in sette volumi che ricostruiscono una vita intera, quella dell’autore, attuata da una memoria che nel momento in cui rievoca il passato, ne scopre il significato. Per lui, infatti, anche un gesto insignificante, come l’atto di mangiare una madeleine, riporta alla mente episodi d’infanzia al quale l’oggetto è legato, che la mente da sola non sarebbe mai riuscita a ricordare.
La narrativa
italiana In Italia predominavano ancora i romanzi di gusto estetizzante di D’Annunzio e quelli pervasi di misticismo. Inoltre nel dibattito letterario dominavano le istanze del Futurismo, un movimento che però ebbe fortuna solo nell’ambito artistico e poetico e nessuna incidenza sul romanzo. Di scarso rilievo è il romanzo dello stesso fondatore del movimento Filippo Tommaso Martinetti “Mafarka il futurista”.
L’apertura decisiva verso la modernità novecentesca è merito di Luigi Pirandello, Italo Svevo e Federigo Tozzi, accomunati dal proposito di scrutare con occhio nudo la crisi, senza perdersi dietro forme espressive seducenti e accattivanti, ma utilizzando una scrittura semplice, piana e comune. Svevo è la figura dello scrittore solitario ed emarginato che indaga l’uomo dal suo interno. La sua trilogia di romanzi “Una vita”, “Senilità” e “La coscienza di Zeno” si concentra sul disagio psicologico. Zeno è una maschera delle incertezze dell’autore che analizza con ironia il proprio disagio, ma alla fine, capisce che in fondo è lui il più sano di tutti, perché è consapevole di essere malato. Pirandello costituisce una figura di transizione tra epoche e modi narrativi differenti. Infatti, dal mondo naturalistico ricavò l’appoggio della razionalità, però indagò sulla crisi del mondo e dell’uomo contemporanei con strumenti della psicologia. Egli giunge a disgregare l’immagine unitaria, ottocentesca della realtà sostituendole una molteplicità di apparenze in mezzo alle quali l’uomo vive solo e dissociato, sconosciuto anche a se stesso.
FILOSOFIA
SCHOPENHAUER
Arthur schopenauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788 da un banchiere e una nota scrittrice di romanzi. Il padre voleva destinarlo al commercio ma dopo la sua morte si iscrisse all’Università di Gottiga. Sulla sua formazione influirono le dottrine di Platone e di Kant, del primo lo attrae la teoria delle idee, intese come forme eterne sottratte al dolore del mondo; del secondo deriva l’impostazione soggettivistica della sua gnoseologia. Nel pensiero di Schopenhauer confluiscono altri motivi eterogenei, oltre Kant e Platone, abbiamo da un lato la tradizione religiosa della mistica cristiana e la filosofia orientale, dall'altro alcune istanze dell'illuminismo e del romanticismo. Schopenhauer non condivideva le posizioni dell'idealismo del suo tempo e si oppose in particolare alle idee di Hegel, che identificava realtà e razionalità. Egli accettava invece, pur con alcune differenze, la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Su questa base veniva a teorizzare una distinzione tra il mondo come rappresentazione, cioè come conoscenza dei fenomeni, e il mondo come volontà che è una realtà più profonda, sostenendo, dal punto di vista della conoscenza, che "il mondo è la mia rappresentazione", nel senso che esso costituisce un'immagine illusoria del soggetto. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili: da un lato c’è il soggetto rappresentante, dall’altro c’è l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto all’interno della rappresentazione e nessuno dei due precede o può sussistere indipendentemente dall’altro. Di conseguenza non ci può essere soggetto senza oggetto, rifiutando il concetto del materialismo e dell’idealismo e accettando quello del criticismo, poiché anch’egli ritiene che la nostra mente risulta corredata da una serie di forme a priori. Tuttavia a differenza di Kant, che ammetteva dodici categorie di forme a priori, Schopenhauer ne accetta soltanto tre: il tempo, lo spazio e la casualità. La sua opera più importante è appunto intitolata Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il velo di maya
La filosofia di Schopenhauer parte dalla distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Ma da quest’ultimo si differenzia perché, mentre Kant affermava che il fenomeno è una realtà che l’uomo può raggiungere e il noumeno, invece, una realtà al di là del limite umano; Schopenhauer afferma che il fenomeno è un’illusione, un sogno, ciò che viene chiamato “velo di maya” in India, e il noumeno è una realtà dietro il fenomeno, nascosta dal velo. Spetta al filosofo scoprirla. Si nota da questa sua concezione che è attirato dalla filosofia orientale e si allontana da quella occidentale che cerca di spiegare tutto in modo razionale. Schopenhauer si vanta di aver trovato quella via d’accesso al mondo noumenico, affermando che non c’è bisogno di una chiave: se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione non potremo mai uscire dal mondo fenomenico, quindi dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a vederci dal di fuori, bensì viviamo anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio quest’esperienza di base che permette all’uomo di “squarciare” il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere.
Il pessimismo
Il pessimismo metafisico di Schopenhauer deriva dalla constatazione che essere equivale a dolore, in quanto l’universo è solo Volontà inappagata, ossia il teatro di una vicenda di cui la sofferenza costituisce la legge immanente. In pratica, dire che l’essere e Volontà equivale a dire che l’essere è dolore, poiché volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione e di mancanza, che nessun appagamento può colmare. Nel momento in cui una soddisfazione placa temporaneamente i desideri, essa fa in modo che l’uomo precipita in una situazione altrettanto negativa, che è quella della noia. La vita dell’uomo è, quindi, come un pendolo che oscilla fra il dolore e la noia (o dolore o noia è il destino dell’uomo), e solo apparentemente si passa per il piacere e la gioia.
Le vie di liberazione dal dolore
L’unica via di liberazione dal dolore potrebbe sembrare il suicidio, ma Schopenhauer non esalta questa soluzione, anzi la condanna poiché vede nel suicidio una forma di attaccamento alla vita. Infatti, il suicida vuole la vita è solo scontento delle condizioni; inoltre, il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della Volontà e non la Volontà in se stessa. La vera risposta al dolore del mondo è la liberazione dalla stessa Volontà di vivere, in che modo? Per passare dalla voluntas alla noluntas l’uomo ha bisogno di due momenti: l’arte e l’ascesi. L’arte ci spinge ad aprire quella fase della contemplazione delle idee che portano l’uomo ad abbandonare la realtà. Di conseguenza, grazie ad essa l’uomo più che vivere contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. L’ascesi è quella più importante che porta alla rinunzia della propria volontà. Essa si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. Quando succede ciò, l’uomo diviene libero, si rigenera ed entra in quello stato di grazia che nella filosofia orientale viene definito Nirvana (pace interiore), l’esperienza del nulla che non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso.
FREUD
La rivoluzione psicanalitica
Di tutte le scuole di psicologia, la psicanalisi, fondata da Freud, ha esercitato il maggior peso nella cultura novecentesca. Infatti, essa hainfluito in misura notevole non solo sulla psicologia, ma anche sulla letteratura, sull’arte, sulla sociologia, sulle scienze e sulla filosofia. La cosiddetta “rivoluzione psicanalitica” ha finito, in definitiva per influenzaretutta la cultura del nostro secolo.
Sigmund Freud nasce in Moravia nel 1856 da genitori ebrei che si trasferiscono a Vienna. Laureatosi in medicina intraprende studi di anatomia del sistema nervoso, ma per ragioni economiche è costretto ad abbandonare la ricerca scientifica e a intraprendere la professione medica, dedicandosi alla psichiatria. Studia i fenomeni isterici e in virtù di queste ricerche perviene alla scoperta dell’inconscio e quindi alla fondazione della teoria psicanalitica. Il successo delle sue teoria fa in modo che nel 1910 nasca a Norinberga la Società internazionale di Psicanalisi. Delle sue opere ricordiamo: Studi sull’isteria (1895); L’interpretazione dei sogni (1900); Introduzione alla psicanalisi (1915-1917); L’io e l’Es (1923).
Le due topiche psicologiche
L’inconscio e i modi per accedere ad esso.
Prima di Freud, la psiche veniva identificata con la coscienza, con lui si è invece scoperto che la maggior parte della vita mentale si svolge fuori della coscienza ed il conscio è solo una manifestazione visibile di esso. La personalità è composta da due zone: il conscio, cioè quella parte della vita mentale di cui la persona è momentaneamente consapevole e l’inconscio, ossia quando non si è coscienti. Freud divide l’inconscio in due zone. La prima, “il preconscio”, comprende l’insieme dei ricordi che, pur essendo momentaneamente inconsci, possono divenire consci grazie ad uno sforzo. La seconda zona comprende quegli elementi psichici stabilmente inconsci che sono mantenuti tali da una forza specifica “la rimozione”, che può venir superata solo con apposite tecniche. Inizialmente Freud utilizzava l’ipnosi per accedere all’inconscio, ma ottenne scarsi risultati, così elaborò un nuovo metodo, quello delle associazioni libere (anziché forzare il malato esso mira a rilassarlo), per guidare l’interpretazione dei sogni e dei lapsus: egli chiedeva ai suoi pazienti di dire, senza alcuna censura, qualsiasi pensiero avessero, in questo modo i processi inconsci, che sono all’origine della nevrosi, possono trapelare. Scoperto l’inconscio Freud si propose di codificarne i messaggi tramite lo studio di quelle manifestazioni che sono i sogni, gli atti mancanti e i sintomi nevrotici.
L’Es, il Super-io e l’Io.
La personalità umana ha tre componenti: l’Es, il Super-io e l’Io. L’Es è il “polo pulsionale della personalità” ovvero la forza impersonale e caotica che obbedisce solo alla legge del piacere, non conosce ne bene, ne male, ne moralità. Il Super-io o comunemente chiamata coscienza morale, ovvero l’insieme delle proibizioni che sono state instillate all’uomo nei primi anni di vita e che lo accompagneranno sempre. L’io è la parte organizzata della personalità, che si trova a fare i conti con le altre due parti e il mondo esterno. In pratica deve portare equilibrio.
ITALIANO
NIETZSCHE
La diagnosi di Schopenauer sulla natura della vita rimane il presupposto costante dell’opera di Nietzsche. La vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha ordine nel suo sviluppo, ne scopo, la domina il caos. Di fronte alla vita sono possibili allora due atteggiamenti. Il primo è quello della rinuncia e della fuga, questo è l’atteggiamento che Schopenauer derivò dalla sua tesi ed è quello che Nietzsche definisce della morale cristiana e della spiritualità comune. Il secondo atteggiamento è quello dell’accettazione della vita che mette a capo all’esaltazione della vita e al superamento dell’uomo.
“Dionisiaco” e “apollineo”
Il motivo scatenante di questa tragedia è la distinzione fra “dionisiaco” e “apollineo”. Il primo scaturisce dalla forza vitale e dal senso caotico del divenire e rappresenta l’istinto, quel momento nel quale l’uomo agisce senza pensare. Il secondo scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al flusso imprevedibile degli eventi e rappresenta la razionalità, quel momento in cui l’uomo pensa prima di agire.
Accettazione della vita
N. vuole essere discepolo di Dionisio, poiché vede in lui il vero simbolo del suo “si” totale al mondo. Ma Dionisio non ha nulla a che fare con l’accettazione totale della vita perché lui è il dio che canta, balla, ride, scherza, dunque, bandisce ogni tentativo di fuga di fronte alla vita. Ciò significa che l’accettazione integrale della vita trasforma il dolore in gioia, la lotta in armonia, la crudeltà in giustizia, la distruzione in creazione. Essa rinnova la tavola dei valori morali. Valori, fondati sulla rinuncia e sulla diminuzione della vita, che appaiono a N. come un abbassamento dell’uomo al di sotto di sé e quindi come indegne di lui. Per lui sono virtù tutte le passioni che dicono sì alla vita e al mondo.
Nietzsche è stato il primo dei filosofi che è uscito fuori dagli schemi classici della filosofia ed ha assunto il compito di demolire le certezze metafisiche, morali, religiose e di tutta la filosofia precedente, da quella classica ad oggi. Questa sua opera di demolizione, gli ha fatto meritare il titolo di filosofo del sospetto. La sua filosofia è tutta un’incessante distruzione di miti e di credenze codificate, in quanto egli è convinto che gli uomini, per poter sopportare l’impatto con il caos della vita, abbiano costruito delle certezze che, in realtà, sono soltanto delle necessità di sopravvivenza. Quest’opera di demolizione polemica del passato non si risolve tuttavia in una semplice critica delle idee o dei sistemi ma mette a capo alla delineazione di un nuovo modello di umanità: il “super-uomo” o “oltre-uomo” (übermensch).
In seguito contraddice anche la morale degli uomini dell’ottocento, che è falsa perché si basa su un concetto dell’uomo sbagliato: quello dell’uomo debole. Nel mondo classico, la morale essendo espressione di un’aristocrazia cavalleresca, risulta improntata ai valori vitali della forza, della salute, della fierezza, della gioia. Questa è quella che lui chiama, la morale dei signori. In un secondo momento, che giunge al suo apice con il cristianesimo, la morale appare improntata ai valori anti-vitali del disinteresse, dell’abnegazione, del sacrificio di se, questa è la cosiddetta morale degli schiavi.
La “morte di Dio” e l’avvento del superuomo.
La critica della morale e del cristianesimo trova il suo apice nel tema della morte di Dio, che rappresenta uno dei motivi centrali della filosofia di Nietzsche. Per lui Dio è la più grande menzogna che l’uomo ha creato per sopravvivere al caos della vita. Per la società Dio è ormai morto: è stato l’uomo ad uccidere Dio, perché attraverso il progresso scientifico e tecnologico Dio non è più preso come punto di riferimento. Bisogna quindi vivere prendendo se stessi come punti di riferimento e tenendo sempre conto del senso della Terra. La morte di Dio segna l’atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia alla vita e di prendere atto della caoticità del mondo, è ormai maturo per varcare l’abisso che divide l’uomo dall’oltre-uomo.
ITALIANO
LUIGI PIRANDELLO
La vita fra ricorrenze tragiche e tentativi catartici nell’interpretazione della follia
Luigi Pirandello nasce ad Agrigento il 28 giugno 1867 da una famiglia di agiati borghesi, il padre Stefano era il proprietario di una solfare e la madre Caterina Ricci Gramitto apparteneva ad una famiglia di tradizioni antiborboniche. La vita familiare non era affatto serena a causa della personalità forte e prevaricatrice del padre, ed è già da questa esperienza che egli ricavò la concezione della famiglia come trappola, luogo soffocante dove i rapporti non possono essere autentici. Compiuti gli studi medi, frequenta la facoltà di lettere, prima all’università di Palermo, poi a quella di Roma e infine a Bonn, dove approfondisce la ricerca filologica, s’interessa alla filosofia idealistica e si laurea con una tesi in tedesco sui dialetti agrigentini. In seguito resta a Bonn come lettore di lingua italiana all’università ed inizia ad approfondire la conoscenza della letteratura tedesca, privilegiando Goethe del quale inizia a tradurre le Elegie romane, comincia in questo periodo anche la composizione delle Elegie renane. L’interesse di Pirandello dalla giovinezza fino all’età matura era verso la poesia, una prima raccolta di versi appare nel 1889, Mal giocondo. Tornato in Sicilia accetta di sposare Antonietta Portulano, figlia di un socio d’affari del padre, donna bellissima ma di salute cagionevole e psicologicamente fragile. Gli inizi del matrimonio furono abbastanza felici e allietati dalla nascita dei tre figli: Stefano, che seguì le orme del padre dedicandosi alla letteratura e al teatro; Lietta e Fausto, che divenne pittore. Grazie all’aiuto economico del padre la coppia potè vivere a Roma, dove Pirandello entrò in contatto con gli ambienti letterati e strinse amicizia con Luigi Capuana che lo spinse ad abbandonare la lirica e lo incoraggiò verso la produzione narrativa. Collaborò ai giornali e ale riviste mostrando subito avversione per il dannunzianesimo e per ogni forma di Simbolismo e di Estetismo.
L’esclusa Il primo romanzo che compose si intitola L’esclusa, nel quale già prospetta le soluzioni che verranno denominate “del grottesco”, cioè la deformazione della realtà per cui si piange per ciò che si dovrebbe ridere e viceversa. Esso racconta una paradossale vicenda siciliana: Marta Ajala è scacciata di casa dal marito Rocco, che a torto l’accusa di adulterio, per aver scoperto una lettera d’amore a lei indirizzata da un elegante intellettuale, Gregorio Alvignani, deputato al parlamento. Cerca rifugio presso i genitori, ma il padre, che si ritiene disonorato, tronca ogni rapporto con lei e con la famiglia lasciandosi morire di crepacuore, isolandosi nella sua camera. Quando s’accorge che il paese l’ha esclusa dalla vita civile, Marta decide di trasferisi a Palermo, dove le hanno offerto un impiego come maestra. Qui diviene l’amante di Alvignani, incontrato per caso, e quando Rocco, oprmai convinto della sua innocenza le propone di ritornare a casa, lei le confessa francamente il suo legame. Ora, ci si aspetta il definitivo ripudio, invece, il marito non solo la perdona, ma la supplica di rimanere con lui. Il grottesco sta appunto nella morale: un’innocente, scacciata dalla società, per esservi riammessa, deve prima passare sotto le forche dell’infamia, commettere cioè davvero quella colpa di cui ingiustamente era stata accusata.
Il turno Anche il secondo romanzo Il turno, presenta situazioni comico-grottesche: Pepè Alletto è innamorato della giovane Stellina, ma il padre di lei le fa sposare un vecchio e ricco signore nella speranza che muoia presto e le lasci l’eredità. Ma il vecchio non muore e ricorre all’avvocato per ottenere la separazione. A questo punto Stellina deve sposare l’avvocato che muore d’infarto e finalmente verrà il turno di Pepè.
A partire dal 1903 inizia il periodo più pesante per Pirandello, si abbatte una disgrazia sulla sua vita familiare: frana la miniera di zolfo del padre dove era stata investita l’intera dote della moglie. La notizia del disastro finanziario provocò nella donna una crisi nervosa che si manifestò dapprima sotto forma di paralisi isterica che la costrinse a letto per alcuni mesi e, in seguito, come vera e propria malattia mentale che l’afflisse per tutta la vita. Pirandello si trovò così non solo a fronteggiare la difficile situazione economica ma anche il dramma della follia che esplode nella mente della consorte. L’ossessiva gelosia della moglie costituisce per Pirandello un continuo tormento che contribuisce alla sua concezione della famiglia vista come una “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo. Questa allucinante esperienza gli incupisce la visione del mondo, attira la sua fantasia verso il “grotteco tragico”. In questo clima pubblica il più celebre dei suoi romanzi Il fu Mattia Pascal.
Il fu Mattia La narrazione è basata sulla tecnica del flashback, i fatti narrati sono già conclusi e Mattia
Pascal Pascal affida le sue memorie a un manoscritto, con la disposizione di leggerlo dopo la sua terza e definitiva morte. Mattia Pascal è un bibliotecario comunale in un paese della Riviera ligure, Miragno, che dopo un ennesimo litigio con la moglie abbandona la casa col proposito di emigrare in America. Nel casinò di Montecarlo vince una grossa somma al gioco e in un giornale legge la notizia della sua morte per un errore di identificazione di un cadavere suicida, decide di rimanere le cose some stanno e di iniziare una nuova vita col nome di Adriano Meis e va a stabilirsi a Roma in una pensione. Per qualche tempo gode la sensazione di libertà poi avverte i disagi poiché Adriano Meis non esiste e, quindi, non può partecipare alla vita civile, non può sporgere denuncia se derubato e non può sposare la figlia del titolare della pensione. Così simula il suicidio e torna al paese per assumere la vecchia identità. Ma qui non può che essere il “fu” poiché la moglie si è risposata e si rifugia nella casa di una vecchia zia, dove vi conduce vita crepuscolare. Stende un diario e ogni tanto va a portare un fascio di fiori al suo presunto sepolcro.
Venuto meno l’assegno paterno, Pirandello intensificò la sua collaborazione ai giornali, facendo della narrativa il suo mestiere, infatti, lascia l’insegnamento al magistero per dedicarsi interamente all’attività artistica. Nel 1915 appare a puntate sulla «Nuova Antologia» il romanzo Si gira… poi intitolato col nome di Quaderni di Serafino Gubbio operatore.
Si gira… Narra la storia di un operatore cinematografico che, dopo aver assistito a un terribile incidente di scena, rimane muto. Questo romanzo rappresenta la condanna della civiltà di massa e di tutti i suoi miti tecnologici, come il cinema. La macchina tanto celebrata dal D’Annunzio e dai futuristi, è per Pirandello uno strumento di alienazione.
Nel 1915 mise mano al suo ultimo romanzo Uno, nessuno, centomila, il romanzo più filosofico dell’autore, sul quale lavora per dieci anni. Lungo la stesura il romanzo si era trasformato per lui in una specie di diario in cui venivano condensandosi gli aspetti più dolorosie paradossali della sua concezione del mondo, definito dallo stesso Pirandello «il romanzo della scomposizione della personalità umana».
Uno, nessuno, Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre, per una casuale osservazione della oglie Dida,
centomila che il proprio naso, da lui creduto perfetto, è deformato da una lieve pendenza a destra. Questa scoperta lo induce, in seguito a un ragionamento, lo scarso grado di conoscenza che egli ha del proprio corpo e a concludere che ancor meno conosce la sua personalità morale. Riflettendo sul comportamento degli altri nei suoi confronti giunge alla convinzione che ciascuno si forma di lui un concetto diverso, cosicchè egli, che prima si è creduto “uno”, scopre di non essere “nessuno”, potendo apparire “centomila” persone diverse ad altrettanti osservatori. Travagliandosi nella ricerca dlla propria identità e sprofondando sempre più nell’angoscia del relativismo, Moscarda approda ad una lucida follia. Abbandonato dalla moglie, vende la banca ereditata dal padre e fonda un mendicicomio, dove egli stesso si ricovera, conducendovi una vita sciolta dal pensiero del passato e tutta immersa nell’immediatezza del mondo naturale.
Sempre in questi anni alcuni capocomici cominciarono a chiedere a Pirandello testi da mettere in scena che inizialmente egli ricavò dal suo repertorio di novelle, riproponendo situazioni e personaggi in veste teatrale. In seguito il successo lo incoraggiò a proseguire nella produzione teatrale. Il vero debutto sulla scena avvenne negli anni della prima guerra mondiale. Egli metta in scena il consueto salotto borghese, ma il dramma che vi si svolge non ha niente di naturalistico, sulla scena si svolge un’indagine: il protagonista è portatore di una tragedia, di una sventura di cui non vuol parlare, mentre tutti si accaniscono contro di lui perché vogliono sapere la verità. Ma la verità non esiste in assoluto, esistono tante verità quanti sono i punti di vista. Crea il metateatro, cioè il teatro nel teatro, con la cosiddetto “trilogia: Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto. Esse rispecchiano rispettivamente il conflitto tra attori e personaggi, tra attori e spettatori, tra attori e regista. È la novità di Pirandello: non limitarsi a rappresentare un soggetto, ma fare il soggetto, cioè costruire l’azione scenica coinvolgendo gli spettatori e facendoli partecipi della sua realizzazione. Il metateatro sta quindi a significare un tipo di teatro in cui si affrontano i problemi e le tematiche del teatro stesso.
Sei personaggi Su un palcoscenico dove alcuni attori stanno provando la commedia di Pirandello Il giuoco in cerca delle parti entrano sei intrusi che dichiarano di essere dei personaggi (padre, madre, figlio d’autore figliastro, bambino e giovinetto) balenati alla mente di un poeta e lasciati in abbozzo, sicchè
cercano un nuovo autore che li innalzi alla compiutezza dell’arte. Gli attori provano a metterli in scena, ma i sei personaggi non si riconoscono in quell’interpretazione e si sentono fraintesi e falsati. Il conflitto s’incentra quindi fra attori e personaggi.
Ciascuno a Comincia già all’ingresso del teatro, dove viene distribuito al pubblico un opuscolo che
suo modo spiega il soggetto della commedia, ispirato a un fatto di cronaca: lo scultore La Vela, innamorato dell’attrice Moreno, si è ucciso quando ha scoperto che l’amata lo tradiva col barone Nuti. Sulla scena lo scultore si chiama Salvi, l’attrice Morello e il barone Rocca. Nella ricostruzione scenica si hanno discussioni fra gli attori sulla responsabilità dell’attrice nel suicidio del pittore. Intanto la Morello e Rocca che, dopo il suicidio, non si erano più visti, si incontrano a casa di amici e si confessano il loro amore che avevano tenuto nascosto. La scena termina a questo punto, ma non il dramma, infatti, la vera attrice e ilo vero barone che avevano assistito alla rappresentazione si sentono riconosciuto nei personaggi e salgono sul palcoscenico perché vogliono contestare il finale. Ma presi anch’essi dal vortice della recitazione si accorgono che la finzione ha fatto scoprire i loro veri sentimenti e come gli attori che li rappresentavano, fuggono insieme. Il conflitto in quest’opera è quindi fra attori e spettatori.
Questa sera In quest’opera il regista propone una recita “a soggetto” su una novella di Pirandello, gli
si recita attori accettano, ma si rifiutano di rcitare il dramma come vuole il regista, non vogliono
a soggetto essere delle marionette, ma vogliono recitare guidati dalla passione. Nasce sulla scena un conflitto dove la spuntano gli attori. Questa è la trama da rappresentare: Nico Verri ha sposato Mommina e la obbliga a stare sempre in casa poiché un tempo insieme alle tre sorelle si era data alla bella vita. Un giorno arriva in città una delle sorelle, divenuta cantante e Mommina ripensa alla giovinezza e racconta alle sue bambine di quei tempi, la passione che la guida fa in modo che cade morta. Anche nella ricostruzione scenica l’attrice che interpreta Mommina si immerge tanto nella parte che si sente male davvero. Il regista è trionfante perché ha finalmente otenuto quello che voleva, poiché gli attori sono entrati nella loro parte. Il conflitto in quest’opera e fra gli attori e il regista.
Il pensiero e la poetica
Alla base della visione pirandelliana c’è un concetto vitalistico, cioè un concetto filosofico secondo il quale i fenomeni biologici non si possono ridurre a fenomeni fisico-chimici, ma sono governati da entità immateriali, per Pirandello la realtà è “vita in continuo movimento”, essa si presenta come un magma caotico nel quale è immerso l’uomo. Egli tende però a staccarsi da questo flusso per affermare la propria identità, indossando una maschera, cioè adotta una serie di atteggiamenti coerenti che costituiscono la propria personalità. Ma così facendo si sottrae al flusso della vita e comincia a morire.
Nel saggio L’umorismo Pirandello teorizza il suo relativismo conoscitivo: se la realtà è in continuo movimento, essa non può essere collocata secondo schemi precisi e definiti, qualsiasi immagine che pretenda fare ciò è puramente soggettiva. Non esiste una posizione privilegiata da cui poter osservare la realtà, qualsiasi prospettiva è equivalente ad un’altra. Non esiste la conoscenza assoluta della realtà e quindi non è possibile fissare una verità oggettiva. Ognuno ha una “verità” personale che nasce dal suo modo di vedere le cose. Da ciò deriva una incomprensione fra gli individui, perché ognuno fa riferimento alla sua “realtà” e non sa come è la “realtà” degli altri e questa confusione genera l’incomunicabilità fra le persone. La difficoltà di comunicare accresce il senso di solitudine dell’individuo che si sente “nessuno”, mette ancora di più in crisi i rapporti sociali e rafforza la scoperta della loro artificiosità.
Secondo Pirandello nell’uomo vive una ricerca di equilibrio tra «Vita» e «Forma». La vita è quella dei sentimenti e delle emozioni, la forma è l’immagine di sé che l’uomo deve offrire alla società, creandosi mondi ideali che poi, nel suo perenne divenire, deve distruggere. Nella ricerca di equilibrio l’uomo indossa una maschera che gli permette di essere accettato dagli altri e gli crea l’illusione di essere un uomo coerente con se stesso, con le sue idee. Quindi, oltre alla maschera che indossiamo per noi stessi, illudedondoci di costruire la nostra individualità, ci sono anche quelle che dobbiamo indossare per gli altri, se vogliamo vivere integrati e ben accolti nella società. Coloro che ci vivono intorno ci gettano addosso ciascuno una maschera che ci classifica, ci imprigiona nella trappola delle convenzioni sociali.
La prima crudele trappola è la famiglia, infatti, qui fin dalla nascita siamo obbligati a sostenere un ruolo, e il personaggio che vuole riappropriarsi della propria libertà, scardinando la famiglia, si accorge che fuori c’è un’altra trappola, la società. Si diventa allora forestieri della vita e spettatori della vita altrui, filosofi della filosofia del lontano, che è rinuncia alla vita per evitare il dolore. Da questa trappola, secondo Pirandello, non abbiamo vie d’uscita, il suo pessimismo è totale; l’unica via di savezza che egli propone ai suoi personaggi è quella di rifugiarsi nell’immaginazione, come per l’impiegato Bellucco, protagonista de “Il treno ha fischiato”, che sogna di viaggiare in paesi lontani per evadere dall’oppressione di un lavoro frustrante e di una famiglia molto complicata.
Altra via di salvezza, proposta da Pirandello, è la follia: l’arma per eccellenza per contestare le forme fasulle della vita sociale, con le loro convenzioni ed i loro rituali, e dimostrare la loro inconsistenza. La follia rappresenta l’esito finale della disgregazione dell’io, uno stato di grazia in cui finalmente si vive senza vedersi vivere, liberi da ogni maschera e da ogni condizionamento.
Originale prodotto della sua riflessione intorno al rapporto tra l’uomo e il mondo è la lanterninosofia. Gli uomini rispetto alle altre specie viventi, hanno il triste privilegio di sentirsi vivere, cioè di accorgersi di essere viventi. Essi usano questo sentimento della vita come strumentoper conoscere il mondo esterno, illudendosi di riportarne una conoscenza oggettiva; in realtà questo sentimento della vita è diverso per ciascuno di noi, quindi abbiamo una visione soggettiva della realtà. Il nostro sentimento della vita è paragonabile ad un lanternino colorato che ci portiamo appresso e che diffonde un debole chiarore. Alimentiamo questi lanternini ai grandi lanternoni delle fedi e delle ideologie, e quando, nei periodi di grande mutamento, i lanternoni cadono, vaghiamo come lucciole senza meta. Solo la morte, spegnendo i nostri lanternini, potrà ricongiuncerci con l’essere indistinto.
INGLESE
THE MODERN AGE
The age of anxiety
The twenty century was marked by great transformations. It was two world wars that modified the world and man and it developed science, communication and psychology. Men believe that all human misery would be swept away because they gave more importance to progress. In this period scientists and philosophers destroyed the Victorian age values and new views of man and universe emerged. At first this new ideas were introduced by Sigmund Freud in his work “the interpretation of Dreams” which explain the unconscious that created disturbing for the fact that man’s action are motivated by irrational forces. An other concept is infantile sexuality and the concept of “free association”. All this influenced the writers of modern age, in fact it need new values. The literature that was influenced also by science with the theory of relativity of Einstein; the Quantum Mechanics and theories of language of Wittgestein; the idea of time of Bergson and William James. The key-words of this new age were alienation, isolation and anxiety.
Modernism
Modernism is a movement that it developed at the beginning of twentieth century when there were social and intellectual changes. It refuses the values of previous age (Naturalism and Decadence) to leave space to introspection. In fact one of the most important features is give importance to unconscious; an other is no limit between space and time; the perception of reality as something of subjective etc.
The modern novel
Modernists are influenced by the new philosophies and new theories of unconscious. Their novels aren’t well planned or with a logical sense of stories but it were confused. In fact they say that isn’t necessary the passing of time to reveal a character but it need even one day to know it if we analyse the unconscious. They created new methods as Joyce’s epiphany, the interior monologue and stream of consciousness and refuse the omniscient narrator. The most important novelist are Joseph Conrad, Henry James; David Lawrence; Edward Forster. James Joyce and Virginia Woolf utilise a subjective narrative techniques.
The interior monologue
It was created in twenty century to reproduce the complexity of human mind. It express the unspoken activity of mind before it is ordered in speech, so the confused thoughts. It needs to distinguish it to the stream of consciousness that it is the psychic phenomenon itself not the verbal expression of it.
Stream of consciousness
In literature, a 20th century technique derived from the vocabulary of psychology, in which characters and events in narrative are presented through the mental images, emotional reactions and thoughts of the main characters. The author attempt to follow the interrupted flow of conscious reactions and associations which pass through the minds of his characters as they act externally during a period of their lives. Famous English writers of the stream of consciousness technique during this century are James Joyce and Virginia Woolf. The author usually doesn’t described external happenings but sensations, memories, associations, the mental and emotional reactions of his characters.
JAMES JOYCE
James Joyce was born in Dublin in 1882. He was educated at Jesuit school but he rebelled. The rebellion against the church: Joyce challenged Catholicism and become hostile towards the Church. This hostility represented a revolt of the artist-heretic against the doctrine and the struggle between the aesthete-heretic and provincial Church. In reality it means the conflict between a son and his parents. In the years of the university he knew Yeats. After the degree he left Ireland for a volunteer "exile" on the continent with Nora Barnacle that remained with him for the whole life and gave him two children. In 1905 he left Zurich to go to teach English in a private institute in Trieste where he made friend with Italo Svevo. He spent the years of the war to Zurich, where he knew Ezra Pound. From 1920 and for the following twenty years it was in Paris and here it tightened relationships with intellectual foreground. This years are very difficult because his daughter Lucy have serious psychic illness and he had troubles to the sight. Following the German invasion during the second world war, it returned in Zurich, where he died.
Main features
He wrote in the XX century so he was modernist and such as he was influenced by the French naturalism and the decadence. The facts become confused, in fact, are represented most points of view simultaneously. He gave more geographical detail, so realism. At last he collect and analyses the impressions and thoughts of characters. He used in his works new techniques as the impersonality of the author, the symbolism, the psychological analysis and the epiphany.
As regard impersonality, Joyce abandons the omniscient narrator of the 19th century and the story is told through different points of view that are those of the characters and the language changes adapting to the protagonist. In particular in the "Dubliners" the language develops itself, becoming more complex in the later stories where the protagonists are adults. Moreover in a "Portrait of an Artist as a Young Man" there are several differences between the language of the first chapter, in which the protagonist is a child, and the fourth chapter, where he had became an adult.
Symbolism: it derives from Baudelaire, Verlaine and Mallarmè and consists in a double vision of reality. Poetry is now associated to the intuitive power of the artist and the poet is the only person that can find mysterious associations. For example the final part of the "Dubliners" (The Dead) we are a combination of realism and symbolism. The people and the dinner are described through an accumulation of realistic details, the same details become symbols of a deeper reality (for example the roast goose served at the dinner becomes symbol of Gabriel need for escape; the same name Gabriel, which, according to the Hebrew mythology, is both the prince of fire and the angel of death, means that Gabriel is spiritually dead; instead Michael Furey, whose name means the highest angel, will live for ever in Gretta's memory). Moreover symbolism is present in a "Portrait of an artist as a Young Man" when the protagonist, Steven Dedalus, associates the girl appeared to a bird. This meant that the girl is a symbol of flight, escape, safety and freedom.
The psychological analysis: in the XX century the writer's interests are no more directed to the relationship between the individual and society, but to the mind of the characters. For this new aim of literature was indispensable the influence of Freud, the founder of psychoanalysis. To analyze the character's interiority Joyce uses the stream of consciousness that is the casual association of thoughts, impressions and emotions of a person who is not thinking intentionally, but is letting his mind flow freely. The external aspect of the stream of consciousness is the absence of paragraph, division into sentences and use of punctuation. The best example of the stream of consciousness is in "Ulysses" the monologue of Molly Bloom. It's an analogical speech, which is based on the association of different thoughts or impressions, through similarity of sound or meaning. In particular he passes from the image of flowers to her youth in Gibraltar, to Leopold's proposal and to God's existence.
The epiphany: the original meaning of the term epiphany is, of course, the showing of the Christ child to the Magi, but Joyce adopts this expression to mean a sudden revelation through a gesture, a word, which involves the spiritual awakening of the protagonist. An example of epiphany is present in the "Dead" when Gretta reveals to Gabriel Conroy her past experience when a man died for her. This revelation involves a changement in Gabriel, in fact he understands that his wife has a private life and, looking at himself, he discovers how he is, not what he would like to be. Another epiphany is in "A Portrait of an artist" when Steven Dedalus, after the sight of the girl, understands that his mission in life is not to become a priest, but to be free from all the bounds of society.
Style
His style is an exploration of the characters’ impressions and points of view. In fact reality that he describes becomes the place of our psychological projections. He uses the free direct speech and epiphany and interior monologue. In Joyce’s novel are represented physical problem compensated with his sense of hearing. So his works should be read aloud.
Subjective perception of time: Moreover, depending on the psychology of the characters, the time is no more objective category but relative one and therefore there is often the contemporarily of past, present and future. The characters don’t perceive time objectively but they have changes psycho logics, so time is subjective. Impersonality of the artist: Joyce believed in the impersonality of the artist. His task was to render life objectively so give true images. In this way he caused the isolation of the artist from society. Last thing is that he used different points of view and narrative techniques appropriate to characters.
The setting: Joyce left Dublin at the age of twenty two, he set all his works in Ireland and mostly in the city of Dublin. It had never been represented and probably Joyce considered it his mission to give his home town a literary importance. He want to give a realistic portrait of the Dubliners life. He represents the whole of man’s mental, emotional and biological reality too, fusing with modern civilisation and natural world.
ULYSSES
…Plot…
The protagonist is Leopold Bloom that represented Joyce’s common man. One morning he leaves his home to buy breakfast and returns the following morning. In this time he walks in the street thinking at his wife, his son dead and many others. During his wandering he meets Stephen Dedalus that becomes momentarily his adopted son. This story is a parody of wandering of Odysseus.
The representation of human nature
In this novel J. represented two aspect of human nature in his three characters. S. Dedalus is pure intellect that seeks maturity as every young man; Mrs Bloom represented the sensual nature and fecundity; Mrs Bloom is the whole of mankind. The moral is that to live it means to suffer and struggling to rise and seek the good.
Narrative technique
In Ulysses he presents a combination of techniques: the stream of consciousness; the cinematic technique with his flashback, tracking shots, jump cuts; dramatic dialogue; question and answers and the juxtaposition of even. He perfections the interior monologue.
Language
In the language we have images, paradoxes, interruptions and many symbols. The vocabulary is amazing.
VIRGINIA WOOLF
She was born in London in 1882. She was influenced by his father that was a Victorian man of letters, aggressive and tyrannical, he imposed the ideal of the domesticated woman. After her father's death she moved with her sister and the two brothers to Bloomsbury London district and its house became the point of meeting of many intellectuals protagonists of the culture of the time. This entourage is note as Bloomsbury group. Here this poet changed the Victorian values and founded on an ideal of morality and respectability. The Second World War increased her anxiety and fears. She became haunted by terror of losing her mind. Finally she could stand it no longer. She chose the only possible death for her , “death by water” and drowned herself in the river Ouse. She was fifty-nine.
Contribution to the modernist novel
She gives voice to world of feeling and memory. She was influenced by Freud’s psychoanalysis, Bergson perception of time and even by artists and painters that experimented new way to perceive reality. In fact for her is most important the moment when human given the vision of the myriad impressions.
The rejection of tradition
As the modernist she refuses the traditional form: a plot well planned, a definite setting, a development in time. She created many points of view because the omniscient narrator disappears and the point of view shift inside the characters’ mind.
Narrative technique
Even if she presents the characters’ thoughts maintains logical and grammatical organisation. Her technique is based on the fusion of stream of thought into a third-person, past tense narrative. She created “moments of being” that there are moments of insight during her characters’ daily lives when they can see reality behind appearance.
A poetic use of language: her language is poetic, his words are allusive and emotional. She uses rhyme, refrain and metaphor.
MRS DALLOWAY
…Plot…
The protagonist is Clarissa that one day goes to Bond Street to buy some flowers for a party. While she is in a flower shop, outside a car drives noisily where Septimus and Lucrezia Smith are walking. When she returned at home received a visit from Peter Walsh, her ex boyfriend. When he leaves Clarissa’s house goes to Regent’s Park where meets Warren Smith. All the characters are presented at Clarissa’s party.
FRANCESE
LE MONOLOGUE INTÉRIEUR
Quand on présente un personnage (A) qui parle à un autre personnage (B), on décrit ce que ce personnage A dit a B d’une manière ordonnée, claire, prècise, compréhensible, logique parce qu’on resume ce qui se pense dans la conscience du personnage; personnage qui, après avoir "codifié" ses émotions, ses pensées, à parlé à B logiquement pour se faire comprendre. Voilà pourquoi B peut comprendre ce que A lui dit. Maintenant, comme on étudie l’incoscient, comme on commence à analyser ce qui se passe dans la tête du personnage, dans son inconscient, avant que le personnage commence à parler, on présente un monologue intérieur qui décrit toutes les sensations, les émotions, les réactions émotives, mentales, les pensées du personnage; réactions, souvenirs, émotions, associations d’idées qui ne sont pas ordonnés, placés dans l’inconscient du personnage d’une manière précise, claire, logique, ordonnée. Ces réactions, ces sensations sont effectivement "désordonnées" parce qu’elle se trouvent encore dans l’incoscient du personnage; elle n’ont pas encore été codifiées.
L’écrivain, à travers le monologue intérieur, décrit tout ce qui se passe dans l’inconscient du personnage, dans son "moi" le plus profond. Normalement ces sensations, ces réactions, ces associations des idées deviennent claire, compréhensibles, logiques, ordonnées quand elles sont codifiées, quand elles passent de l’inconscient à la conscience du personnage, c’èst-à-dire quand le protagoniste commence à parler. le monologue intérieur selons certains détracteurs, fausse l’aspect fugitif de la pensée, parce qu’il présente, avec des mots ce qui se passe dans l’inconscient du personnage. Tout ça ne devrait pas être décrit parce que ce qui se passe dans l’inconscient du personnage est quelque chose d’inorganique. Ce qui est inorganique ne peut pas être structuré, codifié, presenté à travérs des mots. On risque, donc, de confondre l’impression avec l’expression.
LES ROMANS DU XX SIÉCLE
Les romans du xx siécle commencent à étudier l’âme de l’homme, la conscience de l’homme qui est complexe, l’ambivalence la diversité des sentiments de l’homme. Les écrivains furent influencés par la psychanalyse de Freud qui montra l'existence de l'inconscient. Dans ce moment là le roman exige une lecture active, une interprétation des faits. Le lecteur doit interprèter les faits avec une façon active et atentive. Il y a donc de nouvelles techniques narratives qui choquent la conception traditionelle du roman. Le texte est : 1)écrit en prémiere personne; 2)on n’accepte pas les discours ordonés, construits rationnellement mais oui les inventions verbales et les terms populaires; 3)la syntaxe est brisée, fragmentée. On accorde beaucoup d’importance à la memoire, à la rêverie, aux sensations, aux réactions mantales, émotives, aux associations d’idées. Voilà pourquoi on brise la linéarité, la cohérance logique, chronologique, rationelle du récit. Le romanciers du xx siécle se consacrent à la psychologie, ils font attention aux détails les plus bizarres, même les plus insignificant, les plus petites, ils étudient les zone trouble de la conscience, ils analysent des situations jusque-là inexplorées, les plis de l’âme humaine.
Le grand nerrateur est Marcel Proust qui à travérs toute une série d’outils stylistiques et grâce à l’etude des phénomenes liés au temps et à la durée, renouvelle l’analyse psychologique du personnage à l’interieur du romans.
MARCEL PROUST
Avant la mort de son père et sa mère Proust mène une vie mandaine, s’occupe de litterature’ fréquente le salons à la mode, adquiert la réputation d’amateur de goût raffiné. C’est à cette époque qu’il écrit "Jean Santeuil" (roman autobiographique où trouve mêles ses souvenirs d’enfance et des observations sur la vie mondaine). Il collabore à quelques revues et traduit des ouvres de l’anglais Ruskin (critique d’art). Il écrit de nombreux articles de littérature, d’art ; il passe ses journées dans les bibliothèques, le musées, les salons le plus important de Paris. Proust fait partie, donc, de la société élégante parisienne, mondaine qui aime la vie frivole ; il est attiré par le luxe et l’elegance de la vie mondaine ; il fréquente des représentants de l’aristocratie. Mais, après la mort de ses parent, quelque chose change en lui ; isolé dans sa douleur il commence à réflechir sur sa vie, sur ce qu’il a fait, il commence, grâce à une sorte d’examen de conscience, à se rendre compte de la corruption, de la vulgarité, des vicées de la societé mondaine qu’il avait fréquentée et appréciée. Il se retire, donc, dans son appartement et abandone cette société mauvaise, alénante, negative. Il trouve dans l’écriture une nouvelle raison de vivre. En 1908 il commence "À la recherche du temps perdu". Comme Proust est conscient qu’il est malade et qu’il cour le risque de mourir’ il s’enferme dans sa chambre et écrit’ il écrit partout. Peu à peu il se replie sur l’univers de son enfance et le fait ressurgir dans son ouvre. Il est aidé par le déclarement de la I guerre mondiale qui l’eloigne des mondanités. Donc, il s’eloigne de la haute société mondaine et aristocratique qu’il avait fréquentée et appréciée pendant sa jeunesse et fait de sa solitude en èlément important qui lui donne la possibilité de se mettre à la recherche de son passé.
A’ la recherche du temps perdu»
Il y a beaucoup de similitudes entre la vie da Marcel Proust, l’auteur, et la vie de Marcel, le narrateur de "À la recherche du temps perdu". Pourtant, Marcel, l’auteur, ne veut pas qu’on lise se vie dans le livre "Un livre est le produit d’un autre moi, un moi different que celui du moi autobiographique que nous manifestons dans nos habitudes, dans la société, dans nos vices" dit-il. On retrouve bien sûr le monde de l’enfance de l’écrivain à Combray, sa famille, les premiers amours, le monde de la bourgeoisie parisienne, celui des salons de la grande noblesse, des plages à la mode, le Paris de la Belle Époque. Comme Proust, le narrateur aussi découvre l’art à Venice, se passionne pour la musique, la peinture. Mais, au contraire de Proust, le narrateur n’est pas homosexuel. Le narrateur, en effet, tombe amoureux de Gilberte Swann quand il a quinza ans ; plus tard il tombe qmoreux d’Albertine qui lui fait éprouver les torments de la jalousie.
Il est un seul roman divisés en sept parties. On peut décomposer l’oeuvre en deux parties. La première, très longue, parcourt la vie du narrateur Marcel, l’histoire de sa formation mondaine, de ses désillusions, de ses tourments amoreux et de sa jalousie, de sa découverte de l’art. La seconde période se résume à une journée, celle de la decouverte du sens et de l’utilité de l’ouvre d’art.
«Du côté de chez Swann»
Il comprend trois récits: 1) Combray– l’auteur parle de son enfance à Combray. Un jour pendant une promenade avec ses parents il voit le Château de Guermantes inaccessible à ses yeux parce qu'il fait partie du monde aristocratique. Il rencontre aussi la maison de M. Swann un homme élégant et raffiné, ami de ses parents.
2) Un amour de Swann – Swann devient le protagoniste et le narrateur reconte des événements que n’a pas commis personnellement. Swann épouse Odette, femme frivole, de cette union va naît Gilberte.
3) Noms de pays –ensemble d’invocations a partir de noms de pays.
Proust retrouve des moments heureux et aussi de moment tristes et ansieux.
«A l’ombre de jeune filles en fleurs»
Le narrateur tombe amoreux de Gilberte, donc, il fréquente chez les Swann. Mais il nous presente l’impossibilité de trouver le bonheur dans l’amour parce que dans un certaine moment Gilberte s’eloigne du narrateur et lui aussi, plus tard, finit par l’oublier et present une nouvelle fille, Albertine. Gilberte s’épouse avec Robert de Saint-Loup.
Ce c’est le livre qui lui fait obtenir succès et lui fait gagner le prix. En lui il nous présente sa théorie de l'amour: l’amour est toujour décevant, il fait toujour souffrir parce qu’il naît dans l’illusion, le mensonge, l’erreur. La souffrance a fait et fera toujours partie de l’amour qui a un seul but à atteindre: faire souffrir les hommes. Nous trouvons dans cette conception pessimiste de l’amour des éléments stendhaliens de la théorie de la cristallisation de l’amour. Swann idéalise Odette, il finit par lui donner de qualités qu’elle ne possède pas en réalité. Voilà pourquoi, dit-il, l’amour sera toujours décevant parce qu’il se fonde sur l’image fausse que nous faison de l’autre, de la personne que nous aimons ou que nous crayons aimer, une personne que nous finissons par idéaliser.
«Le Côté de Guermantes»
À Paris le narrateur tombe amoreux d’une autre fille, la duchesse de Guermantes. Son désir est d’être reçu chez elle. Dans ce partie il present le mond des salons à travers la peinture de l’aristocratie parisienne. L’unité du cycle est assuré par 1) le retour de personnages, comme chez Balzac ( Proust comme Balzac met en évidence le fait qu’on n’est pas toujours les mêmes et que les hommes évoluent, changent, se modifient grâce aussi à l’influence du temps) et par 2) la présence du narrateur. Proust oserve attentivement les usage, les moeurs, les détails les plus petits de la société mondaine : du côté de l’aristocratie il évoque la famille brillante des Guermantes ( le duc de Guermantes qui a épousé sa cousine Orianne ; son frère le baron de Charlus qui a les manières brusques) ; du côté de la burgeoise il y a les Verdurin qui reçoivent dans leur salons parisien Swann, sa maîtresse Odette et d’autres personnages. La fusion de ces du mondes s’opère par des mésalliances : Odette devient la maîtresse du duc de Guermantes qui veuf épouse Mme de Verdurin. Mais il n’est pas comme Balzac ou Zola qui donnent une visione totale de la société, Proust présent soulement le monde qu’il connaît bien, celui de la bourgeoisie et de l’aristocratie. Les classespopulaire sont représenté seulement par les domestiques.
«Sodome et Gomorrhe»
Le narrateur connaît M. De Charlus, frère du duc de Guermantes, un aristocrate bizarre, cruel, bon, vaniteux, humble, délicat, vulgaire, un nomble qui a des goûts anormaux, qui est plein de vices, de défauts. Le narrateur connaît aussi le salon de Mme de Verdurin, la burgeoise qui invite les nobles. Le narrateur retourne a Balbec, il retrouve Albertine, il comprend qu’Albertine aussi est un peu bizarre. Il n’arrive pas à la comprendre (l’ "autre" est incomprensible dit Proust, parce que nous sommes instables). Il est très jaloux. Il a peur de la perdre. Parle du thème de l’homosexualité (introduit le personnage du baron de Charlus, homosexuel) et de la jalousie à l’égard de Albertine.
«Albertine la prisonnière,Albertine la fugitive» (2 parties avant-dernière)
Raconte sa cohabitation tourmentée avec Albertine, qui s’enfuit et meurt accidentellement. Albertine accepte de vivre à Paris chez le narrateur. Même s’il la tient prissonnière (elle ne peut jamais sortir) il se rend compte qu’elle lui échappe. Un matin elle disparaît. Quelques mois plus tard il apprend la mort accidentelle d’Albertine : elle meurt en tombarat de cheval. Il découvre qu’Albertine avait eu d’autres histoires avec d’autres hommes et souffre à cause de ça. Il n’arrive pas à retrouver la calme.
«Le temps retrouve»
La guerre arrive. Le narrateur observe les transformations de la societé qu’il a décrite. Quand il va une matinée chez la princhesse de Guermante, il découvra la verité qui justifie son ouvre : fixer dans une ouvre les moments d’un passé, ça signifie retrouver le temps perdu. L’art, l’écriture, permet à l’écrivain de retrouver le passé et de le fixer dans l’ouvre. C’est la victoire sur le temps. Cette partie semble représenter le début de l’œuvre.
Le narrateur porte sur l’amour le même regard que il porte sur la société : le réel est décevant’ instable, angoissant. L’amour est soumis oux lois du temps qui passe et qui détruit tout. Proust montre dans son oeuvre la cruanté, la tyrannie du temps qui détruit tout. Il constate avec angoisse l’écoulement, la corruption, la destruction des choses, des êtres par le temps : le paradis enfantil est perdu quand on grandit, la mort nous prive des parents, des personnes que nous avons aimés et ce qui est grave c’est que nôtre coeur ne conserve qu’un souvenir intermittent.
«La madeleine»:
Le narrateur explique d’abord qu’un jour d’hiver, des années après Combray, sa mère, voyant qu’il avit froid, lui proposa de prendre une tasse de thé accompagnée de petites madeleines. À l’instant même où les miettes des gâteau imbibées de thé touchent son palais, un plaisir délicieux et extraordinaire l’envahit sans qu’il puisse en discerner de la cause. Cette épisode nous montre la superiorité de la memoire involontaire, qui restitue le passé à partir d’une sensation fortuite. La mémoire volontaire ne pouvait pas lui faire jamais rappeler les sensations qui essayais dans le passé, même si il l’avait forcée, il n’aurait rappelé que de petits souvenirs confondus. Il appelle ce phénomène le phénomène de l'extratemporalità de l'expérience vécue.
SPAGNOLO
EL SIGLO XX
España entra en el siglo XX con graves problemas internos y decadencia. En este periodo el mundo ha vivido fuertes cambios historicos como, por ejemplo, las dos guerras mundiales, por eso las modificaciones de los mapas y todavía el desarollo de la ciencia y tecnología. Todo estos cambios se reflejan en la literatura donde podemos distinguir dos grandes etapas poniendo como línea divisoria la guerra civil. Antes de la guerra civil hay el nacimiento de grupos de poetas que desarrollan intereses diferentes: la generación del 98, cuyo máximo representante es Miguel de Unamuno, que dirigen los intereses a los problemas existenciales y la preocupación de el problema de España; después se desarrolla la generación del 27, cuyo máximo representante es García Lorca, estos llevan a la lírica española una nueva Edad de Oro. Después de la guerra podemos distinguir tres etapas fundamentales. La primera etapa es la de la posguerra donde hay la bùsqueda de los caminos y domina un interés por los problemas existenciales y los tonos religiosos, la poesía puede ser arraigada que expresa su optimismo y también desarraigada que expresa la angustia de quienes se sente en contraste con un mundo que le parece doloroso. La segunda etapa es la del realismo social donde los exritores quieren transformar la sociedad denunciando las injusticias sociales y la poesía asume esta función. La tercera etapa es el de una literatura experimental donde la denuncia solcial se hará compatible con audaces ensayos de nuevas formas y crecerá el despego del realismo, es un momento en que se comprende que era ilusorio querer transformar el mundo con la poesía y nace la poesía de la experiencia, màs intimista, cuyo eje central es el hombre.
Por lo que concierne la novela se puede decir que empieza con la obra llamada La familia de Pascual Duarte de Camilo José Cela en el 1942, que nos presenta la dura realidad cotidiana y su mísera. Surge la novela social que trata de la dura vida del campo y de la guerra, los ambientes son la burguesia insolidaria y el mundo del trabajo. Se prefiere la técnica narrativa sencilla y directa, el lenguaje adopta el estilo de la crónica y los diálogos quieren reflejar el habla de los distintos sectores sociales. A partir de 1960 hay una renovación de las técnicas narrativas. Se busca un enriquecimiento artístico. Los novelistas comienzan a tener en cuenta a los grandes inovadores extranjeros, como Joyce, Proust... Las inquietudes experimentales afectan al tratamiento de los temas, en efecto se introduce el fantastico y lo imaginario ; a la estructura, por ejemplo el desorden cronolólogico ; y también sobre la técnica, se usa el monólogo interior. El estilo dará entrada a muchas variedades y audacias.
Dentro de la literatura del siglo XX Camilo José Cela representa el máximo representante.
CAMILO JOSÉ CELA
La inquietud creadora y la capacidad de renovación hacen que la obra de Cela haya estado presente en cada momento de la evolución de la literatura española, de 1942 a hoy. Y se puede insistir también por su magistral empleo del idioma que lo acredita como uno de los máximo estilistas de la literatura del siglo XX.
Camilo José Cela nació en La Coruña y entre su vida estudió varias carreras sin acabar niguna, dedicandose por entero a la literatura. Hace parte de la Real Academia y en 1989 fue Premio Nobel de Literatura. Sus obras están caracterizadas por:
• una concepción pesimista de la realidad y sobre todo del mundo, frente a la cual desarrolla una fuerte ironía que lo lleva a describir sus personajes con frialdad y ridiculez. Pero en esto se filtra una compasión entre el dolor humano.
• Un arte siempre vigurosa.
• El es un virtuoso del idioma, es decir un profundo conocedor de sus posibilidades expresivas.
La novela que lo lleva al éxito es La familla de Pascual Duarte, que es un esperimento violento y amargo, en efecto, el dije que en ella empezó «a sumar acción sobre la acción y sangre sobre la sangre». En 1951 hay un nuevo experimento más ambicioso La Colmena, que es una novela colectiva que traza un cuadro complejo del Madrid de posguerra. En ella Cela mira sus personajes con frialdad,a veces con ternura, según las situaciones. Paralelamente a sus noelas, Cela cultiva diversos géneros:
• Novelas cortas y cuentos que son recogidos en varios volúmenes.
• Apuntes.
• Libros de viajes.
La familia de Pascual Duarte
Es la obra maestra traducida en muchas lenguas, que contiene un gran cúmulo de hechos en pocas páginas porque no es muy larga.
Pascual Duarte es un campesino que está en la cárcel condenado a muerte y, para transcurrir el tiempo, escribe sobre su vida. El habla de su infancia sórdida con padres monstruosos, una hermana que se prostituye y un hermanito anormal (que muere ahogado en una tinaja de aceite y antes un cerdo le comiera las orejas). Luego Pascual ha habido dos matrimonios desgraciados, peleas, crímenes, sangre...Y una orrible escena final en que el protagonista mata a su madre, a la que considera causa de sus desgracias.
Esta obra es una verdadera proesa literaria porque Cela consigue dar verdad a lo que es inverosímil, en efecto, en una primera lectura Pascual y su mundo nos parecen reales.
En el primero capítulo se situa un inquietante episodio revelador de la turbia psicología del protagonista: el autor nos habla de la bonita relación que tuvo con su perro y de como un día mientras lo miró toma la escopeta y lo disparó sin motivo.
LETTERATURA LATINA
Uno dei principali esempi di testi romanzeschi della letteratura latina è indubbiamente il Satyricon, attribuito a un Gaio Petronio che la critica identifica con il Petronio Arbitro, vissuto al tempo di Nerone. A proposito del Satyricon, è stata richiamata la categoria del realismo, in effetti, la caratterizzazione dei personaggi e l’uso del sermo plebeius fanno di questo romanzo il limite più avanzato cui sia giunta la rappresentazione della reltà nel mondo antico. Non è possibile comunque assimilare la forte tendenza al realismo di Petronio con le esperienze della narrativa ottocentesca naturalistica. Al Satyricon manca, rispetto al romanzo dell’ottocento, l’intento di denuncia sociale.
PETRONIO
Incerte sono le notizie sulla sua identità storica: i manoscritti, che hanno conservato due soli libri dell'opera, non danno infatti alcuna indicazione sul tempo in cui l'autore visse; è tuttavia ormai prevalente l'opinione che Petronio sia da identificare con quel Caio Petronio, illustre personaggio della cerchia degli intimi di Nerone, che Tacito descrisse come uomo colto, raffinato e spiritoso nel XVI libro degli Annales. A lui dedica due capitoli, nel primo ci fa un ritratto della persona e nel secondo ci parla della sua fine molto particolare. Petronio si acquista la fama grazie alla sua ignavia e non all’operosità ottenendo, tra l’altro, il titolo di elegantiae arbiter della vita di corte. Caduto in disgrazia per l'invidia del prefetto del pretorio Tigellino, che lo accusa di essere coinvolto nella congiura pisoniana, decise di togliersi la vita facendolo sembrare una scelta e non un’imposizione: si tagliò le vene e si lasciò morire durante un convito con degli amici.
Satyricon
Il titolo greco è un genitivo e significa “Racconti satirici”. Esso si giustifica col fatto che il romanzo presenta la mescolanza di prosa e versi tipica della satura e un forte elemento satirico. L’operaci è giunta senza parte iniziale e molto lacunosa, quanto ci è rimastocorrisponde ai libri XIV-XVI del romanzo che doveva contare all’incirca di una ventina di libri, quindi una decima parte di esso. L’episodio più famoso, e quello più completo, è la Cena Trimalchionis, delle restanti parti abbiamo solo estratti brevi e gli estratti lunghi. La narrazione è condotta dal protagonista Encolpio, mentre nella cena di Trimalchione viene introdotto un io narrante che non coincide esattamente né con il narratore né con l’autore.
Il protagonista del Satyricon è Encolpio, un giovane perseguitato dalla maledizione del re Priapo, che lo ha privato della potenza virile. Suoi compagni d’avventure sono l’amato Gitone, un bellissimo ragazzo piuttosto disponibile al tradimento sentimentale, e Ascilto, un giovinastro spregiudicato aggregatosi successivamente alla coppia, perché attratto da Gitone. La parte a noi giunta dell’opera si apre nella scuola del retore Agamennone dove Encolpio discute delle cause che hanno fatto decadere l’oratoria. Poco dopo troviamo Encolpio e Ascilto al mercato di una Graeca Urbs (forse Napoli, Cuma o Pozzuoli), che intendono vendere un mantello rubato per rifarsi di un furto subito. La vendita ha successo poiché lo riescono a barattare con la tunica rubata, tanto più preziosa, poiché al suo interno c’erano nascosti dei soldi. Rientrati in albergo ricevono la visita di un’ancella che li invita a partecipare ad una celebrazione espiatoria, consitente in pratiche sessuali di ogni genere, poiché hanno violato i segreti del re Priapo. Vengono salvati dal servo di Agamennone, che annuncia loro un invito ad una cena organizzata dal ricco liberto Trimalchione. Segue la cena più famosa della latinità dove l’autore si sbizzarrisce nella descrizione delle abitudini e della casa di questo ricco volgare, durante la quale i convitati si raccontano delle storie che rappresentano vere e proprie novelle. I tre giovani approfittano della confusione che nasce per lasciare la casa. Nelle pagine successive Encolpio si trova solo e capita in una pinacoteca dove incontra Eumolpo, un poeta povero e vecchio, che gli racconta le sue avventure. Questo sostituisce Ascilto nel terzetto e il racconto prosegue con l’imbarco su una nave, la quale fa naufragio, e i tre si ritrovano sull’isola di Crotone, dove Encolpio s’innamora di Circe. Ma non la riesce a soddisfare sessualmente poiché gli vengono tolte le capacità virili, così viene picchiato dai servi della matrona. Infine il giovane riesce finalmente a sconfiggere la maledizione grazie all’aiuto del dio Mercurio. Il racconto s’interrompe a questo punto.
ARTE
FUTURISMO
Nella seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento si susseguono correnti artistiche sempre più rapidamente, l’una in opposizione all’altra e in presunto superamento reciproco. Tuttavia queste correnti, se anche nascono ufficialmente in un anno preciso, esistevano di fatto già da vario tempo e si basavano principalmente su ricerche di ordine artistico, spontaneamente, senza programmi preventivi. Né, d’altra parte, negava validità alla grande tradizione del passato. Con l’avvento del Futurismo la situazione capovolge. Esso è il primo movimento che si dà un programma preventivo, che rompe decisamente con tutto il passato sostenendo di essere proiettato nel futuro. Le idee vengono affermate dal suo fondatore, lo scrittore Filippo Tommaso Marinetti, nel Manifesto del Futurismo apparso nel febbraio del 1909 a Parigi sul quotidiano «Le Figaro». In questo manifesto, che riprende un vecchio tema, quello cioè della fede nel progresso scientifico, si esalta la velocità della vita moderna e, per conseguenza, la macchina che, con il motore, moltiplica le forze dell’uomo inebriandolo di potenza. Il Futurismo è, infatti, un inno alla modernità, senza rendersi conto dei risvolti negativi di essa, del profitto capitalistico, dei pericoli insiti nella mitizzazione della macchina. Per queste ragioni centro del Futurismo è Milano, la città simbolo del lavoro industriale che vede sorgere o ingrandirsi nuove officine e si espande urbanisticamente oltre i limiti tradizionali. Come viene affermato nello stesso manifesto di fondazione: “dall’Italia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il Futurismo, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari”.
Determinante per comprendere lo sviluppo della poetica futurista è il diffuso clima ideologico e politico fatto di nazionalismo e di una confusa aspirazione al rinnovamento e all’azione. L’ideologia futurista, indipendentemente dai risultati artistici, consiste dunque, soprattutto nell’affermazione della superiorità di ciò che è dinamico su ciò che è statico, il primo essendo destinato a travolgere il secondo, a modificarsi continuamente, a trasformarsi, ad avanzare nel futuro. Il Futurismo, nella mitizzazione del progresso, si ferma all’ammirazione esteriore per la potenza della macchina, per la grandezza del superuomo, in forma quasi esclusivamente estetizzante, decadente, retorica. Si spiega così l’esaltazione non soltanto di tutto ciò che è vitale, ma soprattutto dell’azione di per se stessa indipendente da ogni fine, dell’aggressione, della sopraffazione, della violenza, che esprimono la volontà vitalistica. Si spiega, inoltre, anche perché il futurismo, malgrado l’accenno ai libertari e un fuggevole accostamento al socialismo, politicamente non possa schierarsi con la sinistra internazionale e nemica della guerra, ma con la destra italiana, nazionalista e interventista, confluendo infine nel fascismo. Ma l’avventura politica del Futurismo, che è stata per anni causa della sua condanna morale, dura solo due anni. Comincia con la formazione di un partito politico futurista, culmina con un’alleanza ai Fasci di Combattimento di Mussolini e si conclude quando Marinetti scioglie quest’alleanza per riportare il Futurismo entro i confini della sola esperienza artistica (1919-1920).
I Manifesti
Sin dal suo primo apparire il Futurismo si segnala per una visione estetica che abbraccia non solo i vari campi dell’arte e della letteratura, ma l’intero modo di concepire la vita. Ne sono testimoni i successivi manifesti che apparsero, ognuno dei quali contribuisce ad ampliare lo scenario del confronto fra passatismo e modernità.
In campo pittorico, il futurismo nacque l’11 febbraio 1910 con la pubblicazione del Manifesto dei pittori futuristi, al quale farà seguito il Manifesto tecnico della pittura futurista, firmato da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini e Giacomo Balla, seguito a breve distanza dal Manifesto tecnico della pittura. Nel 1912 si tenne a Parigi la prima mostra futurista: nelle opere esposte fu possibile individuare la direzione in cui si muoveva la ricerca espressiva del gruppo, che a partire da una base divisionista sviluppava una tendenza più generale ad annullare l'opposizione tra figura e ambiente e a rivedere lo stesso concetto di forma, non più ritratta nella sua fissità ma nel dinamismo del movimento. Si veda, ad esempio, La città che sale di Boccioni (New York, Museum of Modern Art). Fondamentale per il processo di graduale definizione teorica e stilistica del futurismo pittorico fu la conoscenza delle opere di Picasso e dei cubisti, che diede l’impulso decisivo all’elaborazione di una tecnica in grado di rendere il movimento dei corpi, la simultaneità degli eventi, la compenetrazione e la disgregazione degli spazi. In Materia di Boccioni (1912, Milano, collezione Mattioli), la composizione non rispetta più il principio d’ordine della profondità spaziale e delle proporzioni, ma risponde all’esigenza di rappresentare sul medesimo piano elementi della realtà oggettuale percepiti con la stessa intensità: il corpo possente della madre dell’autore appare così schiacciato e confuso tra i volumi delle case e degli oggetti che lo circondano. Quasi tutti i pittori futuristi si cimentarono nel tentativo di rappresentare contemporaneamente le diverse azioni e le successive posizioni di un soggetto in movimento, con risultati simili a quelli della fotografia stroboscopica o di una serie di scatti fotografici realizzati in rapida sequenza e stampati su una singola lastra. Si pensi, ad esempio, alle opere di Giacomo Balla Rondini in volo (New York, Museum of Modern Art); Cane al guinzaglio (Albright-Knox Art Gallery, Buffalo).
Anche nell’ambito della scultura, con la pubblicazione del Manifesto tecnico della scultura futurista (1912), le ricerche dei futuristi si incentrarono sulla rappresentazione di oggetti e figure in movimento, o sulla resa della percezione dinamica di corpi fermi: universalmente noti, ed esemplificativi sono i due bronzi di Boccioni conservati nel Civico museo d’arte contemporanea di Milano, Forme uniche nella continuità dello spazio (1913) e Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912-13).
Nel campo dell’architettura il futurismo trovò i massimi interpreti nelle figure di Antonio Sant’Elia e Mario Chiattone, autori di progetti visionari e monumentali volti alla costruzione di una “città nuova”: tali elaborati e avveniristici disegni, non furono tuttavia mai realizzati. Nel 1914 fu pubblicato il Manifesto dell’architettura futurista, nel quale si magnificavano le nuove tecnologie, si proponeva l’impiego di materiali nuovi e si auspicava la realizzazione di impianti di servizio e di trasporto come l’ascensore e la metropolitana; l’obiettivo era lo studio e la messa a punto di un’architettura funzionale e adeguata al tenore di vita moderno.
Il movimento futurista rinnovò l'arte italiana anche nei settori della grafica e della fotografia. Nel 1913 Bragaglia presentò una raccolta di fotografie di soggetti in movimento (Fotodinamismo futurista), realizzate mediante un’esposizione prolungata: tra le stampe più significative, si ricordano lo Schiaffo (1913) e il Falegname che sega (1913). Grande attenzione fu data anche alla moda, che doveva testimoniare il nuovo stile di vita dinamico, “veloce”, proiettato verso il futuro: i futuristi propugnarono un abbigliamento di “cattivo gusto”, disegnando abiti sorprendenti, fantasiosi, e soprattutto comodi e funzionali. Le prove più convincenti dell’abbigliamento futurista furono tuttavia quelle pensate per il palcoscenico: molto interessanti sono i costumi teatrali disegnati da Depero e da Enrico Prampolini. Le idee futuriste sulla moda furono esposte nel manifesto Le vétement masculin futuriste (1914) di Balla. Gli abiti futuristi furono quasi sempre indossati dai loro creatori.
BOCCIONI
Umberto Boccioni nasce a Reggio Calabria il 19 ottobre 1882, nel 1900 si stabilisce a Roma dove approfondisce i propri interessi per la pittura e la letteratura, prende lezioni di disegno e frequenta la Scuola libera del nudo. Nella capitale stringe amicizia con Gino Severini e con lui frequenta lo studio del più anziano e già affermato Giacomo Balla. Nei dipinti del primo periodo affiorano da un lato la lezione di Balla, relativa alla tecnica divisionista, e dall’altro un preciso riferimento alla pittura impressionista e post-impressionista. Decisivo è l’incontro con Marinetti, poiché aderisce con entusiasmo al Futurismo e si impegna nella pubblicazione del Manifesto dei pittori futuristi a cui fa seguito il Manifesto tecnico della pittura futurista, nel quale l’idea di pittura futurista è resa più esplicita : “il gesto per noi non sarà più un momento fermato nel dinamismo universale: darà decisamente la sensazione dinamica eternata come tale”. Partecipa a numerose manifestazioni futuriste.
Uno dei lavori più significativi e che segna una tappa fondamentale nello sviluppo artistico di Boccioni è il dipinto La città che sale: protagonista del dipinto è un turbinoso affollarsi di cavalli e di uomini che invade quasi l’intero campo dell’immagine e che lascia emergere sullo sfondo le alte e diritte impalcature di alcuni edifici in costruzione. Lo scenario nel quale si svolge questa sorta di battaglia di forze e di movimenti è quello della periferia urbana. Accanto al tema della metropoli moderna, il tema che emerge in particolare nel dipinto è quello del lavoro. Una febbrile attività anima le figure degli uomini e dei cavalli e ne deforma i corpi in esasperate tensioni muscolari. Le movenze dinamiche dei personaggi sono ulteriormente evidenziate dalla tecnica divisionista che pone in primo piano nella lettura del dipinto la componente cromatica, costituita da masse di colore che si compenetrano e si scontrano generando un forte effetto di moto. Degli elementi espressivi che caratterizzano quest’opera, alcuni appartengono già pienamente al linguaggio boccioniano, come ad esempio, il già citato impiego della tecnica divisionista e l’attenzione verso il mondo inesplorato delle nascenti periferie urbane. Assolutamente nuovo è però il modo in cui questi elementi si fondono sulla tela, dove, come dichiara l’artista stesso “tutte le abilità del mestiere sono sacrificate alla ragione ultima dell’emozione”.
Con La città che sale, Boccioni segna un passo decisivo nell’intraprendere il processo di disgregazione delle leggi della rappresentazione. Egli intende infatti indirizzare il proprio linguaggio verso una pittura che vada oltre la pura raffigurazione degli oggetti, per approdare a un livello ancora più alto di comunicazione: quello dell’espressione diretta di una sensazione, di un emozione, di uno “stato d’animo”. Stati d’animo è appunto il titolo che egli attribuisce a un’altra delle sue opere, nella quale l’artista analizza uno stesso evento nei suoi diversi risvolti emotivi.
Quest’opera ha la particolarità di consistere in un ciclo composto da tre dipinti, nei quali lo stesso tema viene trattato da tre punti di vista diversi e che s’intitolano, Stati d’animo: gli addii; Stati d’animo: quelli che vanno e Stati d’animo: quelli che restano.
Dell’opera Stati d’animo: gli addii esistono due versioni. la prima è realizzata in una fase precedente all’incontro parigino con i pittori cubisti, la seconda nasce in un momento immediatamente successivo a quell’importante incontro. Nella prima versione si nota che il linguaggio risente chiaramente della tecnica della scomposizione divisionista. Le ondeggianti e nervose linee di colore lasciano intravedere figure appena delineate, nell’atto di unirsi in un abbraccio, espandendone la dinamica nello spazio circostante. La seconda versione il linguaggio risente fortemente dell’esperienza cubista. Nell’espandersi della scomposizione si ripete la sequenza dell’abbraccio moltiplicandola nello spazio. Al centro del dipinto emerge il profilo di una locomotiva a vapore riconoscibile per parti distinte e disarticolate: il duomo della caldaia, il fumo che sale diventando un giuoco di colori con toni arancio e celeste o, ancora, il numero di serie che affiora , assumendo proporzioni irreali come solo nella memoria può accadere.
Un suggestivo esempio di questo sforza di rinnovamento del linguaggio plastico è dato dalla scultura in bronzo Forme uniche nella continuità dello spazio. L’opera ci suggerisce l’idea di una possente figura che incede passi da gigante. Come in una fotografia mossa la scia dei corpi contribuisce a creare la sensazione stessa del movimento, in questa scultura la scia sembra quasi solidificarsi nello spazio. La continuità dei profili e il loro sinuoso e ininterrotto fluire ampliano la figura ben oltre i suoi stessi limiti. La sensazione che ne deriva è di vorticosa dinamicità e, nel contempo, anche di grande astrazione.
STORIA
PRIMA GUERRA MONDIALE
Sarajevo 1914: attentato all'arciduca Francesco Ferdinando
L’occasione che portò allo scoppio della I guerra mondiale fu l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie a causa dell’oppressione serba, offerta da uno studente serbo, Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914. Ma un intreccio di cause di natura politica, economica e culturale determinarono la guerra. Le cause politiche sono da ricercare:
• Nella tensione tra Francia e Germania;
• Nella questione balcanica, nella quale Austria e Russia avevano interessi opposti;
• Nella rivalità tra Germania e Inghilterra sulle colonie.
Fra le cause economiche si deve considerare:
• La perdita del ruolo di prima potenza dell’Inghilterra;
• La spietata concorrenza nei Paesi europei per difendere le proprie economie;
• La fine della conquista coloniale
• La corsa agli armamenti divenuta un grande affare economico che saldava gli interessi dell’industria pesante con il militarismo ed il nazionalismo.
L’Austria, che governava la Serbia, le mandò un ultimatum di quarantotto ore con richieste durissime, perché voleva darle una lezione, ma la Serbia per darle prova di responsabilità rispose entro i limiti, solo che l’Austria si dichiarò non soddisfatta e dette inizio alle ostilità, al suo fianco si schierò la Germania. All’inizio delle operazioni militari la strategia tedesca, che avrebbe voluto una «guerra lampo», si scontrò con la capacità di resistenza degli eserciti dell’Intesa (Inghilterra, Francia, Russia e Giappone). La guerra divenne così «di posizione» con eserciti che si fronteggiavano sia sul fronte occidentale sia su quello orientale. A questi due si aggiunse quello marino, dove combattevano Germania e Inghilterra, per garantirsi possibilità di rifornimento di armamenti e di generi di consumo.
AUSTRIA SERBIA
Germania Russia
Turchia Francia
Bulgaria Inghilterra
Belgio
Romania
Giappone
Italia
America
L’Italia in un primo momento si dichiara neutrale, tuttavia si divise in due parti: interventisti e neutralisti. A favore della guerra erano i nazionalisti, gli irredentisti, i socialisti riformisti e i radicali che rivendicavano le terre italiane (Trento, Trieste, Istria e Dalmazia). Contro la guerra furono la maggioranza degli italiani, operai e contadini, rappresentanti del partito socialista e cattolici, i liberali e i giolittiani. Venne stipulato un trattato segreto a Londra nel quale l’Italia dichiarava di dare il proprio intervento alle forze alleate per un massimo di trenta giorni e le veniva dato il diritto di espandersi. L’Italia dovette entrare in guerra perché la situazione peggioro sul fronte orientale. Infatti, sul fronte occidentale la Francia riuscì a fronteggiare la Germania con la battaglia sul fiume Marna; ma sul fronte orientale la Russia stava perdendo. Inoltre gli austro-tedeschi riuscirono a mettere fuori combattimento la Serbia e occuparono dal Mar Baltico al mar Egeo, iniziando la guerra sul mare. Ed è proprio con la rottura del fronte russo che l’Italia entra in guerra col generale Cadorna.
I primi due annidi guerra furono caratterizzati da un sostanziale equilibrio militare fra le forze in campo. Il 1916 fu il terzo anno di guerra e fu quello delle grandi battaglie e anche delle delusioni.
Il 1917, il quarto anno è l’anno fondamentale del conflitto, fu quello più duro e rigido che contribuì ad abbattere il morale delle truppe. Sul piano militare si verificarono due fatti destinati a pesare notevolmente: l’ingresso degli Usa in guerra e l’uscita della Russia, attraversata da una crisi che avrebbe portato alla caduta dello zarismo e alla rivoluzione comunista. I motivi che indussero gli Usa a uscire dal loro isolamento furono: in particolare il militarismo tedesco sempre più potente e minaccioso, la preoccupazione di salvare i grossi crediti fatti all’Intesa sottoforma di rifornimenti di armi e materie prime, nonché la guerra sottomarina ad oltranza e, inoltre la convinzione che la neutralità avrebbe tolto ogni peso politico agli Stati Uniti nel momento della conclusione della guerra. L’abbandono della Russia fu un duro colpo perché gli Imperi centrali concentravano le loro forze in occidente. L’Italia dovette sorreggere il peso maggiore, in un primo momento perché dopo aver condotto la guerra sugli altipiani e sul Carso venne spezzata a Caporetto dagli austriaci. Nella difficile situazione l’America dichiarò guerra alla Germania.
Nel 1918 Germania e Austria tentarono un’ultima prova prima dell’arrivo degli americani con due distinte offensive: una tedesca in Francia e una austriaca in Italia. L’esercito austriaco era saldo ma piuttosto debole, ma a farne per primo le spese fu l’esercito italiano sconfitto a Caporetto. Ma l’offensiva tedesca si arenò sul fronte occidentale, dove gli eserciti franco-inglesi resistettero. Con l’arrivo delle forze americane, le armate dell’Intesa passarono alla controffensiva e nel giro di tre mesi, ebbero la meglio sugli austro-tedeschi.
Finita la guerra i rappresentanti dei vincitori si riunirono a Parigi per sistemare l’Europa. Alla conferenza della pace le autorità erano rappresentate dai quattro grandi: il presidente americano Wilson, il presidente del Consiglio francese, il primo ministro inglese e il presidente del Consiglio italiano.
I trattati di pace
Trattato di Versailles: la Germania doveva pagare agli stati vincitori i danni della guerra; rinunciare alle colonie; cedere alla Francia l’Alsazia-Lorena e infine ridurre l’esercito.
Trattato di Saint-Germain: l’Austria doveva cedere all’Italia il Trentino Alto Adige, l’Istria e il bacino dell’Isonzo. Con questo trattato venne diviso l’impero austro-ungarico e si formarono quattro nuovi stati: Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Trattato di Sèvres: la Turchia si trova ridotta ad un modesto stato e privata di tutti i territori arabi e della sovranità sugli stretti.
Trattato del Trianon: l’Ungheria riduceva il suo territorio.
Trattato di Neuilly: indipendenza della Bulgaria.
FISICA
Il potenziale elettrico
Se poniamo una carica elettrica di prova q in un punto A di un campo elettrico generato da una carica Q, tale carica assume un’energia potenziale il cuivalore dipende dalla posizione da essa occupata nel campo. Tale carica, infatti, se è dello stesso segno di Q sarà sottoposta a una forza che tenterà a portarla fuori dal campo e, quindi, ci sarà un lavoro fatto dal campo su di essa. Tale lavoro è definito energia potenziale che indicheremo con UA , il rapporto tra l’energia potenziale e la carica q si dà il nome di potenziale elettrico VA nel punto A:
VA = UA
q
Supponiamo, ora, di voler portare la carica di prova q dal punto A a un punto B del campo. Il lavoro che bisognerà compiere per tale operazione non dipende dal percorso che viene effettuato, ma dalla posizione iniziale di A e quella finale di B. possiamo quindi pensare di portare la carica q di prova da A fuori dal campo elettrico e compiere quindi il lavoro UA= q · VA e poi portare la stessa carica da fuori nel punto B. Il lavoro complessivo, essendo dato dalla somma dei due lavori sarà:
L = UA – UB = q · VA – q · VB
L = q (VA – VB)
VA – VB = L
q
La differenza di potenziale (VA – VB) tra de punti di un campo elettrico è numericamente uguale al lavoro che bisogna compiere per trasportare una carica unitaria da un punto all’altro. Nel sistema internazionale di misure si misura in volt (V):
1 volt = 1 joule
1 coulomb
Tra due punti c’è la differenza di potenziale di 1 V quando per trasportare la carica di 1 coulomb da un punto all’altro bisogna compiere il lavoro di1 joule.

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