La Rivoluzione Francese

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Testo

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
IL CONTESTO RIVOLUZIONARIO
Negli ultimi anni dell’ancienne régime era largamente diffusa, presso numerosi strati della società francese, un’insoddisfazione per il modo in cui il paese era governato. Non fu però quell’insoddisfazione in quanto tale a determinare il rovesciamento della monarchia assoluta; a rendere impossibile il mantenimento dello status quo fu, piuttosto, la gravità della crisi finanziaria cominciata intorno al 1780. Dopo il 1785, anche molti esponenti degli strati superiori della società erano disposti ad ammettere la necessita di sacrificare alcuni dei loro privilegi pur di assicurare la sopravvivenza dello stato sociale.
LE ISTANZE DI RIFORMA
Anche se nel 1789 le riforme erano ampiamente ritenute necessarie ben poco lasciava presagire una rivoluzione violenta. Luigi poteva certo essere impopolare, a Parigi non meno che altrove, poteva essere criticato per la sua indecisione e dileggiato per la sua impotenza sessuale; e l’odio diffuso per Maria Antonietta non aiutava certo la sua reputazione. Nel 1879 erano in pochi a parlare il linguaggio dell’uguaglianza e della democrazia, e coloro che osavano farlo erano trattati con sospetto. Il re, però, costretto a cercare l’approvazione dei suoi piani di riforma aveva cercato di aggirare i parlamentari convocando a Versailles un’assemblea di notabili. Fu un errore di calcolo perché l’assemblea non diede a Luigi quel tipo d’appoggio arrendevole che egli stava cercando. Anzi i notabili non cercarono solo di imporre controlli più rigorosi sulle finanze statali, ma sottolinearono anche la necessità di rispettare le riforme costituzionali, insistendo affinché ogni riforma fiscale venisse approvata dal parlamento o dagli Stati generali. A sua volta il parlamento di Parigino rifiutò di registrare il decreto esigendo che per affrontare la crisi venissero convocati gli stati generali. Il re, infuriato, rispose esiliandone i membri a Troyes il 15 agosto: un gesto davvero pericoloso!
Il clima d’attesa non si respirava soltanto nella capitale. Le violenze della journée de tuiles furono un chiaro ammonimento che non era possibile controllare agevolmente le idee di rappresentanza politica. Il 21 luglio a Vizille vengono finalmente convocati gli Stati generali. Il re però, ordinando loro di riunirsi alla maniera tradizionale (e cioè in tre sessioni separate) metteva i deputati di fronte ad una prima scelta di fondo: obbedire al monarca oppure lanciare la sfida all’autorità regia, una sfida che avrebbe spinto alla rivoluzione. Il primo e il secondo stato si crogiolavano in un’assurda indecisione e così il terzo stato, che andava acquisendo sempre più potere, ricorse ad un’astuzia proceduale, rifiutando di convalidare i risultati del consiglio fino quando gli altri due stati non si fossero riuniti con esso in seduta comune. Ottennero la loro assemblea ciò il 9 giugno sfidando inesorabilmente il re.
L’11 luglio, giorno in cui Lafayette presentò la sua bozza della dichiarazione dei diritti dell’uomo, il re licenziò il primo ministro Necker.
LA RIVOLTA POPOLARE
Il timore di un intervento armato contributi a mobilitare la folla di Parigi. Qui come nelle campagne gli individui furono spinti anche dalla fame e dalla scarsità di generi alimentari, mentre la loro propensione ad abbandonarsi ad atti di violenza dovette molto alla propagazione di voci incontrollate e ondate di panico.Sarebbe tuttavia fuorviante fermarsi qui o presumere che le insurrezioni popolari fossero prive di una qualsiasi motivazione politica.Il retroterra fu la miseria economica.Durante il regno di Luigi XVI quasi ogni settore era stato gravemente colpito da una serie di depressioni cicliche. I viticoltori avevano visto crollare di almeno il 50%, il prezzo del vino tra il 1775 e il1789, e quando i prezzi risalirono fu solo a causa di una serie di vendemmie scarse. Le principali vittime furono piccoli proprietari e mezzadri ridotti spesso alla fame e costretti a mendicare. Dopo il1780 i prezzi del grano scesero bruscamente, prima che una serie di cattivi raccolti deprimesse l’offerta spingendo i prezzi a livelli eccessivi per molti consumatori.
La protesta contadina non era di carattere solo economico, anche se l’economia si aggiunse alle altre ragioni d’insoddisfazione. In molte aree della Francia erano avvertite da tempo tensioni sociali tra gruppi privilegiati e non, tra coloro che erano abbastanza ricchi da immagazzinare il grano e approfittare dell’andamento del mercato e coloro che, per la loro povertà, erano permanentemente alla mercé del mercato stesso.
La violenza era spesso determinata dal panico. Le ondate di panico erano un fenomeno frequente nelle campagne francesi: le voci si diffondevano di villaggio in villaggio e la paura della fame, della repressione e delle rappresaglie militari travolgeva regioni intere.
La Grande Paura in cui sprofondarono regioni intere del paese tra il dicembre del 1788 e il marzo del 1790 rientra facilmente nella tradizione dei pactes de famine, con l’aristocrazia locale sovente nel ruolo del malvagio oppressore che si opponeva alle riforme che venivano discusse e approvate e cercavano di costringere i contadini, affamandoli, ad accettare passivamente la loro sorte.
Anche se non si può parlare di un movimento insurrezionale coordinato nelle campagne francesi, e anche se quasi tutte le regioni della Francia furono interessate prima o dopo da episodi di violenza collettiva, la Grande Paura fu un fenomeno che riguardò soprattutto sei o sette regioni, dall’Hainaut e la Bassa Normandia a nord, attraverso l’Alsazia, la Franca contea e il Delfinato ad est, fino Alla Provenza e all’Aquitania a sud.
Se le violenze rurali contribuirono a consolidare la vittoria del Terzo stato, lo stesso effetto ebbero quelle che si verificarono nelle strade di Parigi Anche nella capitale la scarsità di generi alimentari contribuì ad accentuare lo scontento e a catalizzare il fermento.Inoltre i consumatori urbani erano molto sensibili alle teorie del complotto, erano disposti a credere che la nobiltà, la Corte e i grandi commercianti di grano si fossero coalizzati per far crescere i prezzi riducendo l’offerta.
Il pericolo di violenze divenne costante a partire dalla primavera del 1789 dopo l’aumento del prezzo del pane.Le botteghe degli armaioli furono saccheggiate e svuotate delle armi, le stazioni di pedaggio depredate.Il 14 luglio la folla assaltò la Pastiglia, l’odiata prigione e fortezza reale. Questa lezione non sfuggì ai leader radicali di Parigi, i quali compresero che avevano anch’essi un ruolo da svolgere.Tale idea venne suffragata dai fatti d’ottobre, quando un’altra folla, composta per lo più di donne, marciò su Versailles e riportò la famiglia reale alle Tuileries.Ancora una volta l’azione popolare era stata decisiva, e riducendo la manovra del re aveva dato nuovo impulso all’Assemblea e al programma di riforme.
LA REPUBBLICA
La Francia non ebbe una sola ma diverse rivoluzioni politiche nei dieci anni che seguirono il 1789. La monarchia costituzionale, la panacea invocata da quasi tutta la prima generazione di rivoluzionari, non riuscii a risollevarsi dalla crisi di credibilità provocata nel tentativo di fuga del re a Verennes nel 1791.Le voci che si levavano chiedendo la deposizione del re e la proclamazione della repubblica acquistarono particolare forza dopo la dichiarazione di guerra all’Austria e alla Prussica.
Il 10 agosto 1792 le forze radicali parigine assaltarono il palazzo delle Tuileries: nei feroci combattimenti che seguirono caddero diverse centinaia di Parigini e oltre seicento guardie svizzere del re che essendosi arrese furono massacrate dalla folla. La famiglia reale riuscì a fuggire ma non poté scongiurare il grave danno d’immagine: Luigi era il re che aveva usato mercenari stranieri contro il suo stesso popolo. L’Assemblea depose il sovrano e proclamò la repubblica. Agli occhi sia dei contemporanei sia degli storici il 10 agosto inaugurò una fase rivoluzionaria ancora più fanatica della prima.
Nel mese di dicembre Luigi sarebbe finito sotto processo di fronte alla nuova assemblea, la Convenzione nazionale. La convinzione generale era che avesse cospirato con gli austriaci contro il proprio popolo. Non era in dubbio il verdetto quanto la sentenza: se lo si fosse gettato in carcere avrebbe potuto diventare un punto di riferimento per la controrivoluzione; ma se lo si fosse giustiziato, non sarebbe diventato un martire venerato dai realisti francesi e dai monarchi stranieri?
“Se è innocente, allora il popolo è colpevole” sostenne Saint-Just e alla fine prevalse la logica più rigorosa: Luigi fu condannato a morte seppure con un margine di voti minimo.
Il 21 gennaio 1793 Luigi XVI fu ghigliottinato in Place de la Révolution a Parigi.Una folla immensa ruggì la sua approvazione quando il carnefice sollevò la testa del re, simbolo definitivo del crollo del vecchio regime.

FONTE: La Rivoluzione Francese Allan Forrest
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