La guerra dei cento anni

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Categoria:Storia

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Testo

LA CONTESA DINASTICA
Causa immediata della guerra fu la pretesa di Edoardo III re d'Inghilterra e duca d'Aquitania, della dinastia dei Plantageneti, di succedere sul trono di Francia alla morte di Carlo IV (1328), del ramo primogenito dei Capetingi. Affermando di esserne il legittimo erede per parte della madre Isabella (sorella di Carlo IV, figlia di Filippo IV il Bello), Edoardo III contendeva la corona a Filippo di Valois, figlio di Carlo di Valois, fratello di Filippo IV, che venne incoronato re di Francia con il nome di Filippo VI.
La ragione reale della lotta risiedeva però nel controllo che i re inglesi esercitavano su vaste zone della Francia sulla base di antichi diritti feudali e di acquisizioni matrimoniali. Ciò rappresentava un'evidente minaccia per la monarchia francese, che infatti tra il XII e il XIII secolo aveva tentato a più riprese di imporre la propria autorità su quei territori.
PRIMA FASE (1337-1380) :Le vittorie inglesi
Nel 1337 Edoardo III si proclamò legittimo re di Francia e invase i territori settentrionali del paese. Sul campo non ci furono vittorie significative, ma la sconfitta inferta alla Francia dalla flotta inglese nel 1340, al largo della città olandese di Sluis (L'Ecluse), sancì il predominio inglese sulla Manica. Dopo una breve tregua (1343-1345), Edoardo tornò a invadere la Francia ottenendo una clamorosa vittoria nella battaglia di Crécy (1346) cui seguì, l'anno seguente, la conquista di Calais.
Un nuovo periodo di tregua (1347-1355) precedette la conquista da parte di Edoardo detto il Principe Nero, figlio di Edoardo III, di Bordeaux, utilizzata poi dagli inglesi come base per compiere incursioni e saccheggi nella Francia meridionale. Nel settembre del 1356 il Principe Nero ottenne una seconda grande vittoria nella battaglia di Poitiers, dove fece prigioniero il re di Francia Giovanni II, succeduto a Filippo VI nel 1350. IMMAGINE : Battaglia di Poitiers, 1356 La battaglia di Poitiers del 1356 vide contrapposte l'armata di settemila soldati inglesi comandata da Edoardo il Principe Nero, e il ben più numeroso esercito francese guidato dal re Giovanni II. Nonostante la superiorità numerica, Giovanni II fu sconfitto e fatto prigioniero dagli inglesi. Merito della vittoria fu la tattica adottata da Edoardo di schierare gli arcieri in avanguardia e i cavalieri in retroguardia.
La pace di Brétigny
Nel 1360 la pace di Brétigny confermò a Edoardo III il possesso di gran parte dei territori centro-occidentali della Francia, del ducato d'Aquitania e di Calais in cambio della sua rinuncia alle pretese sul trono di Francia. Nel 1369 il nuovo sovrano di Francia Carlo V riprese però le ostilità, adottando una strategia d'azione che evitava le battaglie di tipo tradizionale, sfinendo le truppe nemiche con attacchi continui ai distaccamenti isolati o alle linee di rifornimento. In questo modo i francesi riuscirono a recuperare gran parte dei territori persi con la pace di Brétigny e a riguadagnare posizioni sull'avversario, in difficoltà anche per la morte di Edoardo III (1377) e per il fatto che il successore Riccardo II era ancora un bambino. A partire dal 1380 si susseguirono alcune tregue, la più duratura delle quali, siglata nel 1396, avrebbe dovuto avere validità trentennale, ma fu interrotta nel 1414.

SECONDA FASE (1414-1453)
Nel 1414 Enrico V d'Inghilterra riaffermò i diritti della monarchia inglese al trono francese e tornò a varcare la Manica con il suo esercito (1415), approfittando anche del conflitto interno che in Francia stava opponendo gli armagnacchi ai borgognoni, i quali avevano chiesto l'appoggio del sovrano inglese. Inoltre, a partire dal 1392, il re di Francia Carlo VI aveva dato segni di squilibrio mentale, acuendo le tensioni tra le fazioni nobiliari e indebolendo così la monarchia.
Il trattato di Troyes
Con la decisiva vittoria nella battaglia di Azincourt e la successiva alleanza stretta con i borgognoni, Enrico V conquistò l'intera Francia a nord della Loira, compresa Parigi. Il 21 maggio 1420 fu firmato il trattato di Troyes, con il quale Carlo VI non solo riconosceva Enrico V come suo erede, nonché reggente del trono di Francia, ma addirittura escludeva dalla successione il proprio figlio (il futuro Carlo VII). Il delfino rifiutò di riconoscere i termini del trattato e continuò la guerra contro gli inglesi, intenti a preparare l'invasione delle regioni meridionali.
Nel 1422, alla morte di Enrico V e di Carlo VI, Carlo VII si autoproclamò re di Francia, titolo subito rivendicato da parte inglese per il re Enrico VI, all'epoca ancora bambino, per conto del quale agiva il reggente Giovanni di Lancaster. Nel frattempo le operazioni belliche nel sud della Francia avevano portato l'esercito invasore ad assediare Orléans.
L'impresa di Giovanna d'Arco
La svolta decisiva nella guerra dei Cent'anni si ebbe nel 1429, allorché le forze francesi guidate da Giovanna d'Arco spezzarono la morsa inglese sulla città e sconfissero il nemico nella battaglia di Patay, facendolo arretrare fino alla Manica. Carlo VII venne incoronato ufficialmente a Reims: dopo aver rafforzato la sua posizione concludendo una pace separata con la Borgogna (pace di Arras, 1435), l'anno seguente riconquistò Parigi.
Tra il 1450 e il 1451 anche la Normandia e l'Aquitania tornarono sotto il dominio francese, così che, quando la guerra si concluse definitivamente nel 1453 (senza che venisse firmato alcun trattato di pace), l'unico possedimento inglese rimasto in terra di Francia era la città di Calais, che tale restò fino al 1558.
Froissart: Cronaca della battaglia di Crécy
Cronaca della battaglia di Crécy
Questo rapporto sulla battaglia di Crécy, una delle più importanti vittorie inglesi nella Guerra dei Cent’Anni, fu scritto dal cronista Jean Froissart. Nello scritto originale il termine battaglia è usato con il significato di divisione. La descrizione dello scontro dell’agosto 1346 fatta da Froissart mostra come l’uso dell’arco lungo avesse aiutato gli inglesi a vincere.
... il re di Inghilterra sapeva che il re di Francia lo seguiva per combatterlo. Allora disse alla sua compagnia: “Insediamoci qui in un’area, non andremo oltre fino a che non avremo avvistato i nostri nemici. Ho buone ragioni per resistergli, io sono il legittimo erede della regina, mia madre, la terra fu consegnata a lei al suo matrimonio; e per questo sfiderò il mio avversario Filippo di Valois”. E visto che non aveva neanche un ottavo degli uomini del re di Francia, disse ai suoi ufficiali di scegliere un’area dove potessero avere un vantaggio; e così fecero, e laggiù si recarono il re e suoi ospiti...
Quella notte il re cenò con tutti i signori suoi alleati e rivolse loro parole di conforto; e quando essi andarono a riposare il re entrò nel suo oratorio e si inginocchiò all’altare per pregare Dio; se il giorno seguente avesse vinto la spedizione avrebbe dedicato a lui la vittoria, qualora l’avesse ottenuta. Poi, verso mezzanotte si andò a riposare e la mattina seguente si alzò di buon’ora per sentire messa insieme al principe, suo figlio; e la maggior parte della compagnia si confessò e ricevette la comunione; e dopo che fu detta la messa ordinò che tutti gli uomini si armassero e si schierassero sul campo nella postazione loro precedentemente assegnata...
Poi il re balzò sul palafreno con un’asta bianca in mano e due dei suoi ufficiali al fianco. Passò in rassegna tutte le truppe desiderando che tutti gli uomini onorassero la sua autorità. Quel giorno parlò così dolcemente e infondendo tanto coraggio che tutti coloro che erano sconfortati si rincuorarono nel vederlo e nell’ascoltare le sue parole…
Quel sabato il re di Francia si alzò e sentì messa ad Abbeville, nel suo alloggio nell’abbazia di San Pietro, poi partì, dopo il levar del sole…
Gli inglesi che si erano raggruppati sul campo in tre divisioni per riposare, appena videro approssimarsi i francesi si alzarono, senza fretta, e schierarono le loro divisioni. La prima era quella del principe: gli arcieri erano disposti a freccia e i soldati stavano in fondo alla divisione. Il conte di Northampton e il conte di Arundel con la seconda divisione erano al fianco del principe, schierati e pronti a sostenerla.
I signori e cavalieri di Francia non andarono al combattimento schierati ordinatamente, alcuni precedevano e altri seguivano, così confusi da darsi fastidio l’un l’altro. Quando il re di Francia vide gli inglesi, si infiammò e disse ai suoi marescialli: “Mandate avanti i genovesi a iniziare la battaglia in nome di Dio e di San Denis”. Tra i genovesi vi erano circa quindicimila balestrieri ma erano così stanchi di camminare che dissero ai loro connestabili: “Oggi non siamo pronti per combattere, non siamo in grado di sostenere un confronto; abbiamo bisogno di riposo”…
Era stagione di grandi piogge, e scoppiò un lampo accompagnato da un terribile tuono, e prima della pioggia un enorme stormo di corvi impauriti sorvolò entrambi gli eserciti. Poi subito l’aria si schiarì e splendette il sole, e batteva sugli occhi dei francesi ed era alle spalle degli inglesi.
Quando i genovesi furono radunati, incominciarono ad avanzare lanciando un grande urlo per disorientare gli inglesi, ma questi non si turbarono e rimasero immobili. Allora i genovesi fecero un secondo urlo e si approssimarono ancora un po’, ma gli inglesi non si mossero di un passo. Poi, con un altro grido, avanzarono, fino a trovarsi sotto tiro. Infine sferrarono un attacco furioso con le loro balestre. A quel punto gli arcieri inglesi fecero un passo avanti e scagliarono così tante frecce che pareva nevicasse. Quando i genovesi sentirono le frecce trafiggere le loro teste, braccia e petti molti di loro abbassarono le balestre e tagliarono la corda, allontanandosi sconfitti.
Quando il re di Francia li vide fuggire disse: “Ammazzate quelle canaglie, perché ci creeranno soltanto dei problemi”. E i soldati si lanciarono su di loro, e ne uccisero un gran numero; sempre fermi, gli inglesi tirarono dove c’era più calca. Le frecce affilate colpirono soldati e cavalli, e tra i genovesi molti uomini e cavalli caddero e quando cadevano non riuscivano a rialzarsi perché erano accalcati e stavano uno addosso all’altro. Inoltre tra gli inglesi c’erano certe canaglie che andarono tra quei soldati con grossi coltelli e uccisero molti di coloro che erano caduti, conti, baroni, cavalieri e scudieri; e di questo il re di Inghilterra si dispiacque, perché avrebbe preferito che costoro fossero fatti prigionieri…
[Dalla divisione guidata dal figlio del re, il Principe Nero, che era stata attaccata,] mandarono un messaggero dal re, che si trovava su una collinetta. E il cavaliere disse al re: “Signore, il conte di Warwick e il conte di Oxford, sir Raynold Cobham e altri, come anche il principe vostro figlio, sono stati attaccati ferocemente e sono dolorosamente provati; per questo desiderano che voi e la vostra divisione andiate in loro aiuto; perché se i francesi avanzano, come sospettano, loro e vostro figlio avranno molti problemi”. Allora il re disse: “Mio figlio è morto, o ferito, o è caduto?”. “No sire”, rispose il cavaliere, “ma è duramente provato, e per questo ha bisogno del vostro aiuto”. “Bene”, disse il re “torna da lui e da coloro che ti hanno mandato quaggiù, e dì loro che non mi mandino più nessuno a comunicarmi quello che accade, finché mio figlio è vivo; inoltre dì loro che oggi lo sostengano affinché lui si affermi; perché se Dio lo vorrà questa spedizione, e dunque anche gli onori, saranno suoi e di coloro che sono stati accanto a lui ”.
James Robinson (a cura di), Readings in European History, vol. I, Ginn & Co., Boston e New York 1904.

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