Arte contemporanea

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Categoria:Storia Dell'arte
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Testo

ARTE
L’ARTE CONTEMPORANEA
Intorno alla metà del ‘900 la generazione artistica nata all’inizio del secolo si trova di fronte alla potente eredità delle avanguardie storiche. Il decennio delle nuove avanguardie artistiche, gli anni ’60, si apre su uno scenario internazionale carico di tensioni sociali e culturali. Il passaggio che si presenta agli occhi degli artisti della generazione precedente era completamente diverso da quello osservato dalla nuova generazione: si trattava allora di un paesaggio ancora naturalistico, industriale e fondamentalmente europeo, mentre ora è quasi completamente americanizzato, metropolitano, tecnologico e in gran parte artificiale. La cultura che caratterizza questo nuovo momento vede l’onnipresenza della tecnologia, che invade e assoggetta a se ogni cosa , persino lo stesso individuo il quale si trova ad essere progressivamente circondato di macchine di cui non può più fare a meno, dall’automobile agli elettrodomestici ai vari sistemi di comunicazione e d’informazione.
L’artista attuale dunque deve competere con una bellezza già insita nella forma degli oggetti, nelle immagini, dei videogiochi, nelle pagine coloratissime delle riviste, nei manifesti pubblicitari e così via…
Anche la comunicazione artistica quindi, sembra parlare ormai un linguaggio internazionale, comprensibile in ogni luogo della terra, un linguaggio sempre più simile a quelli della pubblicità, della musica, della televisione, del cinema e dello sport che hanno conquistato una dimensione ormai planetaria.
ARTE INFORMALE
Con il termine “informale” più che una specifica corrente artistica si intende indicare una tendenza generale dell’arte europea e americana che si sviluppa intorno al 1950 subito dopo la 2° Guerra Mondiale. L’informale è un movimento caratterizzato da una sfiducia per la capacità conoscitiva della ragione e di conseguenza per i metodi tradizionali di rappresentazione figurativa. Le varie tendenze dell’informale assumono connotazioni distinte in Europa ed America dove l’informale si identifica con l’Espressionismo astratto. Informale significa “senza forma” un aggettivo che cerca di spiegare la caratteristica del tutto paradossale di questo tipo di pittura: una composizione di “forme senza forma” senza ordine apparente, senza figure e senza sfondo, dominato dal caos. Eppure le regole ci sono e sono di tipo armonico, ritmico e distributivo. Ogni elemento della composizione sembra essere determinato dal caso ed è invece il frutto di un lungo esercizio di controllo sulla costruzione da parte dell’artista. Il risultato pittorico è esattamente questa “forma priva di forma” vale a dire priva di forme oggettivamente riconoscibili e che perciò si apre a tutte le interpretazioni, come quando si osserva una macchia su un muro o una nuvola.
ESPRESSIONISMO ASTRATTO
Espressionismo astratto si può considerare come la versione americana della tendenza informale che si sviluppa in Europa. Il termine di Espressionismo Astratto fu usato per la prima volta nel 1929 per descrivere le composizioni astratte di Vasiliy Kandinsky e per indicare le opere di alcuni artisti americani che in quegli anni sono esposte nella galleria della grande collezionista Peggy Yuggenheim.
In occasione di una mostra la Yuggenheim espone opere di artisti surrealisti ed astrattisti insieme ad opere di giovani artisti americani come Jackson Pollock ed in essa si sintetizzano per la prima volta i caratteri delle due avanguardie di origine europea (Surrealisti e Astrattisti). L’influsso della poetica surrealista si percepisce nella volontà di esprimere l’inconscio più profondo del soggetto, la su ansia di assoluto e la sua ricerca del sublime, vale a dire di una bellezza che trascenda ogni umana esperienza.
Analogo all’astrattismo dei primi del XX secolo è invece il radicale allontanamento dal mondo materiale e quotidiano e l’aspirazione quasi religiosa verso il trascendente per esprimere questa profonda spiritualità gli espressionisti astratti, come i primi astrattisti europei, ricorrono ad una pittura inventata, i cui colori e forme non riproducono alcun dato d’esperienze. Molto spesso i quadri degli artisti non hanno alcun titolo, proprio per non condizionare in alcun modo il rapporti diretto tra lo spettatore e la realtà immediata dell’opera. Come detto all’inizio gli artisti dell’Espressionismo Astratto e dell’Informale, pur con notevoli varianti tendono ugualmente a liberare sempre più la loro pittura da ogni riferimento simbolico, che aveva caratterizzato la opere dei loro predecessori avanguardisti.
Come per l’Informale anche nell’ambito dell’Espressionismo Astratto si sviluppano diversi filoni. Il filone denominato “color field painting” è caratterizzato dalla trasformazione della tela in un piano omogeneo dove il colore è “campito”, ossia steso uniformemente.
ACTION PAINTING
Nel 1952 il critico Harold Rosenberg definì Action Painting (che significa pittura d’azione) il filone dell’Espressionismo astratto che ha voluto porre il tempo dell’esecuzione al centro del significato dell’opera. In questo tipo di pittura si privilegia l’aspetto dell’azione e precisamente il momento stesso dell’esecuzione dell’opera quando, per fare un esempio, il pennello, comandato dalla mano si accosta alla tela per depositare su di essa una linea di colore.
L’artista con tutto il suo corpo è come coinvolto in una danza davanti alla tela per controllare il farsi della composizione: si allontana dal quadro per esaminarlo unitariamente poi si riavvicina per controllare ogni più piccolo dettaglio.
Uno degli esponenti dell’Action Painting è l’americano Jackson Pollock. Egli colloca la tela per terra e, con i pennelli e i barattoli di colore tra le mani gira attorno alla sua opera aggredendola da tutti i lati e facendo sgocciolare dall’alto il colore in un’apparente mancanza totale di controllo dell’operazione (questa particolare tecnica prende il nome di dripping da to dreep: sgocciolare).
Non c’è più un sopra e un sotto, una destra e una sinistra, non c’è più orientamento, solo la stupenda centralità della pittura o per meglio dire del fare pittura.
POP ART
Il fenomeno della Pop Art (arte popolare) emerge intorno al1962 a New York. La Pop Art accetta le immagini prodotte dalla società dei consumi e ne amplifica il carattere comunicativo, la serialità e la dismisura. I risultati sono di altissimo livello artistico, ma è come se tutto lo sforzo creativo e soprattutto la realizzazione tecnica dell’opera non fossero più così importanti da dover esser testimoniati. Molte delle opere Pop, in materiali colori e supporti di tipo industriale, posseggono l’inconfondibile aspetto di prodotti eseguiti in modo meccanico.
Gli artisti principali della Pop Art sono Robert Rauschenberg, Andy Warhall e Roy Lichtenstein.
ARTE CONCETTUALE
Arte concettuale, Arte minimale, Arte povera, Land Art, Body Art, sono movimenti che costituiscono, anche se in maniera diversa, la testimonianza di un passaggio artistico epocale: dalla cultura pittorica e informale degli anni ’50 alla cultura più fredda e mentale degli anni ’60 e ’70.
Questi movimenti potrebbero esser tutti classificati con la denominazione di Arte Concettuale: infatti ciò che li unisce è l’aver spostato l’interesse dal risultato formale all’idea che determina l’opera, che potrebbe anche non essere necessariamente vista ma solo descritta.
Uno dei grandi maestri a cui queste poetiche fanno riferimento è Marcel Duchamp; le cui opere sono da intendersi come provocazioni ideali, piene di concetti filosofici e logici.
Dopo il Dada e il Surrealismo, l’Arte Concettuale è stato l’ultimo grande movimento ad aver considerato come centrale la questione dei linguaggi mettendo in relazione e volutamente in contrapposizione le cose con le parole e le immagini.
Un esempio tipico sono le ricerche logico-surreali di Magritte.
ARTE MINIMALE o MINIMALISMO
La minimal art nasce negli stati Uniti verso la metà degli anni 60 ad opera di un gruppo di artisti che si occupano di pittura come di scultura e che esibiscono i loro lavori in mostre di grande successo: quella intitolata “strutture primarie” “PRIMARY STRUCTURES” tenutasi al JEWISH MUSEUM DI NEW YORK nel 1966 segna il debutto di questo movimento. Molti elementi contribuiscono allo sviluppo dell’arte minimale: fra questi il riferimento all’Avanguardia russa del Suprematismo, in particolare all’opera di Casinir Malevich. Egli aveva progressivamente ridotto il carattere descrittivo e naturalistico della rappresentazione artistica fino a negare del tutto il fine pratico ed estetico. Di grande importanza sono i principi teorici di uno dei maggiori architetti razionalisti Ludwig Miesvanderche che sono sintetizzati in una sua celebre affermazione: “lessi is more” (meno si decora un oggetto, più esso apparirà essenziale e spiritualmente significativo). Altro fattore decisivo per l’evoluzione dell’arte minimale è il porsi come una sorta di reazione al gusto imperante. Le opere minimali si pongono l’obiettivo di superare anche l’ultimo residuo di espressività ancora presente nelle tele dei pittori astratto-informali e nella scultura si prefiggono di realizzare delle forme assolutamente primarie e geometriche. Tali opere assumono cosi il valore simbolici di una testimonianza della civiltà tecnico industriale più avanzata, che non prevede più la presenza dell’uomo. Gli artisti minimalisti più importanti sono già tutti presenti alla mostra di gruppo sopra citata. Carl Andrè realizza lastre di ferro posate direttamente sul pavimento, Larry Bell gioca trasparenza di un cubo vuoto dalle pareti di vetro, Sol Lewitt alterna cubi pieni e vuoti oppure dipinge le pareti di uno spazio con forme piramidali, Robert Morris crea gabbie di rete d’acciaio e cilindri in vetroresina, Dan Flavin usa esclusivamente tubi al neon di diversi colori per i diversi tipi di strutture e ambienti. Anche nell’ambito della pittura di grande sforzo l’arte minimale consiste nella riduzione a zero di qualsiasi linguaggio espressivo. Attorno alla rivista italiana Azimut, 1959 si raccoglie un certo numero di artisti che comprende fra gli altri Piero Manzoni, Lucio Fontana, Mimmo Ratella e nel 1961 questi artisti firmano l’importante manifesto dell’arte zero che intende superare definitivamente il Romanticismo residuale dell’arte informale e ogni significato simbolico delle opere e rinunciare per sempre a “raccontare il mondo” attraverso la pittura.
LAND ARTE
Il termine Land art indica un tendenza artistica che si sviluppa in particolare negli Stati Uniti per poi diffondersi anche in Europa e nel resto del mondo. Alcuni critica fanno risalire le origini della land art al fascino da sempre esercitato sulla cultura americana dai grandi spazi incontaminati, come testimonia ad esempio la pittura di paesaggio ottocentesca. Gli artisti della land art sono profondamente attratti anche dai luoghi di culto delle religioni antiche che prevedono un intervento diretto dell’uomo sulla natura che lo circonda, si pensi a Stone Henge o ai resti della civiltà pre-colombiana immersi nelle foreste del Messico. Anche gli artisti della Land Art vogliono intervenire direttamente sulla natura servendosi degli spazi e dei materiali che essa offre. Le creazioni di questi artisti si limitano per lo più all’uso di segni semplici, quali linee rette, cerchi, spirali, riconducibili a forme geometriche primarie. I loro interventi apparentemente ridotti al minimo in realtà implicano una grande ricerca ingegneristica sugli strumenti di realizzazione dell’opera, e ingenti finanziamenti. L’ originaria volontà della land art era quella di non mercificare l’arte; le opere sono intrasportabili e difficilmente visitabili in quanto non disposte in musei o gallerie, ma realizzate in paesaggi desolati. In realtà la maggior parte di questi lavori è stata poi fotografata e filmala e le immagini sono state esposte in gallerie e musei, insieme alla documentazione grafica che ha accompagnato la realizzazione dell’opera.
ARTE POVERA
Nel 1967 il critico Germano Celant organizza a Genova una mostra intitolata arte povera, che riunisce artisti in gran parte italiani che intendono confrontarsi con le contemporanee manifestazioni artistiche internazionali, in particolare l’arte concettuale. Due anni più tardi Celant fa un’analisi teorica del movimento che si sta sviluppando in un libro intitolato ARTE POVERA. Questo movimento si differenzia dal più vasto contesto dell’Arte Concettuale in quanto si in quanto si evidenzia la continuità fisica oltre che mentale, tra l’autore e l’opera realizzata. Questo è pensare come una “estensione del movimento individuale” all’interno di un “universo biologico”.
Celant scrive che tutti gli artisti poveristi “esaltano il carattere empirico e non speculativo del materiale adottato e dello spazio dato, così che l’attenzione si sposta alla corporeità degli avvenimenti e degli elementi naturali non artificiali”. Partecipano al movimento dell’Arte Povera numerosi artisti : Michelangelo Pistoletto, Mario Merx, Luciano Fabro, Giuseppe Penone.
In Italia, un ruolo storico e culturale eminente è stato svolto da Mich Pistol: si ricordano le opere realizzate con specchi o altre superfici riflettenti su cui lo spettatore vede improvvisamente riflessa la propria immagine accanto a quella di qualche figura che vi è serigrafata.
Mario Merx insiste ossessivamente sulla relazione tra l’apparente semplicità delle forme naturali e le leggi che sottostanno alla loro crescita. Come scriveva Germano Celant nel programma del movimento “animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte e l’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche, chimiche e biologiche”.
IPER-REALISMO
L’iper-realismo nasce in america tra il 1965 e il 1970 e si sviluppa nel decennio seguente anche in Europa, soprattutto in Germania. In questo movimento si rappresentano pittoricamente gli oggetti della realtà nel modo più oggettivo possibile o in modo fotografico: la straordinaria veridicità dell’immagine provoca talvolta nello spettatore una sensazione di smarrimento o di vertigine. Le tecniche più frequentemente impiegate sono la pittura ad aerografo o il riporto fotosensibile su tela emulsionata: il risultato è dato da immagini compatte e uniformi, dall’aspetto freddo, meccanico e tecnologico. Sorto in contrapposizione all’arte concettuale, l’iper-realismo “chiamato anche foto-realismo” sottolinea la presenza stessa della realtà, che possiede già in se tutti i caratteri estetici per essere assunta come un oggetto di interesse artistico, come aveva fatto anche la Pop Art. Oltre agli straordinari inganni percettivi, tuttavia, l’arte iper-realista contiene una sorta di sfida profonda alla nostra intelligenza. Quanto più l’opera iper-realista appare vera tanto più essa riesce a scatenare tutta la sua forza provocatoria, grazie all’ambiguità del suo significato: ciò che improvvisamente scopriamo davanti a questa apparente finestra sulla realtà e sulla verità, è che ci troviamo di fronte alla sensazione non tanto di un “già visto”, quanto di un enigmatico ed inquietante “ mai visto”.
IMPRESSIONISMO
Il movimento impressionista si avvia nel 1867, in Francia, quando alcuni artisti iniziano a sperimentare una pittura naturalistica lontana dal gusto accademico; nel breve volgere di 20 anni la ricerca impressionista si può ritenere conclusa, ma ha aperto la strada a tutte le ricerche artistiche successive. I primi pittori impressionisti cercano, osservando la natura di cogliere la prima impressione visiva, quella che l’occhio riceve senza soffermarsi sui particolari. I colori sono presi isolatamente e accostati sulla tela senza venir mescolati: sarà la nostra mente a percepire l’effetto d’insieme. La storia degli impressionisti fu accompagnata da aspre critiche e netti rifiuti. La prima mostra del gruppo, organizzata nel 1874 da Degas e svoltasi presso la galleria del fotografo Nadar , si risolse in un clamoroso insuccesso, pur segnando l’avvio ufficiale del movimento. Le caratteristiche dell’impressionismo esaltano alcuni aspetti innovativi dell’arte, in parte già avviati dalla pittura realista:
1) L’arte è sempre più una attività autonoma, non più influenzata dalle scelte dei committenti
2) Mutano i soggetti: si rappresentano paesaggi naturali , scene di vita quotidiana nelle grandi città, la folla dei boulevards parigini, gli interni dei caffè, i teatri;
3) Si studiano scientificamente le leggi dell’ottica. Gli impressionisti dedicano studi accurati ai fenomeni fisici e percettivi della luce.
4) L’invenzione della fotografia influenza l’arte. I pittori impressionisti se ne servono soprattutto nello studio del taglio dell’inquadratura.
Osservando da vicino un quadro impressionista( Claud Monet, “Il ponte di Argentenue”) si possono comprendere i principi rivoluzionari in esso applicati: Luce:tutte le opere impressioniste rivelano un’ attenzione costante agli apetti della luce: colpendo gli oggetti essa si scompone nei vari colori che a loro volta si mescolano o si accostano trasformandosi ed esaltandosi reciprocamente. Ogni paesaggio è fatto di luce e colore, l’una e l’altro continuamente mutevoli a seconda dell’ora, delle condizioni atmosferiche e del punto di vista.
Colore: L’impressionismo è il trionfo del colore e della luce: il colore locale, ossia quello di un singolo oggetto o di una sua pare non esiste perché ogni colore che vediamo nasce dall’influenza del suo vicino in un concatenamento reciproco. Le ombre non sono nere: esse corrispondono semplicemente a zone meno luminose e vengono ottenute ad esempio sovrapponendo sulla tela i colori complementari.
Segno: la linea è assente e manca un disegno preparatorio. Le forme prendono vita direttamente dal colore che viene steso con segno rapido e sicuro senza apparente attenzione per il contorno delle figure.
Movimento: Fa parte dell’impressione che riceviamo nel percepire il mondo esterno. L’immagine è infatti fuggevole, la forma appena intuita, non avendo i contorni definiti sembra un continuo cambiamento.
La pittura impressionista esprime tutto questo e infatti predilige i giochi di colore e i riflessi della luce sull’acqua, la cui superficie appare in continuo, quasi impercettibile, movimento.
I NUOVI SOGGETTI DELLA PUTTURA IMPRESSIONISTA
Rifiutando i temi della pittura accademica gli Impressionisti lavorano all’aria aperta (en plein air), in città e in campagna, dipingendo semplicemente quello che vedono con estrema naturalezza.
LA LUCE SULL’ARCHITETTURA
Nell’inverno del 1893 Monet realizza 50 tele aventi per soggetto la cattedrale di Rouen. Dalla finestra del secondo piano di un albergo antistante, l’artista studia la variazione di colori determinata dagli effetti sempre mutevole della luce in varie ore del giorno
La luce investe la superficie della facciata gotica, riflettendosi e frantumandosi nei mille rilievi scolpiti, nelle guglie e nelle statue. Gli effetti che variano in base alla qualità atmosferica, cioè alle condizioni del tempo ed alla diversa incidenza della luce, sono fissati in sequenze che vanno dall’alba al crepuscolo. Monet cambia le tele con il mutare della luminosità, lavorando, per ciascuna di essa con la prevalenza del bianco, del grigio, dell’azzurro, del rosa dorato. Il motivo ricorrente in Monet, nella ripetizione dello stesso soggetto è indice di una ricerca sistematica, quasi scientifica e di una volontà paziente.
Per gli impressionisti nulla è immobile, nulla può essere fissato definitivamente sulla tela, della realtà possiamo solo cogliere impressioni che si succedono e si accavallano nella nostra memoria e non verità cristallizzate.
I COLORI E I SUONI DELLA CITTÀ
“IL BAR ALLE FOLIES-BERGERES” di Manet.
Qui l’artista rappresenta una scena della Parigi del suo tempo a cui conferisce un carattere festoso ed effimero, di cosa che non può durare. Tutto ciò che circonda la fanciulla è impreciso, vago, eppure cosi presente. Lo specchio sul fondo produce riflessi e scintillii, moltiplica ludi e figure: la folla, il grande lampadario, le bottiglie e la stessa figura femminile. Il pittore imprime uno scatto alla sua immagine riflessa quasi proiettandola assieme al cliente del bar alla destra del quadro.
PIERRE AUGUSTE RENOIR
“BALLO AL MOULIN DE LA GALETTE” di Pierre auguste Renoir (1841-1919)
E’ il pittore di immagini serene e gioiose; nelle sue opere rappresenta la festosa partecipazione a tutto ciò che ci circonda, riportando fedelmente sulla tela la realtà. In questo quadro realizza il particolarissimo effetto determinato dalla luce che filtrata attraverso le fronde degli alberi investe i corpi e gli oggetti, creando una straordinaria vibrazione atmosferica. L’effetto è cosi intenso da determinare quasi la perdita di consistenza delle forme, coinvolte in un movimento generale; il ballo, le variazioni di luci e colori, il taglio diagonale della composizione conferiscono all’opera immediatezza e dinamismo.
EDGAR DEGAS, un impressionista atipico
Degas si forma studiando l’arte del passato. “Nessuna arte” diceva “è meno spontanea della mia. Quel che faccio è il risultato della riflessione sullo studio dei grandi maestri.” Predilige Giorgione, Leonardo, Raffaello, Pontormo, i maestri del Rinascimento italiano che egli può studiare al Louvre, ma anche nei musei d’Italia, meta preferita dei suoi frequenti viaggi. Rispettagli altri impressionisti, egli non predilige tanto gli ambienti naturali quanto i soggetti ripresi in interni: nel quadro, poi, compie un’operazione di sintesi delle impressioni ricevute. E’ attratto dalla vita delle città, che osserva in tutti i suoi aspetti. Parigi lo interessa per il suo movimento, per la molteplicità di situazioni, luci, colori che la caratterizzano. I suoi soggetti (le corse dei cavalli, gli interni dei caffè e delle stanze, le ballerine dell’opera, semplici ritratti) sono studiati più volte da angolazioni e distanze diverse, con diverse caratterizzazioni di luci e di colori. Le sue immagini sembrano colte da una istantanea, ma sono il frutto di ripensamenti e correzioni dell’impostazione compositiva. Degas, infatti taglia le immagini in modo solo apparentemente casuale, dando ad esse una particolare inquadratura che consente una visione spontanea del soggetto. Nelle sue opere si ha infatti spesso la sensazione che l’immagine continui fuori dal quadro, sensazione talvolta accentuata da prospettive oblique.
IL POINTILLISME
Il pointillisme o puntinismo ha origine dall’esperienza impressionista. Si basa sull’applicazione delle scoperte in campo ottico e sulla percezione visiva e sulla teoria del colore formalizzata da Chevreul a partire dal 1848, poichè tutte le gradazioni cromatiche derivano dalle infinite combinazioni tra i colori dell’arcobaleno; questi non vengono mescolati sulla tavolozza ma disposti sulla tela puri, sotto forma di puntini e piccole macchie. La forma e il colore si ricompongono a distanza, sulla retina dell’occhio di chi guarda. Il puntinismo sfrutta così il principio della scomposizione dei colori ed utilizza un procedimento che consente effetti di luminosità ed intensità cromatica maggiori rispetto a quelli ottenuti attraverso la mescolanza sulla tavolozza. Per ottenere un colore secondario, ad esempio l’arancio, si procede all’accostamento di puntini gialli e rossi; per ottenere effetti di brillantezza o toni più smorzati, si utilizza il principio del contrasto tra colori complementari: questi infatti se accostati si esaltano a vicenda producendo un effetto di grande luminosità, se mescolati invece si spengono avvicinandosi al grigio. Seguendo questo principio vengono rese anche le ombre.
GEORGE PIERRE SEURAT (1859-1891)
Fu il più importante esponente del puntinismo, tecnica che sperimentò a partire dal 1884. La sua pittura è interamente fondata sulla rigorosa e instancabile sperimentazione delle leggi ottiche e sull’applicazione di regole geometrico-matematico di cui si avvale per definire gli impianti compositivi. Ogni sua opera era preceduta da un’infinità di schizzi e studi preparatori. Nell’opera di Seurat “Una domenica pomeriggio alla Gran Jaitte”:
1) COMPOSIZIONE: l’opera è impostata secondo precise regole geometriche. Un’asse centrale divide verticalmente il dipinto in due parti uguali, fissando la posizione della donna con la bambina viste frontalmente: l’intero quadro e alcune sue parti sono impostate sullo schema della sezione aurea. , o in base a complessi calcoli proporzionali;
2) SEGNO: l’accostamento di punti fa delineare con precisione i contorni delle figure. Per ottenere diversi effetti percettivi, egli dispone linee parallele sulla superficie dell’acqua o brevi tratti incrociati nelle zone d’erba.
3) LUCE E COLORE: l’opera è caratterizzata da una luminosità intensa e vibrante grazie alla sapiente applicazione dei principi della scomposizione cromatica e del contrasto tra complementari. Ad esempio un’ampia zona d’ombra in primo piano aumenta la luminosità della parte in profondità. Analogamente il netto stacco tra zone di colore adiacenti aumenta la rigorosa definizione delle figure.
4) SPAZIO_ VOLUME: le figure sono quasi forme geometriche impostate sul cono e sul cilindro e tornite da un modulato chiaroscuro. Esse scandiscono nella loro ordinata successione la profondità della spazio, evidenziata da due linee che attraversano diagonalmente il quadro: quella di costa e quella che divide nel prato la luce dall’ombra.
5) ESPRESSIVITA’: All’immediatezza degli Impressionisti Seurat contrappone il procedimento scientifico, applicato con rigore di stacco emotivo. I paesaggi sono luminosi, l’aria sembra materializzarsi in un pulviscolo atmosferico altamente suggestivo, ma le immagini appaiono immobili, le figure cosi bloccate sembrano manichini. Seurat ha fermato l’impressione, sospendendola in un’atmosfera irreale.
DIVISIONISMO
Tra la fine dell’800 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale si afferma in Italia il Divisionismo. La tecnica deriva da quella sperimentata dai pointillisti francesi, ma in Italia essa è applicata in modo diverso, meno rigoroso. I soggetti preferiti della pittura divisionista sono immagini naturalistiche, interni o spesso tematiche sociali. I principali esponenti di questa corrente furono Giuseppe Pelizza da Volpedo (1868-1907), Giovanni Segantini (1858-1919), Gaetano Previati (1852-1920), Angelo Corbelli (1853-1919), Emilio Longhi (1859-1932). Ricordiamo solo Pelizza da Volpdo che descrive su tela i temi sociali più pregnanti del suo tempo. Con la tecnica divisionista egli raffigura nel “Quarto Stato” la protesta dei lavoratori, decisi nelle loro rivendicazioni sociali.
IL POST IMPRESSIONISMO
Dopo l’impressionismo
Nel 1886 venne allestita l’ultima mostra della pittura impressionista: da allora inizia il suo declino. Gli artisti ormai si pongono nuove esigenze:
1) Non basta descrivere in modo oggettivo la realtà, occorre dare spazio anche ai valori SOGGETTIVI, guardando dentro di sé,
2) Ci si serve della forma e del colore non solo per descrivere la natura ma per comunicare il PROPRIO STATO D’ANIMO,
3) Si rappresentano le situazioni, temi e argomenti di impegno sociale
4) Si utilizza L’ARTE COME MEZZO DI PROVOCAZIONE E REAZIONE ai valori della società borghese di fine secolo presa dal vortice della produzione e del profitto.
PAUL CEZANNE (1839-1906)
Fu il primo a staccarsi dal linguaggio impressionista dopo averlo fatto proprio all’inizio della sua attività pittorica. Nella sua pittura è assente il disegno. A questo si sostituisce il colore, qui utilizzato anche per dare forma a ciò che vede il pittore. Per questo si parla di forma-colore. Il colore steso in larghe macchie uniformi quasi tarsie in un mosaico, forma l’immagine. Di conseguenza i volumi non sono rappresentati in modo prospettico ovvero non sono diluiti per raffigurare le cose più lontane. Essi sono invece scomposti in superfici di colore accostati. La profondità dello spazio è cosi realizzata dando colori caldi alle cose vicine, freddi a quelle lontane. Diceva Cezanne “cerco di rendere la prospettiva col solo mezzo del colore”. LA MONTAGNA DI SAINTE VITTOIRE - I GIOCATORI DI CARTE.
PAUL GAUGUIN (1848-1903)
Come molti artisti di fine ‘800 rifiuta di condurre una tranquilla vita borghese. Dopo alcuni anni vissuti in Francia inizia i suoi viaggi nel mare del Sud, Martinica, isole Marchesi, Tahiti dove si stabilisce. Spera in tal modo di liberarsi dall’educazione materialista che aveva avuto in Francia trovando ispirazione nel mondo incontaminato della Polinesia. Gauguin rappresenta i colori festosi della natura. Rifiuta i modelli pittorici imperanti nella Francia di fine ‘800 ma non quelli degli Impressionisti. Da loro aveva imparato ad apprezzare il valore del colore che anche per lui serve a dare forma alle cose. Egli va oltre l’impressionismo, stende i colori in modo piatto, uniforme con toni forti e non naturalistici, le figure sono bidimensionali formate da larghe zone di colore separate da linee nere che fanno loro da margine, il colore diviene cosi innaturale e non descrittivo ma simbolico:serve ad esprimere tutto ciò che il pittore sente.
Il CRISTO GIALLO(1889) risale al primo periodo dell’attività di Gauguin in Bretagna: luogo ideale per il pittore che amava dire che solo sulla riva del mare e frequentando la casa dei pescatori poteva trovare ispirazione.
Composizione:intorno al crocifisso siedono tre contadine dall’aria assorta, sono Bretoni, come si deduce dai tradizionali abiti locali. Il Crocifisso è leggermente spostato verso sinistra lasciando vedere ampia parte della campagna.
Colore: il colore dominante è il giallo, è questo il colore del Cristo ma anche dei prati e dei monti, divisi in strisce orizzontali e punteggiati dalle macchie rosse degli alberi. Il vestito delle donne è blu a simboleggiare il colore delle donne del Vangelo. Espressività: perché un Cristo interamente giallo? Il giallo, in pittura, esprime dramma, e mediante questo colore l’artista vuole rappresentare il dolore del Cristo. Gauguin dunque non da come facevano gli Impressionisti, ad ogni oggetto il suo colore naturale: per lui il colore è un’occasione per esprimere un sentimento e dunque assume un significato simbolico. In questo quadro è anche ben visibile un processo di semplificazione della forma. Oltre a quest’opera sono ricorrenti opere quali “LE CONTADINE BRETONI” e “LE DONNE DI TAHITI”.
VINCENT VAN GOGH (1853-1890)
Fu artista inquieto e incompreso, nasce in Olanda in una famiglia molto religiosa; è incostante negli studi come nel lavoro. Nel 1885 va a Parigi, dove lo accoglie il fratello Theo mercante d’arte, che gli fa conoscere alcuni artisti impressionisti: Monet, Degas, Renoir. Inizia una lunga serie di autoritratti, composizioni floreali, vedute di Parigi; sono opere luminose, nervose, piene di tratti di colore puro, poi l’esperienza della Provenza dove vivifica il colore rendendolo a tratti violento, a tratti caldo e intenso, affidandoli l’espressione dei suoi stati d’animo. AUTORITRATTO nell’autoritratto del 1887, il quadro riprende in parte la tecnica divisionista avviata da Seurat: è composto di tante piccole strisce di colore puro accostate tra loro disposte a cerchio intorno alla testa. Questo accorgimento induce lo spettatore a concentrarsi sul volto, cercandone espressione e aspetti nascosti. La figura, per effetto dell’accostamento di colori diversi è vibrante, il grigio del cappello è composto da toni chiari, bruni, violacei e azzurri per definire l’ombra.
I MANGIATORI DI PATATE (1885) Nella prima fase della sua attività Vincent Van Gogh risente dell’influenza del francese Daumier, pittore realista e caricaturista. In questa composizione una lampada a petrolio illumina una povera stanza dove cinque contadini cenano, consumando un piatto di patate. La lampada riflette la luce sui corpi dei commensali evidenziandone le asprezze, l’autore vuole sottolineare la fatica di un duro giorno di lavoro ma anche la forza interiore di quella gente di cui ravviva le espressioni, la tonalità dei colori sembra ricordare il fumo e il colore stesso delle patate. Dirà Vincent Van Gogh “ E’ normale che un contadino odori di lardo e di fumo”.
LA CHIESA DI NOTRE DAME AD AUVERS SUR OISE: Il blu scuro e vibrante del cielo si contrappone con l’esterno della Chiesa a toni chiari e l’ombra determinata dall’abside allude alla presenza di un sole che non c’è. La struttura della chiesa appare barcollante, pilastri e muri sembrano obliqui e incerti, le linee che definiscono le strutture non hanno la funzione di descrivere ma di esprimere la tensione che l’artista ha dentro di se. Il colore è acceso, più intenso e contrastato del reale. Spiccano il verde luminoso del prato con i fiori bianchi,le strisce gialle e marroni delle vie fissate ai margini da tratti blu, le macchie rosse dei tetti. Le vetrate riflettono il blu di un cielo percorso da vortici violenti, il segno colpisce per la sua immediatezza, nei due viottoli, che si biforcano prima dell’abside, piccoli tratti fugaci seguono la direzione del percorso lunghe e fitte pennellate danno forma alla chiesa. Cosi Van Gogh indica i volumi e lo spazio.
ART NOUVEAU
L’ARTE DELLA BELLE EPOQUE
Con caratteri simili all’arte simbolista ma più esuberante ed incline alla ricerca dell’eleganza è in quegli stessi anni il movimento detto art Nouveau. L’art Nouveau esprime le aspirazioni della società borghese della Belle Epoque. Le sue manifestazioni sono improntate a raffinata eleganza che tende però a mascherare l’inquietudine derivata da una profonda crisi di valori. Si sviluppa tra gli ultimi due decenni dell’800 e la Prima Guerra Mondiale, quasi contemporaneamente in tutta Europa. Si Chiama ART NUVEAU in Francia, MODERN STYLE in Inghilterra, SECESSIONE in Austria, JUGENSTIL in Germania, MODERNISMO in Spagna, STILE LIBERTY o FLOREALE in Italia. Il nuovo stile si pone l’obietivo di migliorare la qualità estetica degli oggetti industriali di uso comune contro la banalizzazione del gusto determinata dalla produzione di serie. Esso mira a far divenire l’arte patrimonio di tutti. L’art Nouveau rifiuta gli stili storici del passato e cerca ispirazione nelle forme della natura. Le coglie in un decorativismo floreale che si esprime per mezzo della linea curva e sinuosa, fluida e libera da schemi di simmetria e proporzione. Il risultato più importante si ottenne nelle arti applicate. Mobili, carte da parati, abiti, gioielli, letti, accessori assumono un impronta originale e unitaria. In questa volontà di uniformare l’insieme dello spazio, l’architetto progetta tutto, dalla casa agli arredi persino le stoviglie.
ERTE’
LA BARCELLONA DI GAUDì
Nel corso dell’800 Barcellona fu tra le prime città europee per le quali si iniziò a progettare un nuovo piano urbanistico, in questo periodo si diffuse il modernismo, originalissima variante spagnola dell’Art Nouveau che ebbe in Antony Gaudì (1852-1936) il suo più grande interprete. Dotato di straordinaria forza immaginativa Gaudì era in realtà capace di rivitalizzare materiali e tecniche artigianali e stili tradizionali come il gotico e il barocco, realizzando architetture funzionali in una sintesi perfetta tra forma, struttura costruttiva e ornamento.
LA CATTEDRALE INFINITA
Esiste a Barcellona una viva testimonianza dello spirito catalano. Essa svetta sull’orizzonte a celo aperto: la “Sagrada Famiglia”, l’opera che impegnò Gaudì per oltre quarant’anni fino alla morte e che ancora oggi rimane in gran parte incompiuta. Gaudì assunse la direzione dei lavori della chiesa nel 1883; pur avendo eseguito in modo ossessivo e per tutta la vita numerosi schizzi e modelli in gesso(attualmente visibili nel museo allestito nella cripta) Gaudì non lasciò un progetto definitivo dell’edificio. Egli riuscì a realizzare solo l’abside, la cripta su cui si accede da due scale ai lati dell’abside e una torre della facciata dedicata alla natività. Ispirandosi alle grandi cattedrali del medioevo, l’architetto impostò la chiesa secondo un corretto piano liturgico creando una sintesi dei principi della dottrina cristiana mentre dal punto di vista strutturale impresse una svolta al linguaggio gotico “perfezionato” come lui stesso asserì –attraverso innovazioni fantastiche-. Inanzi tutto sostituì archi a sesto acuto con archi parabolici. In oltre egli riuscì ad ottenere migliori condizioni di stabilità mediante la scomposizione delle grandi volte in piccole parti e distribuendo il peso in numerosissime colonne a loro volta moltiplicate in successive ramificazioni, come se fossero alberi. La pianta è a croce latina con 5 navate longitudinali e 3 nel transetto; percorrendo le navate si ha la sensazione di trovarsi in un posto sacro, la luce è diffusa e attraverso navate laterali costituite da sfere di alabastro a forma di stella filtra una luminosità irreale.
WRIGHT E L’ARCHITETTURA ORGANICA
Un pioniere dell’architettura moderna può essere considerato l’americano Frank Lloyd Wright (1867-1959), certamente una delle figure che ha maggiormente influenzato gli sviluppi dell’architettura del XX secolo. Fu uno dei primi architetti a rompere con l’eclettismo ancora in voga negli Stati Uniti alla fine dell’800, proponendo una concezione spaziale di semplici volumi geometrici e traendo liberamente ispirazione da modelli storici anticlassici. Il nome di Wright è intimamente legato al concetto di architettura organica, essa deve il suo nome a un atteggiamento progettuale attento al rapporto armonico tra le parti e il tutto, simile a quello che caratterizza appunto un organismo vivente. L’architetto sintetizzo in 6 punti i principi fondamentali dell’arte organica:
1) La semplicità, raggiungibile solo attraverso l’eliminazione degli elementi superflui comprese le pareti divisorie interne
2) La necessità che ci siano tanti stili di case quanti sono gli stili degli uomini.
3) Il rapporto armonico tra l’edificio e l’ambiente “ un edificio dovrebbe apparire come se sorgesse spontaneamente dal terreno dove è stato situato” diceva l’architetto
4) La necessità di scegliere colori in armonia con il paesaggio
5) La necessità di valorizzare i materiali nel loro aspetto naturale e di mostrare il sistema costruttivo degli edifici rendendo evidenti gli elementi portanti e quelli portati
6) L’esigenza di “integrità spirituale” dell’architettura, secondo Wright un edificio doveva possedere qualità analoghe a quelle umane, sincerità e verità e grazia che ne avrebbero garantito la durevolezza oltre le mode passeggere.
LA CASA KAUFMANN: Casa Kaufmann, conosciuta anche come “la casa sulla cascata”, costituisce uno dei capolavori dell’architettura del XX secolo ed è forse l’opera più emblematica della concezione organica, per lo straordinario rapporto che l’edificio instaura con la natura circostante. Essa sorge in Pennsylvania in un’area boscosa attraversata da un torrente, il cui percorso era reso irregolare da dislivelli del terreno e grandi rocce; l’ingresso della casa è posto in posizione decentrata rispetto allo sviluppo planimetrico d’insieme. Wright scelse di posizionare la casa lungo il fiume, sopra un grande masso a picco sul corso d’acqua. Il livello principale dell’abitazione si articola proprio attorno al macigno roccioso che all’interno affiora dal pavimento in ruvide lastre e costituisce la base del camino al centro dell’ampio soggiorno. Gli ambienti interni sono separati dall’esterno attraverso vetrate continue. Oltre che dal soggiorno il piano principale è occupato dalla cucino e da una sola zona da pranzo, una scala conduce alla zona notte dove tutte le camere hanno terrazze orientate in diverse direzioni. La casa sulla cascata costituisce uno dei risultati più interessanti ottenuti da Wright sperimentando le nuove potenzialità offerte dal cemento armato. Essa rappresenta uno dei migliori esempi in cui natura e artificio si congiungono organicamente dando luogo a un’articolazione di grande chiarezza e leggibilità. La pietra è impiegata nella strutture di sostegno verticale. Il cemento armato è utilizzato nei piani orizzontali e per i parapetti mentre le lastre di vetro unite da giunti di metallo dipinti di rosso definiscono le aperture.
LE CORBUSIER
COERENZA E RINNOVAMENTO
Pur recuperando alcuni elementi che avevano caratterizzato le sue opere precedenti nel dopoguerra Le Corbusier sviluppò una ricerca architettonica molto rigorosa. Tra le ultime opere dell’architetto occupa un posto di rilievo “L’unitè d’habitation di Marsiglia” 1945-52. L’edificio che già dal nome rivela una programmatica concezione unitaria, è il risultato di un chiaro progetto urbanistico e sociale. Si tratta di una piccola città autosufficiente ad alta unità abitativa e con una serie di servizi collettivi: la presidenza poteva ospitare 1600 persone e al suo interno si trovavano sale di riunione, un albergo, un ristorante, una palestra, negozi e sul tetto un asilo nido, un teatro all’aperto, una piscina. La costruzione è impostata su una pianta rettangolare che si sviluppa per 12 piani e presenta alcuni degli elementi ricorrenti di Les Corbusier: i pilotis, il tetto, la cella abitativa a doppio livello. Le dimensioni dell’edificio sono calcolate sul modular, un sistema proporzionale di misure simbolicamente scolpito sulla facciata e basato sulla struttura di un uomo alto 183cm. La scelta del modular rivela il fondamento urbanistico dell’architettura di Les Corbusier secondo il quale “per formulare risposte da dare ai formidabili problemi posti dal nostro tempo, vi è un unico criterio accettabile: l’uomo”. L’unitè suscitò aspre critiche: l’immensa costruzione inserita in una città che allora era costituita da basse casette unifamiliari e vaste aree rurali venne soprannominata la “maison du padà” “la casa del pazzo”. Se l’unite, cui Les Corbusier, ne fece seguire altre 4 si pone ancora in continuità con alcuni tra i principi enunciati dall’architetto negli anni 30, altre opere del dopoguerra, come la cappella di Rochamp e il piano urbanistico per la città in piano di Chandigarh sembrano distaccarsene per il loro carattere maggiormente plastico ed emotivo.
RENZO PIANO
Nella seconda metà del XX secolo l’architettura fu investita da una generale ondata di rinnovamento. L’esigenza di mettere in discussione i rigidi schemi imposti dal razionalismo, generò una serie di movimenti architettonici dal carattere esplicitamente rivoluzionaria. La forma stessa degli edifici è evidenziata dalle componenti strutturali, nelle quali dominano acciaio, pannelli metallici e materie plastiche. Tra gli edifici più rappresentativi di questa concezione vi è il Centre Pompidou a Parigi, progettato agli inizi degli anni ’70 dall’architetto genovese Renzo Piano (1937), insieme all’inglese Richard Rogers (1933). L’edificio è un parallelepipedo di vetro lungo circa 140metri, largo e alto 50metri, compreso in una trama di tubi metallici colorati, rossi e blu, che costituiscono insieme il sistema strutturale e impiantistico della costruzione e le sue facciate.
L’ARCHITETTURA VERSO IL XXI SECOLO
Centro culturale Jean-Marie Tjibaou, tra folclore e avanguardia.
Uno dei progetti più suggestivi dell’architetto Renzo Piano, è certamente il centro culturale Jean-Marie Tjibaou (1991-1993) a Noumea, capitale della Nuova Caledonia, arcipelago situato nel Pacifico meridionale e possedimento francese. E’ nato come omaggio al governo transalpino alle tradizioni della popolazione indigena dell’isola, i Kauak, ed è dedicato alla memoria di Jean-Marie Tjibaou, loro leader politico assassinato nel 1939. Si tratta di un nuovo insediamento nel quale architettura e natura, innovazione e tradizione si incontrano in maniera suggestiva. Lungo un crinale boscoso Piano ha disposto una serie di strutture curve in legno e acciaio simili a gusci vegetali, che traggono ispirazione dalla tradizionali costruzioni indigene e che ospitano le attività del centro. L’aspetto folcloristico nasconde tecnologie costruttive altamente sofisticate, studiate allo scopo di garantire un efficace sistema di ventilazione naturale. Un sentiero collega i tre principali nuclei del centro. Una prima zona comprende una reception per i visitatori, un auditorium per 400posti; un secondo gruppo di edifici ospita gli uffici per gli studiosi e per i professionisti che hanno il compito di organizzare l’esposizione, una sala conferenze, una biblioteca e una videoteca. Il terzo nucleo comprende infine laboratori artistici in cui si possono svolgere attività di vario genere:danza, musica, scultura.
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