Programma del quinto anno

Materie:Altro
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Testo

LA SCAPIGLIATURA

Ad un primo Romanticismo, che va dal 1816 al 1848, dal carattere eroico, patriottico, morale e civile, segue un secondo Romanticismo dal carattere sentimentale, patetico e lacrimoso.
Intorno agli anni ’50 gli entusiasmi patriottici si affievoliscono o perdono la tensione ideale che li aveva animati, a causa della sconfitta subita nella prima guerra di indipendenza, che provocò una scoraggiante delusione.
Tramontava il mito mazziniano della guerra di popolo e subentrava la politica realistica di Cavour. I l Risorgimento si configurava sempre più come un processo di espansione dinastica del Piemonte in Italia.
La crisi degli ideali ebbe i suoi riflessi sulla letteratura, che divenne languida e sentimentale. Il secondo Romanticismo presentò un carattere evasivo e di fuga dalla realtà e di rifugio nel mondo del sogno e del sentimento.
Tale Romanticismo deteriore, espresso da Prati e Aleardi, ebbe particolare successo tra il pubblico femminile aristocratico e borghese.
Il terzo Romanticismo, sviluppatosi appunto negli anni ’50, assume invece un carattere Scapigliato, cioè ribelle e libertario, è antiborghese sul piano politico e sociale, antimanzoniano sul piano letterario.
La Scapigliatura fu un movimento di contestazione antiborghese, sviluppatosi nell’Italia del Nord fra il 1860 e il 1880.
Scapigliatura è una libera traduzione del termine francese Bohéme, vita da zingari, riferito alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini.
Compare per la prima volta in un romanzo di Carlo Rigetti, pseudonimo anagrammato di Cletto Arrighi, intitolato Scapigliatura il 6 Febbraio. I l romanzo parla di un moto mazziniano fallito, durante il quale muore il protagonista del romanzo.
Essere scapigliato significava assumere un atteggiamento ribelle e irriverente.
Uno dei primi obiettivi della lotta degli scapigliati fu il moderatismo del Romanticismo, la sua cautele e il suo rifiuto degli eccessi.
Si scagliarono contro il provincialismo della cultura risorgimentale, contro il Romanticismo languido, esteriore e superficiale di Prati e Aleardi; contro gli orizzonti politici conservatori del neo stato italiano.
Sentirono il bisogno di guardare alla realtà concreta del mondo circostante con occhio lucido e spregiudicato, rifiutando gli ideali positivi ed ottimistici.
Essi però percepiscono la realtà come congerie di fenomeni, frantumata e contraddittoria in continua trasformazione, insidiata dal male e dal caos.
La realtà fisica veniva così confrontata con quella psichica.
Essi manifestarono il loro dissenso in campo politico, morale e letterario.
1) In campo politico accusano la borghesia di aver tradito gli ideali di libertà, giustizia e uguaglianza.
2) In campo morale denunciano le menzogne e le ipocrisie della morale comune convenzionale, provano gusto nel provocare e nello scandalizzare, dissacrando i valori tradizionali e vivendo un’ esistenza sregolata. L’arte e l’artista divengono così emarginati.
3) In campo letterario essi polemizzano soprattutto contro Manzoni e avvertono la sfasatura tra la contemporanea letteratura europea, che poneva in primo piano la libertà creatrice dell’artista, e quella italiana, ancora arretrata e provinciale.
Essi pertanto proclamano che il soggetto della poesia deve essere il vero, apparentemente analogo a quello manzoniano, ma in effetti distante da esso, in quanto gli scapigliati ampliano l’orizzonte del vero comprendendo sia il vero esterno della natura e della società, sia il vero interno psicologico, cioè il mondo degli affetti e quello inesplorato del subcosciente.
In questo modo gli scapigliati anticipano i due movimenti letterari che caratterizzeranno la fine dell’ ‘800 e il primo ‘900: Verismo e Decadentismo.
Sotto l’influenza del Naturalismo francese la scapigliatura anticipa del Verismo il concetto dell’arte come rappresentazione oggettiva e impersonale del vero morale e sociale, cogliendo anche gli aspetti crudi, realistici, macabri e ripugnanti.
Sotto l’influenza dei simbolisti francesi gli scapigliati anticipano del Decadentismo il concetto della poesia come scavo interiore, cogliendo anche le sensazioni più torbide e morbose.
Come sono divaricati i temi così lo sono gli stili oscillanti fra un linguaggio spoglio, trasandato e prosastico e un linguaggio prezioso, raffinato, ricco di suggestioni musicali.
Gli scapigliati aprono l’Italia agli influssi delle avanguardie artistiche e culturali dei paesi europei. Essi fecero conoscere Hoffmann, Poe, Baudelaire.
La critica Marxista attacca però gli scapigliati, in quanto li qualifica come rivoluzionari, velleitari e pittoreschi ma inconcludenti, perché incapaci, per la loro stessa estrazione borghese, di additare nuovi ideali e di guardare alle vere forze, quelle popolari.
I poeti scapigliati assunsero per lo più la posa di poeti satanici e maledetti che dissacravano i valori tradizionali e si disperavano fino al suicidio. Molti di loro si uccisero, altri furono distrutti dagli stravizi, dall’alcool e dalle droghe. Il limite della scapigliatura consiste quindi nel fatto che ci fu un grande divario tra poetica e poesia. Lo spirito ribellistico e le tematiche provocatorie e inclini all’anormale non si traducono in un linguaggio adeguato, in una forma che risulti veramente innovativa e rivoluzionaria, a differenza dei maledetti francesi.

POSITIVISMO,NATURALISMO E VERISMO

Nella seconda metà dell’ ‘800 si ha la massima espansione della società borghese, gli stati europei creano dei sistemi imperiali e coloniali. Il borghese europeo si sente padrone del mondo, destinato a conoscere e a controllare con la ragione dominatrice e con il suo spirito di iniziativa. La produzione e il lavoro sono al centro della vita umana e appaiono destinati a costruire benessere e civiltà, a liberare l’uomo europeo dai condizionamenti della natura a creare nuove possibilità di libertà, movimento, espansione e sviluppo.
L’Italia, pur avendo da poco raggiunto l’unità, partecipa in modo limitato alla tendenza della civiltà borghese, vi è comunque un’ ondata di ottimismo e si ha la prima diffusione dei consumi di massa.
La seconda rivoluzione industriale porta alla luce la questione operaia e determina la nascita dei sindacati.
I mezzi di trasporto proliferano, così come la ricerca scientifica. L’atteggiamento culturale dominante trova espressione nel positivismo. Il termine Positivismo fu introdotto nel 1820 dal filosofo utopista Saint Simon per indicare il metodo rigoroso delle scienze positive fondate sull’osservazione dei fatti e la verifica empirica.
Si estese poi a designare un vero e proprio indirizzo filosofico con Comte. Tale orientamento domina tutta la cultura europea della seconda metà dell’ ‘800 e si alimenta dei nuovi sviluppi della tecnica e delle scienze naturali.
Intende muovere dai fatti e dall’esperienza per formulare leggi oggettive, seguendo in ogni campo il modello scientifico, con precisione, rigore e verifica diretta.
Si crede con fiducia ottimistica nel progresso della scienza e in un continuo sviluppo della vita sociale e civile.
Gli aspetti salienti della filosofia positivista sono la reazione agli esiti irrazionalistici del Romanticismo e la riconnessione con le istanze della riflessione illuministica, la fiducia nella ragione e nella scienza, una concezione deterministica dell’agire umano, l’estensione del metodo sperimentale a campi, prima di pertinenza della morale.
Nascono nuove discipline come la sociologia, la biologia e la psicologia.
Si crea un’ideologia scientista, si divulgano nozioni quali evoluzione, lotta per la sopravvivenza ed ereditarietà.
Le RAGIONI STORICHE della nascita di tale movimento si devono ricercare nel fallimento dei moti insurrezionali del ’48 e nella realistica poetica Cavouriana, poi ripresa dalla Destra e dalla Sinistra.
Con spirito realistico, dopo l’unità, bisognava affrontare la situazione presente e cercare di attenuare le contraddizioni economiche e sociali.
Le RAGIONI SCIENTIFICHE si devono ricercare nelle nuove dottrine biologiche ed evoluzionistiche di Darwin e Spencer, secondo i quali l’essere vivente è determinato dalla sua evoluzione da fattori biologici, ereditari e ambientali. L’uomo non è più quella creatura privilegiata celebrata dalle vecchie dottrine antropocentriche, ma una creatura come tutte le altre, condizionata nel suo comportamento da fattori interni e d esterni.
La nuova filosofia positivista, che nasce sulla base di ciò, a prima vista si presenta come un ritorno alla concezione meccanicistica della natura e dell’uomo, propria dell’Illuminismo.
L’Illuminismo però era mosso da un’ ispirazione universalistica, dal sentimento della libertà, della giustizia e dell’uguaglianza. Il Positivismo, sorto quando ci sono gli Stati nazionali, si svuota dell’universalismo illuministico e sfocia nei contrasti interni tra le classi sociali.
Differisce dall’Illuminismo per il materialismo, il materialismo illuministico considera la materia e l’uomo come elementi statici, governati da leggi fisico-matematiche. Il Positivismo considera invece la natura e l’uomo come elementi dinamici, soggetti alle leggi dell’evoluzione.
Rilievo centrale ha proprio l’evoluzionismo, che si pone come guida e schema di interpretazione di tutta la realtà umana.
L’evoluzionismo concepisce l’intero universo regolato da una continua evoluzione, la vita cambia incessantemente i suoi caratteri, seguendo un ordine progressivo, che porta da stadi inferiori a stadi superiori. Darwin in “ l’origine delle specie” sostiene che l’evoluzione delle specie animali da livelli inferiori a livelli superiori avviene grazie all’acquisizione di funzioni ed organi sempre più perfezionati e quindi l’uomo deriva da precedenti animali. L’evoluzionismo darwiniano viene esteso nel Positivismo a tutti i campi del sapere, anche in quello delle scienze storiche e sociali, in cui la storia viene vista come progresso generale e continuo.
Spencer pertanto considera anche le forme sociali e culturali come organi viventi in continua trasformazione, nel senso di accrescimento.
Alla filosofia positivista si affianca come indirizzo generale di cultura il REALISMO.
Prima del Realismo la letteratura aveva avuto come protagonista l’uomo considerato come essere privilegiato, dotato di spirito, autocoscienza e libero arbitrio, dominatore della natura e della storia. Con l’avvento del Realismo l’uomo perde l’aureola della cultura privilegiata e viene considerato una creatura come tutte le altre, sottoposta agli stessi condizionamenti.
Hippolito Taine, critico, afferma che l’ uomo è sottoposto ai condizionamenti dell’ereditarietà (RACE), dell’ambiente(MILIEU) e del momento storico(MOMENT).
Dato che l’uomo è una creatura come tutte le altre, sottoposta agli stessi stimoli fisico-psicologici, la letteratura che lo rappresenta deve essere come la scienza, deve abbandonare il suggestivo ed il sentimentale fantastico per attenersi al positivo, al concreto, a ciò che è oggettivo, reale e tangibile.
Il primo principio è che l’arte deve rappresentare il reale positivo e per questo i letterati si volsero a ritrarre i comportamenti e gli ambienti delle classi più umili, perché gli umili sono più vicini al vero e alla natura.
Il secondo principio della poetica del Realismo è l’impersonalità dell’opera d’arte, secondo cui l’artista deve ritrarre il vero in modo distaccato, freddo e impersonale, come gli scienziati descrivono la natura.
Pertanto ci si avvale di una descrizione particolareggiata dei paesaggi, dei personaggi e degli ambienti, di un linguaggio semplice, popolare e aderente al carattere dei personaggi e alle situazioni.
Certamente tale realismo non ha nulla in comune con il realismo manzoniano, illuminato da una concezione serena, religiosa e idealistica della vita.
Quello positivista è invece materialistico e scientifico.
Se il Realismo fu l’indirizzo generale, in Francia esso assunse il nome di Naturalismo e in Italia di Verismo.
NATURALISMO
Il suo precursore è Honore de Balzac, autore della “Commedia umana”, ciclo di romanzi in cui segue l’evoluzione drammatica di un determinato ceto sociale.
Gli scrittori più significativi sono Zola, Flaubert, Maupassant e i fratelli Goncourt. Sicuramente con Zola e con la dottrina del ROMAN EXPERIMENTAL si ha il caposcuola teorico. Non meno importante è la prefazione del romanzo Germinie Lacerteux, in cui si afferma il diritto al romanzo da parte delle classi subalterne ad un romanzo serio e vero. Il libro dei Goncourt vuole essere un libro che viene dalla strada e che si rivolge ad un pubblico potenzialmente vastissimo. I fondamenti della dottrina poetica di Zola e dei Goncourt sono la fiducia nella scienza e nel progresso. I fenomeni psicologici e sociali non sono frutto di cause insondabili di natura spirituale, sono invece prodotti dell’attività biologica, fisiologica e psicologica dell’individuo.
Se appaiono irrazionali è solo perché la scienza ancora non li ha scoperti e compresi.
La letteratura stessa si caratterizza come una scienza capace di cooperare allo sviluppo sociale e culturale. Il romanzo sperimentale deve pertanto mettere in luce gli ingranaggi delle manifestazioni passionali ed intellettuali.
Così il romanzo contribuisce a incrementare le conoscenze scientifiche e a fornire strumenti politici per sanare le ingiustizie sociali.
Il narratore deve pertanto assumere l’atteggiamento dello scienziato, senza partecipare agli esperimenti umani e sociali deplorando o lodando; cessa quindi di essere un narratore onnisciente.
I naturalisti ritraggono la vita dei quartieri periferici delle grandi metropoli e dei bassifondi di Parigi, dove c’è una moltitudine di emarginati.
L’atteggiamento dei naturalisti è inoltre polemico, attivo e volutamente provocatorio, volto alla denuncia delle ingiustizie sociali, accompagnato da un’ottimistica fiducia.
Essi operano in una società matura ed evoluta, sensibile alla loro protesta, denuncia e ansia di rinnovamento.
Il naturalismo proprio per queste caratteristiche assume un carattere nazionale.
VERISMO
Il Verismo si muove nell’ambito della medesima cultura scientista del Naturalismo francese. Accetta la concezione deterministica dell’agire umano e la spiegazione scientifica dell’uomo.
I veristi però , malgrado riconoscano il dovere dell’obiettività, non arriveranno mai a concepire il carattere scientifico della letteratura.
Ciò non impedisce, comunque, a Verga di sostenere che l’opera d’arte deve farsi da sé e la mano dell’autore deve rimanere invisibile, manca però la fiducia che l’analisi in vitro da parte dello scienziato e del romanziere si possa tradurre sul piano pratico in una concreta azione di rinnovamento.
A spiegare questo pessimismo si possono chiamare in causa alcuni dati del contesto storico-culturali, l’arretratezza socio-economica italiana, le permanenze feudali, lo scarso dinamismo sociale.
La visione negativa della realtà sociale propria anche dei Naturalisti, per i Veristi non si accompagna una fiducia nella scienza come strumento di emancipazione dell’uomo.
L’Italia non conosceva allora, se non in minima parte, il fenomeno dell’industrializzazione e la classe proletaria urbana, sviluppatasi in Francia.
L’economia italiana era ancora agricola, pertanto ai Veristi non restò altro che ritrarre il mondo contadino dell’Italia del Meridione, zona più arretrata di Italia.
Se il Naturalismo aveva avuto un carattere nazionale, il Verismo spesso si identifica invece con Regionalismo, proprio perché in Italia erano rimaste intatte le vecchie strutture economiche.
Inoltre l’intellettuale verista non riuscì ad essere completamente impersonale, perché ancora troppo legato alla tradizione manzoniana, ancora presente.
Secondo Capuana l’impersonalità in Italia non era possibile perché ancora veniva calato l’ideale nel reale, per l’influsso di Hegel.
Inoltre guardare al vero significava ancora guardare al vero secondo l’ideale manzoniano, ovvero il vero deve essere illuminato dal poeta, che ricercando cause e conseguenze non potrà mai essere impersonale.
I Veristi a differenza dei Naturalisti pertanto non credettero alla possibilità di denunciare contraddizioni e problemi sociali; si limitarono pertanto solo a metterli in luce.
Gli scrittori veristi più importanti furono Capuana, De Roberto, Matilde Serao e Grazia Deledda.
In Russia il Naturalismo si espresse grazie a Tolstoy e Dostoevskij.

GIOVANNI VERGA

Restio a parlare di sé, geloso dei suoi affetti , con il riserbo e il pudore tipico del gentiluomo meridionale, ha lasciato poche testimonianze sulla sua vita privata. Solo in parte può aiutarci l’epistolario, utile anche per comprendere i programmi letterari dello scrittore.
Nasce il 2 settembre 1840 a Catania da una famiglia di piccola nobiltà agraria.
Frequentò la scuola privata presso Antonio Abate, che stimolò i suoi interessi letterari e lo sollecitò alla stesura del romanzo “Amore e Patria” a Firenze, dopo gli studi svogliati di legge, entrò nei salotti intellettuali fiorentini, partecipando alla vita galante e mondana, pieno di interesse per la vita cittadina.
Conosce Giselda Foianesi che presenta ad un amico che la sposa,con lei comunque intreccerà ugualmente una relazione amorosa.
Nel 1872 è a Milano attratto dal mondo editoriale e giornalistico della città. Qui si intensifica l’attività letteraria e teatrale.
Nel 1893 si ritira definitivamente in Sicilia a Catania, da dove si mosse solo per brevi viaggi o vacanze, intrattenendo rapporti solo con pochi amici.
Visse l’inizio del nuovo secolo appartato deluso della propria attività di scrittore chiuso in una tetraggine di conservatore angosciato di fronte ad ogni novità e mutamento della vita sociale.
Muore a Catania nel 1922.
PERSONALITA’
Nota essenziale è il signorile distacco, con cui egli guarda ai rapporti umani, la punta di apparente indifferenza con la quale protegge gelosamente la propria indipendenza, anche e soprattutto dai legami sentimentali, paventandone gli esiti costrittivi, uxori e familiari. Viene ricordato come un bellissimo giovane dall’aria fatale, molto riservato nel dialogo, quasi misurato nelle parole, non facile a chiamarsi amico, ma quando lo era , sentiva tutto il valore dell’amicizia. Uomo affascinante ma lontano dai cliché dell’uomo romantico, agli antipodi dagli scapigliati distrutti dall’alcool e dalla noia, alieno dall’estetismo e dal protagonismo di D’ANNUNZIO.

ROMANZI CATANESI
E’ un esordio storico patriottico, i romanzi sono AMORE E PATRIA, I CARBONARI DELLA MONTAGNA e SULLA LAGUNA.
Verga in tutti e 3 i romanzi riprende gli schemi abusati dalla letteratura romantico-patriottica, incentrata sul mito dell’amore e della patria. Questi testimoniano, pur con tutti i loro difetti, come afferma Debenedetti, la volontà di scrivere che prelude alla professionalità del futuro narratore.

PRODUZIONE MONDANA
Con i romanzi mondani o tardo romantici Verga compie un sicuro progresso nella maturazione della propria arte. Abbandonati i temi storici e le astratte figure di eroi puri, lo scrittore si cala nel contesto della società contemporanea. Appartengono a questa fase cinque romanzi: UNA PECCATRICE, STORIA DI UNA CAPINERA, EVA, TIGRE REALE, EROS.
Questi romanzi pongono in primo piano l’incontro-scontro di un personaggio maschile con le attrazioni pericolose della femminilità, con l’universo mondano che circonda la donna nella società borghese.
Essi sono una specie di autobiografia fittizia, ci descrivono infatti il giovane provinciale che in cerca della sua vocazione artistica subisce la seduzione della vita sociale, elegante e brillante dei grandi centri borghesi e insieme avverte il pericolo, la minaccia e la disintegrazione, che quella società comporta per la sua esperienza più autentica e originale.
Verga esprime qui il confronto tra le sue aspirazioni di artista e la bellezza artificiale che si consuma nella vita dei ceti privilegiati e sembra vedere come unico sbocco di tale confronto la dissipazione e la perdita degli ideali nella fascinazione, nel vortice mondano, quasi vampiresco.
L’uomo coinvolto in questa realtà lussuosa e frivola sembra patire un processo di estenuazione a cui si può opporre solo il richiamo della famiglia, di un mondo originario, completamente estraneo alla banalità della vita borghese e cittadina.
I romanzi mondani rispecchiano le esigenze della committenza, ovvero i lettori borghesi del tempo, del gusto per la rappresentazione di drammi interni al bel mondo. In essi vi sono frequenti e progressivi segni di stanziamento dell’autore rispetto alla materia trattata, vengono cioè superati certi coinvolgimenti, certe complicità emotive, sottese da una forte componente autobiografica. Si nota il disagio del narratore nello schierarsi a fianco del protagonista.
Ma in effetti in questa posizione di distacco non vi può essere il preludio al verismo, è più che altro una posizione polemica nei confronti della società contemporanea, dell’atmosfera delle Banche e delle Industrie,della febbre dei piaceri. Una posizione piuttosto ambigua se si pensa che tali romanzi erano indirizzati proprio a quella società con cui si poneva in contrasto. Ma è evidente fin da questi anni il travaglio interiore dell’artista di fine ‘800 e del suo ruolo, che negli anni post-unità si stava trasformando.
Secondo Croce anche i protagonisti dei primi romanzi sono delle vittime e non vengono abbandonati da Verga per un mutamento improvviso, ma perché lontano dal piccolo paese si facevano ancora più forti le impressioni degli uomini della campagna di Vizzini.

NEDDA
1874 Verga pubblica il bozzetto Nedda, considerato come il momento della conversione verista, etico-psicologica., che segna una frattura con i romanzi mondani.
Protagonista è una raccoglitrice di olive, Nedda, schiacciata da un destino di miserie e sofferenze. Si innamora di Janu che ammalato di malaria cade da un albero e muore. Nedda rimane sola e incinta di una bimba, destinata anch’essa a morire di malaria.
Campeggia la figura del narratore –autore onnisciente, di tipo manzoniano, che gestisce dall’alto il ritratto della protagonista e commenta con toni patetici le sue indicibili sofferenze.
Al livello alto del narratore si contrappone il livello basso ed elementare dei poveri, macchiettato qua e là con tocchi dialettali e increspato da qualche prelievo di discorso vissuto. Nedda in effetti non inaugura un nuovo stile, è una fortunata incursione in un continente ancora vergine, a suo modo esotico per il lettore settentrionale. La storia di Nedda è un accorato sentimentalismo, una storia compassionevole che riprende schemi cari al sentimentalismo socialeggianti degli epigoni manzoniani, inoltre vi è da parte di Verga un certo compiacimento vittimistico. E’ vero che il dialogo comincia ad arricchirsi di un forte contrasto di voci e di immagini.
Croce ha ritenuto che Nedda non fu vera svolta rispetto alle opere romantiche giovanili, in quanto anche i protagonisti dei primi romanzi sono vittime dello stesso dolore di Nedda e sono dei vinti. Verga abbandona gli aristocratici per il mondo degli umili, ma non per un improvviso cambiamento. Croce ritiene che sotto la crosta degli amori delle grandi città, vi erano i ricordi vivaci, le impressioni del suo paesello natale (Vizzini), dove aveva passato l’adolescenza e che già era emerso in Storia di una Capinera. La conoscenza diretta del mondo contadino risale all’infanzia, quando per una lunga epidemia di colera, la famiglia Verga si trasferì a Vizzini. Verga scrive di essersi mescolato ai contadini, dal cui carattere fu impressionato.
PRIMA FASE VERISTA
Verga certamente era cosciente del capovolgimento di valori che la nascente società capitalistica provocava in Italia nei decenni post-risorgimentali e prendeva le distanze dal processo di urbanizzazione che essa comportava.
Si ha comunque l’impressione che questo distacco più che da un’argomentata consapevolezza ideologica derivi da un fondo di ancestrale sfiducia nel cambiamento e nel movimento, da un profondo pessimismo connaturato a quella civiltà da cui egli proviene, dall’amara consapevolezza che ogni tentativo di cambiamento è inutile.
Nel 1877 viene pubblicato l’Assomoir (Lo scannatoio) di Zola che provocò numerose reazioni.
Con Capuana Verga decide di fare anche lui qualcosa per opporsi alla linea manzoniana ed inaugurare sul modello francese il romanzo moderno.
Capuana si cimenta su due fronti: critica militante con articoli e recensioni e stesura di romanzi per dare concreta applicazione alle teorie. Anche Verga parte con la sperimentazione , guardando al mondo siciliano con strumenti scientifici, per creare un’indagine e un’analisi approfondita e impersonale.
Flaubert e Zola postulavano l’impossibilità dell’osservatore, ossia la rimozione di qualsiasi convinzione o pregiudizio personale che ostacolasse la comprensione della realtà. Verga invece preferisce calarsi nei panni di quella gente, regredendo al suo livello.
Il primo frutto di ciò è VITA DEI CAMPI nel 1880, da cui deve essere estrapolata FANTASTICHERIA.
E’ una raccolta di 7 novelle, tutte improntate sulla poetica verista , con un linguaggio arido e asciutto. La maggior parte delle novelle vertono su AMORE-PASSIONE, in modo diverso dalla maniera scapigliata. Nei romanzi giovanili l’amore era visto in modo positivo, tipico di esseri eccezionali che hanno bisogno di provare sentimenti esaltanti per dare un senso alla propria esistenza.
In VITA DEI CAMPI il turbamento che crea l’amore è momentaneo, perché prevale la natura, la famiglia e l’attaccamento a valori arcaici. Il narratore è popolare- interno, entra direttamente nelle vicende, senza mediazioni, con un dialogo incalzante. Il dramma nasce per il turbamento creato da qualche elemento esterno nell’equilibrio della loro vita naturale. Personaggi tipici sono Rosso Malpelo e la Lupa, entrambi marchiati e estraniati dalla società per i loro difetti fisici e morali.
Nedda presentava solo coloritura dialettali e sembrava appartenere alla letteratura folcloristica era solo l’avvio alla poetica verista a cui approda definitivamente dopo quattro anni, quando il narratore diviene ANONIMO POPOLARE.

TESTI DI POETICA VERISTA
LETTERA A PAOLO VERDURA
Scrive all’amico che ha in mente una specie di FANTASMAGORIA(rapido susseguirsi di immagini vivide e attraenti) DELLA VITA, dall’ambizione al guadagno, seguendo la lotta dell’umanità.
Preannuncia anche il CICLO DEI VINTI, sull’esempio del ciclo dei ROUGON MACQUART di Zola e della COMMEDIA UMANA di Balzac.
MALAVOGLIA < MOVENTE:LOTTA PER I BISOGNI NATURALI
MASTRO DON GESUALDO < MOVENTE:ROBA E AVIDITA’ DI RICCHEZZA
DUCHESSA DI LEYRA < MOVENTE:VANITA’ ARISTOCRATICA
ONOREVOLE SCIPIONI < MOVENTE:AMBIZIONE
UOMO DI LUSSO < MOVENTE:SINTESI DI TUTTE LE BRAMOSIE E LE AMBIZIONI UMANE
Il ciclo dei Vinti non viene concluso da Verga. Secondo alcuni l’interruzione è dovuta a ragioni artistiche, in quanto l’autore intuì che la sua concezione della vita era senza svolgimento e per evitare la monotonia si astenne dal proseguire. Altri ritengono che fu dovuta a ragioni morali, infatti avrebbe dovuto trattare nuovamente quella vanità aristocratica che ormai disprezzava e non poteva più rappresentarla attraverso la poetica verista, a causa della condanna morale.
Sappiamo che Verga confidò a Francesco Guglielmino di non poter andare oltre il primo capitolo della Duchessa di Leyra perché non riusciva a far parlare gli aristocratici, “LA GINTUZZA SAPEVO FARLA PARLARE”.

PREFAZIONE ALL’AMANTE DI GRAMIGNA
E’ una prefazione alla novella in forma di lettera a SALVATORE FARINA. Afferma quali devono essere le tecniche da usare per scrivere i romanzi secondo la tecnica verista. L’autore dovrà rimanere assolutamente invisibile, il romanzo così avrà l’impronta dell’avvenimento reale e l’opera d’arte sembrerà “essersi fatta da sé “, per essere spontanea come un fatto naturale.

FANTASTICHERIA
Sciascia afferma: Siamo di fronte alla più vera e profonda dichiarazione di poetica che Verga abbia mai fatto.
La novella ha la forma di una lunga lettera che lo scrittore scrive ad un ‘amica del gran mondo, che alcuni anni prima aveva visitato con lui Aci Trezza.
Lo scrittore ricorda le due giornate trascorse con lei in quel paesino, dopo due giorni infatti la donna se ne era andata, malgrado dovesse fermarsi per un mese, perché annoiata. Con le sue raffinate abitudini cittadine, con i suoi capricci di donna e le sue esigenze di vita elegante non poteva comprendere l’umile e ripetitiva vita di quell’umile gente e aveva esclamato “non capisco come si possa vivere qui tutta la vita”.
Nella seconda parte della lettera vengono abbozzati alcuni personaggi, presenti poi nei Malavoglia : Mena è la ragazza che vende le arance; Il vecchietto al timone della barca è Padron’ Ntoni; Lia è la ragazza che fa capolino tra i vasi di basilico; L’uomo che fa naufragio è Bastianazzo; Colui che muore a Lissa è Luca.
La signora aristocratica è il simbolo dei raffinati ambienti aristocratici dei romanzi mondani, Aci Trezza è simbolo della gente umile.
Verga manifesta forte simpatia per gli umili, perché possiedono valori positivi come l’attaccamento alla famiglia , al lavoro e all’onore.
Dietro lo schermo di un improbabile viaggio con un’amica ad Aci Trezza, lo scrittore contrappone la moderna civiltà urbana all’universo arcaico-rurale. Da una parte un mondo affannoso, sconvolto da passioni turbinose e incessanti, dall’altra un mondo patriarcale, sorretto da un sistema di valori che garantiscono la pace serena. Eppure Verga afferma di non essere disposto a tornare nella sua terra.
Il ritorno può avvenire solo attraverso una fantasticheria, che alimenta la materia narrativa di un romanzo destinato ad un pubblico borghese. Abbiamo un Verga rustico e un Verga mondano che sussistono in Fantasticheria in modo dialettico, dove la lontananza dello scrittore dalla propria terra è superatta dall’operazione immaginaria della fantasticheria. Dal suo osservatorio milanese Verga guarda alla Sicilia popolare da lontano, considerando personaggi e ambienti piccolissimi e distanti.
La Sicilia diviene ai suoi occhi un microcosmo, fermo allo stadio dell’accumulazione primitiva dei beni per la sopravvivenza e affidato al caso che si manifesta sotto forma di malattia (tifo, colera), di catastrofi economiche (carestia) e naturali (burrasca).
In un paese di pescatori quest’ultimo elemento è il più temuto, in quanto il mare è bello e traditore, come la natura leopardiana che rivela il suo volto bello e terribile.
Per descrivere una realtà così fragile ed esposta ai colpi di fortuna Verga ricorre all’immagine zoomorfa dell’esercito di formiche che viene disperso dall’ombrellino della dama (parallelo con la Ginestra e il frutto che cade dall’albero ). Occorre quindi assumere il punto di vista delle formiche ( tecnica della REGRESSIONE ).
Altra immagine zoomorfa, che si accosta a quella delle formiche , simbolo di laboriosità, è quella dell’ostrica, immagine che diviene un ideale proprio della poetica verista.
IDEALE DELL’OSTRICA: Come l’ostrica si salva se rimane attaccata al suo scoglio ed evita di essere ingoiata dal mare, così questa gente si salva rimanendo ancorata ai propri ideali e al proprio nucleo familiare.
Si ribalta in questo modo l’ottica del narratore, che regredisce al modo di pensare dei soggetti delle sue opere.
Non è inoltre anomalo che Verga adotti questi paragoni con gli animali, in quanto filosoficamente dominano le teorie darwiniane.

PREFAZIONE A I MALAVOGLIA
E’ un manifesto programmatico in cui Verga affronta il problema della forma. Essa infatti deve essere sempre inerente al soggetto e adeguarsi all’argomento trattato.
Sul piano ideologico l’importanza della prefazione è data dal concetto di PROGRESSO. Esso viene visto come una FIUMANA che mette in rilievo l’inevitabilità dell’evoluzione sociale e il suo procedere come una forza di natura, incurante dei singoli destini dell’uomo.
L’umanità per Verga segue un cammino fatale per raggiungere la conquista del progresso che appare grandioso, solo se visto da lontano, secondo un’ ottica più ravvicinata invece appare come una fiumana, che lascia dietro di sé solo detriti: I VINTI.
La famigliola de I MALAVOGLIA è vissuta felice fino a quando il progresso non ha fatto irruzione in quel piccolo microcosmo.
Quindi è implicita una contrapposizione tra mondo arcaico- rurale e mondo borghese-industriale. Non esistono però delle oasi edeniche non contaminate dalla legge dell’egoismo individuale e della sopraffazione reciproca.
I vincitori di oggi saranno i vinti di domani, la nozione di sconfitta dei più deboli però si estende fino a comprendere l’intera umanità.

I MALAVOGLIA
La prima idea era un bozzetto marinaro intitolato Padron’Ntoni e non propriamente un romanzo. Quando viene pubblicata nel1876 l’inchiesta siciliana di Franchetti e Sonnino sulla questione meridionale, Verga , rimasto impressionato, vuole offrire il suo contributo. Progetta così I Malavoglia raccogliendo proverbi e opere di etnologi, che possano documentarlo sugli usi e i costumi.
Egli vuole fornire documenti ed estendere la conoscenza del lettore, al letterato ideologo e vate subentra così il letterato tecnico e scienziato.
La struttura narrativa diviene quindi ambivalente, da un lato SPIEGA, dall’altro RAPPRESENTA,da un lato è UN FATTO REALE, dall’altro è ARTIFICIALE, perché ricostruita in laboratorio.
Viene così messa in scena una verità storico-sociale, che si incarna in personaggi tipici. La vicenda de I Malavoglia si estende per un lasso di tempo di circa 15 anni, a partire dal 1863, prima data realmente indicata, partenza di ‘Ntoni per il servizio militare. Ci sono anche altri riferimenti 1866 Battaglia di Lissa, 1867 colera.
I- IV CAPITOLO Va dal dicembre del 1863 al settembre 1865, quando inizia l’azione narrativa vera e propria.
Viene presentata la famiglia Toscano, nota con il soprannome di Malavoglia, che si rivolge a Zio Crocefisso (l’usuraio) per procurarsi del capitale di partenza per dare concretezza all’affare dei lupini. Viene introdotta la figura del sensale Piedipapera.
V- IX CAPITOLO Dall’autunno 1865 fino alla fine del 1866.
Argomento generale : Debito determinato dall’affare dei lupini, persi in mare con Bastianazzo. Tentativi messi in atto dalla famiglia per salvare la casa del Nespolo. La velocità narrativa aumenta.
XI - XV CAPITOLO Il racconto copre circa dieci anni dal 1867 al 1877 e si fa veloce.
Il capitolo X funge da cerniera.

Lia va via da ACI TREZZA e si perde moralmente, ‘Ntoni viene condannato per tentato omicidio, Padron’Ntoni muore. Alessi e Mena recuperano la casa del Nespolo.
Se provassimo ad estrapolare la FABULA, ovvero i motivi legati, per riordinarli in senso cronologico e secondo il rapporto di casualità, scopriamo che sono molto esigui e la fabula è molto scarna, cosa che spiega il senso di disorientamento del lettore. I Malavoglia sono anche uno studio storico-sociale per i motivi liberi, che si riferiscono al sistema economico e sociale di Aci Trezza.
Tutto il romanzo inoltre non è altro che la dimostrazione del fatto che le disgrazie non sono casuali ma puniscono chi non ha voluto o non ha saputo accettare il suo ruolo.
Chi enuncia questa tesi? Padron’Ntoni, figura che mantiene per tutto il romanzo caratteri positivi , parlando per proverbi e subendo la necessità del caso. E’ il rappresentante tipico della sua società e della sua cultura, perché quando parla dà voce a tutti e a nessuno.
Nel romanzo prevale un forte PESSIMISMO STORICO-ESISTENZIALE che nasce dalla presa di coscienza della civiltà arcaico-rurale e dell’avviata omologazione al modello borghese e si allarga ad una concezione ontologico-esistenziale e metafisica, che coglie le leggi eterne della lotta per la vita e della selezione naturale, che determina la sconfitta dei più deboli.
La rappresentazione di questo mondo idillico in crisi non permette alcuna illusione consolatoria: l’utopia negativa si manifesta come rovesciamento dei valori. Gioca qui l’ambivalenza del concetto di natura ,materna e matrigna allo stesso tempo. Dalla natura stessa e dal progresso l’uomo è indotto al BELLUM OMNIUM CONTRA OMNES, entrambi prevedono la vittoria solo per gli organismi più resistenti. Ecco quindi che l’utopia della serenità della vita naturale si rovescia nell’anti-utopia della guerra di tutti contro tutti. La vita dunque equivale a ESSERE IN SITUAZIONE,ESSERE IN UNA PARTICOLARE SITUAZIONE. Cercare di cambiare questa equivale a negarla.

SPAZIO E TEMPO NE I MALAVOGLIA
A differenza dei romanzi naturalisti manca ne I Malavoglia una rappresentazione realistica minuta.
Nella ricostruzione dello spazio si fondono e si intrecciano la nostalgia, che rende indefiniti i tratti del paesaggio, e l’ideologia, che lo idealizza contrapponendo il mito di un mondo sereno e primitivo.
Il romanzo pertanto è calato in una dimensione spazio-temporale mitico e arcaico.
Prevale sul tempo storico-cronologico il tempo etnologico, esso è scandito dal ritmo delle stagioni, delle feste religiose, del lavoro (salatura delle acciughe, raccolta delle olive). Il tempo storico entra solo in rare occasioni ed è avvertito come un’ intrusione violenta.
Domina sempre l’imperfetto, il tempo dell’azione ciclica, solo nella parte conclusiva prevale il passato remoto, che serve allo svolgimento lineare degli avvenimenti, fino allo scioglimento finale.
Lo spazio, pur indicato con precisi riferimenti geografici, è essenzialmente mitico, proprio come il tempo.
I luoghi della vita collettiva, sono la strada (animata dalle conversazioni delle donne), il sagrato (luogo di riunione degli uomini), la farmacia (luogo di incontro degli intellettuali).
L’osteria è invece il luogo degli emarginati , in contrapposizione alla casa- nido.

LA CASA DEL NESPOLO
Per tutto il romanzo il nespolo appare come il commentatore muto della vicenda,una sorta di manzoniano cantuccio dell’autore, un coro privo di voce, cui è rimasto il potere di emettere testimonianze metaforiche e messaggi commemorativi.
Il nespolo, piantato presso la casa , cui ha dato il nome, è evocato come un richiamo o meglio un riparo dalle sventure che si abbattono sulla casa.

LE TECNICHE NARRATIVE DEL VERISMO
In base alla poetica verista bisogna necessariamente distinguere fra autore e narratore.
L’autore è la persona anagraficamente determinata, Verga uomo borghese, di cui possiamo ricostruire la vita,la personalità e i rapporti sociali.
Il narratore designa non una persona fisica, quanto la funzione del narrare.
Il narratore è la voce a cui va assegnato l’enunciato del racconto. Nel caso verista il narratore si eclissa, si nasconde dietro il narratore popolare, in questo caso tutto il paesino, che come un coro segue e commenta le vicende de I Malavoglia.

ARTIFICIO DELLA REGRESSIONE
La scelta dell’impersonalità implica l’adozione di una tecnica particolare, l’artificio della regressione, modulo linguistico, così definito da BALDI.
Verga delega ad un personaggio del romanzo la funzione del narrare. Noi apprendiamo le vicende attraverso le parole di questo narratore, che di quel mondo parla in modo diverso da come avrebbe parlato Verga.
Vengono quindi adottati livelli e parametri di giudizio e di linguaggio bassi e regrediti. Rosso Malpelo è l’esempio più calzante.
Verga lascia che si affermi la prospettiva dei personaggi singoli e concreti, che nella loro multiforme pluralità gestiscono la parte migliore del processo affabulatorio, divenendo il vero filtro della narrazione, lasciando alla voce narrante un ruolo marginale.
Questa vittoria del coro sul narratore si realizza grazie all’uso del DISCORSO DIRETTO O INDIRETTO O INDIRETTO LIBERO.
Come ha affermato SPITZER, la filtrazione sistematica della narrazione avviene attraverso un coro di parlanti semireale.
Però anche quando è il narratore che racconta l’affinità sociale, culturale e linguistica, che lo lega al mondo rappresentato, fa sì che si verifichi un vero e proprio processo di osmosi con i personaggi e che le fisionomie si confondano.
Il narratore non si annulla totalmente nell’ottica del personaggio, ma conserva la sua identità e non riporta enunciati verbali o discorsi interiori.
Nell’indiretto libero è chiara la distinzione tra chi parla e chi vede, a parlare è il narratore, ma solo tecnicamente senza possedere alcuna individualità ben definita, mentre il punto di vista espresso è inequivocabilmente quello del personaggio.
Nella tipica particolarità verghiana chi parla è sempre il narratore, ma poiché questo mantiene la sua individualità, non è sicuro che chi vede sia proprio il personaggio; non è così chiara e netta la distinzione fra le due ottiche.
Il narratore ipotizza come destinatario del suo narrare un pubblico che o è quello che costituisce quel mondo o colui che comunque conosce quel mondo.
Il narratore ha una grande disponibilità, una straordinaria capacità di avvicinamento ai personaggi al punto da inglobare nella sua voce, ottica e linguaggio.

IL DISCORSO INDIRETTO LIBERO
Il discorso indiretto libero non è isolato dalle virgolette, non dipende dai verbi dire, pensare e credere. Si configura come un resoconto nel quale le parole e i pensieri dei personaggi sono riportati con la mediazione del narratore e della sua voce.
Va aggiunto che il passaggio del discorso diretto all’indiretto libero comporta un cambiamento di persona, dalla prima alla terza, di tempi verbali, dal presente all’imperfetto.
L’adozione dell’indiretto libero produce due risultati di grandissima importanza, da un lato esime il narratore da qualsiasi intervento o commento, permettendogli così quella eclissi che egli persegue, dall’altro fa emergere l’individualità dei personaggi con i propri codici di riferimento. Il linguaggio su cui si fondano i romanzi di Verga non è propriamente il dialetto ma l’IDIOLETTO, una mescolanza di dialetto, proprio di una determinata zona di una regione, e dell’idioma , flessione propria di una regione. Grazie all’IDIOLETTO vi è una varietà di piani linguistici e stilistici.

IL MARITO DI ELENA 1882
E’ un romanzo che solo se si considera superficialmente, può apparire un ritorno ai romanzi mondani perché ambientato nella Napoli borghese.
E’ la storia di un giovane povero di provincia, Cesare che con grandi sacrifici si laurea in giurisprudenza e sposa Elena, una ragazza di città, piena di aspirazioni romantiche come Madame Bovary. Vengono evidenziati dall’autore tutti i contrasti che nascono nella coppia. Elena si dedica ad amori banali e deludenti, mentre Cesare manifesta debolezza e fragilità femminile.
Cesare non è in grado di porsi all’altezza del sogno d’amore della moglie e allo stesso tempo sente di aver tradito i valori della sua famiglia, così esce dalla sua passività uccidendo Elena.

NOVELLE RUSTICANE 1883
Sono un ulteriore approfondimento della visione verghiana del mondo dei campi.
Sono scomparsi personaggi come JELI, ROOSSO MALPELO, LA LUPA,ricchi di intime risorse morali o passionali e in qualche modo resistenti alla sovrastante legge dell’utilitarismo. Il mito che ora trionfa è quello della ROBA, del successo economico che subordina a sé ogni altro valore e comportamento. Si afferma il machiavellismo pragmatico e della logica dell’accumulo capitalistico, attraverso l’irresistibile ascesa di nuove figure sociali: gli arrampicatori.
Importante è la novella LA ROBA, in cui il protagonista Mazzarò , dopo aver accumulato una fortuna in terre, sentendo avvicinarsi la morte , brucia tutto. Nella sua lotta per il successo vi è qualcosa dello streben faustiano e di disumano.

MASTRO DON GESUALDO
Nel 1888 uscì a puntate sulla Nuova Antologia il romanzo Mastro Don Gesualdo, che non soddisfece Verga, tanto che ne fece una seconda stesura tra le due redazioni. Vi sono poche differenze. Nella prima aveva molto più risalto la figura di Bianca Trao, dal punto di vista stilistico si aveva un linguaggio meno letterario e più incisivo.
Questo romanzo è molto diverso da I Malavoglia, innanzi tutto per la tecnica narrativa, non è più la comunità rurale la voce narrante, ma domina un narratore esterno che commenta e racconta, un narratore anonimo e impersonale, ma borghese, dietro al quale si nasconde il giudizio dell’autore. Specialmente negli spietati ritratti espressionistici di alcuni personaggi, resi quasi deformi e grottescamente animalizzati, si rivela una prospettiva critica straniante, capace di mostrare l’animo gretto, che traspare dalle parole, dai comportamenti e dai tratti del volto e anche dalle cose.
A questa voce si alterna quella di un narratore popolaresche cerca di recuperare l’ottica del coro paesano, secondo il metodo de I Malavoglia. Vi è una pluralità fono prospettica, accostamenti di scene contrastanti e di figure in opposizione.
Al centro di tutta la vicenda vi è M.D.G., portatore della TESI ASSIALE DEL ROMANZO (isolato spesso da lunghi monologhi interiori). La tesi assiale è LO SCOTTTO che deve pagare per la sua affermazione economica Gesualdo: la solitudine.
Gesualdo, costretto dalla ferrea legge dell’utile ad adeguarsi alla guerra di tutti contro tutti, che lo rende gretto e spietato, non perde l’anelito etico e nostalgico dei valori puri, il bisogno degli affetti e dei vincoli familiari.
Il romanzo è ambientato nel periodo risorgimentale,da i moti del ’20-’21 a quelli del ’48, ma Verga non è interessato al senso politico di questi eventi, ma alle conseguenze meschine che essi riservano al piccolo paese di provincia. Il desiderio della plebaglia di arraffare la roba dei ricchi.
Il narratore esterno coglie, senza partecipare direttamente, il mondo degradato dall’ansia economica, ma non riesce a nascondere l’impulso polemico della commedia delle finzioni, determinate dal vivere sociale.
Il contrasto comico fra apparenza e realtà dà vita al teatro delle convenzioni, dell’ipocrisia, dei rituali che soffocano l’autenticità dei personaggi. Don Gesualdo è un puro che ha introiettato la logica violenta che tutto governa e la legge dell’utilitarismo, anche se ciò lo ha portato a vivere in un vero e proprio limbo sociale, perché non è più Mastro e non sarà mai Don.
Se in I Malavoglia la lotta contro il MARE AMARO era religiosa fedeltà all’etica degli antichi e poteva essere rappresentata sotto una luce epica, la fatica di M.D.G. diventa dannazione, pur sapendo che ci sarà solo una finale sconfitta, senza quella possibilità di riscatto che c’è in I Malavoglia.
Con Gesualdo Verga stigmatizza e completa la sua visione pessimistica della vita, perché non concepisce più riscatti, ma solo punizioni da parte della natura e del fato.

TECNICHE NARRATIVE NEL MASTRO
E’ presente una molteplicità di punti di vista.
1)Voce narrante che esprime il punto di vista del narratore anonimo popolare
2)Voce narrante solidale con l’autore, di cui esprime i valori e la cultura, certo non vi è un intervento in prima persona se non mascherato e mimetizzato secondo modalità popolari.
3)Protagonista. Recita un lungo monologo in cui passa in rassegna la sua vita .
Se ne I Malavoglia il racconto scorre sempre con fluidità e continuità, in M.D.G. il ritmo narrativo è frammentato, poiché vi è da parte di Verga l’uso dell’ellissi, ovvero elimina i nessi, le circostanze e gli sviluppi che portano da un momento dell’azione all’altro.
Vi sono pertanto dei veri e propri blocchi narrativi, 4 per esattezza.
ASCESA DEL PROTAGONISTA
PIENEZZA DEL PROTAGONISTA
CRISI DEL PROTAGONISTA
FINE DEL PROTAGONISTA
L’ellissi è presente non solo nella scansione delle quattro parti, ma anche in ognuna di esse. Domina il passato remoto, che crea un ritmo incalzante e veloce, quello dell’attività produttiva, che trasforma il tempo in denaro.

GESUALDO:UN ALIENATO
Gesualdo si può considerare il primo personaggio alienato, ovvero quell’uomo, che immerso nella corsa capitalistica, vive ogni esperienza come estranea. L’uomo è sottratto a se stesso, privato della coscienza, immerso in un mondo di oggetti, in rapporto con essi, non come persona ma come cosa.
GIUDIZIO DI MAZZACURATI
Il M.D.G. è anche un romanzo storico, al tramonto di questo genere, non più riflesso di una verità difficile da riconoscere e raccontare, né come processo ideale, ma come ANAMNESI di una malattia ereditaria, che impedisce la modificazione dei vecchi contratti sociali. Il calendario scorre per circa trenta anni ma la vicenda resta immobile o meglio circolare e ripetitiva.
LA SICILIA PER VERGA
La Sicilia di Verga è sia una realtà storica sia una dimensione mitica, è una costante delle opere verghiate, una realtà misera in cui quel progresso grandioso appare come una condanna.
In effetti Verga mette in luce più che le luminose conquiste del cammino fatale, incessante, che segue l’umanità per raggiungere il progresso, il prezzo delle lacrime e del sangue.
Più che celebrare i vincitori, celebra i vinti, rifiutando le ideologie dominanti e abbandonandosi a false consolazioni. La trasformazione in atto della società italiana viene rifiutata da Verga per gli sconvolgimenti che essa comporta nella società agricolo-arcaica.
Verga ricerca quei valori puri ed autentici e li esalta così come esalta coloro che si attengono ad essi. Se però il mondo delle opere verghiane è rappresentato con attenzione storico-sociologica, non manca una dimensione mitica, in cui viene proiettata la Sicilia, che personifica i valori antichi.
Vi è quindi una doppia prospettiva 1)Veristica < attenzione ad un ambiente storicamente determinato.
2)Mitica < La Sicilia viene considerata come un mondo sottratto alle contingenze, fisso nelle sue leggi, nella sua perennità metastorica.
Verga crea un effetto di cristallizzazione, in quanto questo mondo appare sottratto alla dialettica della storia, appare come una codificazione di comportamenti e valori, non suscettibile di modifica: 1)Svolgono tale funzione ideologica i proverbi di Padron’Ntoni. 2) CONCATENAZIONE o ripresa: I capitoli o i periodi sono legati dalla ripresa di un termine o un’espressione particolarmente significativa. 3)FORMULA. Essa caratterizza un personaggio come nell’epica. Es: Nunziata chioccia con i suoi pulcini; Don Franco pesta l’acqua nel mortaio.

VERGA E MANZONI
I protagonisti di Manzoni sono gli umili, quelli di Verga i vinti.
UMILI < Sono i poveri, i deboli che lottano contro i soprusi dei potenti.
VINTI < Tutti lo possono diventare. Sono coloro che spinti dal bisogno di migliorarsi, di uscire dai limiti socio-ambientali urtano contro il volere del destino che non permette a nessuno di varcare quei confini, se non a costo di dolori e pene maggiori.
Perciò il dolore e l’infelicità non sono dovute alla società, ai tempi, ai sistemi economici, ma ad una ragione metastorica, al fato che incombe su tutti gli uomini e che bisogna accettare con civile rassegnazione.
Gli umili inoltre hanno fede nella provvidenza, che li consola e dà loro la certezza che dalla loro sofferenza e sventura deriverà solo bene.
I vinti di Verga sono invece soli, tristi, rassegnati, senza il conforto della fede religiosa, legati senza scrupolo al dolore.
Dio è assente dal mondo di Verga, il nome Provvidenza è assegnato alla barca. La Provvidenza quindi è tutta materiale,è un’ironia beffarda. Quando Dio viene invocato, appare come un idolo antico, indifferente alle sofferenze umane.
Altri narratori meridionalisti del ‘900, come Levi, Alvaro e Jovine avranno una visione meno dolorosa e tragica, perché la realtà meridionale, che essi rappresentano, comincia a risvegliarsi da un letargo secolare, scossa da un anelito di rinnovamento.
VERGA E ZOLA
A differenza di Zola, Verga non ha alcuna fiducia ottimistica nel rinnovamento della società, né alcuna volontà di denuncia sociale o polemica.
Inoltre Verga non riesce a guardare con distacco scientifico, come esseri patologici i suoi personaggi, ma come esseri umani, i cui sentimenti possono essere anche eroici e delicati, pur non avendo alcun Prometeo che li riscatti.
IMPERSONALITA’ DI ZOLA

Esempio