Il cavallo rosso di Eugenio Corti

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Testo

IL CAVALLO ROSSO di EUGENIO CORTI di Laurence BenoitIL CAVALLO ROSSO di EUGENIO
CORTI
di Laurence Benoit
Dopo avere presentato al lettore l'opera filosofica di un cattolico liberale,
Jan Marejko, poi la vita e l'opera (apologetica e romanzesca) di un anglicano
conservatore, C.S. Lewis, ora presento il bellissimo romanzo di un cattolico
conservatore: Il cavallo rosso di Eugenio Corti tradotto dall'italiano e
pubblicato dalle edizioni L'Age d'Homme.
Il breve richiamo di detti articoli dimostrerа che una protestante convinta puт
essere del tutto priva di spirito settario. Utilizzo queste etichette pienamente
cosciente del loro carattere riduttivo e semplificatore, ma anche pienamente
cosciente che и illusorio e pericoloso volerne fare totalmente a meno.
И cosм raro trovare un romanzo moderno in cui il punto di vista della fede sia
rappresentato in tutta la sua complessitа, che si dimenticherebbe volentieri che
Corti и cattolico. Tuttavia ci sono nel suo romanzo specificitа chiaramente
cattoliche, come pure accuse contro il protestantesimo messe in bocca ad alcuni
personaggi che, anche se perfettamente congrue con la psicologia del personaggio
e con la volontа di realismo dell'autore, possono ferire la sensibilitа
protestante. Bisogna che il mio lettore ne sia avvertito.
Premesso questo, il fine del mio articolo и di aiutare il lettore a spingere il
suo sguardo oltre tali elementi di disturbo e a considerare l'opera nel suo
insieme.
Il cavallo rosso riporta principalmente gli avvenimenti della Seconda Guerra
Mondiale da due punti di vista insoliti: dal punto di vista italiano
innanzitutto, e dal punto di vista di cattolici praticanti, dei "paolotti" come
li chiama l'autore secondo una consuetudine italiana.
Questo romanzo, giа di per sй, costituisce una viva lezione di storia,
ricordiamo comunque che l'Italia, durante questo conflitto mondiale, fu dapprima
alleata della Germania nazista, poi dopo la caduta di Mussolini e del fascismo,
cambiт campo e si alleт con gli Americani e con gli Inglesi.
Nonostante la tragicitа dell'argomento che ci conduce fino agli ultimi cerchi
dell'inferno terrestre (Krinovaia: un campo di prigionieri di guerra in Russia,
e le celle di tortura dei partigiani da parte dei fascisti italiani), e grazie a
un'autentica prospettiva cristiana, la lettura di questo libro mi ha
letteralmente entusiasmato, cosa che non mi era piщ accaduta da lungo tempo per
un romanzo moderno (fatta eccezione, in una visione molto piщ cupa, per la
magnifica trilogia di Dobritsa Tchossitch Il tempo del male).
La lettura de Il Cavallo rosso ha oscurato ma anche illuminato tutta la mia
estate '97.
Durante tale estate e nei mesi che seguirono, ho passeggiato spesso col mio cane
nei boschi frondosi, in compagnia dei membri della famiglia Riva - famiglia
attorno alla quale gravita tutto il romanzo e tutti gli altri personaggi -
riflettendo sui loro atti, sui loro discorsi, sulle loro meditazioni interiori,
cercando di valutarle, e domandandomi che cosa avrei fatto in situazioni simili.
Mi и perfino giа capitato di utilizzare alcune delle lezioni che ne avevo
ricavato. Meglio che le dotte critiche, questo genere di esperienza mi sembra il
piщ bell'omaggio che un lettore possa fare a un autore, e la garanzia piщ sicura
della riuscita della sua impresa romanzesca. In effetti questa esperienza prova
che i suoi personaggi e le situazioni in cui egli li pone, anche se sono
parzialmente o totalmente immaginari, hanno lo spessore e la complessitа della
realtа.
Essendo inteso che uno degli scopi tradizionali della finzione letteraria -
sicuramente sottoscritto da Corti, il quale con questo romanzo si riallaccia
volontariamente con la fruttuosa tradizione romanzesca alla Tolstoj - и di
mimare la realtа per aiutare il lettore ad approfondirne la comprensione, e non
di creare la realtа, come pretendono di fare le orgogliose e sterili teorie
moderne della letteratura.
D'altra parte, il fatto che una giovane donna nata in Francia negli anni '60,
educata nel piщ stretto laicismo, convertita al Cristianesimo attraverso la
tradizione riformata, e che non ha mai conosciuto la guerra, possa sentirsi
coinvolta nelle narrazioni di combattimenti militari e spirituali (essendo i
primi metafora dei secondi), di uomini nati negli anni '20, cattolici romani da
padre in figlio, prova che E. Corti ha saputo toccare l'universale attraverso il
particolare, e che ha veramente creato un'opera d'arte, anch'essa secondo i
criteri tradizionali.
Lasciamo al riguardo parlare Manno, uno dei personaggi centrali del romano, che
sarа con l'apprendista scrittore Michele Tintori il portavoce del romanziere
sulle questioni dell'arte. Manno, insegnando ai ragazzi dell'oratorio, di
origine modesta e operaia, ridacchianti e un po' sconcertati per queste nozioni
astratte, ripete loro pazientemente e didatticamente: L'arte и l'universale nel
particolare e, precisa l'autore in una parentesi: Ripetendo l'antica definizione
che ha orientato gli artisti nei secoli in cui l'Italia era veramente grande in
arte, Manno non provava il minimo scrupolo verso le estetiche nuove, tutte piщ o
meno in contraddizione tra loro, di cui oggi sono pieni i testi e le riviste
specializzate (p.83). Se Manno non ha alcuno scrupolo a ripetere l'antica
definizione, Corti non ne ha ad applicarla, con grande piacere del lettore.
Il romanzo, composto di tre parti disuguali, inizia con la cronaca tenera e
nostalgica della vita di un piccolo paese industriale lombardo e del suoi
abitanti, Nomana, alla vigilia della guerra. Questa cronaca si allargherа
rapidamente in un grande affresco mondiale man mano che i ragazzi del paese
saranno inviati sui vari fronti di quel conflitto dalle dimensioni planetarie,
in cui il loro destino individuale sarа visibilmente mescolato ad avvenimenti
storici collettivi che li supereranno.
Nel corso dell'ultima parte del libro, che descrive il dopo guerra fino agli
anni '70, l'affresco, via via che i soldati sopravvissuti rientreranno
all'ovile, si circoscriverа di nuovo sul villaggio di Nomana, punto di
ancoraggio locale, in pari tempo simile e profondamente modificato dagli
avvenimenti che i suoi abitanti hanno vissuto.
La seconda parte del romanzo (la parte centrale in tutti i sensi del termine),
che concentra il racconto sui combattimenti e sui loro seguiti immediati, и la
piщ lunga e la piщ densa: ciт rivela chiaramente che questi avvenimenti hanno
per l'autore, come per i suoi personaggi, una importanza e una portata simbolica
fortissima. Noi tutti stiamo vivendo un'esperienza che ci darа materia di
riflessione per molto tempo, a me forse per tutta la vita dirа Manno parlando di
quelle terribili esperienze, quali talvolta un uomo non fa nel corso di una
intera vita. (p.515)
Grazie a questa rapida scorsa, si puт giа constatare che l'intero romanzo,
profondamente radicato in una realtа particolare (Nomana), и costruito sul
permanente andirivieni tra locale/mondiale, individuale/collettivo,
particolare/universale, emblematico di un movimento piщ fondamentale tra
immanenza e trascendenza, tra il di qui e l'al di lа.
In effetti, in questo romanzo meticolosamente realista, non ci si stupisce di
vedere apparire, nell'ora cruciale della morte di alcuni personaggi, un angelo
custode, incaricato di guidarli alla loro dimora eterna.
Tale movimento non ha nulla di meccanico, ma coniuga perfettamente la logica del
racconto e dei personaggi. Esso illustra una veritа cristiana essenziale,
secondo la quale il piщ modesto e il piщ localizzato degli individui ha un ruolo
(minore o maggiore, cosciente o incosciente) da svolgere in un conflitto
cosmico, divinamente dominato da Dio, tra luce e tenebre, qualunque sia il campo
da lui prescelto. Donde l'importanza quantitativa dei racconti di guerra,
immagini viventi di questa lotta spirituale e del combattimento della fede.
Il romanzo identifica la potenza delle tenebre di questa epoca - poichй esse si
manifestano in forme diverse a secondo delle epoche - col fascismo hitleriano e
italiano (percepito questo come una versione molto edulcorata del primo), e con
il comunismo staliniano.
La prima interpretazione non sorprenderа nessuno perchй comunemente ammessa,
mentre la seconda incontra, oggi ancora, forti resistenze, come testimonia un
recente discorso di Jospin all'Assemblea Nazionale Francese a proposito di un
libro che ha fatto scandalo: Il libro nero del comunismo. Il romanzo mostrerа
queste due mostruositа della storia, considerate come le due fasce simmetriche
di un'unica realtа malefica. Il faccia a faccia terribile, nelle prigioni
fasciste tra Praga, il torturatore fascista, e il suo alter ego comunista, cosм
come il rovesciamento finale di Praga al comunismo, conquistato dagli argomenti
politici della sua vittima, ce ne propongono una geniale allegoria.
Ma se E. Corti crede alla potenza del diavolo che manipola alcuni indemoniati,
egli crede ancora di piщ alla forza irresistibile della grazia, dalla quale
perfino Praga non и fuori portata.
Tutta la forza e la bellezza del romanzo provengono dal fatto che l'individuale,
il locale, il reale, l'immanente, minuziosamente e fedelmente descritti, non
scompaiono mai dietro al collettivo, al mondiale, al simbolico, o anche al
trascendente, e non ne sono soffocati, ma conservano la loro identitа e la loro
realtа nel mezzo di avvenimenti e situazioni di portata cosmica. In tutto questo
articolo, io cercherт di mettere in evidenza il significato simbolico di alcuni
avvenimenti del romanzo - и il mio compito di critico letterario - ma questo non
deve far dimenticare al lettore il carattere eminentemente reale che l'autore sa
conservare loro.
L'atteggiamento di ogni soldato italiano giunto al fronte o in un campo di
prigionia, che si preoccupa di sapere immediatamente se persone della propria
regione, o meglio del proprio villaggio, sono presenti come lui in quei luoghi,
ha al riguardo valore di metafora.
Alle veritа astratte Corti preferisce le veritа incarnate, e alla cittadinanza
mondiale, cosм di moda oggi, egli preferisce il radicamento in un territorio
specifico, non per sprofondare in un particolarismo sciovinista, ma come
premessa indispensabile all'apertura sul trascendente.
Il centro di gravitа del romanzo и dunque un luogo, il piccolo paese di Nomana,
ma anche, ed и importante, una famiglia, i Riva. Una famiglia numerosa composta
dal padre, Gerardo Riva, l'industriale istintivo, l'autodidatta arrivato a forza
di braccia; dalla madre, Giulia (madre devota al focolare); e dai loro sette
figli di sangue, tre figlie e quattro ragazzi, tutti molto diversi gli uni dagli
altri. Questa famiglia non и borghese chiusa nei suoi odi, i suoi segreti, e la
sua ipocrisia alla Mauriac, ma benchй imperfetta, essa и armoniosa, salda in una
stessa fede vissuta, aperta come testimonia l'adozione di Manno, il figlio della
sorella di Giulia. Il piccolo orfano sarа accolto e amato come un proprio figlio
dalla coppia giа cosм carica di numerosa prole.
Non c'и quasi personaggio nel romanzo che non entri, a un dato momento, in
contatto con questa famiglia, o per ragioni professionali, in quanto Gerardo
impiega -nel suo stabilimento tessile piщ della metа del paese, o per ragioni di
amicizia.
Gerardo, figura patriarcale e paternalista nel senso buono del termine,
industriale che ha avuto successo pur conservando la semplicitа e l'umiltа della
sua origine, ha incoraggiato e favorito l'amicizia dei suoi figli con persone
che non appartengono allo stesso ceto sociale, perchй conservino il senso delle
varie realtа, come egli stesso afferma.
Ambrogio (studente di economia) e Manno (studente di architettura), i due figli
maggiori della famiglia Riva, si troveranno cosм al centro di una rete complessa
di amicizie, che va dai semplici operai (Luca, Pierello, Giovannino)
all'intellettuale e scrittore in erba Michele Tintori (che finirа per far parte
della famiglia sposando una delle sorelle di Ambrogio), passando per Stefano, il
giovane contadino attaccato alla terra e refrattario al mondo industriale,
ultimo rappresentante (con Paccoi, l'attendente devoto ad Ambrogio) di un mondo
destinato a sparire.
Questo nucleo famigliare e questa rete di amicizie permetteranno al romanzo di
svilupparsi simultaneamente su diversi piani e diversi fronti, pur conservando
una unitа fondamentale di narrazione.
Essi permetteranno inoltre all'autore di costruire e descrivere una societа
tradizionale il cui spirito и agli antipodi dell'individualismo moderno, ma
anche una societа anti-marxista, dove non esistono separazioni assolute,
ineluttabili e invalicabili, tra le diverse classi sociali, tra padroni e
operai, intellettuali e manovali, industriali e contadini, uomini d'azione e
uomini di pensiero o di preghiera.
Il romanzo fedele alla realtа, mostra che tutto questo piccolo mondo puт
pacificamente coabitare, fintanto che spiriti astiosi e bellicosi non hanno
esacerbato negli individui influenzabili, un sentimento di rancore e riempito i
loro deboli cervelli di dottrine politiche tanto sofisticate quanto false, ma
vestite con le attrattive della scienza.
Dopo la guerra, questo mondo tradizionale armonioso, dove la fede era senza
dubbio il legame che univa i diversi corpi, sparisce per far posto alla lotta di
classe illustrata e inaugurata, nel romanzo, dal ritorno simultaneo di Sep (un
operaio di Gerardo) e di Pino (uno dei figli di Gerardo) rispettivamente
partigiano comunista e partigiano azzurro, tutti e due rifugiati in Svizzera.
Essi si incontrano sulla via del ritorno e, passata la gioia di ritrovarsi dopo
lunghi mesi di assenza, essi s'accorgono rapidamente che non c'и piщ sintonia
tra loro, e che la vecchia amicizia и scomparsa. Cosa и cambiato? Sep ora sa che
i ricchi - come gli aveva ripetuto un'infinitа di volte il commissario
espatriato in Svizzera - sono per forza dei farabutti con i lavoratori: anche se
non lo vogliono, e cercano di non esserlo, lo sono per una ragione scientifica.
(p.749) I due ragazzi si separano tristi e con amarezza, inaugurando un'era
nuova di odio reciproco.
La narrazione si focalizza dunque su un villaggio, una famiglia e il nugolo di
parenti e amici che le gravitano intorno, e infine su tre uomini, Manno,
Ambrogio e Michele Tintori, i cui percorsi diversissimi costituiranno la materia
principale del romanzo.
Manno e Ambrogio sono cugini e sono stati allevati insieme, mentre Ambrogio e
Michele sono compagni di collegio. Michele, orfano di madre, и figlio di un
artigiano scalpellino di Nova, grande mutilato della prima guerra mondiale.
Anche Michele, come ho giа detto, sarа in senso metaforico adottato lui pure
dalla famiglia Riva.
Questi tre uomini hanno in comune una fede profonda, messa in pratica, e una
fedeltа senza riserve alla Chiesa cattolica, anche se essa si manifesta in forme
caratterizzate dalla personalitа di ciascuno.
Altro punto importante da rilevare (di cui cercherт di dare piщ avanti il
significato), tutti e tre sono dei laici.
Vediamo ora ciт che li distingue.
Manno и studente di architettura al Politecnico di Milano. Egli unisce dunque
uno spirito matematico rigoroso (un senso delle proporzioni) a un senso
artistico acuto, ragion per cui, egli sarа forse il piщ teologo dei tre uomini,
e trascinerа spesso il lettore nei suoi lunghi dibattiti teologici interiori.
Nel Medio Evo, in tempo di pace, egli avrebbe costruito delle cattedrali.
И lui che intrattiene il rapporto piщ intimo e piщ dialogico con Dio e con le
veritа teologiche eterne, ch'egli и capace di ricordare anche a dei preti, a
volte poco informati su certe realtа. A Don Mario (il prete di Nomana)
disorientato e disperato dalla cattiveria dei bambini del paese che perseguitano
indifferentemente l'idiota del villaggio o un cane randagio (tutti i deboli),
egli ricorda questo dogma essenziale del Cristianesimo, sempre confermato dai
fatti: Bisogna credere che i bambini non nascono naturalmente buoni. Ecco un
fatto che ce lo conferma. (p. 86)
Ma egli lo incoraggia anche a non cadere in un pessimismo eccessivo e a pensare
che un'educazione appropriata puт correggere tale inclinazione naturale al male,
spazzando via in un colpo solo e con grande semplicitа, le tesi favorite di
Rousseau.
Manno и anche il piщ carismatico dei tre uomini, un leader nato per il quale
guidare gli uomini in mezzo alle difficoltа, e in genere comandare al fronte, и
piщ congeniale che per suo cugino Ambrogio o per Michele Tintori. (p. 405) Egli
ha un animo di capo naturale, и cioи una persona che non abusa della sua
autoritа per assoggettare gli altri, ma che sa trascinare e motivare gli uomini
dando l'esempio. Egli conosce la dura necessitа di prendere - senza esitare e
sul campo - decisioni da cui puт dipendere la vita o la morte (...). Nonchй
l'obbligo di essere in ogni momento un esempio per i soldati (altrimenti - Manno
l'aveva sperimentato - addio disciplina, come dire addio alla vita per molti).
(p. 515) И l'antitesi di quei personaggi carismatici storici, Hitler, Mussolini
e Stalin che trascinarono il mondo dell'epoca in un bagno di sangue senza
perdere (fintanto che dipendeva da loro) uno solo dei loro capelli.
И pure lui ad avere sempre piщ coscienza di una missione da compiere. Il che non
significa che gli altri due non abbiano un ruolo da svolgere nel piano divino.
Ma Manno ne и il piщ intimamente convinto, senza mai per questo cadere in una
megalomania sprezzante verso gli altri. Questa missione egli non giunge a
definirla chiaramente. D'altra parte sopporta con folosofia che gli altri lo
prendano amabilmente in giro per quella che considerano un'idea fissa un po'
ridicola.
Il seguito degli avvenimenti gli darа ragione, ma mancherа poco ch'egli non
riconosca la vera natura del suo compito, visto che si tratterа
(sorprendentemente) di morire guidando il suo reparto all'assalto delle linee
tedesche, nella battaglia decisiva di Monte Cassino (famoso luogo del
Cristianesimo medievale).
In effetti questa battaglia permetterа all'Italia d'essere riconosciuta dagli
Alleati come appartenente al loro campo, e di salvare l'onore perduto da
Mussolini col suo sostegno a Hitler.
L'onnipresenza della star-system (del quale perfino Manno sembra un poco affetto
a sua insaputa) ci ha abituati. a pensare una missione in termini di successo,
ma E. Corti, per mezzo di Manno, lui stesso sorpreso, le restituisce il senso
cristiano del sacrificio e del dono di sй.
Manno andrа dunque a edificare la Gerusalemme celeste.
Michele Tintori (il piщ autobiografico dei personaggi del romanzo) и
l'intellettuale del gruppo, quello piщ rivolto verso la comprensione ragionata
del mondo e degli uomini. Egli и studente di diritto, ma vuole di fatto
diventare romanziere.
Egli ha di colpo compreso una cosa che io stessa ho impiegato lungo tempo a
comprendere, cioи che quando si ama veramente la letteratura, e la si vuole
praticare, и meglio evitare di frequentare la Facoltа di Lettere, fosse anche
cattolica. I suoi studi di giurisprudenza non hanno dunque che una portata
alimentare, e gli causeranno molte preoccupazioni.
Egli sa anche, contrariamente agli scrittori moderni i quali pensano che
scrivere equivale a vivere, o che scrittura ed esperienza sono sinonimi, che
occorre acquisire una esperienza del mondo prima di scrivere, per poter nutrire
le proprie opere di tale esperienza.
Ad Ambrogio, che gli domanda cosa ha fatto dei suoi scritti di adolescente,
confiscati da uno dei loro insegnanti, Michele risponde di avere abbandonato
tutto dal Liceo, e: Come si fa a scrivere, se non si и prima fatta esperienza
della realtа, esperienza della vita? Ora abbiamo diciannove, anni и troppo
presto per scrivere.
Riassumendo il tutto con un saporito detto popolare: Zucch e melun a la sua
stagiun. (p. 80) Questo vecchio proverbio rivela anche in Michele una concezione
ereditaria e artigianale dell'arte che, una volta ancora, si oppone alle
concezioni demiurgiche moderne.
In effetti egli non и forse figlio di uno scalpellino i cui soggetti preferiti
erano la lotta tra l'arcangelo Michele e Lucifero, e la salita del Cristo al
Calvario, erede in questo dei maestri comacini? (p. 78) Per interposti
personaggi, tutto questo passaggio la dice lunga sull'arte e sulla concezione
dell'arte di E. Corti.
L'ossessione di Michele и il comunismo. Egli и divorato dalla curiositа per
questo tentativo d'instaurare sulla terra, con il solo volontarismo umano, ciт
che il Cristianesimo non promette che parzialmente quaggiщ - a prezzo di
preghiere e grazie all'aiuto dello Spirito Santo che sostiene la debole volontа
umana - e pienamente soltanto nell'al di lа. Egli prega dunque Dio di essere
assegnato al fronte russo, per poter vedere coi propri occhi quella gloriosa
realtа comunista di cui tanto si parla.
Egli sarа esaudito oltre il suo desiderio poichй finirа prigioniero a Krinovaia,
nel piщ profondo della Russia Sovietica. Invece dell'annunciato paradiso, egli
scopre ben presto l'inferno. Lа, uomini affamati a causa dell'incuria dei
carcerieri che non rispettano alcun regolamento internazionale, nй le piщ
elementari regole della caritа, finiscono per mangiare i morti - quando non
mangiano i vivi -. La descrizione di questi uomini esausti, malati e abbrutiti,
che attendono ossessivamente il pane (il pane di vita: il Cristo?), pane che non
verrа mai, и veramente allucinante. И un'impressionante allegoria dei tormenti
dell'inferno e dei dannati, inferno che, come Manno intuisce nello stesso
momento in Africa, esiste giа sulla terra per certi uomini.
Confrontato a tale orrore quasi indicibile, Michele fa l'esperienza salvifica
dei suoi propri limiti. Egli non puт portare sulle sue spalle tutta la miseria
umana di cui anche il solo spettacolo gli diventa insopportabile. Non puт nulla
per quegli uomini. Non puт salvarli e deve abbandonarli alla misericordia
divina, se ancora ne sono alla portata.
Alla tradizionale (e parziale) questione che chiede: come credere a un Dio di
bontа in un mondo cosм terribile? E. Corti oppone l'altro membro (troppo spesso
dimenticato) dell'equazione cristiana: come non credere alla malvagitа umana, al
male e all'inferno, in un mondo cosм abominevole?
Dopo Krinovaia e la fame, Michele, inviato in un altro campo, farа l'esperienza
dell'indottrinamento comunista.
Fortunatamente ciт che ha visto coi propri occhi della realtа comunista l'ha
definitivamente vaccinato contro ogni forma di propaganda. Lа egli incontrerа il
suo diabolico doppio, l'intellettuale indottrinato Robotti, che con una sorta di
fredda pazienza apostolica (p. 789) cercherа di convertire gli ufficiali alle
dottrine marxiste. A un certo punto Michele, poichй Robotti nega l'esistenza del
campo di Krinovaia per meglio far corrispondere la realtа alle sue concezioni
teoriche, sarа tentato, non di negare - che sarebbe un passo avanti nella
disonestа - ma in ogni caso di giustificare i crimini perpetrati
dall'inquisizione cattolica.
In un primo momento, egli pensa ch'essa ha permesso di arginare la propagazione
delle eresie (come il protestantesimo) che saranno, secondo lui, responsabili a
lungo termine dei massacri e genocidi del ventesimo secolo. Egli si riprenderа
all'ultimo momento e terrа a se stesso questo salutare discorso: Ebbene, Michele
cos'и che ti prende? Approvare che si possa uccidere il prossimo in nome di
Cristo? Perdi anche tu la ragione? (p. 780) Egli resiste eroicamente alla
tentazione che minaccia ogni credente, in particolare i piщ teorici e i piщ
cerebrali, che consiste nell'invertire il proprio rapporto con la realtа. Questo
processo diabolico, a cui ha ceduto Robotti sebbene torturato dagli stessi
marxisti, и perfettamente descritto dall'autore in questi termini: Ma nй queste
terribili esperienze, nй l'atroce realtа che gli aveva quotidianamente sotto gli
occhi, scuotevano in lui l'entusiasmo per le meravigliose promesse - udite bene:
promesse - del comunismo. Peggio: poichй la realtа oggettiva contraddiceva tali
promesse, essa finiva per contare sempre meno per lui. Nel suo cuore non c'era
posto ormai che per l'attesa messianica della societа nuova che la scienza
marxista gli faceva luccicare e gli garantiva, una societа libera per sempre dal
male. Tutto il resto non lo interessava assolutamente piщ. Una tale passione
aveva finito per invertire stranamente il suo rapporto - e il rapporto di tanti
altri come lui - con la realtа. Se la storia - vale a dire precisamente la
realtа - non li seguiva, al limite essi potevano cambiare la storia. (p. 791)
Robotti, il comunista, и infatti un credente a sua insaputa. Protetto da tale
esperienza e preparato contro questo pericolo, Michele avrа di che nutrire
l'opera artistica di tutta una vita, nonchй una testimonianza di prima mano
dell'orrore comunista. Questa esperienza servirа anche a migliorare la sua
pratica cristiana, in quanto essa gli avrа insegnato che la sua lotta contro il
male non deve trasformarsi in persecuzione contro qualcuno.
Ma rientrato in Italia, Michele, per fare intendere la sua voce dovrа lottare
ancora contro la seduzione che, dopo la guerra, il comunismo eserciterа sugli
ambienti intellettuali e artistici occidentali.
Ambrogio, quanto a lui, и l'uomo piщ rivolto alle realtа terrestri e all'azione
nel mondo. Studente di economia, il suo avvenire, senza la guerra, sarebbe giа
tracciato, in quanto и destinato a prendere in mano l'industria tessile
famigliare. Benchй dotato di una fede autentica, messa in pratica
quotidianamente, egli и senza dubbio il meno a suo agio nelle realtа teologiche
astratte o nel mondo delle idee, il che non gli impedisce di essere intimamente
amico di Manno e di Michele. Ambrogio ha il dono dell'amicizia che lo rende, nel
romanzo, un personaggio strategico estremamente interessante.
Egli и il legame (nel senso proprio e figurato) che lega il fascio dei
personaggi.
La provvidenza divina lo terrа in serbo per il dopo guerra. Infatti, ferito sul
fronte russo durante la terribile ritirata dell'inverno '41, egli rientrerа per
primo a Nomana per non ripartire piщ, poichй la sua ferita comporterа delle
complicazioni renali che lo renderanno inabile al servizio militare.
Da Nomana assisterа al resto della guerra, impotente e infelice di non poter
partecipare attivamente. La sua ora verrа piщ tardi, dapprima quando si tratterа
di far fronte al disordine e al vuoto politico che si manifesterа al momento
della liberazione, e in seguito quando si tratterа di ricostruire il paese dopo
la guerra e di dare lavoro agli uomini che ne ritornano. La sua azione sarа
dunque di natura politica ed economica. Senza cercare vanagloria nй i vantaggi
legati al potere, egli aiuterа il farmacista del paese, Agazzino, a fondare un
partito politico capace di fare concorrenza al partito comunista in ascesa.
Ma l'ossessione di Ambrogio, ch'egli ha ereditato da suo padre, и anzitutto di
fornire lavoro e dunque di che vivere alla gente del paese. Per anni e anni
dovrа battersi per fa prosperare la sua impresa e per modernizzarla, affrontando
le barriere doganali che impediscono di smerciare il prodotto, e il fallimento
dei suoi soci finanziari. Tutto ciт in un clima di sinistrismo trionfante poco
favorevole alla libera iniziativa e ai padroni, accusati di sfruttare i loro
operai per arricchirsi.
И estremamente seducente vedere in questo trio di uomini una trasposizione
moderna dei tre ordini medioevali (ii cavaliere, il chierico, e il contadino),
dove il contadino sarа rimpiazzato dall'industriale, e il chierico
dall'intellettuale laico, formando cosм una nuova trilogia.
Mi si potrebbe obiettare che tutt'e tre questi uomini pregano, combattono,
pensano, e lavorano, ma a me sembra che, malgrado tutto, ciascuno abbia un suo
ruolo specifico da svolgere nella trama del romanzo, trama che si assume di
riflettere l'azione della provvidenza divina, poichй il Dio di E. Corti non и un
Dio assente.
Dei tre soldati, Manno sarа il solo a muovere una battaglia decisiva per
l'Italia, mentre gli altri due saranno rapidamente messi fuori corso, l'uno
perchй ferito, l'altro perchй prigioniero in Russia. Michele и senza dubbio il
piщ intellettuale del gruppo, quanto ad Ambrogio и evidentemente il piщ
pragmatico.
C'и dunque quello che combatte e si sacrifica per l'onore dell'Italia, Manno, il
cavaliere dei tempi moderni. C'и quella che pur senza pregare in modo specifico,
riflette sulle questioni ideologiche vitali (nazismo, comunismo, liberalismo
nella Chiesa), e intraprende un'azione concreta su questo terreno con la sua
arte o con campagne ideologiche: Michele, l'intellettuale e l'artista; e poi
finalmente c'и quella che produce dei beni di consumo (e fornisce lavoro agli
altri): Ambrogio, l'industriale tessile.
Questa trasposizione permette di vedere che Corti ha perfettamente individuato i
nodi della sua opera, e sa far rivivere la simbologia antica appoggiandosi su di
essa. Infatti il mondo rurale sta disparendo (la morte di Stefano ne и la
manifestazione simbolica) per fare posto a una societа industriale di cui
Ambrogio и il nuovo rappresentante. Quanto ai pericoli che minacciano la Chiesa,
non si tratta piщ di eresie teologiche esplicite, ma di dottrine politiche,
economiche, psicologiche, artistiche, che hanno senza dubbio degli errori
teologici all'origine, e anche implicazioni teologiche, ma in forma indiretta e
sottile, e che i religiosi sono forse male armati per contrastare. Il che spiega
perchй Michele, l'intellettuale laico, sostituisce il prete in questa nuova
trilogia.
Ma questa trilogia medioevale non mi sembra totalmente soddisfacente per
esprimere l'azione congiunta di questi tre uomini, perchй da un'altra angolatura
si potrebbero definire questi uomini dei combattenti. Tutti combattono, ma su
piani diversi. Manno combatte le forze del male incarnate dal nazismo nel senso
originario e letterale del termine, fucile alla mano, e al comando di un reparto
reale, durante una guerra reale.
Michele combatte il male incarnato nel comunismo (poi nel liberalismo nella
Chiesa), durante e dopo la guerra, sul piano ideologico e artistico, lottando
con tutta la forza del suo pensiero e della sua arte contro ciт che egli sa
essere (avendolo verificato concretamente di persona) un abominio portatore di
morte. Quanto ad Ambrogio, dopo la guerra egli sferrerа una battaglia economica
per far sopravvivere la sua impresa e assicurare il lavoro alla gente della
zona. Quest'ultima battaglia non и la meno importante, e nella situazione
economica in cui ci troviamo attualmente, и forse quella che ci interessa
maggiormente e ha piщ bisogno di essere valorizzata.
Naturalmente, senza la precedente vittoria di Manno, e senza il suo sacrificio,
le altre due battaglie non potrebbero aver luogo. La lotta di Manno и la
condizione indispensabile per le altre due, ma и anche l'immagine visibile delle
altre due e la loro concreta materializzazione. Egli mette in evidenza il
coraggio, lo spirito di sacrificio e di abnegazione, la disciplina, l'arte di
comandare agli uomini dandone l'esempio, la pietа e la visione, tutte qualitа
necessarie per condurre una battaglia di qualunque natura essa sia, egli mette
altresм in evidenza i pericoli inevitabili a cui ci si espone.
Allo stesso tempo tali qualitа, di cui i soldati semplici tedeschi erano
abbondantemente provvisti, e i soldati italiani molto poco provvisti, risultano
senza valore, se l'orientamento di base и falsato.
Precisazione importante: nessuno dei tre uomini descritti, a differenza degli
studenti in cerca di avventure e di sconvolgimenti, ama o vuole la guerra (nй la
vera, nй le altre), anche se accade loro puntualmente di lasciarsi attirare essi
pure dal gusto dell'avventura e da possibili prodezze. Avendo prestato ascolto
ai piщ anziani, essi ne conoscono il terribile prezzo. Ma ciascuno farа il suo
dovere di fronte all'ineluttabile realtа.
Era pure allettante, in un primo slancio idealista, di stabilire una gerarchia
fra questi tre uomini, e di mettere dunque Manno, il piщ visibilmente cristico
dei personaggi, in cima alla piramide, e Ambrogio alla base. Ma, riflettendo
bene, questo primo impulso mi и sembrato da correggere. In fin dei conti, il
combattimento di Ambrogio, affondato in una realtа arida (i bilanci societari,
gli accordi doganali), priva di poesia, mi и parso il piщ duro e il piщ eroico
perchй condotto nell'ombra, senza riconoscimenti, ricompensato soltanto dal
disprezzo in quei tempi di sinistrismo aggressivo verso i padroni, e tanto piщ
doloroso in quanto Ambrogio non и sostenuto nella lotta dalla sua sposa.
Uno dei fratelli di Ambrogio, pure laureato in economia, non si lascerа illudere
e abbandonerа ben presto l'impresa famigliare per andare a impegnarsi altrove.
In conclusione, Ambrogio, ferito, malato, mal sposato, capo d'impresa solitario,
mi sembra essere il personaggio piщ crocifisso di questo trio virile, o in ogni
caso quello che lo и in maniera piщ permanente (se non piщ violenta), e alla fin
fine uno dei personaggi piщ commoventi del romanzo, incarnando a meraviglia la
virtщ della pazienza alle prese con la realtа quotidiana.
Vi sono da una parte le lotte di questi tre personaggi contro le forze esteriori
del male, le forze collettive (nazismo, fascismo, comunismo, lotta economica,
liberalismo nella Chiesa) ma ci sono anche le lotte interiori e individuali, i
combattimenti di ciascuno anche contro il male che infierisce dentro di lui.
Manno, l'eroe di guerra, dovrа lottare contro la viltа (ma si!) e la voglia di
rassegnare le dimissioni. La tentazione di rinunciare a bere il calice che gli
si presenta, d'abbandonare il combattimento per tornare a casa, come avrebbe
diritto dopo il suo servizio in Africa e in Albania, sarа immensa, e vinta a
prezzo di ferventi preghiere, ma anche grazie al forte esempio del comandante
Cirino che va a raggiungere i suoi soldati in Albania pur sapendo che, per loro,
non c'и praticamente speranza di salvezza.
Michele dovrа combattere le proprie tendenze all'intellettualismo dottrinario,
come abbiamo giа visto, ma anche condurre la lotta della castitа fuori del
matrimonio quando in Russia, la ragazza della famiglia dove alloggia, gli si
offrirа nella piщ concreta impudicizia. Come resistere, visto che il sangue non
и acqua, a un'offerta cosм allettante? Anche questa lotta sarа terribile e vinta
con le armi della fede e della preghiera. Per la prima volta in un romanzo, io
ho visto affermare chiaramente che il cristianesimo non stabilisce due pesi e
due misure tra la verginitа maschile e la verginitа femminile, e che la castitа
fuori del matrimonio si esige sia dall'uomo che dalla donna. Soltanto lo spirito
pagano caratteristico della borghesia scristianizzata e ipocrita del
diciannovesimo secolo ha potuto fare l'elogio dell'una e dimenticare totalmente
l'altra, creando cosм la categoria tanto triste, anche se romanzesca, delle
donne perdute come Tess d'Urbeville.
Ambrogio, dovrа ingaggiare la battaglia della fedeltа nel matrimonio e
dell'indissolubilitа dei vincoli matrimoniali, soprattutto in un matrimonio
infelice e male assortito. In effetti, se Ambrogio sa scegliere bene le sue
amicizie maschili, non ha saputo, per ingenuitа o per mancanza di discernimento,
scegliere la sua donna, sua moglie. Fanny Mayer и un essere vano e superficiale,
cattolica di nome, figlia unica di una coppia tipica della borghesia arrogante e
liberale (antitesi dell'umile borghesia conservatrice del patriarcale Gerardo
Riva). Se Ambrogio и vittima di Fanny, il narratore non lo и affatto, e quando
lei cura Ambrogio ferito, egli annota che lo fa con una cura e un'abnegazione
che non le erano abituali (p. 589). Ambrogio la sposerа piщ per riconoscenza per
le cure, che lei gli ha prodigato, che per vero amore. Passato il periodo del
fidanzamento e della luna di miele, lei si abbandonerа al suo egoismo mondano.
Non saprа affrontare le privazioni provocate dalla crisi dell'impresa, e non
saprа dare a suo marito il sostegno di cui egli avrebbe tanto bisogno in mezzo a
una lotta economica senza quartiere. In tale situazione, si comprende come
Ambrogio, quando incontra di nuovo Colomba, suo amore di gioventщ al quale ha
rinunciato per un eccessivo idealismo giovanile, in quanto lei era stata la
fidanzata di Manno - possa essere profondamente tentato di rompere la promessa
fatta a Fanny.
Sulla strada che lo conduce verso Colomba, egli guida in maniera poco saggia e
irresponsabile, sfiorando l'incidente e dimenticando di fare alt per mettere la
benzina. Questa vettura folle simbolizza la perdita di controllo della propria
esistenza da parte di Ambrogio, e la sua tentazione di flettere la sua
traiettoria in maniera perversa con l'adulterio o col divorzio, o detto piщ
semplicemente, uscendo dalla retta via. Anche qui il combattimento sarа aspro,
ma alla fine Ambrogio riprenderа il dominio della propria vita, pensando
soprattutto ai suoi figli ai quali ha la responsabilitа di dare l'esempio.
Per un eccesso di spirito cavalleresco, tipico di un uomo poco portato alla
riflessione teologica, e cattivo conoscitore del cuore umano, Ambrogio ha
sicuramente fatto un errore rinunciando a Colomba e sposando Fanny. Ma egli
assumerа fino alla fine le conseguenze del suo errore, per evitare un fatale
concatenarsi di altri errori.
Al riguardo, si possono fare le stesse osservazioni fatte circa la lotta per la
castitа di Michele. И raro, in un romanzo, trovare il motivo di un uomo che
lotta e resiste alla tentazione dell'adulterio (quando tutto, nella sua
situazione, avrebbe potuto scusarlo): Corti crea cosм un nuovo nodo letterario
che avrа, io spero, altrettanto avvenire quanto, a suo tempo, ne ebbe quello dei
Vranski e delle Anna Karenina. Questi nuovi nodi a differenza dei vecchi topos
di fatalismo tragico, sono dei motivi di speranza cristiana, e tendono a
mostrare che la caduta non и ineluttabile fintanto si sia autenticamente, anche
se debolmente, legati al Dio vivente.
Infine, non и che nella misura in cui ogni personaggio ha vinto se stesso (o
piuttosto ha vinto il male presente in lui) ch'egli и adatto e degno di
combattere e vincere sul piano esteriore. E. Corti illustra cosм una veritа
evangelica fondamentale, ma troppo sovente dimenticata, secondo la quale le
piccole cose (le cose interiori) hanno un'incidenza sulle grandi (le cose
pubbliche) e, piщ precisamente ancora, che solo coloro che sono fedeli nelle
piccole cose possono essere fedeli nelle grandi, concezione che non ha niente a
che vedere con una forma moderna di pietismo.
Il romanzo tende a mostrare che meno gli uomini sono in lotta spirituale contro
se stessi e contro il male, piщ si lasciano andare alle loro pulsioni, e piщ
sono tentati di portare il conflitto al di fuori di se stessi, in una vera
guerra, per noia e per inoperositа. Ma, alla fine, sono i piщ pacifici (quelli
il cui combattimento и interiore e spirituale) che dovranno rimboccarsi le
maniche per vincere le guerre reali, scatenate dai bellicosi. Il vecchio
sottotenente Pigliapoco riassume la cosa a Manno in questi termini: Il fatto и
che in guerra sono sempre gli stessi che sgobbano. Insomma, si tratta di una
questione di destino e niente altro. (p. 516)
In filigrana, dietro ciascuno dei tre personaggi principali si indovina un suo
alter ego malefico, che potrebbe invadere la parte anteriore della scena, se una
fede autentica non riuscisse a soffocare la sua espansione. Manno potrebbe
abusare del suo potere carismatico per diventare un capo tirannico, Michele
potrebbe divenire un intellettuale dottrinario come Robotti, preferendo le
astrazioni agli uomini reali, e Ambrogio potrebbe essere un industriale mondano,
interessato al solo profitto, e dongiovanni a tempo perso: l'ultimo essendo
probabilmente il meno pericoloso dei tre.
И anche interessante notare che nel romanzo ogni volta la vittoria sul terreno
sembra molto piщ difficile della lotta sul piano verbale o dottrinale, ma si
capisce anche che non c'и opposizione fra i due diversi piani, bensм
interdipendenza e complementaritа, come non c'и opposizione ma interdipendenza e
complementaritа dentro i tre personaggi principali tra la preghiera, la ragione,
la volontа e la forza dell'abitudine.
C'и qualcosa di notevole, in questo libro scritto da un cattolico, che permette
senza dubbio a un protestante di riconoscersi meglio: и il fatto che i suoi tre
personaggi principali sono dei laici. Ci sono, evidentemente, delle bellissime
figure di preti (Don Carlo, Don Turia, Don Mario), presenti ovunque gli uomini
soffrono, e la loro necessitа, o la loro legittimitа, non и assolutamente
contestata. Ma queste bellissime figure sono periferiche e mai il racconto si
sofferma a lungo su di loro. La qual cosa che ci fa dire che il romanzo di Corti
и un romanzo cattolico, che esalta, celebra e ricristianizza la vocazione dei
laici, siano essi soldati, artisti, intellettuali o industriali, e fa ciт che un
protestantesimo pietista sfortunatamente non fa piщ.
Da secoli, nelle societа occidentali, la laicizzazione guadagna terreno, e
obbliga la fede a mettersi in un angolo nella sfera privata, e a non avere
alcuna incidenza nell'ambito pubblico. La Chiesa stessa, spogliando i laici
della loro missione, si fa complice involontaria di tale laicizzazione. Corti,
pienamente cosciente di questa lacuna, innesca, grazie al suo romanzo, una sorta
di processo offensivo inverso. All'interno del romanzo, l'azione di Michele sarа
una messa in atto (proiezione dell'autore nel proprio romanzo) dell'azione del
romanziere stesso. Attraverso i tre personaggi principali il nostro autore
recupera, passo dopo passo, il terreno perduto e si dedica a una
ricristianizzazione della realtа sociale tutta intera, ricristianizzazione che
procede dal basso verso l'alto, dalle realtа individuali alle realtа collettive.
Per mezzo di Manno, Michele e Ambrogio, sono reinvestiti dei territori che si
credevano perduti per sempre dal cristianesimo: l'esercito, l'arte, la politica
e l'economia.
Questo processo non deve far dimenticare quello auspicato da Pierre Courthial
nel Le jour des petis recommencements.
Per ragioni di tempo e di spazio, и con rammarico che ho concentrato la mia
esposizione sui tre personaggi maggiori del romanzo, poichй il libro abbonda di
personaggi secondari, finemente cesellati pur senza abbellimenti eccessivi,
pieni di veritа. Lo sguardo di E. Corti si ferma a lungo su dei personaggi che,
nella vita reale, non tratterrebbero la nostra attenzione per tre minuti, perchй
non sappiamo vedere. Il romanziere, ecco una delle sfaccettature del suo
talento, ci insegna dunque a vedere. Che dire infatti di Noemi, di Celeste
(l'autista dell'impresa), di suor Candida, Marietta delle spole, l'operaia
brutta e morbosamente timida, delle zie di Monza, due zitelle riparate presso la
famiglia Riva, della tragica e commovente Mamm Lusia (la madre di Stefano), e
anche di Romualdo, l'ubriacone comunale, che alterna periodi di pentimento e di
bevute?
Il nostro autore ama autenticamente gli umili e sa descriverli
meravigliosamente. Attraverso il suo sguardo le loro lotte silenziose acquistano
una nobiltа che troppo spesso noi rifiutiamo loro.
Peraltro egli pone nel monologo interiore di Mamm Lusia una veritа essenziale
del Cristianesimo che il romanzo non cesserа d'illustrare. Riflettendo sulla
prossima partenza per il fronte di suo figlio e sui pericoli terribili che egli
dovrа affrontare, la madre mette la sua fiducia innanzitutto nella provvidenza
divina, fino al momento in cui l'immagine della Vergine le (ricorda) con terrore
che la presenza del soprannaturale nelle cose umane non preserva affatto dal
dolore, e che la Madonna stessa ha avuto ucciso il suo adorabile figlio. (p. 51)
Ci sono in questo romanzo delle magnifiche figure di madri - inutile precisare
che Corti non и femminista nel senso moderno del termine -. Queste madri che,
durante le guerre, possono solo attendere e pregare nell'angoscia per i loro
figli sotto il fuoco, e che talvolta non hanno altra consolazione derisoria e
sublime che il sapere che i loro figli sono morti chiamandole per l'ultima
volta. Come se al momento della morte, l'ultimo loro pensiero fosse per colei
che aveva dato loro la vita. Questa veritа che i films di guerra, esaltanti le
virtщ virili dimenticano spesso di mostrare, Corti sempre sollecito della
realtа, non l'ha voluta nascondere.
Ma la mia figura favorita, rimane quella di Paccoi, robusto contadino
dell'Umbria, attendente di Ambrogio durante la campagna e la ritirata di Russia.
Malgrado i ripetuti inviti di Ambrogio che, ferito, lo incita ad abbandonarlo,
nel mezzo dello sbandamento generale, egli non conoscerа che il proprio dovere.
Egli salverа la vita di Ambrogio con la sua fedeltа e la sua vigoria a tutta
prova, senza aspettarsi la minima ricompensa, considerando se stesso un operaio
inutile.
И dunque il contadino che salverа la vita dell'industriale mal ridotto, dello
studente di economia poco preparato ad affrontare i rigori dell'inverno russo e
di una natura ostile. Attraverso questo personaggio Corti rende un ultimo
omaggio al mondo rurale, alle qualitа, sia fisiche che morali, ch'esso sa
generare in coloro che ne sono figli. Egli riconosce il debito che la societа
industriale ha contratto verso quella contadina, anche se egli non ha dubbi sul
carattere ineluttabile della sua scomparsa.
Se Corti costruisce nel suo romanzo un ampio ventaglio della realtа umana, egli
non dimentica la natura, la creazione in tutta la sua bellezza e la sua
complessitа, come pure i vari rapporti che gli uomini intrattengono con essa.
La sua attenzione e quella di alcuni dei suoi personaggi si fissa spesso sulle
creature piщ umili, in particolare sugli uccelli (i passeracei), questo simbolo
di fragilitа, di benignitа, di sottomissione a un ordine superiore (date fisse
per partenze e migrazioni), d'insignificanza, ma anche di provvidenza divina.
Essi diverranno sempre piщ rari man mano la narrazione avanzerа, il mondo si
industrializzerа maggiormente, e la societа si scristianizzerа.
Lo sguardo del romanziere si sofferma anche su un cane perseguitato dai bambini,
di cui abbiamo giа parlato, e la cui triste storia costituisce da sola tutta una
parabola sulla cattiveria umana.
In effetti, gli animali che entrano in contatto con l'uomo la fanno spesso a
loro spese. Si capisce allora quell'usignolo che, istintivamente, и sconvolto
quando Manno inconsapevole del panico che provoca, cammina vicino al nido che
accoglie i suoi piccoli. Per quella fragile creatura, anche il migliore degli
uomini, privo di ogni cattiva intenzione, rimane una minaccia. Manno finirа per
capire e si allontanerа.
Quanto alle bellezze della natura, gli uomini sono ad esse variamente sensibili
a seconda della loro personalitа e delle circostanze in cui si trovano, e
l'autore mostra perfettamente questa diversitа.
Stefano, a cui Ambrogio fa notare una sera il bel colore delle Prealpi, gli
risponde placidamente che и una riflessione da studente, e che lui, alle
montagne, non pensa mai. (p. 21)
Anche qui Corti dа prova di un realismo e di un senso dell'osservazione
sorprendente, mostrando un contadino impermeabile alle bellezze del paesaggio,
mentre presenta un cittadino che non si stanca di ammirarle. Stefano и troppo
immerso nella natura, troppo legato ad essa per necessitа, per avere lo spazio
necessario alla sua contemplazione.
Nella fragile imbarcazione che ricondurrа Manno dall'Africa, i dieci uomini
scampati, ma ancora in pericolo di morte, assisteranno silenziosi e coscienti
della loro insignificanza, al favoloso spettacolo del sorgere del sole dal mare:
Verso le quattro cominciт a schiarire. A levante si formт nelle tenebre un
barlume verde scuro, che tracciт poco alla volta un segmento d'orizzonte, come a
dire un principio di separazione tra il cielo e il mare, entrambi ancora neri.
Poi la luce crebbe, si diffuse, le stelle andarono attenuandosi, mentre la
macchia verdastra si espandeva sempre piщ, trasmutando in rosso, in oro, in
altri colori. Sospesa nel cielo sopra il mare sterminato rimase un'unica stella,
goccia di luce tremula: era Espero, la prima che si accende la sera, l'ultima
che si spegne al mattino. Dal piano del mare emerse infine un punto
straordinariamente luminoso, che crebbe fino a trasformarsi in un principio di
disco: il sole. (p. 420)
Con l'arrivo del giorno, il rischio di essere avvistati da un aereo nemico
aumenta, ed essi sanno che quell'alba potrebbe essere, per loro, l'ultima. Sarа
forse l'ultimo spettacolo della natura al quale assisteranno, e questo pensiero
li induce a una contemplazione raccolta, contemplazione molto diversa dal
semplice apprezzamento estetico di Ambrogio per le montagne in fondo al suo
paese.
Quanto alla madre di Ambrogio, sull'imbarcazione che la porta al capezzale del
figlio, gravemente malato all'ospedale militare su un'isola del lago Maggiore,
pregava e non aveva occhi per lo splendido ambiente circostante: per il lago
cosм limpido in quei giorni freddi di primo inverno, per le alte montagne
circostanti, per i giardini secolari - ancora piщ verdi di quelli della Brianza
- che ne coprivano le rive. (p. 589) Giulia и troppo divorata dall'angoscia,
troppo occupata a pregare per i suoi figli e a meditare sulle tragiche
conseguenze della guerra per lasciarsi distrarre da quel genere di
considerazioni.
L'autore tende forse a mostrare che la vicinanza della morte (della nostra
morte), che deve mettere fine ad ogni preoccupazione terrena, tende ad aprirci
ai misteri e alle bellezze della creazione, mentre le dolorose tribolazioni
della vita ci chiudono in noi, almeno temporaneamente.
Il Cavallo rosso si apre su una scena bucolica e armoniosa: un padre e suo
figlio intenti a falciare un prato nei dintorni di Nomana, e sul tema in quel
momento prevedibile di la guerra di Troia non avrа luogo. I rapporti che legano
il padre e il figlio sono densi e sottili quantunque senza parole.
L'ultima parte del romanzo, una trentina d'anni piщ tardi, si apre sullo stretto
abitacolo di una Fiat 127, in mezzo alla circolazione intensa e aggressiva di un
viale periferico di Milano, e su due fratelli (i due figli di Ambrogio) che
visibilmente non sono in sintonia l'uno con l'altro. Le chiacchiere continue e
insignificanti dell'uno disturbano il corso, piщ raccolto, dei pensieri
dell'altro. Quest'ultimo capitolo, dove la macchina onnipresente costituisce il
simbolo della modernitа, termina un po' piщ avanti con un incidente mortale
causato dall'irresponsabilitа di un guidatore sotto l'azione della droga,
emblematico, esso pure, delle tare di tutta un'epoca.
Tra questi due momenti in perfetta opposizione, c'и la descrizione senza
compiacimento di una apocalisse parziale - da qui i titoli delle diverse parti
del libro, che si riferiscono a due dei cavalieri dell'Apocalisse di Giovanni.
Durante questo periodo i pochi indemoniati presenti dovunque, lasciati liberi
per qualche tempo, trascineranno il mondo in una strage generalizzata in cui
tutti soffriranno senza distinzione, in campi magari opposti, che essi non
avranno necessariamente scelto.
Questo periodo, grazie all'azione degli eletti, che sono anch'essi rivelati,
sarа limitato.
Peraltro, il mondo che ne emergerа in seguito non avrа nulla in comune col
precedente. Un mondo rurale relativamente armonioso, retto da una fede
consensuale fra le diverse generazioni, sarа scomparso, per far posto a un mondo
urbano, industrializzato, conflittuale, in cui il conflitto sarа la regola in
seno a una stessa generazione.
Come per l'inferno, Corti lascia intravedere che l'apocalisse non sarа soltanto
nel futura, ma che essa ha giа avuto luogo (parzialmente), e che essa potrebbe
avere ancora luogo. Con questo romanzo и tutta la storia ad essere
ricristianizzata.
In conclusione io affermerei che sono infinitamente grata a Corti per aver
potuto, grazie alla sua opera, riannodare i miei legami con una tradizione
romanzesca di alta qualitа, e per aver potuto in pari tempo ripensare tutto il
mio rapporto con la letteratura. Questa tradizione resta per me, dopo la
teologia e l'arte in generale, la grande via per accedere alla realtа umana ben
piщ profondamente delle moderne psicologia, sociologia, e tutti i loro schemi
riduttivi. Niente piщ del romanzo - quando и di qualitа - riesce a render conto
e a illuminare la complessitа della realtа, descrivendo contemporaneamente le
dimensioni storica, sociologica, psicologica e spirituale di tutto il fenomeno
umano. Niente meglio del romanzo и in grado di farci vedere l'universale nel
particolare, ciт che per Manno - e senza dubbio per Corti - equivale a condurci
a Dio. (p. 82)
E. Corti raccoglie brillantemente questa sfida, e arriva col suo romanzo a darci
una comprensione rinnovata della realtа umana, come di tutta un'epoca storica.
Un romanzo che, secondo veritа, и il riflesso di una realtа esistente, puт anche
diventare il modello per una realtа futura.
Tornando da Bruxelles dove ho potuto ammirare alcuni magnifici quadri di
Brueghel (padre e figlio), in particolare Il censimento a Betlemme, e Il
massacro degli innocenti, ambientati in una trasposizione in un villaggio delle
Fiandre dell'epoca, io mi sono detta che c'era un legame di parentela tra l'arte
di Corti e quella di Brueghel: medesimo ancoraggio in una realtа particolare,
medesimo interesse per gli umili, medesima capacitа di descriverli
minuziosamente e quasi ingenuamente, anche se con piщ evidente simpatia in
Corti, e infine medesima capacitа di trascendere o irradiare delle scene
quotidiane mediante veritа eterne e trascendenti.
Se fossi un uomo e senza carico di famiglia (Michele, lo scrittore del romanzo,
per volere divino non ha figli, segnale forse dell'incompatibilitа fondamentale
tra il sacerdozio artistico e l'educazione di una progenie) io domanderei a E.
Corti di insegnarmi la sua arte. Di insegnarmi nel modo in cui i maestri
artigiani trasmettevano un tempo il loro saper-fare ai loro apprendisti - purchй
Corti accetti di trasmetterlo a qualcuno che non appartiene alla sua stessa
confessione, cosa di cui io dubito un po'! - e tenterei di fare per la realtа
protestante che io conosco, quello ch'egli ha fatto, con tanto talento, per la
realtа cattolica: mettere in evidenza l'universale che in essa si trova.

Cercando le immagini di Bruegel, ho incontrato alcuni siti di immagini
molto belli: ve li suggerisco
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