FOSCOLO - ROMANTICISMO - MANZONI - LEOPRADI

Materie:Riassunto
Categoria:Letteratura
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Testo

UGO FOSCOLO
Cattaneo definisce Foscolo uno sradicato che da’ all’Italia una nuova istituzione: l’esilio.
In effetti nella vita di Foscolo tutto è provvisorio, egli è dominato da un’instabilità che lo porta sempre altrove, alla ricerca di nuove sensazioni e d emozioni.
C’è dietro questa irrequietezza un io inquieto, che si lascia trascinare dalle occasioni più varie, rifiutando ogni legame sociale e familiare. Tutta la sua vita viene quindi vissuta in funzione delle proprie esigenze. Tale concentrazione su di sé non può non ricordare la figura del libertino settecentesco, ma rispetto al suo distaccato cinismo, essa trova in Foscolo elementi morali, storici, sentimentali e passionali. Il poeta , infatti, rivendica il valore assoluto della propria personalità attraverso un giudizio negativo del mondo e la dolorosa acquisizione delle proprie contraddizioni. Tale individualismo per il suo spessore morale e critico può essere definito, per stendhaliana memoria, EGOTISMO.
Tutto il suo vitalismo è volto infatti ad imporre il proprio esistere e il proprio sentire individuale, rafforzato comunque da valori fortemente vissuti e sentiti.
La sua volontà di farsi sentire e di intervenire sulla scena storica, di giudicare il mondo e di modificarlo, lo spinge ad assumere l’impegno del libero scrittore, non asservito ai potenti.
Determinanti sono dunque le esperienze amorose. L’amore viene vissuto da una parte come sublimazione ed esaltazione di sé nel culto della bellezza, dall’altra come abbandono a forze distruttive.
Rispetto al reale mediocre e meschino, la donna gli appare come ENTITA’ SUPERIORE E ASSOLUTA, eppure nell’incontro con la donna l’io sperimenta , ogni volta, l’incapacità di trovare quiete.
Ogni azione, ogni sentimento è in Foscolo talmente eccessivo da apparire artificioso e forzato. In una lettera ad Antonietta Fagnani Arese egli dice: “Chiamami Romanzo”, tutto ciò che fa deve essere osservato.
A tale provvisorietà delle esperienze di vita corrisponde anche l’interminabile apertura di ogni opera foscoliana, sempre a causa dell’insaziabile desiderio di perfezione e consapevolezza di instabilità esistenziale.
Tuttavia questa ricchezza di interessi viene bilanciata dalla predilezione per alcuni motivi costanti che rimandano a certezze e valori positivi.
Come faranno anche Manzoni e Leopardi, Foscolo nella sua concezione del mondo segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia e sottoposto ad un processo incessante di trasformazione da leggi meccaniche, senza un fine ideale.
L’uomo, come ogni altro elemento naturale, è sottoposto a tale dissolvimento, perché è solo materia. Foscolo se da un lato accetta la valenza razionale di tale dottrina, non riesce però a trovare in essa ottimismo e serenità, quanto invece pessimismo e disperazione.
Foscolo non riesce ad arrendersi all’arida e sterile idea di non poter lasciare alcun segno di sé nel mondo, in cui vive; la razionalità illuministica dunque non lo libera dalle paure ma lo fa sentire prigioniero di un ciclo meccanicistico, senza scopo.
Sarebbe meglio non essere mai nati. Foscolo, però, non soccombe a tale pessimismo, come neppure Manzoni e Leopardi, reagisce, anzi, vigorosamente, creandosi una nuova fede di valori universali, che diano un fine e un significato alla vita dell’uomo.
Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la virtù, l’eroismo, l’arte, la gloria e la poesia.
Sono ILLUSIONI, che diventano per Foscolo VALORI UNIVERSALI, verità validissime che danno uno scopo alla vita del poeta.
Una delle illusioni più grandi è la gloria ovvero l’ansia romantica di vincere l’oscurità e la morte, di lasciare un segno del nostro passaggio.
L’uomo non è immortale, ma immortali possono essere le sue azioni, in quanto il ricordo di esse e quindi di lui, vivrà nei posteri.
LA MENTE SA CHE SONO ILLUSIONI MA IL CUORE NON PUO’ FARE A MENO DI ESSE.
Con questa affermazione Foscolo trova una parvenza di stabilità in un’epoca di crisi, quale quella del primo ‘800.
Foscolo autore di un periodo di transizione, in cui convivono diverse culture letterarie, grazie al suo vitalismo riesce ad incarnare le diverse tensioni, anche quelle provenienti da oltralpe.
Sono dunque presenti in Foscolo diversi elementi:
ELEMENTO CLASSICO Si rifà ai metri e ai generi tipicamente classici, come il SONETTO E LE ODI.
ELEMENTO NEOCLASSICO Foscolo tratta argomenti attuali e autobiografici con schemi classici, come suggeriva Chevier. Al centro di ogni sua opera c’è il suo io, che deve essere un exemplum per tutti.
ELEMENTO PREROMANTICO Foscolo essendo andato in Inghilterra, risentì anche delle influenze culturali di stampo sepolcrale.
ELEMENTO ROMANTICO Ogni sua esperienza è vissuta con Spirito romantico, proponendosi come eroe sradicato, tormentato e perseguitato da un destino avverso. Ulissismo.
Tutti questi elementi sono presenti fin dalle prime opere, per raggiungere poi l’acme nei Sepolcri. Si può dunque parlare di una poetica che si sviluppa in linea orizzontale e non certo verticalmente.
Tutti i temi presenti in “Le Ultime lettere di Jacopo Ortis” saranno poi ripresi singolarmente e approfonditi.
LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS
Esistono 3 edizioni del romanzo
1798 Rimane incompiuta, perché Foscolo deve andare in esilio sui Colli Euganei. Affida ad Angelo Sassoli la stesura dell’ultima parte. Il titolo era “Storia di due amanti infelici”.
1802 Cambia titolo in “Laura , lettere”. Questa edizione viene autorizzata dall’autore. La trama è diversa dalla stesura definitiva. Jacopo viene presentato come un eroe alfieriano, virile, austero e tragico. Nella prima edizione era invece un giovane languido e sentimentale.
1817 E’ l’edizione che leggiamo oggi. Sono stati tutti gli elementi che impediscono un dialogo a due. Viene tolta anche la lettera indirizzata a Teresa.
Il cognome Ortis è ripreso da uno studente universitario di Padova Gerolamo Ortis, morto suicida.
Jacopo è ripreso da Rosseau. Lorenzo Alderani è l’amico di Foscolo Giovanni Battista Piccolini. Teresa è il nome della donna amata da Rosseau, ma in lei ritroviamo tracce di Isabella Teotochi Albrizzi, Teresa Pikler, moglie di Monti, e Antonietta Fagnani Arese. Tutte amanti di Foscolo.
LA TRAMA
Modello di tale romanzo epistolare, genere particolarmente apprezzato in questo periodo, poiché la lettera meglio di ogni altro scritto si prestava alle espressioni sentimentali, è “I dolori del giovane Werther” di Goethe.
In quest’ultimo vi è però solo l’elemento amoroso, mentre nell’Ortis domina l’elemento politico. Il tema politico nell’Ortis viene esaltato in quanto vi è una contingenza storica che Jacopo/Foscolo vive, da ciò la polemica antinapoleonica e le dolenti note del sacrificio della patria ,ormai consumato.
Vi è inoltre tra Goethe e Werther un certo distacco. Werther rappresenta per l’autore un’esperienza marginale e episodica, in quanto l’autore, a differenza del personaggio, ha un forte equilibrio interiore.
In Jacopo si riflette, invece, molto della personalità foscoliana. E’ vero comunque che l’Ortis non va letto come un’autobiografia, Jacopo è infatti una “maschera” una “persona”,secondo l’accezione greca.
Accanto agli elementi realistici e autobiografici vi è molta idealizzazione.
D’altra parte ogni autore prende spunto da eventi autobiografici, ma la sua validità artistica sta proprio nel superare tale esperienza.
Flaubert afferma “Madame Bovary sono io “, eppure vi è un abisso tra autore e personaggio.
TEMA DEL SUICIDIO
Jacopo è continuamente mosso dalla ricerca di valori assoluti, in opposizione alla mediocrità della vita sociale, allo stesso tempo però una tensione distruttiva lo spinge verso il suicidio.
Alcuni critici affermano che Foscolo avrebbe oggettivato e sublimato la tentazione del suicidio, la sua malattia romantica, facendo morire Jacopo.
Il suicidio non ha per Jacopo una funzione catartica, ma testimonia ulteriormente l’irrequietezza insanabile dell’autore.
In tale natura esplosiva e dirompente è evidente l’impronta del modello alfieriano, lo scontro aspro tra virtù individuale e i limiti della realtà presente.
Jacopo Ortis non può essere però un eroe, secondo il modello di Alfieri, un eroe assoluto, perché la sua vicenda esistenziale è calata in una realtà fatta di eventi prosaici e di necessità volgari. Egli tende invece a valori sublimi ed elevati, ma tale tensione si scontra con un mondo banale, borghese e popolato da personaggi mediocri. Egli aspira all’ EROICO ma incontra solo meschinità sociale. La sua sconfitta pertanto non deriva da uno scontro eroico, come per i personaggi di Alfieri, ma dall’impossibilità di ogni iniziativa eroica. Foscolo/Jacopo rappresenta quindi l’eroe alfieriano sceso dal piedistallo per verificare e mettere alla prova le sue tensioni, ma tale scontro è fallimentare.
SUICIDIO: PROTESTA O RINUNCIA?
Nell’ ‘800 il suicidio di Jacopo ebbe il significato di protesta, proprio in nome di quel modello alfieriano, a cui sembrava rifarsi.
A conferma di ciò anche il sottotitolo del Romanzo LIBERTA’ VA CERCANDO CHE E’ SI’ CARA COME SA CHI PER LEI VITA RIFIUTA. Verso tratto dal I° canto del Purgatorio. Esso sembra rimandare alla concezione stoica del suicidio, suicidio concepito come exemplum per tutti. Suicidio che nasce dalla consapevolezza dell’immodificabilità dei meccanismi della storia e del mondo.
Nel ‘900 alcuni critici come Derla hanno invece messo in luce la rassegnazione di Foscolo che domina in tale scelta, la consapevolezza di non sapersi muovere tra le trame intricate di questo mondo incapace di offrire un ruolo all’uomo e al letterato.
Il suicidio , secondo Derla, pertanto, spogliato di tutte le classiche motivazioni pedagogiche, è un atto di impotenza e di abdicazione, sintomo palese di un periodo di crisi. Eppure Foscolo non sceglierà il suicidio, come soluzione estrema, anzi secondo Fubini, più importante critico dell’autore, Foscolo risorge sulle ceneri di Jacopo, cercando nuovi ideali di vita: LE ILLUSIONI.
NEGATIVITA’ DELLA STORIA E DELLA NATURA
Da dove nasce la crisi interiore di Foscolo/Jacopo? Dalla crisi degli ideali rivoluzionari. Nonostante egli partecipi attivamente alla sua storia, risente degli effetti distruttivi che essi determinano. La storia non è altro che un processo di sopraffazione, privo di ogni razionalità e carico di orrore.
Strettamente connesso a ciò è la negatività della natura, una forza cieca che si conserva solo grazie alla distruzione degli esseri viventi. Essa spinge a cercare la felicità, ma la felicità non potrà mai essere raggiunta dall’uomo (Leopardi).
Ecco dunque che di fronte a tutto ciò Jacopo cerca nell’amore e nell’amicizia con uomini dal forte sentire quell’appagamento che la storia non gli offre.
LA BELLEZZA FEMMINILE. TERESA DONNA ANGELO
Nella bellezza e nella donna Jacopo cerca l’annullamento di ogni sofferenza. Teresa gli appare, quindi, secondo gli echi stilnovisti, una donna angelo, simbolo di un’armonia assoluta. Solo unendosi a Teresa Jacopo pensa di poter trovare quell’armonia che tanto ricerca, un’armonia interiore consolatrice delle delusioni storico-politiche. I compromessi imposti dalla società impediscono però tale amore, rendendolo impossibile e inafferrabile.
IACOPO LETTERATO
Se Teresa è inafferrabile lo è anche l’arte per Jacopo, scrittore mancato che ha perso ogni motivo di lasciare traccia di sé, attraverso la letteratura.
Jacopo in tale stato d’animo rappresenta appunto lo scrittore Foscolo, che in tale epoca di crisi si sente minacciato e incapace di svolgere quel ruolo di mediatore tra popolo e potere, tra oppressi e oppressori, ruolo già rivendicato da Parini.
Jacopo, quindi, sente venir meno la possibilità di comunicare agli altri le sue ansie e le sue inquietitudini. Non resta altro che chiudersi in sé e suicidarsi.
Tale forte e intensa drammaticità viene comunque di volta in volta stemperata dalla figura di Lorenzo Alderani( il nome fa pensare a Lawrence Sterne). Lorenzo, come Jacopo, è un esule ed un artista, condivide gli stessi ardori dell’amico ma con un atteggiamento più distaccato, il suo dolore è quindi più misurato.
Lorenzo Alderani svolge inoltre la funzione di editore che pubblica le lettere di Jacopo. Nelle pochissime righe che si riserva è chiara la sua personalità. Si presenta come un personaggio tipicamente romantico attraverso uno stile enfatico e passionale.
Lorenzo di volta in volta ordina, regola e rende comprensibili le lettere di Jacopo, man mano che la sua condizione si fa più tragica e le allusioni diventano meno chiare.
Non sempre però Lorenzo riesce ad essere chiaro. La prosa del Romanzo d’altra parte è incalzante, ostacolando spesso il ritmo narrativo.
Questa prosa del primo romanzo italiano si allontana quindi dalla consueta ricerca di armonia e di equilibrio formale. Domina una paratassi fatta di scatti improvvisi, sospensioni, domande e risposte.
IL COMPLESSO DI EDIPO
Secondo la prospettiva psicanalitica di Amoretti, Ortis vive una situazione edipica. Prova infatti nei confronti delle figure paterne, il padre di Teresa, amore e odio e una contrapposizione ambiguamente agonistica, nei confronti delle figure materne, la madre e Teresa, un amore incondizionato. Alla luce di ciò non è forse arbitrario concludere che il dramma politico e il dramma affettivo sono vissuti unitariamente. I critici concordano nel rintracciare un complesso edipico sia in campo politico che in campo affettivo. Venezia infatti rappresenta la città-madre,buona e benefica, Napoleone, il padrone-padre, nei confronti del quale ha un atteggiamento di amore e di odio e di figlio suddito.
IL SESTO TOMO DELL’IO
Dopo l’esperienza ortisiana Foscolo percorre la via del distacco, dell’ironia e dello scetticismo attraverso il romanzo autobiografico “Il Sesto Tomo dell’io”. Vi si tratteggia un personaggio lontano dalla tragica assolutezza di Jacopo. Sotto l’influenza della lettura del viaggio sentimentale di Lawrence Sterne supera il dramma dell’ inconciliabilità, innalzandosi lentamente verso il disinganno ironico e la rassegnazione saggiamente dolorosa.
Tale atteggiamento, che poi ricalca quello di Parini,incontrato nel boschetto dei tigli da Foscolo e da Jacopo, delinea la personalità di Didimo Chierico.
“La notizia intorno a Didimo Chierico” viene scritta nel 1813 in apertura della traduzione di “Il viaggio sentimentale” di Sterne.
Egli immagina che un certo Didimo Chierico abbia tradotto tale opera e in terza persona venga delineata la personalità di questa seconda maschera di Foscolo.
Lo ha conosciuto in Francia, ma per pochissimo tempo e quindi le notizie sono scarse, dominano più che altro le sue deduzioni derivanti da alcuni atteggiamenti, osservati in prima persona.
Nella notizia Foscolo traccia un’altra immagine ideale di sé: Didimo
Didimo in greco significa gemello ed è in effetti il doppio di Jacopo, a lui completamente opposto, in quanto Jacopo è il Foscolo giovane, appassionato ed ingenuo che nell’impatto con la realtà vede svanire tutte le sue illusioni e piomba quindi in un pessimismo disperato.
Didimo è invece “PIU’ DISINGANNATO CHE RINSAVITO” ovvero vive le stesse passioni di Jacopo come “CALORE DI FIAMMA LONTANA”.
Ricorda la figura di Parini che, data l’avversità dei tempi, conserva intatti nel cuore gli ideali giovanili, assumendo un atteggiamento rassegnato, ironico e distaccato della realtà.
Chierico significa letterato e pastore. Chierico era Parini, Jorick e Sterne.
Didimo era anche un grammatico alessandrino.
Didimo Chierico veste da prete e appartiene quasi ad un ordine ,ad una casta, dimostrando così lo stato di separatezza del letterato.
LETTURA SOCIOLOGICA DELL’ORTIS
L’Ortis rispecchia la crisi di un intellettuale tradizionale nel radicale mutamento di valori e strutture in corso, nella società italiana tra i due secoli. (Amoretti)
Il nucleo tematico del romanzo esprime il disorientamento di un tipo di individuo, uscito dalla Rivoluzione, rispetto ad un contesto politico-sociale che lo emargina, consapevole di non poter più trattare con il tradizionale Mecenate, il Patriziato. Si veda la lettera V, prima parte, in cui Jacopo racconta di aver sorpreso un contadinello a rubare e l’aveva lasciato andare gridando “Ecco la società in miniatura;tutti così”. Jacopo in miniatura esemplifica la sua estraneità alla logica sociale, ossia al modo di pensare della società in cui vive.
Si veda ancora la lettera del 4 dicembre, seconda parte, in cui precisa il suo modello di società “In tutti i paesi ho veduto sempre gli uomini di 3 sorta: I POCHI CHE COMANDANO, L’UNIVERSALITA’ CHE SERVE E I MOLTI CHE BRIGANO”.
Jacopo appartiene ad un ceto emergente, caratterizzato da “moralità diverse” (noi non possiamo comandare, né forse siamo tanto scaltri; noi non siamo ciechi né vogliamo ubbidire; noi non ci degnamo di brigare. E il meglio è vivere come quei cani senza padrone ai quali non toccano né tozzi né percosse).
E’ evidente che Jacopo comprende quanti siano i rischi dell’azione politica:” E sia così. Lascio il mondo come è;ma se io dovessi impacciarmene vorrei o che gli uomini mutassero modo o che mi facessero mozzare il capo sul palco, e questo mi pare più facile”
Emerge da ciò l’isolamento dell’uomo di lettere ma anche l’ideologia in positivo dell’Ortis: VIRTU’ DI POCHI, CORRUZIONE ASSERVITA DELLA POLITICA ASSERVITA.
I SONETTI
Si dividono in due gruppi, il primo comprende i sonetti più antichi, più vicini all’Ortis per l’impetuosità dei sentimenti e l’enfasi espressiva. Sono 8 e furono pubblicati nel 1802.
Nel 1803 furono pubblicati gli ultimi 4. Questi sono più equilibrati e rassegnati, appare evidente la rassegnazione virile da parte dell’autore nei confronti della realtà e del dolore. Domina il soggettivismo, l’esilio, il vagheggiamento della Grecia, l’ansia esistenziale.
Essi sono : Alla Musa, Alla Sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni.
STRUTTURA DEL SONETTO CLASSICO E FOSCOLIANO
Il sonetto fu inventato da Jacopo da Lentini, il Protonotaro della scuola siciliana. E’ composto da due quartine e due terzine. Nel sonetto classico domina una struttura equilibrata e simmetrica. Il periodo logico coincide con il periodo strofico, anche se può esserci un distacco contenutistico fra le due quartine e le due terzine.
Nel sonetto foscoliano c’è un ritmo meno cadenzato ma nuovo ed originale, in quanto si prolunga il periodo logico nei versi successivi, grazie all’uso dell’enjambement, inventato da Giovanni Della Casa nel ‘500. Allora si chiamava spezzatura, in quanto il finale di un verso era strettamente collegato con l’inizio di quello successivo.
LE ODI
De Sanctis ha definito le Odi “Il primo manifestarsi del risorgere del Foscolo alla vita” ovvero il superamento del momento dell’Ortis cupo e disperato fino al suicidio, con la consolazione del dolore nel culto della bellezza e nell’accettazione virile dell’umana esistenza.
ALL’AMICA RISANATA
Alla bellezza serenatrice si aggiunge un ulteriore motivo, quello della poesia eternatrice. La bellezza come ogni cosa è destinata a morire, ma a salvarne il ricordo e il freddo trasformarsi della materia vi è la poesia, che dona immortalità.
Vi è quindi nell’opera un processo di divinizzazione di Antonietta Fagnani Arese, ripresasi da una grave malattia. La donna viene posta sullo stesso piano di Diana, Bellona e Venere.
L’altra Ode è A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.
LE GRAZIE
Le Grazie sono state composte in tempi lunghi. Sono un’aggregazione di brani lirici composti in tempi diversi.
Il nucleo principale fu composto nella Villa di Bellosguardo a Firenze.
E’ un capolavoro incompiuto, forse a causa dell’incontentabilità dell’artista di voler dare un contenuto concettuale alla sua opera.
La Bellezza viene ad essere una specie di Provvidenza laica che solleva gli uomini dall’originario stato ferino alle forme più alte di civiltà, una potenza trasfiguratrice e civilizzatrice. Inizialmente doveva essere composta in onore di Canova , che stava scolpendo le tre Grazie, ora all’Ermitage di Leningrado.
L’opera è composta da tre inni.
1° Inno a Venere Venere pietosa nei confronti degli uomini che vagano sulla terra come bestioni, invia le Grazie affinché li civilizzino. Questo inno si ricollega al fatto che Canova stava scolpendo la Venere degli Uffizi in quanto era stata rubata quella dei Medici.
2° Inno a Vesta Nel secondo inno viene compiuto un rito in onore delle tre Grazie a Bellosguardo.
3° Inno a Minerva Il poeta immagina che nella favolosa Atlantide le dee minori, guidate da Flora ed Erato tessano un velo. Il velo ha un valore protettivo nei confronti delle Grazie, che attraverso esso possono guardare il mondo degli uomini, senza essere toccate dalle loro passioni.
Il velo assurge ad un valore simbolico, in quanto rappresenta l’atteggiamento didimeo di Foscolo,ovvero il raggiunto distacco dal mondo, di cui però sente ancora gli stessi valori ed ideali.
Le Grazie sono per Foscolo il poema della civiltà umana, che ne sintetizza il suo cammino.
Aspira ad un poema allegorico con immagini visive ricche di significati filosofici, morali e civili.
All’aspetto allegorico si lega quello didascalico e pedagogico in quanto vuole ispirare compassione e pietà. Sono presenti numerosi modelli classici come Omero, Catullo e Callimaco. Ad una prima lettura sembrerebbe un semplice poemetto mitologico ma numerosi sono i riferimenti all’attualità foscoliana, soprattutto nella tessitura del velo.
Foscolo mira ad una poesia che condensi passato presente e futuro. Mito e realtà si uniscono in un’armonia che l’autore intende come profondo accordo delle dissonanze, per ovviare al Caos e alla distruzione inesorabile.
I SEPOLCRI
L’opera viene composta nel 1806, in occasione dell’Editto di Saint Cloud emanato nel 1804 da Napoleone ed esteso in Italia nel 1806.
Esso prevedeva che i cimiteri fossero posti fuori dalle mura di cinta, che non ci fossero più iscrizioni ma solo semplici croci. Ogni nome sarebbe stato scritto sulle mura. Inizialmente Foscolo era a favore di questo editto, ma parlando nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi con Pindemonte si rese conto dell’importanza della tomba e dei suoi valori che potevano essere trasmessi ai vivi: valori sociali, storici e patriottici. Pindemonte in quel periodo stava scrivendo “I Cimiteri”, in cui tale legge veniva avversata, ma dopo aver letto l’opera foscoliana, abbandonò la composizione. I Sepolcri sono stati pubblicati nel 1807. In “ Dei Sepolcri” confluiscono tutte le tematiche fino ad allora trattate dall’autore e, pur sembrando un inno alla morte, in effetti è un’opera didascalica che esorta alla vita e all’eroismo. Partendo dal buio meccanicistico, in cui vita e morte si alternano senza lasciare via d’uscita e di riscatto all’uomo, Foscolo lentamente si avvia verso una luce di speranza rappresentata prima dalla tomba e poi dalla poesia. La tomba , rispetto a come era stata prospettata nel Romanzo e nel sonetto “In morte del fratello Giovanni”, ovvero come porto di quiete, assume significati nuovi e d originali, sociali, storici e patriottici.
Essa mantiene il rapporto tra vivi e morti, permette la “Corrispondenza D’amorosi sensi”, ma è anche simbolo della civiltà raggiunta dall’uomo, che ha abbandonato, secondo il percorso prospettato da Vico, lo stato di ferinità.
Se è tomba di uomini dal forte sentire diviene stimolo e incitamento per uomini dal forte sentire.
Foscolo quindi immagina un dialogo ideale fra un’elite di uomini valorosi che in nome dell’amor di patria sacrificano se stessi.
Eppure anche la tomba è destinata a disgregarsi per l’inesorabile scorrere del TEMPUS EDAX, tempo divoratore.
Su di essa si erge però la poesia, unico mezzo per potersi eternare, di cui ha certezza Foscolo dal patrimonio letterario classico.
Come vivono ancora gli eroi dell’antica Grecia e lo stesso Omero, così egli potrà vivere e superare il silenzio dei secoli. Ed è proprio come Omero e quindi come poeta vate che egli si vuole proporre, un poeta che incita lasciare un segno di sé.
In qualità di poeta vate, però, Foscolo non parla al pubblico che poi sarà tipico del Romanticismo, il popolo,ma agli intellettuali valorosi. Solo in questo modo Foscolo trova il mezzo per superare il dolore che il nulla eterno, buio e d oscuro, dove ogni esistenza si perde, procura.
Il Carme ha una struttura quadripartita:
Vv.1-90 Inutilità dei monumenti, una volta che si è morti. Domande retoriche.
Vv.91-150Culti lontani medievali e classici
Vv.151-212 Santa Croce. Battaglia di Maratona.
Vv.213-295Valore supremo della poesia che conserva la memoria degli eroi. Figura di Cassandra, Elettra e Omero.
Il Carme è composto da 295 endecasillabi sciolti, con una frequenza altissima di enjambement. E’ dedicato ad Ippolito Pindemonte e si presenta come una lettera in versi. La forma epistolare assolve ad una doppia funzione 1)Introduce la finzione letteraria di un destinatario privato 2) Determina un ruolo strutturale, perché sottolinea le partiture interne.
Sono molto frequenti i vocativi rivolti all’amico, essi hanno un valore iterativo e ricalcano un elemento tipico delle Epistole di Orazio. In questo modo l’opera è caratterizzata dalla familiarità colloquiale dell’epistola ad un destinatario privato ed individuale.
Allo stesso tempo però i Sepolcri sono un’opera di poesia civile che riprende il filone PARENETICO di esortazione e di ammonimento della lirica greca.
Per questo dominano sentenze morali e politiche proposte però alla fantasia e al cuore dei lettori.
Sembrerebbe esserci un contrasto tra la denominazione “Carme “ e la struttura epistolare, ma solo apparentemente, perché a ben guardare lo stile è solenne e lirico.
Si intersecano quindi piano epistolare e piano epico –lirico, lettera -amichevole e lettera- manifesto.
I vocativi sono di volta in volta familiari, affettuosi e magniloquenti.
Ecco dunque che gli elementi immaginari e raziocinanti si avvicendano in un procedimento argomentativo che non segue concatenazioni logico-deduttive, ma trapassi tematici e accostamenti di temi e di immagini, che interagiscono con la fantasia del lettore.
Determinanti sono quindi LE TRANSIZIONI ovvero congiunzioni che collegano un argomento all’altro, non secondo un filo logico ma secondo il filo del cuore e della fantasia.
Rifacendosi a Pindaro, autore greco, Foscolo crea un’opera che può sembrare di difficile lettura, per i continui VOLI PINDARICI, ovvero passaggi continui da un argomento all’altro e per la segmentazione determinata dagli enjambements, legati (aggettivo +sostantivo) e staccati(sostantivo + aggettivo).
Dalle opere classiche Foscolo trae non solo gli schemi metrici e il linguaggio strutturale ma anche una vera e propria lezione etica. In quel mondo trova quella pienezza e integrità che nel mondo a lui contemporaneo non c’era.
Ricava quindi esempi di eroismo che potrebbero risvegliare le coscienze italiane, ormai assopite. Solo nel mondo antico Foscolo sente palpitare l’eroismo di cui vorrebbe essere un exemplum nel suo mondo. Torna quindi sempre a dominare il LEIT MOTIV ALFIERIANO, IL FORTE SENTIRE.
Le Transizioni e gli enjambements fecero definire i Sepolcri da Monsieur Guillon, in un articolo pubblicato su “Il Giornale Italiano”, oscuri ed illeggibili.Altrettanto fecero Monti, Pindemonte e Tommaseo. Foscolo però sottolineò proprio tale peculiarità del Carme, spiegando che era strutturato in tal modo perché doveva essere letto con il cuore, per comprendere i diversi passaggi che legano i blocchi contenutistici. Bisogna usare nel leggerlo la fantasia e non la ragione.
Solo con l’intuito ogni legame appare evidente e chiaro. Si può anzi dire che l’impalcatura concettuale del Carme è evidente e solida, ricca di contenuti, di valori e di giustificazioni chiare e precise.
Nel Carme “Dei Sepolcri” Foscolo non è più il deluso letterato ortisiano ma assume il ruolo di intellettuale che agisce sulle coscienze per potenziarle ed incitarle.
Se prima la separatezza per Foscolo era emarginazione, ora per il poeta diviene valore positivo, un’assicurazione di superiorità e di privilegio. I suoi messaggi sapienzali etico-politici sono ormai di destinazione nazionale e lui ha raggiunto la posizione propria dei grandi classici nella letteratura.

IL ROMANTICISMO
Il termine Romanticismo non compare la prima volta nell’ ‘800. Già da due secoli “romantic” era utilizzato in Inghilterra con accezione negativa per designare aspetti strani ed assurdi, lontani dalla realtà contingente, soprattutto i romanzi pastorali. Nel ‘700 Romantic designa temi e forme narrative contrarie ai dettami della ragione, irrazionali e sentimentali. Nell’ ‘800 diviene però l’espressione sintetica della nuova sensibilità e Romantico indica la partecipazione commossa dell’anima agli spettacoli della natura. Già nell’Illuminismo ad alcuni aspetti razionalistici della cultura si era mescolata una forte sensibilità (Rosseau e Alfieri), un’attenzione più profonda all’io. Di fronte allo choc della Rivoluzione Francese quella nuova sensibilità si approfondisce e si complica, si espande ai sistemi ideologici e politici, ai modi di espressione e comunicazione. Come il Rinascimento e l’Illuminismo, il Romanticismo interessa tutti i campi dell’attività umana ed ha una genesi filosofica e storica. Sul piano filosofico sorge come reazione all’Illuminismo, si rifiuta la concezione meccanicistica della natura e dell’uomo, accusandolo di astrattezza e di non tenere conto della complessità della natura umana.
Sul piano storico è sicuramente la delusione della politica napoleonica e della Restaurazione.
Il Romanticismo come movimento sorge in Germania alla fine del ‘700, intorno alla rivista Athenaeum e al circolo Sturm und Drang. La Germania aveva due motivi peculiari per essere la patria del Romanticismo, sia per la natura dello spirito tedesco, perennemente inquieto e scontento della realtà, proteso alla vita del sentimento; sia per il tentativo di opporsi politicamente e culturalmente alla Francia.
I Tedeschi danno quindi voce a questa loro tendenza a sognare e a fantasticare, alla SEHNSUCHT , desiderio del desiderio, brama appassionata di avere l’impossibile, di conoscere il non conoscibile. Malgrado si sappia che tale desiderio non si potrà mai attuare non può mai smettere l’uomo di sforzarsi, di ricercare ,con lo STREBEN SFORZO, l’assoluto. L’Infinito diventa dunque quella meta irraggiungibile ed inafferrabile, quell’andare oltre il limite a cui si continua ad aspirare per evadere da quel finito che rappresentano l’uomo, la natura e la storia. Simbolo di questa felicità sognata è Il Fiore Azzurro di cui parla Novalis, nell’opera “Enrico di Ofterdingen”. Esso simboleggia la felicità a cui aneliamo incessantemente, a causa dei limiti della realtà in cui viviamo. Essa però si può trovare solo nei sogni. Si evade pertanto seguendo il sogno, dirigendosi in mondi lontani, vagheggiati a volte solo con la mente. Come un viandante il Romantico vaga inquieto e morboso verso un non so che di irraggiungibile e impalpabile, accettando il continuo divenire che è la vita. A differenza del Classicismo la vita è considerata in continua trasformazione ed essa è sottolineata dall’arte. L’arte infatti del Romanticismo assume lo stesso dinamismo dell’esistenza e alla staticità dell’arte classica contrappone le continuità dei valori della vita.
L’arte cambia non solo da epoca ad epoca ma da individuo ad individuo e per questo diviene un atto creativo, un’espressione spontanea ed immediata. Nessuna regola deve limitare il FUROR POETICUS e il GENIO CREATIVO dell’artista, perché la vita deve ispirare l’arte e tutti gli aspetti di essa devono essere rappresentati. La nuova poesia nasce su queste prerogative e deve rispecchiare credenze e sentimenti attuali, divenendo espressione dello spirito, libera di quel bagaglio mitico e linguistico, che costituisce la letteratura. Quanto più dunque il poeta dimenticherà la letteratura tanto più sarà vicino al popolo e darà voce allo spirito di questo. Alla poesia ingenua classica, nata cioè dal diretto contatto con la natura, oggettiva e impersonale, dai contorni precisi, NATURPOESIE, i Romantici oppongono la poesia SENTIMENTALE dei moderni in cui al sentimento si affianca sempre la ragione, una poesia riflessiva dai contorni indefiniti KULTURPOESIE.
A questa esigenza morale si affianca però anche un’esigenza politica, quella di fortificare e guidare eticamente il popolo. Il poeta vivendo dunque in mezzo al popolo e assorbendone gli ideali, le aspirazioni e i problemi, si sente investito del ruolo di guida ed assume la funzione di POETA VATE della propria epoca. Esprimendo però la vita spirituale del suo popolo, ricercando i valori nazionali di esso, anche nel passato storico e nelle superstizioni popolari e folcloristiche, non può dimenticare il proprio mondo interiore sempre presente, come sempre presente è la fondamentale libertà di ispirazione individuale.
L’individualismo già tanto diffuso nel ‘700, nell’ ‘800 si esalta riconoscendo la sua esperienza privilegiata nell’arte e nella poesia, intese dai Romantici non come mezzi di comunicazione né di rappresentazione della natura, ma come espressioni e manifestazioni del GENIO, esperienze vitali in cui si concentra l’esistenza del singolo.
L’individualismo si può affermare in diversi modi sia instaurando un rapporto con i valori popolari storici o ponendosi contro tutto e tutti con atteggiamenti di TITANISMO o VITTIMISMO.
TITANISMO Deriva da i Titani, giganti che osarono sfidare Zeus e simboleggia la coscienza del contrasto tra ideali umani e necessità naturale, tra volontà di potenza e valori sociali e religiosi. Con esso si celebrano gli eroi in lotta contro tutto ciò che limita.
VITTIMISMO Consiste in una VOLUPTAS DOLENDI, piacere di addolorarsi, un soggiacere ai propri dolori senza tensione di ribellione. Si prova gusto di martirio e sofferenza. Entrambi questi atteggiamenti partono da un unico dato di fatto: il dolore che nasce dal contrasto tra aspirazione dell’individuo all’infinito e all’assoluto.
RAPPORTO CON LA NATURA
La natura è considerata agonismo vivente di cui l’uomo è parte. La natura è specchio dei sentimenti e delle passioni che agitano l’uomo. Mentre nel ‘700 prevale la concezione meccanicistica, nell’ ‘800 si riscopre un principio spirituale nella natura, a cui si può giungere con la poesia, i suoi simboli e le sue analogie. Sia il simbolo che l’analogia servono a dar voce ad un’esperienza assoluta, la penetrazione nel mistero della natura, un’esperienza totale che si vuole immediatamente affermare.
RAPPORTO CON LA STORIA
La stessa tensione a superare i limiti spinge l’uomo a guardare al proprio passato. Nel Romanticismo c’è un vero e proprio culto della storia. Il mondo umano e quello naturale sono in continuo divenire e tendono a continui mutamenti. Si reagisce all’antistoricismo illuminista, per cui tutte le età lontane dal loro modo di vita erano considerate barbare e tenebrose.
CONCEZIONE DELL’ AMORE
Viene concepito come esperienza totalizzante con cui l’uomo partecipa al flusso vitale della natura. La donna stessa rivela qualcosa di sovrumano ed etereo, offre una promessa di felicità infinita, di contatto al di fuori di ogni limite. L’amore è destinato però a scontrarsi con le banali convenzioni sociali e spesso si afferma solo con la morte. D’altra parte proprio la morte e tutte le sue manifestazioni del negativo sono amate dai Romantici. Si prediligono eroi che portano in sé la distruzione e la malattia, segnati da qualcosa di inspiegabile che sorge dal loro stesso io.
ROMANTICISMO IN INGHILTERRA
Ha come caratteristica peculiare un’accesa fantasia che si esplica nelle ballate di Wordsworth e Coleridge o nel romanzo storico, a sfondo medievale di Scott, l’Ivanhoe. E’ nostalgico, volto a fondere l’io con la natura.
ROMANTICISMO IN FRANCIA
Si parla di vero Romanticismo solo con la presentazione della cultura tedesca con l’opera di Madame De STAEL, nel 1813 “De l’Alemagne”. Altra figura importante è Chateaubriand portavoce di un romanticismo appassionato, sontuoso e dall’impeto barocco.
ROMANTICISMO IN ITALIA
Di Romanticismo si inizia a parlare solo con la polemica suscitata nel 1816 dalla pubblicazione sul primo numero della Biblioteca Italiana, dell’articolo di Madame De Stael “Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni”. Esso conteneva un invito ai letterati italiani a guardare al di là delle Alpi, a cercare una letteratura filosofica, attraverso il confronto con la nuova sensibilità europea. Tale articolo suscitò reazioni molto negative tra i letterati legati alla tradizione classicista, che sentirono colpito addirittura l’onore italiano e insorsero a difesa dei classici e della mitologia. La polemica classico-romantica fu condotta principalmente sulle riviste letterarie, ma mentre su altri giornali furono ospitate le diverse posizioni, i romantici lombardi trovarono invece la loro roccaforte in “Il Conciliatore”(tale definizione nasce dal tentativo di conciliare i sinceri amatori del vero). Questa polemica ruotò intorno a pochi problemi fondamentali, l’uso della mitologia classica a cui i Romantici opponevano la storia, la modernità e l’immaginazione popolare, il rapporto con le letterature straniere e l’uso delle regole aristoteliche. Leopardi si schiera dalla parte dei classicisti.
Rispetto al Romanticismo europeo il Romanticismo italiano presenta prospettive più limitate e caratteristiche particolari. Esso si distingue per la sua cautela e moderazione, poiché in Italia domina ancora il peso della tradizione classica, che allontana e placa le posizioni più radicali dello spirito ribelle ed estremistico. Inizialmente il Romanticismo italiano conserva continuità con aspetti dell’Illuminismo di cui condivide la ricerca di una letteratura utile che collabori al perfezionamento della civiltà.
Letterariamente si sente ancora il legame con figure come Parini ed Alfieri. All’arte vengono attribuiti compiti positivi come la creazione di un’equilibrata bellezza, comunicabile al pubblico borghese, con funzioni morali ed educative. Siamo lontani dalla negatività delle esperienze romantiche europee, dalla loro ricerca di territori inesplorati. Il Romanticismo in Italia agisce come spinta allo svecchiamento della cultura, offrendo al pubblico italiano schemi e temi romantici, come materiali da apprendere per partecipare meglio alla vita presente, la ricerca stilistica e letteraria rimane comunque provinciale. Se nel Romanticismo europeo si verificano frequenti e violente fratture fra l’arte e la società, il Romanticismo italiano mira ad esprimere le tendenze dominanti nella società, i valori nazionali.
Esso giunge comunque ad una conquista di realismo, di storicità e di inquieta religiosità popolare, soprattutto attraverso Manzoni. Leopardi, pur movendo da prospettive anti-romantiche, giunge a risultati poetici assimilabili a quelli della Kulturpoesie tedesca.
ROMANTICISMO STORICO E PERENNE
Il Romanticismo perenne è uno stato d’animo tipico dello spirito umano, connaturato nell’uomo ed emerso in ogni secolo. Intendendo, infatti, il Romanticismo come contrasto tra ideale e reale, tra finito e infinito, il Romanticismo coincide con il Cristianesimo; intendendolo come sogno, fascino del diverso e dell’ignoto, rientrano in esso le avventure dei Cavalieri della tavola rotonda, l’ulissismo, ovvero l’ansia di compiere nuove esperienze. Romanticismo inteso come senso dinamico della realtà, ci rinvia al barocco.
Concependolo come introspezione, scavo interiore ed analisi acuta ingloba la poesia di tutti i temi da Saffo a Catullo, a Petrarca fino a Tasso.
Il Romanticismo storico si ha invece quando l’uomo acquista coscienza critica di tutte le tendenze sentimentali patetiche e fantastiche, insite nella sua natura e le traduce in una filosofia, in una poetica, in un gusto, in un particolare costume di vita politica e sociale, che si denomina appunto Romanticismo.
LA QUESTIONE DELLA LINGUA
La questione della lingua viene affrontata per la prima volta da Dante nel “De vulgari eloquentia”, quando volendo indicare ai letterati italiani la lingua che dovevano usare, disprezzò tutti i 14 dialetti della penisola ed auspicò un volgare costituito dagli elementi più nobili, fini ed eleganti dei volgari italiani. Nel ‘500 Bembo propose l’imitazione di Petrarca in poesia e di Boccaccio in prosa.
Affrontarono la stessa questione nel ‘700 l’Accademia dei Pugni, che proponeva totale libertà espressiva; quella dei Granelleschi, che auspicava l’imitazione della lingua del ‘300; quella dei Trasformati, che mediava le posizioni precedenti, proponendo una libertà espressiva giudiziosa e il rispetto della tradizione. All’inizio dell’ ‘800, sotto il dominio napoleonico, con la penetrazione nella lingua italiana di francesismi ed europeismi e a causa del gusto promosso dal Neoclassicismo e per ragioni poetiche e patriottiche, dovute al risveglio della coscienza nazionale, si riapre tale questione.
Si stagliano diverse posizioni.
PURISTIIL maggior esponente è Cesari. Egli ripropone un ritorno al ‘300, al secolo d’oro, in quanto la lingua popolare del ‘300 è semplice e spontanea. Puoti è concorde con Cesari, ma rivaluta anche gli scrittori dei secoli successivi.
CLASSICISTI Monti e Giordani.
Rivalutano la lingua comune ai letterati e alle persone dotte del ‘300-‘400-‘500. Giordani pone anche in evidenza il rapporto fra intellettuali e popolo del ‘300-‘400, pertanto afferma che lo scrittore deve essere guida nazionale, usando una lingua d’elite.
ROMANTICI Secondo i Romantici la lingua deve essere attuale, nazionale e popolare, mezzo di comunicazione con il popolo. Intravedono nella separatezza un elemento negativo per la formazione della lingua nazionale.
MANZONI
Egli affronta la questione della lingua, dapprima per motivi religiosi, poi per ragioni politiche. Già nella terza edizione de “I PROMESSI SPOSI” nel 1840, egli aveva proposto l’uso del fiorentino, come Machiavelli, considerata da lui come una lingua anti-accademica. Nel 1850 con la lettera al Carena rivaluta ancora una volta questa tesi. Era però impossibile che il fiorentino divenisse una lingua nazionale, perché avrebbe comunque rinsaldato il divorzio fra lingua scritta e lingua orale.
Dopo l’unità italiana, raggiunta nel 1861, quando Broglio incaricò Manzoni di scrivere una relazione sulla lingua italiana, egli sostenne la necessità di riprendere il fiorentino vivo, da diffondere attraverso la scuola o un vocabolario.
Non era possibile trasformare i milanesi o i napoletani in fiorentini, facendo loro abbandonare la propria forma mentis. Bisognava creare una lingua nazionale che non intaccasse l’identità regionale.
ISAIA ASCOLI
La cultura deve diventare patrimonio dei più, questa è la propensione di Isaia Ascoli e pertanto propone di riprendere il patrimonio di esperienze linguistico - culturali, comuni a tutta Italia, per lo sviluppo di una lingua nazionale. Essa si potrà diffondere solo quando i ceti subalterni potranno partecipare a momenti di vita collettiva unitari. Il tempo ha risolto sul piano pratico la questione della lingua, che Isaia Ascoli aveva risolto teoricamente.
ALESSANDRO MANZONI
Formatosi inizialmente presso i Padri Somaschi e Barnabiti, Manzoni mostrò ben presto simpatia per gli ideali giacobini che si andavano diffondendo in Italia. Pur sentendosi vicino agli ideali giacobino- democratici, Manzoni cominciava a sentirsi insoddisfatto del comportamento dei Francesi e dell’autoritarismo di Napoleone.
Solo quando si recò in Francia presso la madre Giulia Beccaria e frequentò gli intellettuali più in vista, iniziò a mutare i suoi orientamenti politici. Trasferitosi da Giulia, Manzoni nel 1805 compose il Carme “In morte di Carlo Imbonati”, indirizzato come Consolatio alla madre. Immagina che gli appaia in sogno l’Imbonati( suo precettore era stato Parini) e gli dia dei consigli sul giusto modo di intendere l’arte. Ne sorge un modello di vita virtuosa, di nobile comportamento intellettuale, sdegnosamente appartato dal mondo, alieno al compromesso. Massimo punto di riferimento è proprio Parini, precettore di Imbonati(stesso Parini dell’Ortis foscoliano). All’impossibilità di agire nella situazione contemporanea, si oppone la forza solitaria del SENTIRE E DEL MEDITARE.
L’ideale poetico è quello di meditare su ciò che è e su ciò che deve essere. Gli ultimi 8 versi sono otto massime, otto corollari che spiegano i due infiniti sentire e meditare. E’ quasi un programma di vita stoica. Seguire il Vero e non sottoporsi ai potenti, rendere la propria poesia libera da qualsiasi servilismo.
Frequentando in Francia gli IDEOLOGUES (FAURIEL E CONDORCET), intellettuali che pongono in discussione la Rivoluzione francese e si orientano verso un liberismo moderato, Manzoni trova un sostegno alla sua insoddisfazione, di fronte alle prospettive illuministiche e al suo bisogno di aderire ai valori collettivi e universali, di cui si facevano portavoce le tematiche romantiche, di cui viene a conoscenza in questo periodo. Muta le sue prospettive culturali, facendosi più attento alle tematiche storiche e politiche, e la sua concezione della poesia, che cessa di essere solitaria per divenire comunicativa.Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel ,calvinista,nel 1810 sotto la guida degli abati Degola e Tosi avviene la conversione manzoniana.
Essa non è l’effetto di un’illuminazione fulminante né comporta una mutazione improvvisa ed assoluta di prospettive intellettuali e culturali.
E’ una conversione agostiniana basata sul CREDO UT INTELLIGAM, CREDO PER CAPIRE, non è l’approdo ad un porto tranquillo, come sostiene Momigliano, ma è uno sforzo continuo di spiegare razionalmente il reale alla luce della fede. La fede diventa , quindi, strumento di conoscenza e non si deve intendere come un’immersione nell’irrazionale; è invece il raggiungimento di una razionalità più elevata ed universale. E’ un cattolicesimo convinto, fervido e vissuto non come una tranquilla rinuncia ad ogni ricerca, ma come una spinta problematica, che porta a continue contraddizioni e a domande tormentose SULL’ESSERE E SUL DOVER ESSERE.
Il Cristianesimo rappresenta il DOVER ESSERE, il giusto modo di comportamento, mentre la società, le convenzioni sociali e le istituzioni spingono l’uomo ad ESSERE, a manifestarsi in tutte le contraddizioni. Manzoni non si limita ad osservare questo conflitto tra esigenza morale e realtà, ma come ha affermato il De Sanctis, cerca di calare l’ideale cristiano nella realtà, pur sapendo che esso non si può realizzare in terra, ma solo nel regno di Dio. Dalla religione Manzoni fa scaturire una ricerca rigorosa che vuole scoprire tutti i comportamenti provvisori e compromissori che gli uomini assumono in campo morale e sociale. Questa tensione interiore inoltre vorrebbe risolvere anche le contraddizioni intime dell’autore, che è sempre inquieto nel desiderio di votarsi al silenzio, seguendo la sua vocazione naturale e di dar vita ad una poesia corale e comunicativa. Egli rifiuta i facili compromessi e con tale atteggiamento denota le connotazioni gianseniste del suo cristianesimo.
Il Giansenismo era nato in piena Controriforma, ad opera del monaco olandese Giansenio, che presupponeva che la Grazia Divina spetta solo a pochi eletti, già predestinati da Dio. Manzoni meno rigoroso crede che la Grazia Divina spetti a tutti coloro che soffrono sulla terra e sono vittime dell’ingiustizia umana. Tenta così di superare la propria concezione pessimistica della storia, cercando una giustizia che sia al di sopra della storia stessa.
Con la conversione gli ideali illuministici rimangono e persistono, riletti però secondo la fede cristiana. Gli ideali democratico- giacobini si trasformano in ideali evangelici e cristiani, guarda e d osserva attentamente il popolo e la storia che non gli ha mai reso giustizia, ma questo non significa che Manzoni creda che il popolo possa riscattarsi. Il popolo che Manzoni predilige è quello che umilmente si piega ai soprusi dei potenti, meritando così quella giustizia divina e quella grazia che solo Dio può dare. Ogni momento storico più negativo conduce l’uomo più misero verso l’eternità.
INNI SACRI
Immediatamente dopo la conversione, tra il 1812 e il 1815, Manzoni compone gli Inni Sacri. Progetta dodici inni dedicati alle festività fondamentali della liturgia cattolica,ma ne scrive solo cinque, La Resurrezione, In nome di Maria, Il Natale, La Passione e nel 1822 la Pentecoste. In questa poesia religiosa Manzoni esprime un suo bisogno di aderire a valori collettivi e rituali. Vuole attuare una comunicazione corale. Le feste cattoliche appaiono come forme di un presente che si ripete continuamente, con il rinnovarsi del popolo cristiano. Questi eventi hanno impresso un segno immutabile in una società mutevole e frammentaria, segnando la vita del praticante cristiano, celebrandol Manzoni crea una poesia corale.
I primi 4 Inni sono stati molto criticati per il fatto che il tentativo dell’autore di riprodurre in chiave moderna il linguaggio biblico si è rivelato una parafrasi dei testi evangelici. Solo nella Pentecoste la discesa dello Spirito Santo viene presentata in modo critico e calata nel reale. Lo Spirito Santo discendendo sugli Apostoli ha trasformato gli uomini rozzi in uomini colti e intrepidi paladini della fede, pronti al sacrificio fino al martirio. La sua discesa continua tutt’ora a trasformare le menti e i cuori degli uomini, operando una conversione perenne. Vi è un inno alla Chiesa dei credenti, una Chiesa militante e trionfante.
LE TRAGEDIE
Nel 1816 Manzoni inizia la stesura di “Il Conte di Carmagnola”, ma la sua esigenza di trovare un legame unitario tra concezione poetica ed umana lo spinge a riflessioni saggistiche religiose.
Scrivendo la tragedia sorgono delle contraddizioni esistenti tra verità assoluta della fede e i comportamenti mutevoli della Chiesa, nel corso della storia. Decide di scrivere , pertanto, LE OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA.
L’opera si presenta come una risposta alle accuse dello storico ginevrino Sismondi, che riteneva la Chiesa responsabile della corruzione e della decadenza italiana. Manzoni rivendica, invece, l’impegno della Chiesa nella difesa dei deboli e degli oppressi. Distingue la purezza dei valori cristiani contrapponendoli ai comportamenti violenti, che hanno spesso assunto anche coloro che si richiamavano ai valori cristiani. Questo però non può intaccare i meriti storici della Chiesa e il valore dei suoi dogmi. Nel suo argomentare procede con una logica serrata e con ironia.
Attraverso l’ironia e la litote, i mezzi preferiti dall’autore per dire e non dire, per aggredire nascondendosi e difendendosi contro le sproporzioni della realtà, rivela le contraddizioni dei ragionamenti altrui. Collegata alla tragedia “Il Conte di Carmagnola” è anche la LETTERA A MONSIEUR CHAUVET.
Essa è una risposta alle critiche che erano state mosse alla sua tragedia, ma diventa un vero e proprio manifesto di poetica.
Chauvet aveva rimproverato al Manzoni di non aver concepito la tragedia secondo le unità aristoteliche, di Tempo , Luogo e dAzione.
Il Manzoni controbatte le accuse dimostrando che quelle regole sono assurde, in quanto impediscono una rappresentazione adeguata sia della verità storica che psicologica.
Rifacendosi a Goethe , a Schiller e soprattutto a Shakespeare, anticlassico per eccellenza, afferma che la poesia tragica deve indagare sui sentimenti, con cui gli uomini vivono gli avvenimenti e su quegli aspetti della storia che sfuggono alla storiografia manualistica. Per far ciò bisogna rifiutare, dunque, ogni elemento falso e artificioso, per puntare sulla piena oggettività. La tragedia classica era imperniata sui desideri, in prevalenza amorosi ,e suscitava nel pubblico un’illusoria identificazione con le passioni dei personaggi, operando una funzione catartica e purificatrice.
La tragedia storica deve mettere in luce i patimenti, i dolori di eroi tragici che soffrono e evidenziano il limite della condizione umana, dalla realtà stessa si devono pertanto trarre idee drammatiche. Da questo dovere del poeta di rispettare la verità dei fatti, prende inoltre spunto per parlare del rapporto tra storia e poesia. Entrambe hanno come comune oggetto di osservazione e rappresentazione il VERO, cioè il reale accadimento degli eventi, ma lo trattano in modo diverso. La storia indaga criticamente i fatti, studiandone le cause, lo svolgimento e gli effetti e non si cura dei sentimenti, provati dai protagonisti. La poesia invece viene ad integrare la storia cercando di interpretare, sullo sfondo del vero storico perfettamente ricostruito, IL VEROSIMILE PSICOLOGICO, ossia i sentimenti, con cui gli individui hanno vissuto la storia. La poesia mette in luce ,inoltre, il divino, la Provvidenza, che opera nella coscienza individuale e nella storia. VERO STORICO E VERO POETICO sono tra loro in rapporto di reciproca integrazione. Mentre la storia, che emerge dalla storiografia, è una specie di diario pubblico, consistente in dichiarazioni di guerra, trattati di pace e avvenimenti ufficiali, nel romanzo storico l’autore parte dalla cornice storica, ricreata in modo realistico attraverso documenti, ma procede oltre.
Inserendo personaggi inventati e reali, ricostruisce il vissuto popolare che è l’essenza della storia. Il vero storico e il vero poetico sono, pertanto, due modi di rappresentare il vero. Il lavoro storico del poeta consiste nell’ordinare gli eventi secondo una prospettiva precisa che dia loro un senso. Questa prospettiva è la CATASTROFE. Il poeta fra i molti fatti collegati tra loro ne trova uno principale, intorno al quale si raggruppano gli altri, come mezzi o come ostacoli. La Catastrofe è un evento intravisto da lontano che si vuole evitare, ma verso il quale ci si precipita, spinti inconsapevolmente dal Disegno Provvidenziale.
Anche in virtù di ciò è impossibile attenersi alle unità di tempo e luogo. L’unica che Manzoni rispetta è l’unità di azione, che permette uno svolgimento logico degli avvenimenti.
IL CONTE DI CARMAGNOLA
La tragedia si svolge in cinque atti. E’ ambientata tra il 1425 e il 1432 e narra la vicenda del condottiero Francesco di Bussone, Conte di Carmagnola. Passato dal servizio dei Visconti Milanesi a quello dei Veneziani, malgrado abbia vinto i Milanesi nella battaglia di Maclodio del 1427, viene accusato di tradimento dalla Repubblica di Venezia e condannato a morte. Manzoni presenta il Conte come un eroe virtuoso, condotto alla rovina dagli intrighi degli uomini veneziani, in effetti la storia lo ha sempre presentato come un uomo corrotto ed avido.
Il conflitto comunque tra l’eroe virtuoso e leale e gli intrighi di potere è schematico, non ci sono nella tragedia profondi nodi tragici, in quanto non viene mai presentato con forti tensioni interiori. Dall’accusa dei Veneziani non si difende pensando alla morte come unica via d’uscita. Il personaggio più tragico è invece Marco, amico del Conte e senatore veneziano, combattuto far la ragion di stato e l’affetto per il Carmagnola. La tragedia non è incentrata sulle azioni, inizia quando tutta la gloria del Conte è ormai passata, la scelta della lotta tra le signorie, come momento storico di fondo, è funzionale al suo voler velatamente giudicare il suo tempo. Le lotte fratricide di cui parla non possono non riferirsi alla divisione interna degli italiani nell’ ‘800, divisione che permetteva agli stranieri di prendere con facilità il potere in Italia, ormai ridotta a preda.
Fra il II e il III atto si inserisce il Coro. Il Coro è definito da Manzoni stesso un CANTUCCIO LIRICO, che a differenza del coro greco può essere estromesso dall’intreccio dell’opera senza che essa ne risenta.
Il Coro introduce un punto di vista opposto a quello dell’eroe e dei personaggi. La battaglia viene giudicata come una strage irrazionale di stolti guerrieri, tra Italiani che muoiono senza ragione.
Questo orizzonte nazionale si allarga però ad una più ampia condanna della guerra e della violenza. All’umanità immersa nella lotta per la sopraffazione la voce del coro oppone il messaggio cristiano e la fratellanza.
ADELCHI
Nel ’21 Manzoni inizia a stendere la seconda tragedia, ambientata questa volta nel 772-774, all’epoca del dominio longobardo. Ad essa comunque presuppone un lavoro di ricostruzione storica con il DISCORSO SOPRA ALCUNI PUNTI DELLA STORIA LONGOBARDICA IN ITALIA.
Esso viene pubblicato in appendice all’Adelchi. All’impegno di ricerca di documentazione si collega l’intento di rivendicare la funzione positiva del Papato sulla storia dell’Italia medievale.
Manzoni critica la storiografia laica che attribuiva alla presenza dello Stato della Chiesa la mancata formazione di uno spirito nazionale italiano.
Egli afferma invece che la Chiesa ha assunto la funzione di rendere meno disperata l’esistenza delle masse di fronte a questi popoli barbari, di cui Manzoni non riconosce la generosità, solitamente attribuita dalla storiografia. La difesa del ruolo storico della Chiesa si lega del resto ad un atteggiamento anti-austriaco e alle speranze in un Papato come guida nella liberazione dell’Italia.
L’opera manzoniana pone dunque l’accento sull’esigenza di una storiografia che si ponga dalla parte dei popoli, che non guardi tanto alle lotte di potere quanto alle condizioni delle masse umane, vittime indifese dei potenti.
Rispetto al Carmagnola la struttura dell’Adelchi è più aperta e decentrata. Ai dati storici si sovrappongono elementi morali e patetici. La tragedia inizia con il ripudio di Ermengarda da parte di Carlo Magno, chiamato dalla Chiesa in Italia per la liberazione dalla dominazione longobarda.
Se Desiderio, padre di Ermengarda, pensa alla ragione di stato ed è propenso a dichiarare guerra ai Franchi, Adelchi, fratello della donna, sa bene che la guerra non porterà che distruzione alla sua stirpe. Si sente invece molto vicino alla sorella e alla sua sofferenza. Egli non sente suo quel ruolo che la storia gli ha imposto e preferirebbe venir meno ai suoi obblighi. Di fronte alla risolutezza del padre a combattere, si getta però nella mischia per cercare la morte nel combattimento e porre fine con essa ai suoi travagli.
Ermengarda intanto, ritiratasi nel convento della sorella Ansberga, muore.
Carlo Magno viene presentato come un personaggio spregiudicato, mosso da un forte realismo politico e dai compromessi. A lui come ai Franchi e a Desiderio va tutto il disprezzo di Manzoni, che partecipa invece alle sofferenze dei due eroi, Adelchi e Ermengarda.
Ermengarda è una vittima remissiva, una sposa ripudiata che vede riaffiorare i ricordi di un passato superbo e felice, mentre tenta di proiettarsi verso la consolazione e la pace della morte cristiana.
Cerca di dimenticare, di annullarsi, ma il dolore è troppo cocente e d è incapace di odiare. Solo con la morte può sottrarsi a queste sofferenze. Risorge con la morte in una purezza di chi non partecipa alla forza e al potere. Lei che appartiene alla stirpe degli OPPRESSORI, è in effetti un’ OPPRESSA, e la sua sventura è provvidenziale, in quanto le permette di assaporare quella vita in cui l’ingiustizia e la violenza non esistono. Adelchi è un eroe tragico, la cui virtù si esalta in imprese pure e non nei rapporti di forza. Egli non potrà essere mai fino in fondo l’eroe che vorrebbe essere, perché deve adeguarsi ai voleri del re Desiderio ed essi contrastano con il suo bisogno di giustizia. La morte diviene per lui il ritrovamento dell’essenza più profonda dell’uomo, essenza posta sotto il segno della giustizia divina. Nell’Adelchi i cori sono due, uno è dedicato ad Ermengarda e alla sua morte ed è funzionale allo svolgimento della tragedia; il secondo è invece proiettato al di là dello spazio tragico.
Vengono messe in luce le vicende di tre popoli i Franchi, i Latini e i Longobardi. Attraverso esso Manzoni vuole ancora una volta criticare un dannoso atteggiamento italiano, quello di attendere l’arrivo dello straniero per liberarsi da una tirannica dominazione.
I Longobardi rappresentano gli Austriaci, i Franchi i Francesi e gli Italici gli Italiani.
Sia nell’Adelchi che nel Conte di Carmagnola i protagonisti sono personaggi di alto rango sociale, eppure dei vinti ,che trovano in Dio e nella morte la fine di ogni loro tormento. Il Dio delle tragedie è un Dio severo, rispetto a quello che troveremo nel Romanzo, in quanto esige la morte per concedere felicità e serenità. Ne “I Promessi sposi” dove i protagonisti sono GENTI MECCANICHE E DI PICCIOL AFFARE si attuerà una felicità terrena, con il ricongiungimento di Renzo e Lucia, con il loro matrimonio.
MARZO 1821
MARZO 1821 viene scritta nel clima di speranze suscitato in quel periodo dalla politica piemontese e dall’ipotesi che il reggente Carlo Alberto potesse muovere guerra agli Austriaci. Verrà comunque pubblicata nel 1848, quando la lotta contro gli Austriaci avrà finalmente successo.
Manzoni definisce il nuovo concetto di nazione, nato dalle esperienze della Rivoluzione Francese. Una nazione è tale non per un fatto geografico o politico, ma solo quando è costituita da un popolo che si sente accomunato dalle tradizioni militari, linguistiche, culturali e religiose. Se non vi è tale comunanza si ha solo un volgo disprezzato e non un popolo. Altro concetto è quello della libertà. La libertà è sacrificio e conquista e deve nascere dalla volontà concorde di un popolo.
La dedica al poeta tedesco testimonia che il nuovo concetto di nazione in Manzoni non è diventato chiuso nazionalismo ma è esteso a tutti i popoli.
La lotta per la libertà arriva ad accomunare tutti gli spiriti liberi siano essi italiani o tedeschi.
L’ode non è quindi un inno di guerra ma un incitamento a tutte le nazioni civili. Egli crede nell’uguaglianza di tutti i popoli di fronte a Dio. Non vi sono quindi parole di odio,la meditazione religiosa permette alla poesia manzoniana di elevarsi al di sopra di ogni bassa passione di vendetta.
IL CINQUE MAGGIO
E’ l’unica poesia che compone di getto, alla notizia della morte di Napoleone. La censura non ne permise la pubblicazione. Ricco di fratture e pause, il discorso si avvolge in oscurità sintattiche. Manzoni non aveva mai parlato di Napoleone, anzi lo aveva guardato con ostilità e diffidenza, ma nel componimento rilegge la sua vita e le sue azioni in chiave cristiana. Abbandona la poesia collettiva per guardare alla vicenda di un individuo che nella vita ha dato prova di eroismo.La sconfitta riscatta però questo eroismo individualistico e si inserisce nel piano della Provvidenza.
Manzoni immagina un approdo della sconfitta, stanco e deluso nella pace della fede religiosa che lo libera dalla disperazione, lo allontana dalle passioni e dai desideri terreni per proiettarlo nella speranza della morte cristiana. Non conta più quello che Napoleone ha fatto ma il suo rapporto con Dio,Napoleone
è stato uno strumento di cui Dio si è servito. Napoleone può essere paragonato ad Ermengarda, entrambi sono personaggi storici e prossimi alla morte. Entrambi hanno una colpa da farsi perdonare,Napoleone quella della superbia, Ermengarda quella ereditaria della rea progenie, da cui discende. Entrambi però purificati dalla sofferenza, PROVVIDA SVENTURA,sono degni di vera gloria, in quanto strumenti di un’ulteriore vittoria della Fede.
LETTERA SUL ROMANTICISMO AL MARCHESE CESARE D’AZEGLIO
In questa lettera scritta nel 1823 Manzoni fornisce una sintesi chiara delle idee romantiche inserendosi nel dibattito fra classicisti e romantici. Dobbiamo distinguere due parti nella strutturazione della lettera.
PARS DESTRUENS Mette in luce i meriti dei Romantici nel demolire il complesso delle regole imposte dal classicismo, accentuando la polemica contro la mitologia, che non è solo un fatto letterario ma comporta anche problematiche religiose, in quanto rappresenta una forma di idolatria.
PARS COSTRUENS Manzoni, pur riconoscendo i limiti del movimento romantico, ribadisce il concetto di un’arte realistica, rifiutando gli aspetti patetici, irrazionali e medievaleggianti del Romanticismo tedesco e inglese, ovvero tutte quelle saghe sugli spettri, le streghe e i folletti. Il Romanticismo italiano sarà infatti moderato e frenato nelle sue estenuanti manifestazioni dall’armonia che è insita nella cultura classica.
Manzoni ribadisce il fatto che l’arte debba essere fondata sul vero storico e in virtù di ciò rifiuta la mitologia nordica. L’accordo tra il vero storico e il vero poetico è arduo ma Manzoni trova un ‘ottima realizzazione con il verosimile.
I PROMESSI SPOSI
L’approdo al romanzo manifesta il bisogno dell’autore di una struttura letteraria più aperta e disponibile che gli permettesse di allargare lo sguardo su un’intera società. Sotto l’effetto della lettura dell’Ivanhoe di Walter Scott si accinge così nel 1821 a comporre un romanzo storico per il quale tra l’altro aveva già cercato un’ampia documentazione, sulla base dell’HISTORIA PATRIA di Ripamonti e l’HISTORIA ECONOMICA di Melchiorre Gioia.
In queste opere si faceva riferimento ad una monacazione forzata e ad una conversione di un malfattore aristocratico.
La prima edizione del 1823 con il titolo di Fermo e Lucia. Il Fermo e Lucia è un altro romanzo rispetto ai Promessi Sposi, molti sono i capitoli dedicati a Gertrude , al Conte del Sagrato e al Cardinale Federigo.
E’ un romanzo saggistico dove ci sono sottili analisi morali e vicende sottoposte a critica. Ci sono gli umili e i potenti, ma tra i due gruppi non sembra poter sussistere comunicazione. Gli sforzi del romanziere sono indirizzati ad analizzare innanzi tutto le forme della malvagità umana. Anche i personaggi positivi sono sottoposti a questa analisi e con ironia aggressiva mette in luce i comportamenti illegali e contraddittori, i buoni sono così destinati all’accecamento e all’autoinganno.
Il richiamo ai superiori disegni della Provvidenza divina è vivo anche in questa prima stesura ma non riesce a coprire la negatività dell’ essere uomo e la difficoltà che la giustizia incontra nel mondo.
Nel 1827 esce la seconda edizione, definita la VENTISETTANA, dove cambiano i nomi e vengono eliminati alcuni capitoli dedicati alla Monaca di Monza. Il Conte del Sagrato diviene l’Innominato e cambia la morte di Don Rodrigo. La parte dedicata al processo agli untori diviene un vero e proprio romanzo storico LA STORIA DELLA COLONNA INFAME, posto in appendice all’edizione del ’40.
L’edizione del 1840, definita LA QUARANTANA o RISCIACQUATURA IN ARNO, presenta invece dei mutamenti linguistici. Vengono eliminati dei lombardismi per adottare il fiorentino vivo usato nella Toscana contemporanea. Nasce un linguaggio vivo e antiletterario, capace di adattarsi alla varietà dei casi e dei personaggi rappresentati.
Un linguaggio potenzialmente nazionale in quanto adatto alle esigenze della nuova letteratura. Nei modi comunicativi della borghesia fiorentina egli trovava una misura elegante e cordiale, discreta e urbana. E’ una scelta linguistica moderata che nel romanzo ha la funzione di mediare le diverse forze in conflitto e instaurare un equilibrio finale, pur nella pluralità delle voci, dei livelli e delle condizioni morali e sociali.
Gli umili e i potenti parlano tutti la stessa lingua, in un mondo linguistico omogeneo e unitario in cui non c’è spazio per il dialetto. Il plurilinguismo viene usato solo per sottolineare contrasti di cultura, l’uso del latino ad esempio da parte dei colti diviene strumento di oppressione degli umili, così come lo spagnolo, durante i moti di Milano, viene utilizzato per ingannare il popolo incolto.
Di questa scelta fiorentina adottata per il suo romanzo Manzoni volle fare un modello nazionale da proporre per operare una vera e propria unificazione linguistica del nuovo stato italiano. Il manzonismo linguistico ebbe l’assurda pretesa di imporre nella nuova scuola italiana la lingua della borghesia fiorentina, sempre più estranea ai conflitti posti dall’incontro fra tradizioni regionali diverse. La sua divenne una prospettiva sterile e di grave ostacolo ai nuovi orizzonti linguistici e culturali del paese. Il romanzo è ambientato nella campagna lombarda tra l’Adda e il Lago di Como, tra il 1628 e il 1630, quando il Milanese fu sconvolto dalla guerra dei trent’anni.
La scelta del ‘600 propone un quadro storico abbastanza lontano da quello contemporaneo, ma non immerso nell’immaginario medievale.
Il ‘600, inoltre, caratterizzato dalla dominazione spagnola forniva un riferimento indiretto all’’800 italiano sottoposto alla dominazione austriaca. Quel mondo seicentesco mostra dunque dei tratti in comune con quello contemporaneo all’autore, anche se gli sviluppi della civiltà inducono a guardare da grande distanza, col sollievo di chi si è liberato da forme intollerabili. La negatività della vita sociale del ‘600 mette il narratore al riparo da ogni pericolosa idealizzazione della sua materia, anche se poi un orizzonte così oscuro gli permette di rilevare alcuni comportamenti positivi. Manzoni in questo modo alterna distacco e disponibilità, uno sguardo partecipe, una coscienza dell’assoluta estraneità dalle vicende, rispetto alle leggi. Il primo strumento di distanziamento e di partecipazione è offerto dall’invenzione del manoscritto, lo SCARTAFACCIO DILAVATO.
L’autore finge di aver trovato un manoscritto del secolo XVII, che narra una storia milanese, raccontata da Renzo all’Anonimo, autore dello scartafaccio.
L’Anonimo rielabora e commenta i fatti sulla base del resoconto di Renzo. Manzoni è costretto a riscrivere completamente la storia, perché lo scartafaccio è dilavato, rovinato. Ciò gli permette però di sostituire i suoi commenti a quelli dell’Anonimo.
Si creano quindi 3 piani narrativi Renzo l’incolto del ‘600, l’Anonimo il dotto del ‘600 e Manzoni il letterato dell’ ‘800. Questo comporta la presenza di tre concezioni diverse e tre mondi ideologici che si intersecano all’interno della narrazione. Si crea così una mescolanza di oggettività storica e invenzione narrativa. La struttura dei Promessi Sposi si ricollega allo schema romanzesco tradizionale, ma essa si compone anche di altri generi: il Romanzo saggio, che è rappresentato dai passi storici; il Romanzo d’avventura, la fiaba per il lieto fine;il Romanzo di formazione , Bildungsroman, quando Renzo da ragazzo ingenuo di campagna diviene adulto, dopo aver partecipato ai moti di Milano. Mancano i risvolti fantastici in quanto il romanzo si svolge in una realtà sociale e storica, ben definita e ricostruita, in cui l’autore ricerca valori morali e religiosi, fra i numerosi elementi negativi.
I PERSONAGGI
PROTAGONISTI RENZO E LUCIA OPPRESSI
ANATGONISTI DON RODRIGO E L’INNOMINATO OPPRESSORI
PROTETTORI FRA CRISTOFORO CARDINALE FEDERIGO BORROMEO
STRUMENTI DON ABBONDIO MONACA DI MONZA
Possiamo individuare in questa schematizzazione la presenza di 4 personaggi laici e 4 personaggi religiosi
LAICI RELIGIOSI
LUCIA FRA CRISTOFORO
RENZO CARDINALE FEDERIGO
DON RODRIGO DON ABBONDIO
L’INNOMINATO MONACA DI MONZA
Renzo e Lucia rappresentano la forza positiva dell’operosità e della religiosità popolare e sono al centro dell’azione. Don Rodrigo incarna i caratteri del libertino con il suo capriccio per Lucia che mette in moto il romanzo.
L’Innominato è il personaggio che con la sua conversione inverte il movimento del romanzo. Renzo e Don Rodrigo , i due rivali, non si incontrano mai, se non quando Don Rodrigo ormai in punto di morte non è in grado di parlare.
Lucia e l’Innominato non solo si incontrano ma si integrano, Lucia diviene infatti la causa ultima della rinascita spirituale dell’Innominato.
Don Abbondio è il personaggio più umile, chiamato in causa controvoglia, in quanto preferirebbe non partecipare, non essere distolto dalla sua immobilità.
Padre Cristoforo dopo una vita di peccato abbraccia la vita religiosa, convertendosi alla giustizia e alla verità, sostenuto dalla cultura e dall’esperienza mondana.
La Monaca di Monza incarna tutti i malefici effetti degli intrecci tra sistema ecclesiastico e prepotenza sociale.
Padre Cristoforo e la Monaca di Monza sono accomunati dal fatto che entrambi entrano nel mondo religioso attraverso una crisi dolorosa, cioè in seguito a circostanze diverse che hanno limitato la loro libertà di scelta. Mentre però Fra Cristoforo scopre in sé una vocazione vera e ardente, Gertrude, al contrario, frustrata dal chiostro, non avendo in sé alcuna fede, si rende complice di omicidi, vivendo una vita dissoluta e di peccato.
Il cardinale Federigo Borromeo è l’immagine della presenza del bene nelle strutture più alte della società, di una nobiltà impegnata a coltivare un’autentica religiosità e carità. Si propone come un paternalistico e compassato aiutante degli umili, pur essendo da essi lontanissimo.
Si può instaurare un confronto fra Don Abbondio e il Cardinale, entrambi sono destinati al sacerdozio fin dall’infanzia, uno per obbedienza ai potenti, per la speranza di procacciarsi di che vivere e di collocarsi in una classe più elevata e degna di rispetto; l’altro per seguire il progetto, concepito fin da fanciullo, di rendere la propria vita utile e santa. Ognuno dei due assolve una precisa funzione nel romanzo, essere mediatore fra vittime e oppressori.
Lucia e Gertrude sono le uniche due donne, la prima è il trionfo del bene, la seconda del male.
Renzo si può classificare come un personaggio vettore, che si muove dal villaggio a Milano, mettendo in comunicazione città e campagna, cultura e ignoranza.
Si può considerare un ulteriore personaggio la PESTE. Essa assume una funzione riequilibratrice, rispetto alle disavventure dei protagonisti, mettendo in subbuglio l’ordine sociale, i rapporti di forza e le sicurezze dei potenti.
Essa permette a Renzo il ritorno in Lombardia e il ritrovamento di Lucia.
Il romanzo trova nella volontà il suo motore principale come nella non-volontà, ossia il tradimento, la fonte di tutte le peripezie che dapprima complicano e poi sciolgono l’azione.
Il tradimento di Don Abbondio, ovvero la rinuncia ad esercitare il suo potere per paura di Don Rodrigo mette in moto l’azione. Il tradimento dell’Innominato, ovvero la conversione, determinata dai due messaggeri di Dio ,Lucia e il Cardinale, permettono la salvezza di Lucia.
Miracolosa è la conversione dell’Innominato, naturale la peste.
I CARATTERI DEI PERSONAGGI
La narrazione manzoniana è anche un’indagine nelle contraddizioni del cuore umano, sulla ricchezza delle passioni, sui modi in cui gli uomini rispondono ai richiami dei doveri. Osserva il lato oscuro del GUAZZABUGLIO UMANO.
E’ essenziale l’attenzione ai caratteri fisici, ai gesti , all’abbigliamento, elementi estremi con cui una figura esprime la sua individualità. Mai i personaggi manzoniani si riducono a semplici funzioni narrative, anzi mostrano tutta una gamma di valori e modelli di comportamento.
Renzo è l’immagine del cristiano onesto che sa trovare sempre la via giusta, che nel turbine delle vicende terrene partecipa attivamente senza mai chiudere gli occhi.
Lucia è invece l’immagine della femminilità stilizzata, segno di bene e salvezza, è priva di elementi passionali ed erotici e incarna il ruolo ideale della subalternità della donna.
Don Abbondio è una figura comica che può suscitare sia riprovazione sia simpatia.
Per quanto riguarda i malvagi Manzoni evita di rappresentarne la malvagità pura, anche i cattivi sono insidiati dal senso di colpa che Dio impone a chi non rispetta le sue leggi.
I politici vengono tutti rappresentati in modo cinico, invischiati completamente nelle trame della forza e del potere.
Tutta la narrazione si svolge secondo il modulo del narratore ONNISCIENTE, la voce narrante si distanzia infatti nettamente dai personaggi, dalle loro azioni e dalla loro realtà.
LA POSIZIONE DEL NARRATORE
Lo scrittore inventa un suo doppio, ovvero il narratore che a sua volta presuppone un destinatario privilegiato, a cui rivolgersi e con cui intrattenersi. E’ inoltre un narratore ONNISCIENTE, ovvero egli ne sa più dei personaggi, conosce quello che pensano e quello che faranno, interviene di continuo commentando o con una digressione o con un appello al lettore. Gli interventi del narratore non interrompono però la dinamica del racconto, bensì permettono un approfondimento psicologico, storico, morale e religioso. Ciò permette al Manzoni di distaccarsi moralmente dalla storia del ‘600, che lui d’altronde condanna. Il narratore non prevarica sul personaggio facendogli vedere ciò che vuole, però si riserva l’intervento personale.
Si mescola quindi il punto di vista del personaggio a quello del narratore, ovvero quello soggettivo e quello oggettivo. Spesso la voce del narratore si colora di ironia, un’ironia che non è quella spregiudicata e distruttiva dell’Illuminismo o un’ironia come quella Romantica, che crea una frattura tra soggettività e oggettività, essa suggerisce, invece, una mediazione tra quest’ultime.
Tra l’altro l’ironia manzoniana presenta una vasta gamma di manifestazioni, vi sono punte sarcastiche, satira tagliente e sorriso comprensivo.
L’attitudine umoristica di Manzoni rafforza il suo sguardo sempre severo e spesso drammatico, che non indulge a facili giustificazionismi e sa cogliere la pena del vivere,
Tale umorismo è amaro e nasce dalla consapevolezza che l’universo storico-politico è immodificabile e negativo.
Rappresentando la negatività della storia ,sempre infestata di violenze e menzogne, non può fare a meno di rilevare la sua concezione pessimistica della storia, rovesciando con l’ironia e l’umorismo i miti ideologici. Smaschera quindi l’idea stessa di HISTORIA MAGISTRA VITAE.
Al di sopra di questo pessimismo si erge però l’OTTIMISMO TRAGICO DELLA FEDE, che spinge, nonostante tutto, alla prova dell’impegno al sacrificio.
Dentro la negatività della storia si salvano solo i rapporti autentici, rinsaldati dall’amore.
Il rapporto tra uomo e storia pertanto non si gioca solo fra ragione e ignoranza, ma fra grazia e mondanità malvagia, perché vi è un DEUS ABSCONDITUS, un DIO NASCOSTO, che opera misteriosamente senza evidenti manifestazioni nel cuore degli uomini.
CRITICHE AI PROMESSI SPOSI
GRAMSCI
Fondatore della critica marxista. Ha definito l’atteggiamento di Manzoni verso gli umili aristocratico e paternalistico, in quanto, malgrado provi pietà per i suoi personaggi, egli non accetta che il popolo si ribelli.
Il popolo non ha i mezzi per rovesciare i ruoli sociali e non deve averne. In esso sono riposti valori positivi solo fino a quando accetta i disegni provvidenziali e si adegua alle ingiustizie dei potenti. Manzoni rende per la prima volta dei personaggi umili protagonisti di un romanzo e li prospetta in una luce positiva, perché portatori di valori come la laboriosità, l’onestà e l’altruismo. Essi sono modelli solo fino a quando rimangono rassegnati e passivi di fronte ai soprusi. Non per questo si può parlare di POPULISMO, ovvero di quell’atteggiamento ideologico che riconosce nel popolo l’antidoto alla corruzione e alla degenerazione. Manzoni infatti, pur mostrando simpatia per il popolo, non si immedesima in esso. E’ e rimane un aristocratico.
Né si può definire l’ideologia manzoniana democratica, in quanto l’autore è convinto che il popolo sia ignorante, facile all’emotività e quindi incapace di agire politicamente(moti di Milano). Il popolo ha sempre bisogno di una guida.
CALVINO
Ha definito i Promessi Sposi il romanzo dei RAPPORTI DI FORZA, ovvero la lucidissima analisi di una realtà fatta tutta di contrasti, di azioni e reazioni tra forze precisamente caratterizzate dal punto di vista psicologico, materiale e sociale.
Quando si parla di forze si intendono non solo quelle storiche, ma anche quelle naturali, come la peste e la carestia, dietro alle quali si nasconde la Provvidenza.
RAIMONDI
Ha definito” I Promessi Sposi” il ROMANZO SENZA IDILLIO,ovvero manca nel romanzo qualsiasi possibilità di evasione. Egli smentisce un luogo comune della vecchia critica manzoniana da cui il romanzo veniva catalogato come EPOPEA DELLA PROVVIDENZA.
Raimondi vuole dimostrare che la certezza di un ordine provvidenziale che agisce sulla storia, premiando i buoni e punendo i cattivi, sia prerogativa solo dei personaggi e non di Manzoni.
In effetti la Provvidenza è una categoria che appartiene alla sfera e alle affermazioni dei personaggi. La Provvidenza è per Manzoni un segno di Dio che si manifesta nell’intimo dell’uomo a cui rimane tuttavia la responsabilità delle proprie azioni.
Non appartiene a Manzoni la provvidenza, perché è codice della cultura dei suoi personaggi, che si affidano ad essa, non avendo altro punto di riferimento. La provvidenza è il mezzo con cui i protagonisti difendono e affrontano il mondo. Anche il lieto fine è tale solo nell’ottica di Renzo e Lucia, per Manzoni non è così, in quanto conclude il romanzo affermando che non sanno ancora a quanti “crucci” andranno incontro.
Il romanzo non appagò Manzoni nella sua ricerca di verità e di storicità, soprattutto per il fatto che coloro che tentarono la via del romanzo storico mal riuscirono, creando opere fittizie. Nel 1831 pubblica pertanto il saggio SUL ROMANZO STORICO, dove Manzoni critica il verosimile che ha creato nei Promessi Sposi e condanna l’invenzione che ha contaminato la ricerca storica. Il verosimile è contraddittorio, perché storia e d invenzione non possono fondersi nella stessa opera. Attribuire ai personaggi inventati o reali determinati sentimenti e idee significa contaminare la ricerca della verità, che era il suo primo obiettivo.
Il poeta rimane sempre uno storico imperfetto. Nel 1850 pubblica però il dialogo DE INVENTIONE, dove Manzoni torna a rivalutare l’invenzione, intendendola nel suo vero significato etimologico latino. INVENTIO, in latino, significa trovare qualcosa che preesiste e che può preesistere solo nella mente di Dio. Inventare significa dunque scoprire il vero celato in Dio. Verosimile diviene in conseguenza, manifestazione di due modi di rappresentare il vero, vero storico e vero poetico.
Il poeta non è un genio soggettivo, perché quando crea con la fantasia non fa altro che essere al servizio della verità di Dio. Il compito del poeta è un servizio alla verità, far emergere dentro la rappresentazione di un fatto la verità di quel fatto, la verità dell’uomo e della storia.
STORIA DELLA COLONNA INFAME
L’unica opera realmente storica di Manzoni è “Storia della colonna infame”, estrapolata dalla prima edizione del romanzo e posta in appendice alla quarantana. E’ la storia di una colonna eretta nel 1630 a memoria dei supplizi subiti dagli untori accusati dalla superstizione popolare di aver propagato al peste.
L’autore non intende solo offrire dati storici più precisi rispetto a quelli registrati nel Romanzo ma mira anche a svolgere una risentita polemica contro le colpe dei giudici che avevano favorito le credenze superstiziose e si erano prestati ad accusare e condannare. Manzoni si scaglia quindi contro l’uso della tortura e la malafede dei giudici. Qui l’indagine avviene senza mescolare storia e invenzione, non si limita ai grandi eventi politici e diplomatici ma si abbassa ad indagare i casi minuti di valore esemplare, i drammi delle coscienze, investigati su base documentaria.
GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno del 1798 da una famiglia appartenente alla nobiltà della stato Pontificio.
Un’amministrazione poco accorta aveva compromesso il patrimonio e quindi le cure economiche vennero affidate dal padre Monaldo alla moglie Adelaide Antici. Monaldo intanto istituiva una biblioteca, in cui raccoglieva testi di filosofia e di tradizione classica. Nel piccolo Giacomo ravvisò subito un’intelligenza particolare e un forte impegno nello studio,per cui trasferì su di lui le proprie ambizioni culturali. La prima educazione di Giacomo fu da parte di precettori ecclesiastici,dal 1809 al 1816 intraprese uno studio “matto e disperatissimo” che deformò la sua spina dorsale e indebolì la sua vista. Tale studio segnò però anche il suo intelletto, cominciò a sentire Recanati come una gabbia e la sua famiglia opprimente.
Forte fu quindi l’insofferenza nel giovane per l’autoritarismo familiare, a ciò si deve aggiungere la disgraziata condizione fisica che sembrava impedirgli qualsiasi realizzazione di grande e assoluto futuro.
L’incontro con il Giordani nel 1817 fu quindi determinante, egli fu il primo a riconoscere in Leopardi un genio e soprattutto fu il primo estraneo con cui Leopardi parlava, dato che l’ambiente di Recanati “natio borgo selvaggio” gli era ostile.
In tale condizione storica e familiare, la Restaurazione, Recanati, palazzo Leopardi, Giacomo comincia a sentirsi un poeta dalle idee nuove e importanti.
Riceve la stima di Giordani, che gli parla di luoghi lontani ma reali e culturalmente avanzati. Questa amicizia crea un
senso liberatorio in Giacomo e mette in luce tutta la sua volontà di affrontare l’avverso destino, senza abbandonarsi alla rassegnazione e senza viltà.
Nel 1819 tenta di scappare da Recanati, ma solo nel 1823, dopo la sua grande stagione poetica potrà recarsi a Roma, da cui rimane amaramente deluso; dirà alla sorella Paolina, che sua unica consolazione a Roma è stata visitare la tomba di Tasso. Leopardi considerava Tasso vero poeta e genio per sensibilità, no per circostanza come Dante.
Roma gli apparve una grande Recanati, chiusa nella sua arida erudizione. Qui però conosce Angelo Mai, lo storico Niebhur e altri intellettuali che lo aiuteranno, anche economicamente, negli anni seguenti.
Da questo momento inizia per Leopardi una vita movimentata, raramente tornerà a Recanati e solo quando è malato; suo ultimo soggiorno sarà nel 1828. A Firenze conosce De Sinner, Fanny Targioni Tozzetti e Ranieri,che diventerà suo carissimo amico. Nel 1833 si trasferisce con Ranieri a Napoli dove muore nel 1837.
L’opera più importante per comprendere il suo pensiero è lo Zibaldone, diario che scrive fino al 1832, dove annota riflessioni personali , filosofiche e letterarie.
Appare evidente il suo orizzonte filosofico anche se non in linea con l’idealismo ottocentesco.
La riflessione filosofica leopardiana è problematica e asistematica , come lo sarà quella del ‘900. Egli infatti non conosce fin dall’inizio come si evolverà il suo pensiero, che si trasforma secondo il mutare delle circostanze politiche e sociali. Allo stesso tempo non può essere considerato solo ed esclusivamente filosofo, perché in lui predomina sempre la voce lirica.
IL PENSIERO LEOPARDIANO E LE SUE FASI
1815-1816 PASSAGGIO DALL’ERUDITO AL BELLO
Comincia a scrivere composizioni poetiche che esulano dalla semplice e fredda erudizione.
1817-1818 PASSAGGIO DAL BELLO AL VERO
Il BELLO è la NATURPOESIE, poesia degli antichi, sentimentale ed ingenua, in cui prevale l’io-sentimento. E’ poesia di immaginazione che si nutre di miti e fantasie, come la poesia di Omero, è vera, perfetta, inimitabile.
Il VERO è la KULTURPOESIE, è una poesia di sentimento, che si nutre di idee e aspetti razionali e filosofici. Nell’ ‘800 non è più possibile una poesia sentimentale, che nasce da un rapporto diretto con la natura, in quanto il razionalismo ha dato una svolta al modo di fare poesia, pertanto all’io-sentimento si deve per forza accostare l’io-ragione.
1818 PESSIMISMO STORICO
Per leopardi, come per Manzoni e Foscolo, punto di partenza è la teoria meccanicista dell’illuminismo. L’uomo è soggetto alle forze meccaniche della natura ed è una creatura debole e indifesa, constatare ciò crea pessimismo e tristezza, perché si avverte il senso di limitazione dell’uomo chiuso nella sua prigione della materia, in contrasto con le aspirazione innata all’infinito e all’assoluto.
Il pessimismo storico di Leopardi comunque si ricollega ad un particolare periodo della storia dell’ uomo, alla fine del felice stato di natura di roussoniana memoria, ovvero al momento in cui l’ uomo si è civilizzato e, progredendo è divenuto vittima del progresso, del dolore, dell’infelicità e dell’inappagamento. Se la natura ci aveva posto in una condizione felice, madre provvida e benigna, poi la ragione è intervenuta ad eliminare ogni fantasia e illusione, portando alla luce l’arido vero. Il felice stato di natura e l’età della civiltà, rapportate all’età dell’uomo, corrispondono all’età dell’infanzia e all’età adulta. L’infanzia è infatti quel momento in cui l’uomo immagina mondi lontani, destini splendidi, un futuro facile e roseo. L’età adulta invece è quella in cui ogni illusione cade, lasciando dolore e tristezza.
A questo pessimismo storico si ricollega anche un pessimismo soggettivo e personale, nato dalla condizione familiare, dallo studio matto e disperatissimo e dalla bigotta Recanati. L. infatti non ha vissuto il felice stato di natura, non ha vissuto l’infanzia , avendo presto imparato, dallo studio dei classici , che la vita è dolore. Malgrado ciò L. non cede, non si arrende né si crogiola in vane illusioni, ma investiga filosofeggiando, tentando di superare quel sentimento negativo che lo imprigiona.
Carattere fondamentale del pessimismo storico è dunque il binomio NATURA- RAGIONE VALORE-DISVALORE, UNA BENEFICA, L’ALTRA CATTIVA E MALIGNA. In questa fase la natura appare solo nel suo aspetto positivo e nel contemplarla L. compone i PICCOLI IDILLI.
Idillio deriva dal greco eidos, piccolo quadro; riprende tale genere dalla tradizione classica di MOSCO BIONE e TEOCRITO. Nell’idillio greco la natura è uno sfondo paesaggistico spesso solare, in L. invece domina una natura notturna ed essa è un’ interlocutrice che rispecchia e riflette i sentimenti del poeta.
POESIA DEL VAGO E DELL’INDEFINITO
Cardine fondamentale del fare poesia nel pessimismo storico è la ricerca di riprodurre, mediante il linguaggio, quella sensazione di indefinitezza di infinito e di vaga immaginazione propria della fanciullezza.
Adatte a ciò sono tutte le sensazioni e le percezioni indefinite e vaghe, ciò che è lontano nel tempo e nello spazio, ciò che è visto nella penombra della luce lunare, ciò che è solo intravisto e vagamente sentito, senza che se ne possa determinare la fonte. Queste sono percezioni e sensazioni poetiche che confondono i precisi contorni delle cose e stimolano la fantasia. Strettamente collegato a queste sensazioni è il ricordo di ciò che è passato e che affiora alla nostra mente, in modo indefinito, di cui i contorni sono sfumati. Le parole “lontano, antico, notte, morte, passato e futuro “ o il suono di una campana ,uno spazio vasto o angusto incitano l’immaginazione spingono virtualmente verso mondi lontani.
PICCOLI IDILLI: L’INFINITO 1819, ALLA LUNA 1819, LA SERA DEL Dì DI FESTA 1820.
LA NOIA NEL PESSIMISMO STORICO
Quando nel 1819 L. tenta la fuga da Recanti per Roma e fallisce, si ammala ed è costretto a stare al buio e a rinunciare ai suoi svaghi preferiti, la lettura e la scrittura. Scrive al Giordani di aver conosciuto la noia, una noia che nasce dall’impossibilità di agire, legata a circostanze specifiche, non certo ancora esistenziale. Essa appare ancora sopportabile perché il poeta , essendo giovane nutre buone speranze per il futuro.
IL RICORDO NEL PESSIMISMO STORICO
Il tema del ricordo è presente in “Alla Luna”, non sappiamo bene che cosa addolori il poeta, egli comunque comunica al lettore una certa malinconia, che nasce da un ricordo doloroso. Eppure il ricordo, sebbene triste, è determinante perché permette all’uomo di prendere coscienza di ciò che è stato. In gioventù il ricordo, anche se doloroso, è sopportabile perché sostenuto dalla speranza del lungo futuro, che ancora lo attende.
POLEMICA FRA CLASSICISTI E ROMANTICI
L., come Manzoni, partecipa alla polemica fra classicisti e romantici, ospitata dal Conciliatore. Nel 1818 scrive in proposito il “Discorso di un italiano sopra la poesia romantica”, in cui espone la sua concezione della poesia. Nel difendere le posizioni classiciste L. si stacca da ogni atteggiamento retorico e difende l’imitazione dei classici perché essi furono più vicini alla natura e più vitali.
Torna a mettere in luce l’opposizione fra NATURA e INCIVILIMENTO, in quanto il rapporto con la natura è fonte di immaginazione e illusione. La civiltà materiale ha spento la facoltà immaginativa e quindi nel tempo dell’incivilimento la poesia può essere l’unico mezzo per mantenere in vita la forza delle illusioni. Logicamente l’imitazione dei classici non deve essere servile ma dovrà far rivivere la forza AGONISTICA ,che li caratterizzava. Proprio per questo sostiene il classicismo e si oppone al ROMANTICISMO ITALIANO,per recuperare la voglia di lottare,che i Romantici non hanno, compiacendosi quasi del loro dolore.
VALORE DELLA POESIA MODERNA: Essa è uno strumento di conoscenza di sé, è voce del cuore e dell’anima del poeta.
CANZONI DEL SUICIDIO: BRUTO MINORE 1821, ULTIMO CANTO DI SAFFO 1822
Importante è L’ultimo canto di Saffo dedicato alla poetessa greca, che esprime il dolore e la tristezza proprie del poeta. Attribuire a Saffo tale sfogo permette al poeta di oggettivizzare e razionalizzare le proprie passioni. Saffo è brutta come L. e a lei , come al poeta, è stata negata la felicità. Nel suo canto si interroga sulla condanna umana al dolore e sul senso dell’esistenza,ma non incolpa la natura, bensì il Fato. Si è spesso considerata questa poesia come il momento di passaggio al Pessimismo Cosmico, ma in effetti può essere solo inconsapevole per il poeta, che non procede mai sistematicamente. E’ chiaro comunque che si è venuta a creare una frattura con il concetto di natura del pessimismo storico.
IL PESSIMISMO COSMICO
Il viaggio a Roma del 1823 segna un momento importante nella vita e nel pensiero di L., di cui si ha traccia nello Zibaldone. Non certo per un’illuminazione improvvisa, il poeta passa da una concezione positiva della natura, ad una concezione radicalmente negativa di esse, abbandonando i presupposti di Rosseau. Non esiste più un pessimismo storico, ovvero un momento particolare della storia, che ha portato l’uomo all’infelicità, ma in ogni momento l’uomo ha vissuto nel dolore, in una condizione di male perenne e senza via d’uscita. Il mondo è come “un giardino di piante, di erbe, di fiori” all’apparenza splendido ma sofferente anch’esso. Si ribalta così il binomio Natura –Ragione.
La Natura diviene un disvalore, una matrigna che mette al mondo l’uomo incurante del fatto che egli soffra, oppure no. Fredda e asettica segue incessantemente il suo ciclo universale e meccanico, considerando l’uomo una particella insignificante. La Ragione diviene invece un valore, o meglio l’unico mezzo che ha l’uomo per poter comprendere il suo stato, la sua condizione di dolore. Non viene dunque rivalutata del tutto la ragione, se non come strumento per accettare tale stato con dignità e forza d’animo. Mutato il suo pensiero L. sente affievolirsi la vena poetica e sente il bisogno di dedicarsi alla prosa, di rivedere alcune tematiche alla luce della nuova svolta riflessiva. Comprende che all’uomo è stato negato qualsiasi motivo di felicità, anche se la natura ha infuso in lui il desiderio di essa. Di fronte alla natura nasce in lui un nuovo e duplice sentimento di fascino e repulsione, rivivendo l’ ODI ET AMO catulliano.
Adora osservare la natura, nei suoi spettacoli meravigliosi e affascinanti, contemplarla nella sua maestosa bellezza e potenza ed armonia, ma allo stesso tempo la odia per la sua freddezza implacabile. Bisogna quindi fare una distinzione fra NATURA NATURANS E NATURA NATURATA. La Natura Naturans è quella incolpata da L., quella matrigna, crudele e indifferente, quell’ente meccanico, che cera e distrugge ciecamente. La Natura Naturata è quella che più ama, quella che circonda l’uomo sempre, è lo spettacolo avvincente del paesaggio.
LE OPERETTE MORALI
Le Operette Morali è l’opera che nasce da tale mutamento di pensiero. E’ una raccolta di 24 prose, composte per lo più nel 1824, ma alcune fino al 1832. Operette perché sono piccole composizioni, in cui i personaggi e le situazioni sono per lo più inventate e immaginarie, se i personaggi sono realmente esistiti sono inseriti in una trita e banale quotidianità. Morali perché hanno comunque un significato morale. Sono scritte sotto forma di dialogo, rifacendosi a Platone, perché grazie al dialogo si possono porre in contrapposizione due punti di vista e difficilmente si giunge ad una conclusione e ad una verità assoluta e definitiva. Si contrappongono due aspetti del poeta l’io-sentimento e l’io-ragione, con forte ironia, quella tipica di Luciano, autore greco, che serve a demistificare la falsa verità del suo tempo e a dissacrare i falsi ottimismi dell’ ‘800.
In questo modo L. poteva porsi come educatore degli uomini e apostolo di verità, assumendo il ruolo di poeta vate. Spesso però si mescolano pietà e riso, per quella falsa grandezza degli uomini romantici, animati da filosofie idealistiche e spiritualiste. La prosa delle Operette non ebbe continuatori, rimase un esempio isolato; essa è fredda e lenta nelle parti riflessive, viva e poetica nelle parti ricche di sentimento e fantasia. Ricorda la prosa lucida di Galileo. L prosa rappresenta, in quel momento per L. , lo strumento peculiare del poeta moderno, anche se in Italia allora mancava una tradizione di prosa filosofica. Per questo l’autore si rifà alla prosa del secolo d’oro, il ‘500.
TEMATICHE FONDAMENTALI DELLE OPERETTE MORALI
L. si serve di tutto il repertorio del mito, della filosofia, della storia, della cultura e della letteratura, ma lo filtra con l’occhio ironico e disincantato che gli è proprio. Tutte le figure più prestigiose sono private dei loro connotati originari ed eroici, immersi nella banalità e nel tedio della grigia esistenza quotidiana, che la natura assegna a tutti gli uomini. Uno dei temi fondamentali è l’indagine sulla felicità e sull’infelicità, per poter denunciare l’ostilità della natura nei confronti dell’uomo, per irridere le dottrine che mettono l’uomo al centro dell’universo e per polemizzare contro le ideologie e i sistemi sociali, che creano ostacoli artificiali alla ricerca della felicità e accrescono la negatività della condizione naturale. L. guarda da lontano gli uomini affaccendarsi per raggiungere i loro piccoli obiettivi, accecati dalla presunzione sciocca di essere padroni del proprio destino. Da qui nascono lucidissime e anticipatrici analisi critiche di molti aspetti della società contemporanea, ingannatrice degli uomini.
DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE 1824
E’ il manifesto del Pessimismo Cosmico, in cui la natura appare in tutta la sua fredda indifferenza nei confronti del destino degli uomini. L’Islandese rappresenta l’uomo, convinto della velleità della vita e della stoltezza umana, che cerca di vivere appartato, lontano da ogni desiderio, perseguitato comunque dai mali creati dalla natura. La natura appare inquietante, bella e terribile, allo stesso tempo, seduta in terra col busto ritto, appoggiato col dorso e con il gomito ad una montagna. L’Islandese le pone delle domande, che restano senza risposta, perché all’uomo non è dato sapere quale è lo scopo della sua esistenza. La scelta dell’Islandese di vivere appartato non è esente dalla sofferenza e ciò sta a significare che anche nell’età primitiva gli uomini soffrivano. Il dialogo termina con la morte dell’Islandese, forse mangiato da un leone o soffocato da una tempesta di sabbia.
CANTICO DEL GALLO SILVESTRE 1824
L. finge di aver trovato uno scritto in lettere ebraiche e in lingua caldea, cabalistica e talmudica, in cui si parla del canto di un gallo silvestre, che sta con i piedi per terra e con la testa tocca il cielo. Nel testo originale cantava le lodi del signore, con L. diviene cantore della morte annuncia la fine dell’universo, che come gli uomini si dirige all’annullamento totale. Domina la tecnica dello straniamento, in quanto il poeta guarda e analizza il mondo da lontano da un altro punto di vista. “Per tutti risvegliarsi è danno” questa è la grande verità che annuncia agli uomini, ma nessuno lo può capire. Ogni mattina l’uomo quando si sveglia torna al dolore, dopo aver trascorso la notte in tranquillità. Per raggiungere la quiete dobbiamo morire, sia noi che l’universo.
DIALOGO DI PLOTINO E PORFIRIO 1827
CONCEZIONE DEL SUICIDIO
Prevale il ragionamento filosofico e morale, che preannuncia la fratellanza che sarà di “La Ginestra”. Il poeta immagina che Plotino (filosofo neoplatonico) dissuada l’allievo Porfirio dal suicidio. L’uomo è attaccato alla vita per istinto di conservazione, per cui una volta superato lo sconforto si attacca alla vita in modo morboso. E’ vero che il suicidio può apparire come l’unico mezzo di liberazione ma esso è un atto di debolezza e di rinuncia, inoltre è una mancanza di rispetto nei confronti dei propri cari.
DIALOGO DI FEDERICO RUYSH E DELLE SUE MUMMIE 1824
CONCEZIONE DELLA MORTE
Federico Ruysh fu un medico olandese, studioso di anatomia, fu celebre per la sua tecnica di imbalsamare i cadaveri, che gli consentiva di conservarli e di studiarli. L. immagina che per pochi istanti le mummie prendano vita e possano parlare. L’operetta si apre con un coro dei morti, che sveglia lo scienziato. Ruysh chiede loro cosa si provi nel momento del trapasso. E’ un momento di dolcezza, come quello in cui stiamo per addormentarci. L’uomo non si accorge di morire e non può provare dolore,morendo, perché il dolore è una cosa viva. Lo scienziato allora chiede come ci si accorge di uscire dal corpo, ma a questa domanda non vi è risposta. I morti di questa operetta guardano alla vita come se non gli appartenesse, come i vivi guardano alla morte.
DIALOGO DI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO 1824
CONTRO L’ANTROPOCENTRISMO
I folletti sono spiriti dell’aria, gli gnomi del mondo sotterraneo e custodiscono i metalli preziosi.Uno gnomo viene mandato sulla terra per vedere come mai gli uomini non sono più scesi sotto terra, da un folletto apprende che gli uomini sono tutti morti. Si sottolinea che, malgrado il fatto che gli uomini non ci sono più, il mondo continua il suo ciclo quotidiano e con ciò L. colpisce la superbia umana di credersi non solo eterni, ma il fine ultimo dell’esistenza dell’universo.
DIALOGO DI UN VENDITORE DI ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE 1832
CONTRO L’ASTROLOGIA E SULLA FELICITA’
Un venditore di almanacchi invita un passante a comprare un almanacco per scoprire cosa riserva l’anno nuovo. Il passeggere, l’io-ragione, invita il venditore, l’io-sentimento, a riflettere se in passato è mai stato felice e afferma che qualsiasi uomo, anche quello che tu invidi, invitato a rivivere il passato, non vorrebbe. Cosa significa? Significa che il piacere per l’uomo non consiste in ciò che si conosce ma in ciò che non si conosce, nella novità. E’ la vita futura che ci alletta e ci fa sperare non il passato, che appare sempre doloroso.
L’astrologia viene definita da L. come una pura superstizione, che andrebbe estirpata dalle menti umane.
DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO 1832
CONTRO LE MAGNIFICHE SORTI E PROGRESSIVE
Questo dialogo nasce come risposta ad aspre critiche rivolte alle Operette Morali, apparse nel 1827, in base alle quali il pessimismo leopardiano nasceva dalle sue condizioni fisiche. Esso servirà anche per fronteggiare le accuse mossegli da Tommaseo, che individuavano appunto nel suo fisico la causa dell’avversione leopardiana all’ottimismo borghese tipico di quel periodo.
L. in questo dialogo è costretto a rivedere le sue posizioni e finge di ritrattare le sue opposizioni pessimiste. E’ evidente la sua concezione, egli solo conosce la verità ed è in grado di svelare l’arido vero e non può più illudersi.
Il dialogo appare come un testamento definitivo ed irrevocabile, in cui il poeta esprime il disprezzo per il presente e il rifiuto del progressismo cattolico.
Nella prima parte protesta contro la limitata concezione dell’esistenza degli intellettuali del suo tempo e contro lo spiritualismo ottocentesco.
Nella seconda parte Tristano, ovvero L., guarda a se stesso e cessa di polemizzare. Afferma di voler bruciare il libro, le operette. Acuta e pungente è la sua ironia che svela un’anima ormai sicura di sé, che ha la forza di mettere a nudo la sua disperazione, da cui ha realmente attinto la sua sicurezza interiore.
Con questo dialogo L. protesta contro quegli avversari che credevano di poter esprimere con certezza che il suo pessimismo era il riflesso di una condizione patologica e quindi privo di validità.
Certo non si può negare che la sua condizione fisica abbia condizionato il suo pensiero, ma essa non è mai stata un lamento individuale, quanto il punto di partenza per riflettere sulla condizione umana in genere. L. si rende conto che ogni uomo vive una condizione dolorosa, che può essere fisica o morale. E’ importante sottolineare che di fronte alla sua malattia L. non ha mai cercato una di scampo né un rifugio spirituale o trascendente, cerca invece di instaurare un rapporto con la natura vero e non illusorio.
GESTIONE POLITICA E RIFORME DELLA DESTRA STORICA
La destra storica ereditò la gestione del governo post-unitario,i liberali moderati dettero inizio al processo di PIEMONTESIZZAZIONE,estendendo a tutta Italia la legislazione dello stato subalpino al territorio nazionale. L’apparato centrale assorbì l’amministrazione dei singoli stati italiani,senza conoscerne la reale situazione,cosa che accentuò ancora di più la distanza fra paese legale e paese reale.
La destra per combatter l’analfabetismo emana la legge CASATI nel 1859,impone la coscrizione obbligatoria e la legge sul macinato nel 1868.
L’obbligatorietà scolastica e del servizio militare creano nel Meridione un diffuso malcontento che sfocia nel BRIGANTAGGIO.
Il Meridione infatti con l’unità di Italia si trovò in una situazione ancora più gravosa per le numerose tasse e per il mantenimento di una condizione servile. I contadini e ex evasi si davano alla macchia,scatenando una guerriglia contro l’esercito regio.
1866 Con la terza guerra d’indipendenza alleata all’Austria l’Italia ottiene Venezia.
1870 Viene risolta la questione romana. Roma viene annessa allo stato italiano che emana le LEGGI DELLE GUARENTIGIE: Si riconosceva l’infallibilità del Papa, l’extraterritorialità del Vaticano e come religione di stato la religione cattolica. Pio IX rifiuta e si chiude a Castel Gandolfo. Nel 1874 emana il NON EXPEDIT vietando ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana.
La destra riesce,grazie ad una pesante tassazione, a pareggiare il bilancio ma nel 1876 deve cedere il posto alla Sinistra storica.
GESTIONE POLITICA E RIFORME DELLA SINISTRA STORICA
Rispetto alla Destra la Sinistra sembrava essere più attenta e sensibile agli equilibri sociali e allo sviluppo industriale del paese.
Il programma riformista della Sinistra fu varato da Depretis che proponeva la riforma democratica del sistema elettorale,il decentramento amministrativo la lotta all’analfabetismo,la soppressione della tassa sul macinato.
Ai propositi non seguì nulla di concreto,in quanto la Sinistra cercò di volta in volta intese con gruppi o persone influenti in grado di garantirle i voti. Si inaugurò così la politica del TRASFORMISMO,sintomo della corruzione della classe dirigenziale.
La sinistra inoltre cominciò a stringere rapporti anche con i Baroni del sud,concedendo favori in cambio di voti,cosa che contribuì a mantenere intatto il sistema latifondista e ad alimentare la MAFIA.
Depretis rinunciò al decentramento e rafforzò il potere centrale.
1877 LEGGE COPPINO per la riforma scolastica.
1882 Allargamento della base elettorale a favore della piccola borghesia e degli strati superiori dei lavoratori
1889 CODICE ZANARDELLI viene abolita la pena di morte e concessa una limitata libertà di sciopero.
1891 ENCICLICA RERUM NOVARUM DI LEONE XIII: Denuncia degli eccessi del capitalismo; Propugna l’abolizione della proprietà privata ; Invita lo stato ad intervenire per appianare i contrasti tra imprenditori e lavoratori; Considera legittimo che gli operai si uniscano.
1892 Nascono i FASCI SICILIANI movimento di braccianti e minatori che insorge contro lo stato. GIOLITTI al governo dal 1892-1893 tenta di affrontare la questione con il dialogo e la trattativa,senza successo. Crispi soffoca nel sangue il moto.
Giolitti al governo per un anno soltanto viene inoltre coinvolto nello scandalo della BANCA ROMANA,che mise in atto un illecito giro d’affari.Finanziava l’acquisto di terreni agricoli a basso prezzo,che trasformati in aree edificabili venivano rivenduti con enormi profitti.
1896 Fallisce l’impresa coloniale in Africa ad ADUA.
Si aggrava la crisi economica e si inaspriscono le tensioni sociali. Ogni moto viene represso nel sangue e a Milano si spara sulla folla.
1899 Provvedimenti politici di Pelloux con cui si varano leggi liberticide.
1900 Assasinio di Umberto I.
NASCITA DEI PARTITI SOCIALISTI IN EUROPA
1875 PARTITO SOCIALISTA TEDESCO
1880PARTITO OPERAIO FRANCESE
1892 PARTITO SOCIALISTA ITALIANO
1898PARTITO SOCIAL DEMOCRATICO RUSSO
1906 PARTITO LABURISTA INGLESE
I-II INTERNAZIONALE
Dopo il 1848 malgrado Inghilterra ,Belgio, Olanda e Germania emanino leggi per regolare l’orario lavorativo a 10 ore, gli operai inglesi e francesi preoccupati sia per la crisi del cotone sia per l’importazione di manodopera a basso costo cominciano a stringere solidarietà fra loro e progettano l’Internazionale. Nel 1867 nasce dunque l’Internazionale operaia che mirava a creare un coordinamento fra i salariati sia per le richieste da fare agli imprenditori sia per gli strumenti da utilizzare a tal fine.
Essi giovarono anche dei nuovi mezzi di comunicazione che permettevano una maggiore diffusione del movimento.
In seno all’Internazionale si delinearono subito due componenti,quella anarchica e quella marxista.
Gli anarchici erano contrari alle lotte di classe rivendicative e sindacali,in quanto ribadivano la subordinazione del lavoro al capitale;bisognava invece creare piccole comunità autogestite che ridessero valore al lavoro.
La componente marxista era invece favorevole alle lotte rivendicative e sindacali,perché permettevano di individuare i mezzi e gli strumenti per raggiungere i fini politici prefissati. Essa inoltre invitava gli operai a fare pressione sui propri governi per ottenere una legislazione adeguata alle necessità e ai diritti della classe operaia.
Con la grande depressione iniziata nel 1873 e destinata a durare fino al 1896 la I internazionale entrò in crisi e si sciolse in attesa della ripresa delle lotte operaie,ma anche di una migliore definizione dell’indirizzo teorico e politico.
Quello era comunque un periodo di grande trasformazione strutturale del capitalismo e gli operai seppero utilizzare le contraddizioni insite nei processi di ristrutturazione dell’apparato industriale per riorganizzare le proprie file.
Ricominciarono le agitazioni sociali e si fece di nuovo l’idea di un coordinamento generale.
Di fronte a ciò i governi attenuarono o abolirono del tutto le normative anti -operaie e in alcuni paesi furono riconosciute giuridicamente le organizzazioni politiche e sindacali
dei lavoratori.
Nel 1889 nasce la II Internazionale in cui si afferma il Partito socialdemocratico tedesco.
Esso,per cercare solidi legami con le masse,formulò un programma minimo,che faceva proprie le rivendicazioni più sentite dei lavoratori,ma non incompatibili con gli ordinamenti esistenti,rimandando l’attuazione di un programma massimo(socialista) a fasi successive di profonda radicalizzazione dei contrasti sociali.
Tra le prime occasioni della I Internazionale vi è la proclamazione del I Maggio come momento di mobilitazione internazionale con sciopero generale e manifestazioni pubbliche. La data ricordava un episodio di repressione avvenuto negli USA nel 1886 contro una manifestazione indetta per la riduzione dell’orario lavorativo.

QUADRO POLITICO EUROPEO
1870-1900
FRANCIA
Nel 1871 nasce la Comune prima gestione politica da parte delle masse popolari.
Viene varata una legislazione a favore dei ceti meno abbienti e trasformate le istituzioni in senso democratico. L’esperienza rivoluzionaria non si estese e fu soffocata nel sangue de Thiers,sostenuto e appoggiato da Bismarck.
Nasce la terza repubblica gestita da una coalizione moderata.
GERMANIA
Battuta la Francia e L’Austria Bismarck consolida il Reich,attuando la KULTURKAMPF,UNA POLITICA DI RINNOVAMENTO CULTURALE.
Ridimensiona l’opposizione cattolica ,facendo gestire le scuole dei Gesuiti dallo stato.
Fallito il tentativo di frenare l’avanzata socialista attua il SOCIALISMO DALL’ALTO ,sostenendo e guidando misure riformistiche,appoggiate dai socialisti.
Il partito socialista potè avere successo anche grazie allo sviluppo industriale,promosso da Bismarck.
Nel 1881 firmò un accordo con Austria e Russia,accordo dei tre imperatori; nel 1882 l nasce la Triplice Alleanza con Austria e Italia.
Con l’ascesa di Guglielmo II, Bismarck fu allontanato dalla politica e sostituito da Caprivi.
Guglielmo II attuò la WELTPOLITIK,un’aggressiva politica estera, per realizzare il progetto della GRANDE GERMANIA,che doveva integrare Austria Belgio e Olanda.
Ciò spinse Inghilterra e Francia ad unirsi nell’INTESA CORDIALE 1904.
INGHILTERRA
Negli ultimi decenni del secolo si indebolisce il predominio industriale inglese,ma rimane inalterata la supremazia nel commercio e nella finanza della City di Londra.
Prosegue la sua politica coloniale in Asia e in Africa.
Amplia i diritti elettorali,rende obbligatoria l’istruzione primaria,riconosce potere contrattuale ai sindacati.
IMPERO ASBURGICO
Nel 1867 era nata la duplice monarchia Austro-ungarica,sotto Francesco Giuseppe,ma non si erano placate le rivendicazioni autonomiste dei popoli sottomessi. Nel 1875 scoppia in Erzegovina una rivolta contro l’impero ottomano,la Russia interviene e sconfigge i Turchi. Nel Congresso di Berlino nel 1878 deve comunque rinunciare ai territori conquistati per non compromettere gli equilibri europei.
RUSSIA
Nel 1861 lo zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba,ma i contadini dovevano pagare il proprio riscatto,cosa per i più impossibile. Ciò determinò l’indebitamento delle masse rurali.
Attua riforme amministrative ,ammoderna il sistema giudiziario e potenzia l’istruzione pubblica. Non si registra comunque un’evoluzione delle istituzioni in senso liberale.
Sia Alessandro II che Alessandro III furono vittime di una congiura.

Esempio



  


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