Erminia fra i pastori, tratto dalla Gerusalemme Liberata di T. Tasso.

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Testo

Parafrasi del brano “Erminia tra i pastori”
Nel frattempo, Erminia, è guidata dal cavallo tra le piante ombrose. La sua mano tremante non guida più il cavallo, Erminia sembra quasi tra viva e morta. Ella si aggira per talmente tanti sentieri, in balia del cavallo, che alla fine si è dileguata agli occhi dei suoi inseguitori, ed è impensabile che sia ancora seguita da qualcuno.
Come i cani da caccia ritornano mesti e affannati dopo avere perso la traccia dell’animale cacciato, tra la boscaglia, così, pieni di disappunto e di rabbia, rinunciano alla ricerca di Erminia, i cavalieri Cristiani. Erminia, intanto, timorosa e smarrita fugge senza guardare alla sue spalle se è seguita.
Erminia fuggì per tuta la notte, e per tutto il giorno, vagò senza un’indicazione e senza una meta, non vedendo alcunché intorno, attraverso le lacrime ed il pianto. Ma nell’ora in cui il carro del sole scioglie i suoi cavalli e scompare sul mare, Erminia giunse alle limpide acque del bel Giordano, quindi discese in riva al fiume dove si coricò.
Erminia non vuole mangiare, perché il suo nutrimento sono i suoi mali, e non ha altra sete che delle sue lacrime, ma il sonno che per i mortali è, con il suo oblio, riposo e quiete, portò via con i sensi i dolori di Erminia, e spiegò le proprie ali tranquille e languide sopra la donna; l’amore però, non cessa di tormentare Erminia nemmeno nel sonno.
La donna non si svegliò finché non sentì il cinguettare felice degli uccelli, il mormorio del fiume e il rumore dell’aria che giocava con le erbette, con i fiori e con l’acqua del fiume. Erminia aprì gli occhi tristi e guarda le sperdute case dei pastori, e le parve di udire tra l’acqua, i rami ed i sospiri, una voce che la chiamava.
Mentre Erminia continua a piangere, i suoi lamenti sono interrotti da un suono deciso che sembra di accento pastorale, connotato da una certa rustichezza. La donna si alzò e vide un uomo canuto che, a passi lenti e cantando insieme con tre ragazzini, intrecciava fuscelli (presumibilmente per fare dei canestri).
Vedendo apparire la persona armata estranea, coloro si sbigottirono, ma Erminia li saluta e li rassicura con dolcezza, scoprendo i capelli biondi e gli occhi. “Continuate pure il vostro lavoro gente, – dice Erminia – perché tale lavoro è bene agli occhi divini: la guerra e le armi non sono considerate come le vostre opere e i vostri dolci canti.
Erminia aggiunse dopo “Signore, visto che qui intorno l’incendio della guerra arde il paese, come fate a stare qui in questo clima tranquillo, senza temere gli attacchi delle milizie?”; egli rispose “Figliolo (credeva ancora che Erminia fosse un ragazzo), la mia famiglia e le mie greggi qui sono sempre state al sicuro da ogni oltraggio e scontro. La guerra non ha ancora sconvolto questo remoto luogo.
Sia grazia del Cielo che la mia umiltà venga salvata, in quanto, come il fulmine non cade a terra, ma cade in alto, così le idee bellicose colpiscono solo le fiere menti dei re (di chi sta in alto, quindi), e neppure i soldati sono allettati da una tale vita umile e frugale.
Una vita così umile e frugale per altri è quindi vile, ma a me è così cara che non bramo in cambio tesoro o scettro, né c’è desiderio ambizioso o avaro che sia riposto nel mio cuore. Mi disseto nell’acqua limpida, senza timore che sia aspersa di veleno; il mio gregge e il mio orto fanno sì che non compri cibarie per i miei pasti frugali.
Perché la vita sia lunga, come sono ridotti i miei bisogni, sono ridotti anche i miei desideri. I miei figli, che ti sto indicando, sono i guardiani della mandria, non ho bisogno di servi. Così vivo in un solitario luogo celato, e vedo saltare gli agili cervi, guizzare i pesci di questo fiume e dispiegare le ali al cielo gli uccellini.
Ci fu un tempo, nella giovinezza, quando lo spirito umano vaneggia, che approva un’altra volontà, rifiutando il pascolo del gregge; fuggii dalla mia terra natale e vissi nella corte di Menfi, riuscendo a diventare un ministro del re, e benché fossi solo consigliere agricolo, conobbi l’iniquità (corruzione, ingiustizia) delle corti.
Pur abbagliato dalla vita che vivevo, soffrii per molto tempo questo fatto, e quando con l’età giovane si spensero anche le aspettative e la baldanza, rimpiansi le cure di questa vita umile, e sospirando per la pace che non avrei mai avuto dissi addio alla corte e tornando tra i familiari boschi, ritrovai la felicità”.
Mentre il pastore discorre in questo modo, Erminia ascolta tranquilla pendendo dalle labbra del pastore; quel discorso savio, che le raggiunge l’anima, calma parzialmente l’umore della donna. Dopo una lunga riflessione decide di rifugiarsi in quella riservata solitudine al fine di agevolare, in seguito, il rientro nella propria terra.
Quindi dice al buon vecchio “Uomo fortunato, che ebbi occasione un tempo di conoscere il male, possa il cielo concederti di provar pietà per le mie vicende, accoglimi in questo così bel posto, dove risiedere mi gioverà. Fai, per favore che il mio cuore, tra questi paesaggi si sgomberi del suo peso morale.
Se vuoi, come tutto il popolo in genere vuole, come fossero idoli, gemme e oro, io te ne posso dare: ne ho ancora con me tante da poter soddisfare la tua richiesta”. Quindi, piangendo lacrime cristalline, narrò in parte dei propri averi,e il pastore umile pianse insieme con Erminia.
Poi il pastore consola dolcemente la donna e la accoglie con lo zelo proprio di un padre, la conduce dalla vecchia moglie, alla quale il cielo ha dato un cuore come quello del pastore. Erminia si barda delle povere vesti contadine, e si cinge la chioma con un ruvido velo (nel testo c’è da notare come Tasso descrive le vesti che sta indossando Erminia. Egli sembra descrivere degli abiti principeschi), anche se non sembra, per conformazione fisica una contadina.
Gli abiti per quanto poveri e di funzione umile non sono assolutamente indecorosi e tutta la nobiltà che si cela in Erminia, traspare anche dalle vesti contadine. Ella guida il gregge e lo riconduce nell’ovile con un povero frustino, munge il latte dalle ispide mammelle, e lo raccoglie in un giro.
Spesso, quando con il caldo sole estivo, le pecore si riparavano all’ombra, Erminia scriveva il nome amato (Tancredi), in mille maniere, sui faggi e sugli allori, incidendo molte piante con i suoi strani e tristi amori; poi, rileggendo ciò che aveva scritto, rigava di lacrime le guance.
Quindi diceva piangendo “Amiche piante, voi celate questa triste storia; cosicché se un giorno verrà alla vostra ombra un fedele amante, egli provi al cuore una tenera pietà delle mie numerose e varie sventure pensando – come è ingiusta la ricompensa dell’amore e della fortuna verso una vita così fedele –
Forse ciò avverrà, se il Cielo ascoltasse benignamente una affettuosa preghiera di un mortale, che Tancredi, al quale or non importa nulla del mio amore, possa giungere qui in questo bosco. Egli, rivolgendo gli occhi verso il posto nel quale sarà sepolto il mio corpo infermo e martoriato, possa concedere finalmente alla mia anima lacerata poche lacrime e qualche sospiro,
così, se in vita il mio cuore fu tanto immeritevole, almeno il mio spirito in morte sarà felice, ed il mio corpo freddo per la morte, goda di quel piacere che ora non mi è consentito”. Così Erminia va pensando a riguardo dei tronchi sordi, e sprigiona dagli occhi due sorgenti di lacrime. Tancredi, nel frattempo, trascinato dalla fortuna, si aggira lontano da lei, alla sua ricerca.

Esempio



  


  1. Luigi

    Riassunto de' Il Pianto Di Erminia di Torquato Tasso - Gerusalemme Liberata , Canto 6 -