Alessandro Manzoni

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Categoria:Letteratura

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Testo

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni, importante per la sua modernità, rappresenta una figura rilevante nel panorama del romanticismo italiano ed europeo; con questi, infatti, si avvia un processo di progressivo riavvicinamento alla realtà e si supera la frattura tra lingua letteraria (aulica) e lingua s’uso, tra letteratura e società, secondo la concezione dell’illuminismo lombardo. (Il romanzo “le ultime lettere di Jacopo Ortis”era ancora caratterizzato da questa frattura linguistica).
Con Manzoni nasce il romanzo italiano e si supera il ritardo di quasi un secolo che l’Italia aveva accusato nei confronti della letteratura rispetto alle coeve società inglese, francese e tedesca.
Questo processo si avvia grazie alla confluenza in Manzoni di più filoni:

• Illuminismo lombardo: Manzoni si avvicina alla linea che da Parini, arriva a Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene ) e a Pietro Verri, che con il fratello Giovanni (padre naturale di Manzoni) aveva fondato il Café, per il modo con il quale questi avevano tentato di avvicinare l’intellettuale alla società e celebrato la funzione educativa della letteratura. Il primo Manzoni, inoltre, per quanto riguarda l’impegno lirico, si mantiene fedele ai moduli neoclassici sull’esempio del già citato Parini e si ispira all’eloquente verso del monti, uno degli autori più rappresentativi del neoclassicismo.

• Romanticismo: caratterizzato dalla sua attenzione per la storia nazionale, dal sentimento popolare,dagli ideali religiosi cristiani e dal rifuggire la componente mitologica di tipo irrazionalistico, che aveva caratterizzato le altre nazioni europee.

• Formazione europea: dal 1805 al 1810 Manzoni soggiorna a Parigi e la frequentazione del circolo degli Ideologues, filosofi eredi dell’illuminismo, gli permette di conoscere Claude Fauriel, che influenzerà la sua concezione dell’arte, della storia e della letteratura e della funzione che l’opera deve avere.

Manzoni nasce a Milano nel 1785, da una relazione extraconiugale della madre Giulia Beccaria, (moglie di Pietro Manzoni) e Giovanni Verri.
Si forma in collegi religiosi (barnabiti, comaschi) e viene poi affidato al padre, nei confronti del quale è insofferente a causa dell’educazione retriva.
Del 1801 è il suo primo esperimento letterario, “Il trionfo della libertà”, un poemetto antitirannico, in terzine, che riflette gli ideali giacobini dell’autore ma in cui è già espressa la consapevolezza della degenerazione di tali idee.
Nel 1805 il giovane Manzoni raggiunge la madre a Parigi, che dopo la separazione dal marito aveva una relazione con il Conte Carlo Imbonati, morto quell’anno e in onore del quale lo scrittore compone un’ ode intitolata appunto “In morte di Carlo Imbonati”.
L’ode, in endecasillabi sciolti, ha una funzione consolatoria per la madre e celebrativa per il defunto che aveva avuto come precettore Parini. Il componimento si svolge sottoforma di visione: Carlo Imbonati appare in sogno a Manzoni e intrattiene con questi un dialogo in cui gli fornisce quei precetti morali ed etici e quegli insegnamenti programmatici che saranno alla base della sua futura produzione letteraria.
Il testo può essere pertanto considerato il manifesto ideologico e programmatico della sua produzione e i versi “Sentir e meditar: di poco esser contento: da la meta mai non torcer gli occhi, conservar la mano pure e la mente … il santo Vero mai non tradir…”riportati nel passo seguente, ben testimoniano tale valore.

«Sentir e… meditar»
da In morte di Carlo Imbonati

E tacque; e scosso il capo,
e sporto il labbro, amaramente il torse,
com’uom cui cosa appare ond’egli ha schifo.
Gioja il suol dir mi porse, e non ignota
bile destommi; e replicai: «Deh! vogli
la via segnarmi, onde toccarla cima
io possa, o far, che s’io cadrò su l’erta,
dicasi almen: su l’orma propria ei giace»
«Sentir», riprese, «e meditar di poco
esser contento: da la meta mai
non torcer gli occhi, conservar la mano
pura e la mente: de le umane cose
tanto sperimentar, quanto ti basti
per non curarle: non ti far mai servo.
Non far tregua coi vili: il santo Vero
mai non tradir: né proferir mai verbo,
che plauda al vizio, o la virtù derida »
«O maestro, o», gridai, «scorta amorosa,
non mi lasciar; del tuo consiglio il raggio
non mi sia spento; a governar rimani
me, cui natura e gioventù fa cieco
l’ingegno e serva la ragion del core».

Parafrasi

E tacque; e [dopo aver]scosso il capo, piegò tristemente il labbro sporto in avanti, come fa un uomo a cui appare una cosa di cui prova ribrezzo. Le sue parole mi provocarono gioia, e [allo stesso tempo] mi risvegliarono un’indignazione già conosciuta ; e replicai: «mi auguro che tu voglia indicarmi il modo con cui io possa raggiungere la perfezione artistica e morale, o fare [in modo]che, se io cadrò durante il cammino, almeno si dica [di me]: è caduto sui passo propri». Riprese «percepire con il sentimento, e on la riflessione: accontentarsi dell’essenziale: mai distogliere lo sguardo dalla meta: preservare purezza d’intenti nel pensiero e nell’azione: fare esperienza delle cose umane del tanto che basti per sapersene allontanare: sii nemico di ogni servitù: non scendere a patti coi vili: non allontanarti mai dalla verità che è sacra: né pronunciare mai parole che esaltino il vizio, o denigrino la virtù». Gridai: «o maestro, o guida amorevole, non mi lasciare; non sia spenta per me la luce [saggezza] dei tuoi consigli; rimani a guidare me a cui gli istinti e l’inesperienza rendono la mente poco arguta, e la ragione schiava delle passioni».

Al 1809 risale “Urania”, un poemetto mitologico che si rifà per il tema “alle Grazie” di Ugo Foscolo e parla del progressivo incivilimento dell’umanità ad opera delle muse. Il componimento è in netta contraddizione con i principi legati alla rappresentazione del Santo Vero che l’autore aveva espresso nel carme In morte di Carlo Imbonati e costituisce una regressione rispetto al medesimo.
Questa contraddizione può essere giustificata dall’incessante sperimentazione di Manzoni in ragione della quale questo poemetto può essere considerato un esercizio letterario che riflette la sua formazione classicistica (il componimento evidenzia la componente legata a Monti e a Foscolo).
Lo stesso Manzoni si accorge dell’incongruenza dell’opera e ne prende le distanze dicendo che da questo momento in poi scriverà versi, magari peggiori, ma che trattino una materia interessante. Accanto al concetto del vero si affianca dunque l’idea che l’opera debba avere messaggio interessante per il pubblico cui essa è destinata, pubblico che deve essere il più numeroso possibile.
Nel 1808 l’autore, secondo il rito calvinista, si congiunge in matrimonio con la calvinista Enrichetta Blondel che dà inizio ad un periodo in cui le idee religiose di Manzoni si evolvono dall’agnosticismo giovanile verso un’apertura nei confronti della tradizione moralista francese.
Nel 1810 l’autore torna a Milano e nel 1811 si converte al cattolicesimo. Tale conversione cagionata anche dal continuo confronto con figure ecclesiastiche, in particolare con l’abate giansenista Eustachio Degola è stata sancita da un nuovo matrimonio celebrato secondo il rito cattolico.
Tra il 1812/15 si colloca la stesura e la produzione dei quattro inni sacri, opere in versi con funzione celebrativa, che secondo il progetto iniziale dovevano essere 12, uno per ognuno degli eventi liturgici più importanti dell’anno. L’autore, tuttavia, non portò mai a compimento questo progetto e compose solo: - La resurrezione
- In nome di Maria
- Il natale
- La passione
nel ’22, poi, compose un quinto inno, intitolato La pentecoste.
Questi inni, caratterizzati dallo spiritualismo religioso che Manzoni va maturando in questi anni, dovevano sostituire ai miti classici del paganesimo quelli della tradizione cristiana e costituire una sorta di epica collettiva che doveva rivolgersi a tutta la comunità dei fedeli.
Essi presentano una struttura tripartita:
- Esposizione del tema
- Trattazione del tema ispirato alla storia sacra di Cristo
- Riflessione conclusiva sulle conseguenze attuali del tema trattato
Il decennio che va dal 1815 al 1825, rappresenta il periodo più fecondo della produzione letteraria manzoniana, sono questi gli anni in cui egli porta a compimento le sue opere più importanti:
- Tragedie: - Conte di Carmagnola (1816-19)
- Adelchi (1820-22)
- Odi civili: - 5 Maggio (1821)
- Marzo 1821
- Fermo e Lucia: 1821-23 (prima redazione dei Promessi Sposi)
- Trattatistica: - Discorsi sopra alcuni punti sulla storia longobarda in Italia che pone come
storiografia appendice all’Adelchi
scritti teorici - prefazione al Conte di Carmagnola
- lettera a Monsieur Chauvet che contiene una riflessione sull’unità di tempo,
azione nel romanzo
- lettera al marchese Cesare D’Azeglio suo romanticismo, in cui ritroviamo
alcuni punti fondamentali della sua concezione della letteratura.
La letteratura, infatti, secondo Manzoni, in accordo con la concezione illuministica, doveva avere una funzione morale, pedagogica e pratica, e rifuggire dall’estetica romantica, che sosteneva l’idea di una poesia assoluta cui tutto sacrificare.

Le opere trattatistiche, storiografiche, teoriche

I Discorsi sopra alcuni punti della storia longobarda in Italia, che ritroviamo, come già detto in appendice all’Adelchi, parlano della discesa dei Franchi nella nostra penisola, e in essi Manzoni polemizza, secondo la tecnica illuministica della confutazione, contro i difetti della cattiva storiografia che, prendendo in esame i meccanismi del potere e della ragion di stato, si era soffermata sulle azioni di uomini potenti e illustri senza preoccuparsi degli effetti subiti dalle masse e contro alcuni storiografi che sostenevano che i longobardi conquistatori si sarebbero fusi con il popolo italico vinto. Manzoni nega questa ipotesi e rivaluta l’operato della chiesa come l’organismo più in grado di stare vicino alle masse, essa, sottolinea poi l’autore, fu l’unica che si prodigò per portare soccorso alle popolazioni italiche sottomesse.
La necessità di porre un’opera storiografica in appendice ad un’opera tragica (letteraria) mette in evidenza i limiti e le contraddizioni della possibilità di conciliare la realtà (vero storico) con l’invenzione. Per questo motivo Manzoni avverte il bisogno di fornire spiegazioni al vero storico contenuto nell’opera letteraria, apponendole in un’appendice che evidenzi le coordinate storiografiche.
Tale contraddizione indurrà, poi, Manzoni a rifiutare il romanzo storico perché, essendo, un genere “misto”, mescola la verità della storia e l’inganno dell’invenzione romanzesca, egli arriverà, quindi, a negare i Promessi Sposi togliendo la parte che trattava i processi agli untori, che solo nel ’40 fu posta in appendice al romanzo con il titolo di Storia della colonna infame.

Nella Prefazione al Conte di Carmagnola Manzoni chiarisce i punti sulla funzione della tragedia e prende una posizione circa la funzione dell’arte. Egli, disconoscendo il principio dell’estetica romantica tedesca e inglese, che proclamava il valore autonomo e assoluto dell’arte cui tutto subordinare, si propone di non disgiungere mai l’opera dalla sua funzione pratica, pedagogica e morale.
Egli passa poi ad analizzare le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione e sostiene l’impossibilità di rispettarle, è impensabile ridurre l’azione a sole 24 ore conferendole i caratteri della linearità e della semplicità.
Nella riflessione conclusiva prende in esame la funzione del coro sostenendo che esso è un “cantuccio”, una sorta di squarcio lirico di riflessione morale, nel quale l’autore può rifugiarsi per esprimere le sue considerazioni.

La lettera al Signor Chauvet voleva essere una risposta alla polemica che questi aveva mosso alla lettera di Manzoni dedicata al conte di Carmagnola. In questa lettera di risposta egli sviluppa in modo nuovo argomenti già trattati nella lettera contestata, quali l’impossibilità di rispettare le tre unità aristoteliche, impossibilità che nasce dalla necessità di far rispondere l’opera letteraria ad un criterio di verosimiglianza.

Nella lettera a d’Azeglio sul romanticismo Manzoni, conformemente ai presupposti del romanticismo italiano, espone i principi dell’opera letteraria la quale deve avere:
- il vero come soggetto
- l’interessante come mezzo
- l’utile come fine

Le tragedie

La tradizione drammatica in Italia aveva modelli come Alfieri e Foscolo cui ispirarsi, ma era una tradizione che si rifaceva ad un linguaggio aulico, erudito, di ispirazione neoclassica e lontano, quindi, dalla lingua d’uso.
Il primo problema che vede impegnato Manzoni è, pertanto, quello della lingua. Egli supera il carattere aulico-letterario di cui si erano serviti i suoi predecessori per avvicinarsi ad un registro più prosastico e più vicino alla lingua d’uso, in conformità con quel vero storico su cui ansava riflettendo e componendo le sue opere e adotta da un punto di vista metrico l’endecasillabo sciolto.

Il Conte di Carmagnola (1816/20), vede come protagonista il capitano di ventura Francesco Bartolomeo di Bussone, detto Conte di Carmagnola.
Siamo nel XV sec.e si assiste alla lotta tra Milanesi e Veneziani, il Conte di Carmagnola è al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, con il quale è imparentato, avendo sposato la sorellastra.
Tuttavia, caduto in disgrazia, passa al servizio del nemico, la Repubblica veneta. Il momento culminante della tragedia si ha quando, nella battaglia di Maclodio del 1427 i milanesi vengono sconfitti dai Veneziani e il conte lascia liberi i prigionieri e nono insegue l’esercito sconfitto. Per questo atto viene accusato di tradimento e dopo essere stato imprigionato viene giustiziato nel 1432.
Nella tragedia l’autore infrange l’unità di tempo in quanto la vicenda copre un arco di tempo ben più lungo di 24 ore, tuttavia egli aderisce al vero storico riportando una vicenda storicamente documentata. Lo scrittore assolve, contrariamente a quanto è accaduto, il conte, sostenendo che questi abbia agito secondo il codice cavalleresco dell’epoca.
Il dissidio tragico scaturisce dall’impossibilità di conciliare reale e ideale, dal contrasto tra giusto e società, il giusto rappresentato dal conte si scontra infatti con una società di ingiusti, rappresentata dalla ragion di dì stato e dai politici che agiscono in malafede, in cui il singolo è destinato a soccombere.

L’Adelchi è una tragedia divisa in 5 atti e due cori (il conte di Carmagnola aveva un solo coro, in cui le lotte fratricide aprivano campo all’oppressione straniera).
Il componimento si rifà alla calata franca in Italia avvenuta tra il 772 e il 774, determinata da Papa Adriano IV, il quale invoca l’aiuto di Carlo Magno per cacciare i Longobardi dai territori italici.
Atto I: L’opera si apre con il ripudio di Ermengarda, moglie del re Franco e figlia del re Longobardo Desiderio, nonché sorella di Adelchi (vero storico). Tale ripudio è determinato naturalmente dall’alleanza tra Carlo e il Papato.
La donna si rifugia presso la sorella Ansberga, monaca nel monastero di San Salvatore a Brescia.
Nel frattempo Carlo Magno lancia un ultimatum ai Longobardi, in cui ingiunge loro di abbandonare i territori del Papato, ma Desiderio, nonostante il parere contrario del figlio, rifiuta e i Franchi dilagano in Italia.
Atto II: Nella calata Carlo Magno rimane bloccato nelle Chiuse di Val Susa, presidiate da Adelchi, ma grazie all’aiuto del diacono Martino, inviato dal vescovo di Ravenna, riesce ad aggirare l’ostacolo.
Atto III: Adelchi si confida con Afrido e da questa confessione traspare il suo rifiuto per la ragion di stato e la guerra che è costretto a combattere contro la sua volontà.
Intanto i franchi, liberatisi, grazie anche al tradimento di Svarto, nei confronti del suo padrone longobardo, prendono d’assedio Desiderio a Pavia e Adelchi a Verona. Qui s’inserisce il primo coro che parla del popolo italiano, costantemente sottomesso agli stranieri.
Atto IV: Ermengarda nel monastero viene ad apprendere che il suoi amato si è congiunto in matrimonio con Ildegarde. La donna ancora innamorata do Carlo cade in delirio e muore. Si apre qui il secondo coro della tragedia, dedicato ad Ermengarda.
Atto V: l’ultimo atto si svolge a Verona dopo la caduta di Pavia e la resa di Desiderio,caduto prigioniero dei Franchi. Adelchi tenta una estrema difesa ma è ferito a morte e prima di spirare prega Carlo Magno di concedere una prigionia onorevole al padre.

I protagonisti della tragedia sono Ermengarda e Adelchi, due personaggi malinconici, romanticamente divisi tra sogno e realtà, tra la ragion di stato e gli ideali di cui sono portatori.
Il contrasto tragico si risolve per Adelchi nello scontro tra ragioni del giusto e ragioni della società e quindi ancora una volta nello scontro tra reale e ideale. Egli è portatore infatti di ideali di magnanimità , generosità, libertà, giustizia, che vanno contro la situazione reale che egli vive, infatti questi è figlio di un oppressore e con lui divide il trono ed è costretto a sostenere, in nome della ragion di stato, il padre in una guerra che tuttavia non sente sua e nella quale perde addirittura la vita.
Ermengarda è speculare al fratello ma muore tuttavia per delirio d’amore. Il contrasto tragico nasce in lei dall’inconciliabilità delle pulsioni irrazionali legate all’amore per Carlo e la morale cristiana, dall’impossibilità di incanalare la sua passione in una forma socialmente accettabile. Ella tenta di allontanare tuttavia dalla mente gli attimi passati in sua compagnia e il ricordo del loro amore , ma non riesce a superare le passioni e muore per il dolore. Tuttavia è nel momento di massimo delirio che l’uomo può incontrare Dio e può sperare di ottenere il perdono.
Nella tragedia emerge dunque il tema della provvida sventura e dell’intervento della Grazia: Ermengarda e Adelchi, figli di oppressori, espiano la colpa del proprio popolo morendo come vinti e riscattandosi così in una prospettiva ultraterrena solo grazie all’’intervento della provvida sventura.
Nella tragedia è bene espressa poi l’eterna sventura del popolo italiano. Questo si aspetta che i fRanchi portino loro la libertà e chiama ai Franchi liberatori, ma in realtà essi si riveleranno, alla stregua dei Longobardi, un popolo di dominatori. È questo il dramma collettivo del popolo italiano esposto nell’atto III, e complementare al dramma individuale dei protagonisti.
Possiamo instaurare un parallelismo con la vicenda personale di Manzoni, il quale alla luce della realtà dei fatti sostiene che la vicenda del popolo italiano si ripete uguale a sé stessa negli anni; l’Italia è destinata ad essere subordinata ai dominatori (nel periodo in cui l’autore vive, la nostra penisola è sotto la dominazione austriaca e spera nell’aiuto di Napoleone il quale altri non è che un nuovo dominatore).

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