Orazio - Ovidio - Seneca

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Testo

ORAZIO
Orazio era figlio di un umile contadino; per la sua bravura era entrato a far parte del circolo di Mecenate, lo stesso Augusto lo chiamò come suo segretario ma lui si rifiutò per una vita più serena e libera. In età giovanile scrisse “Giambi ed Epodi”, una raccolta di poesie caratterizzate da una forte carica polemica.
Le altre sue opere sono invece caratterizzate da una forma chiara, elegante e limpida. Scrisse poi le “Satire”, molto importanti: sono caratterizzate da una grande ricercatezza linguistica; sono ispirate ai due principi filosofici dell’autarcheia – autosufficienza del saggio- e il metriotes – principio dell’equilibrio nelle scelte e nei sentimenti-.
Altre opere: “Le epistole” fra qui “Lettera a Pisoni” dove vengono dettate le regole per scrivere una poesia degna di essere ricordata nel tempo; “Le odi”, 3 libri più un 4° che scrisse negli ultimi anni della sua vita, non era stato previsto, contiene le odi civili, 6, dedicate ad Augusto, elevano la figura dell’imperatore e la sua politica intelligente, sono lodi sincere. Le odi dei 3 libri hanno grandissimo valore: nella prima ode, dedicata a Mecenate, definisce se stesso lyricus vates –poeta lirico-, con questi due termini intende legare la sua produzione a quella greca, dimostrando così che la sua poesia emula i grandi poeti greci. Vates indica la funzione che lui attribuisce alla poesia: non è puro divertimento ma ha il compito di ingentilire gli animi e eternare gli uomini. In una delle odi del primo libro propone il paragone con Pindaro, grande poeta greco: Pindaro è un cigno bianco bellissimo che si innalza verso gli dei, Orazio è invece una piccola ape che cerca di succhiare il polline fra i vari fiori per costruire qualcosa di dolce = prendere spunto dai vari poeti greci e poi rielaborarli e produrre una poesia estremamente dolce, cerca di emulare Pindaro, Alceo e Safo (poeti del 7° secolo dalla poesia molto delicata, Safo amorosa, Alceo amorosa e civile). Il paragone con l’ape serve anche a spiegare il principio dell’abor lime, il lavoro di rifinitura per rendere le odi eleganti e raffinate. Sono tutte liriche con eleganza e grazia insuperabile.
Nelle “Odi” sono trattati diversi argomenti, dai più futili ai più impegnativi: da quello gnomico – riflessione sulla vita – a quello erotico – racconta le sue avventure con diverse fanciulle e da anche l’invito a godere delle gioie della vita e quindi anche dell’amore; sono dedicate a diverse donne, non è una storia d’amore con una sola donna -, da quello simposiaco – odi dedicate ai banchetti – a quello politico – l’ode dedicata alla morte di Cleopatra, finalizzate a elogiare la figura di Augusto che aveva portato la pace a Roma -.
Riprende la metrica greca rendendo così le odi difficilissime da leggere; riprende anche la tecnica dell’allocuzione, ci si rivolge cioè a qualcuno, c’è sempre un dialogo immaginario fra lui e un altro personaggio; riprende anche diversi frammenti di poesie e li inserisce in contesti diversi – tecnica allusiva -.
Lo stile è quello simplex in munditis ovvero semplice nell’eleganza con una ricerca precisa e esasperata delle parole con un significato importante. Importante per lui è anche l’utilizzo della candida iunctura: non solo sceglie le parole con attenzione estrema, ma sceglie anche di accostare aggettivi e sostantivi in modo intelligente. Questa ricercatezza da maggior raffinatezza alla sua poesia, non molto diversa da quello che farà Petrarca successivamente.
• Il domani – pag. 279
In questa ode si rivolge a Taliarco, re del convitto e della gioia, e lo invita a godere delle gioie della vita finché è in età giovanile. Appartiene al filone simposiaco e a quello gnomico poiché con molta tristezza introduce il motivo del tempo che fugge dalla 3° strofa. La parte finale riprende i componimenti alessandrini che solitamente rappresentano situazioni sentimentali dove ripropone una sorta di scherzo fra due giovani (tipico quadretto di felicità e amore). L’atteggiamento di Orazio è quello di un vecchio saggio che ormai ha trascorso tutte queste gioie e tutto ciò che è tipico dell’età giovanile. Contrapposta alla bellezza della giovinezza vi è il paesaggio esterno: paesaggio innevato con il monte Sorate ricoperto di neve, i fiumi gelati, i rami ricoperti di neve: in questo freddo c’è il calore della casa di Taliarco con i suoi amici.
Guarda come l’alto monte Sorate
Si elevi candido per la neve, ne le selve affaticate
Riescono più a sostenere il peso, e i fiumi
Si sono fermati per il gelo acuto.
Dissolvi il freddo gettando largamente legna
Sopra il fuoco e versa vino vecchio di 4 anni
Dell’anfora Sabina, o Talliarco:
lascia agli dei le altre cose, i quali non appena
hanno abbattuto i venti che combattono
sul mare in tempesta, ne i cipressi
nei vecchi olmi si agiteranno.
Evita di chiedere cosa accadrà domani e
Qualsiasi giorno la sorte ti darà considerala un dono,
non disprezzare i dolci amori,
o fanciullo, e neppure le danze,
fino a quando sei nell’età giovanile
e la vecchiaia noiosa è lontana. Ora si ricerchino
i campi, le piazze, i leggeri sussurri nella notte
nell’ora stabilita,
ora si continui a ricercare il sorriso
gradevole di una fanciulla nascosta
che tradisce la sua presenza in un angolo nascosto e
il pegno d’amore strappato dalle braccia o da il dito che non oppone resistenza.
• A Cloe – pag. 285
Cloe è una fanciulla che scappa di fronte alle offerte d’amore del poeta che lui paragona a una cerbiatta che fugge a qualsiasi rumore così Cloe fugge come se il poeta fosse un leone. Questa ode appartiene al filone erotico. Questa stessa immagine è ripresa da Tasso per la fuga di Erminia e da Ariosto per la fuga di Angelica; Orazio la riprende da Anacreonte, poeta greco.
Cleo, mi eviti come una cerbiatta che
Ricerca la madre intimorita sui monti
Impervi non senza il vano timore
Dei venti e delle selve.
Infatti, o se l’arrivo della primavera fa scuotere
Le foglie tremolanti o se verdi lucertole
Fanno muovere un ramo,
sia il cuore sia le ginocchia tremano.
Ma io non ti seguo per sbranarti come
Una feroce tigre o un leone Getulo:
quindi smetti di seguire la madre
ormai sei in età da marito.
• A Pirra – scheda
Pirra è una giovane fanciulla, molto volubile in amore, innamorata di Orazio. Il poeta la vede, però, abbracciata a un altro fanciullo che lui stesso compiange poiché lo ritiene ignaro di ciò che gli accadrà successivamente: Pirra ben presto lo tradirà e il giovane rimarrà bastonato dall’esperienza. Alla fine Orazio afferma di essere molto lontano dalla condizione di questo giovane, non è più sensibile all’amore.
È molto frequente il topos dell’infedeltà delle donne – Catullo, Simonide -.
Chi è quel fanciullo snello che cosparso
di unguenti puri ti abbraccia in un letto di rose
che giace in una grotta gradevole, o Pirra?
Per chi annodi la rossa chioma
semplice nell’eleganza? Oh, ahimè, quante volte
piangerà la fedeltà –tradita-
e gli dei avversi e guarderà stupito
lui che non era abituato,
le distese del mare mosse da neri venti,
quello che ora gode fiducioso della tua bellezza
quello che sempre spera che tu sia disponibile
e sempre amabile
del vento ingannatore. Poveri, coloro
ai quali brilli senza esser stata conosciuta:
quanto a me, la parte sacra
indica con una tavola votiva come lo abbia appeso
i vestiti gocciolanti al potente dio del mare – Nettuno-.
• La morte di Cleopatra – pag. 290
Ode composta nel ’30 per la morte della regina. Dopo la battaglia di Azio, la vittoria di Ottaviano è vicina così che Marcantonio e Cleopatra si suicidano. Ottaviano è in ascesa; Orazio dice che è tempo di festeggiare poiché questa morte segna la grandezza di Ottaviano.
Riprendendo un verso greco di Alceo e dichiara che è tempo di brindare e esprimere in tutti i modi la nostra gioia;questo verso lo adatta alla sua ode. La figura di Cleopatra è esaltata: la descrive come una grandissima regina che ha scelto la morte piuttosto che essere portata a Roma in trionfo come trofeo di guerra, ha osato guardare il suo regno e la sua reggia distrutta, solo dopo ha scelto la morte. La figura di Cleopatra viene esaltata per esaltare quella di Ottaviano. Non viene mai menzionato Antonio perché la guerra fra lui e Ottaviano è una guerra civile che impoverì il popolo romano.
Ora si deve brindare, ora si deve battere la
Terra con il piede libero, ora è gia tempo
Bisogna ornare gli altari degli dei,
o compagni, con banchetti degni dei sacerdoti Salii.
Prima d’ora non era lecito spillare il vino Cecubo
Delle cantine degli avi, finché la regina
Preparava per il Campidoglio –per Roma- folli rovine
E per l’impero la distruzione
Con una schiera di uomini turpi
Contaminati da un morbo, sfrenato nello
Sperare ogni cosa, ebria della dolce
Fortuna. Ma diminuì il suo furore
Una sola nave scampata a stento dalle fiamme,
e Ottaviano riportò la mente annebbiata dal vino Mareotico
in veri timori
che volando dall’Italia
la incalzava con i remi, come uno sparviero
sulle dolci colombe o come un cacciatore veloce
sulla lepre nei campi innevati
dell’Emonia, per portare in catene
il mostro fatale; e lei chiedendo
di morire in modo nobile non temette
come una donicciola la spada ne riparò
con la veloce flotta nelle spiagge nascoste;
ma osò guardare la reggia distrutta
con il volto sereno, e osò sempre vaneggiare
i forti e aspri serpenti, per assorbire
il veleno atroce con il suo corpo,
resa più forte dalla morte scelta,
impedendo, come è evidente, di essere condotta
dalle terribili navi libarne, privata come una donna qualsiasi
in un superbo trionfo, lei donna non comune.
• Elogio della semplicità – pag. 293
Questa ode chiude il primo libro; dichiara la sua poetica –metaletteraria-, afferma che non ama lo sfazio persiano ma lui ama dedicarsi alla poesia semplice e basata sul decoro e sull’armonia: può, quindi, questa ode, essere intesa come dichiarazione degli argomenti trattati nel primo libro per poi attestare di sceglierne di più elevati per il secondo e terzo libro: le odi presenti nel primo libro sono di argomento simposiaco o erotico, rappresentate dalla figura del mirto –sacro alla dea dell’amore- e del vino –motivo simposiaco-; dal secondo libro predominano le odi di riflessione. Ù
O fanciullo, non mi piacciono i fasti persiani,
e le corone intrecciate di tiglio;
smetti di cercare in quale luogo la rosa
tardiva indugi.
Mi preoccupo che tu non aggiunga nulla
di laborioso al semplice mirto: ne a te come ministro
non si addice il mirto ne a me che bevo –il vino- sotto
l’alta vite.
• L’aurea mediocritas
Il titolo non si può tradurre. In questa ode riprende il principio del giusto mezzo –Aristotele afferma che i sentimenti migliori sono quelli che nascono da un equilibrio fra gli eccessi-, per Orazio questo principio deve valere anche per la poesia. Per spiegare l’aurea mediocritas si rivolge a Licinio e gli dice che se vuol esser cauto deve compiere una navigazione lontano dagli scogli ma non troppo vicino alla riva. Dice al secondo verso che bisogna vivere in equilibrio, anche nella ricchezza; dice, inoltre, di stare lontano dalle certezze troppo sicure: un animo equilibrato sa temere le avversità e riesce a superarle stando cauto. Termina con l’immagine di Apollo che non sempre si dedica alla poesia ma anche a guidare il carro del sole.
Oh Licinio vivrai in modo più saggio se
Ne ti avventurerai nell’alto mare, ne mentre cauto ha il timore delle tempeste
Non navigherai troppo vicino
Al litorale insidioso.
Chiunque ami l’aurea mediocritas
Al sicuro stia lontano dallo squallore
Di una vecchia casa, stia lontano da saggio
Da un palazzo degno d’invidia.
Più spesso un alto pino è agitato
Dai venti e le torri più alte crollano con una caduta
Più rovinosa e i fulmini colpiscono
I monti più alti.
Un animo ben saldo spera un'altra
Sorte nelle avversità, teme un'altra sorte nei momenti
Favorevoli. Giove dà inverni terribili,
lo stesso li allontana
se oggi sarà male, non sarà sempre
così: Apollo talvolta rievoca la Musa silenziosa
con la cedrate e
on tende sempre l’arco.
Sii sempre coraggioso e forte
Nelle avversità; tu stesso sapientemente
Ripiega le vele ingrossate da un vento
Troppo favorevole.
• Alla fonte Bandusia – pag. 305
Questa ode è dedicata a questa fonte omonima che ha preso il nome da una ninfa. Venne scritta per la festa che si celebrava il 13 ottobre in cui veniva sacrificato un capretto per le ninfe e per gli dei. Orazio si propone di ricordarla e eternare il ricordo di questa fonte fra gli uomini.
Oh fonte di Bandusia più splendida del vetro
Degna di un dolce vino non senza fiori,
domani ti sarà sacrificato un capretto,
al quale la fronte rigonfia per le prime corna
destinava a Venere e ai combattimenti;
invano: infatti la prole del gregge saltellante
macchierà i gelidi ruscelli
con il sangue rosso.
Non ti può toccare l’atroce ora della Canicola
Infuocata, tu offri una piacevole frescura
Ai tori stanchi per l’aratro
E al gregge che pascola.
Diventerai anche tu la più nobile delle fonti,
poiché io canterò l’albero cresciuto sulle
grotte, da dove loquaci
zampillano le tue acque.
• Commiato – pag. 310
Questa è l’ultima lode del 3° libro; Orazio non ne aveva previsto un 4°. In questo componimento si vanta di esser stato il primo poeta ad aver portato la metrica greca e applicata a quella latina, si vanta di aver alzato questo “monumento” più duraturo del bronzo. Orazio aveva compreso la grandezza delle sue opere anche se i contemporanei non apprezzarono molto le sue odi.
Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo
Più alto dell’imponente mole delle piramidi,
che non la pioggia corrosiva, che non l’Aquilone sfrenato
possono distruggere o la serie innumerevole
degli anni o lo scorrere del tempo.
Non morirò completamente, una gran parte di me
Eviterà la Libitina: io crescerò rimanendo
Vivo nella lode dei posteri, finché il Pontefice
Con una silenziosa vergine salirà sul Campidoglio.
Si dirà che dove scorre l’Ofanto impetuoso
O dove Dauno povero di acque regnò
Sulle popolazioni agresti, diventato importante nato da umili origini,
per primo ho adottato la poesia eolica
alla metrica italica. Arrogati la superbia
meritata grazie alle mie capacità, o Melpomene,
e cingi promizia la chioma con l’alloro sacro ad Apollo.
Le epistole
Sono due libri di lettere scritte in esametri indirizzate idealmente a suoi amici. Furono scritte dopo aver pubblicato le “Odi”, in un momento di sconforto, quando decise di abbandonare Roma per dedicarsi alla poesia. “Le epistole”, infatti, è un opera filosofica dove esprime la sua volontà di riflessione su se stesso. La figura di Orazio è quella di un uomo che cerca l’obbedienza e l’autosufficienza dalle passioni e dai desideri. È importante perché è una riflessione molto più intima di quella fatta nelle Odi: qui si rivolge a se stesso, riflette sulla propria vita; sono molto malinconiche e tristi. Nel I° libro vi è la “Lettera a Mecenate” dove declina l’invito di Mecenate a rimanere a Roma e rifiuta anche l’incarico di Augusto come suo segretario personale.
Nel II° libro, è molto interessante l’ultima lettera, “Ars poetica”: è la più famosa, dedicata alla famiglia dei Pisoni. In questa lettera descrive le tecniche per raggiungere livelli eccellenti in poesia: ci dice che non serva solo l’ingegnium ma anche l’ars –la tecnica-, nessuno si può improvvisare poeta. La vera poesia deve essere di imitazione a quella greca; Augusto, invece, aveva cercato di rivalutare i grandi poeti latini, Orazio disdegnava tutto ciò. Per comporre una buona poesia, è necessario conoscere tutte queste tecniche, bisogna saper utilizzare la parola in maniera adeguata e devono esser disposte nel giusto ordine –orde verborum-. La poesia deve essere semplice nell’eleganza –simplex in munditis-, ci deve essere molto lavoro di pulitura. La poesia, infine, deve dilettare e giovare.
OVIDIO
Ovidio nasce a Sulmona nel ’43 a.C. da famiglia agiata che lo aveva mandato a studiare a Roma per intraprendere la carriera politica; compì anche un viaggio in Grecia. Ritornò a Roma e entrò nel circolo di Massalla Corvino, circolo non conforme alla politica di Augusto, raggruppava, infatti, per lo più poeti che proponevano una poesia priva di contenuti politici.
Ovidio si dedicò solo ala poesia, era molto bravo nell’assecondare i gusti dei romani. Era autore di una poesia frivola, elegante.
Ovidio non si interessò di questioni politiche, ne delle guerre civili ne delle loro conseguenze.
Iniziò la sua carriera con la pubblicazione di 5 libri, diventati poi 3, intitolati “Amores”: è una raccolta di elegie –componimento amoroso- erotiche soggettive –il poeta parla di se stesso, della sua esperienza con Corinna, fanciulla con tutte le qualità negative-. L’amore per Corinna è un amore stereotipato, che segue alcuni topoi della poesia elegiaca: - l’amore inteso come servizio che l’uomo deve alla donna –insensibile, superba, infedele-; - paragone tra la vita militare e quella amorosa, amore e guerra sono simili tra loro; - tema del custos, di colui che deve essere posto come guardiano alla purezza della donna amata.
Il suo è un amore galante, libertino; in una lettera afferma che a lui piacciono tutte le donne, non una in particolare. Questo amore si adeguava alla società romana, dove le matrone potevano divorziare dai mariti.
L’opera successiva è “Heroides”, le eroine; anche quest’opera apparteneva al filone erotico. È una raccolta di lettere di 12 eroine del passato che Ovidio immagina che le eroine scrivano ai loro amanti, di alcune c’era anche la risposta dell’innamorato. Sono lettere dal tono molto smaliziato.
La novità è nel scegliere personaggi mitologici e inserirli nel contesto storico romano. La menzogna è un arte che Ovidio ritiene importante nel rapporto fra gli innamorati.
L’altra opera è l’ “Ars amatoria”, costituita da 3 libri: 2 dedicati agli uomini e uno alle donne. È un poema didascalico –poema per l’insegnamento-: Ovidio vuole insegnare ad amare, lui dice di essere un esperto e di essere in grado di scrivere un opera d’insegnamento per tutti.
Inserisce un proemio all’inizio di ogni libro, degli excursus e una parte finale conclusiva sempre ad ogni libro. L’unica cosa che cambia è il verso: non usa gli esametri ma scegli l’alternanza fra esametro e pentametro –distici elegiaci-. “Ars amatoria” ovvero libro delle tecniche –ars- dell’amore –amatoria-.
Nel I° libro inizia a spiegare agli uomini che in amore non bisogna essere timidi (fa l’esempio di Pasife che arrivò ad unirsi con un toro per spiegare che le donne non desideravano uomini timidi). Inizia poi a spiegare le varie tecniche di seduzione per l’uomo: dice che il luogo ideale per un omo per incontrare una donna è il bar, dove le donne sono ubriache e quindi più disponibili e il circo, dove sono molto felici.
Nel II° libro spiega come mantenere una donna dopo la prima volta. Introduce il mito di Ulisse per spiegare che non serve solo la forza fisica ma anche altre qualità per mantenere il rapporto con la donna: Ulisse aveva l’arte della parola, riusciva in ogni situazione ( aveva convinto la moglie che tutte le donne che aveva amato negli anni del viaggio erano solo dovute a momenti di debolezza).
Nel III° libro spiega alle donne come conquistare un uomo, devono essere intraprendenti.
Alla fine per scusarsi dell’opera dice che è dedicata alle prostitute e non alle matrone romane.
Nell’8 d.C. Augusto lo esilia a Tomi, nel mar Nero, dove il poeta rimase 10 anni cercando, invano, di chiedere grazia ad Augusto.
Nel periodo dell’esilio scrive “Tristia” e “Epistole ex Ponto”: nel primo racconta i suoi stati d’animo e le motivazioni del suo esilio: uno per i carmen (le varie opere) e uno per esser stato presente e a conoscenza dei tradimenti di Giulia, figlia di Augusto (aveva amato anche un cesaricida), una fanciulla molto libertina, e per questo fu necessario allontanarlo.
Mori nel ’18 a Tomi.
Sempre nella letteratura amorosa scrisse due libretti, “Rimedia amoris” dove spiega quali sono i rimedi contro il mal d’amore, da cambiare sono gli interessi fino ai filtri d’amore; e “Medicamina facei”ovvero i cosmetici, mini enciclopedia sui cosmetici, trattato estetica femminile.
Ovidio si dedica poi all’”elegia eziologia”, infatti studia e ricerca le origini, con quelli che sono i i 12 libri dei Fasti, ridimensionati a 6 libri, causa l’esilio. Prendono spunti dagli “Azia” di Callimaco dove racconta le origini del mondo secondo i miti. L’intento di Ovidio era quello di scrivere un opera didascalica dove ogni giorno, accanto a feste, fossero indicate le origini di quella festa. È un opera celebrativa della grandezza di Augusto e di tutte le festività che aveva introdotto, cerca, così, di porre rimedio per tutte le opere amorose scritte in precedenza.
La Metamorfosi è composta di 15 libri di importanza fondamentale –“Metamorfoseon libri”-. Nel proemio dopo aver chiesto aiuto agli dei, spiega che il suo è un carmen perpetuum che parte dall’origine del mondo fino all’apoteosi di Augusto. (carme perpetuum = poema epico, scritto in esametri, perpettum perché non è interrotto, ogni libro è legato al successivo). Sono 250 trasformazioni, legate tra loro casualmente per analogia o per analogia del comportamento, o per affinità di parentela. La disposizione è forzata. È un poema epico- mitologico; i personaggi sono molti, quasi tutti vuoti, senza personalità. Ovidio espone con varietà e raffinatezza di linguaggio in modo elegante.
ETA’ di TIBERIO CALIGOLA & CLAUDIO
Nel ’14 muore Augusto e sale al potere Tiberio che prosegue nella politica di Augusto. Gli ultimi anni di Augusto erano stati abbastanza critici, aveva assunto sentimenti sempre più dispotici a causa della stessa natura dell’istituzione imperiale che non accetta consigli, è un dittatore che limita la libertà di pensiero e azione.
Tiberio proseguì in questo senso cercando sempre più di crearsi un consenso da parte di tutti i sudditi, ma l’errore grave che si commette fu quello di allargare la partecipazione politica ai liberti e ai provinciale., gli aristocratici si opposero fortemente a questa decisioni, questa situazione si ampliò sempre più. L’aristocrazia divenne sempre più contraria agli imperatori, sfociando a volte in veri e propri complotti. Da questa parte proveniva la maggior parte dei letterati, il fatto che fossero contrari agli imperatori fece si che in questa epoca ci fu una produzione di opere di scarso valore. Abbiamo quindi una poesia di erudizione, una letteratura di scarso valore di contenuti, ha grande valore però enciclopedico: Valerio Massimo, “Factotum et dictorum memorabilium libri novem”: raccolta di exempla, brevi insegnamenti con grande valore morale, era però un opera storica, non poteva proporre insegnamenti per questa epoca, “Historia Alexandri” di Curzio Rufo, dove è narrata la storia di Alessandro Magno, è la storia del passato con molta fantasia e pochi elementi storici, “Annales”, Cremuzio Cordo, sono una raccolta di avvenimenti dell’età presente, per questa opera fu imprigionato da Tiberio e l’opera venne distrutta, Columella, “De re rustica”, dove si parla dell’agricoltura, di come si coltivano i campi, è un opera pratica , Celso, “De medicina”, dove vengono esposte scoperte mediche e varie terapie. L’unica voce che ebbe un certo significato fu quella di Fedro che scrisse 5 libri di favole nelle quali osò, attraverso il genere della fiaba, rappresentazioni di vizi e virtù del suo tempo. Riprese le sue fiabe da quelle di Esopo, sono caratterizzate dalla varietà e dalla brevità, ma tutte contengono una morale presente o nei primi versi –promitio- o nella parte finale –epimitio-, quasi mai è sottointeso. In quasi tutte le fiabe è rappresentato un potente che valica un indifeso –protesta di Fedro contro gli abusi e le malvagità-, poiché sceglie di nascondere gli uomini in questi animali. All’epoca fu letta come una raccolta di fiabe per bambini, per questo non fu perseguitato dagli imperatori.
ETA’ di NERONE
Nerone succede a Claudio nel ’54, era figlio di Agrippina, seconda moglie di Claudio. Nei primi anni di trono regnava in realtà Agrippina e Seneca poiché Nerone era ancora troppo giovane. Nerone era un grande amante della cultura, fece costruire la domus aurea, la sua casa, dove si tenevano gare di poesia dove partecipava anche lui, si presentava come il nuovo Augusto, in un primo tempo questo fu vero. Molti letterati vivranno nella sua casa, aveva riportato una certa fioritura della letteratura latina (Seneca, Petronio –“Satyricos”, Lucano –“Bellum civile”-, Persio –“Le satire”-). Ci furono anche grandi adulatori, Calcurnio Pisone –“Le Bucoliche”- dove si rifaceva a Virgilio alla 4à egogla dove parlava di un fanciullo che avrebbe fatto grande Roma. In seguito, però, iniziò a comportarsi in maniera equivoca, arrivò ad uccidere la propria madre, perseguitò tutti i cristiani e incendiò Roma. Nel 65’ venne fatta una congiura da parte dei Pisoni per ucciderlo, la congiura venne scoperta e ne fecero le spese anche i suoi amici. Si uccise nel ’68.
Durante il suo impero ci fu una grande fioritura della letteratura e della filosofia, soprattutto stoicismo (Seneca, Lucano, Persio).
SENECA
Seneca nasce a Cordova nel 4°a.C. e ben presto giunge a Roma dove si dedicò agli studi di oratoria e filosofia, soprattutto stoica. Fu uno degli oratori più conosciuti al tempo di Tiberio incomincò una vita di astinenza e digiuno che lo avvicinava sempre più allo stoicismo tanto che la tempo di Caligola rischiò la condanna a morte per una sua orazione ma si salvò grazie alla sua salute cagionevole ma lui visse molti altri anni ancora. Sotto il tempo di Claudio conobbe le terribili ire di Messalina, innamorata di lui ma non corrisposta, si adirò perché a lei venne prescelta Giulia, sorella di Caligola; Messalina racconta così all’imperatore Claudio, suo marito, di una possibile congiura di Seneca contro di lui. Seneca viene così esiliato in Corsica per 8 anni, dal 41 al 48, dove vive una vita terribile, in isolamento, solo la filosofia stoica lo aiutò in quel momento. Cercò di tornare a Roma, adulando i grandi con diverse orazioni “Consolatio ad Polyvium”, Polivio era un potente liberto di Claudio, era molto importante a corte, a Polivio al tempo era morto un fratello, Seneca gli invia così una lettera di consolazione ma nel frattempo lo adulava chiedendo, nello stesso momento, un intercessione a Claudio per farlo tornare a Roma. Riesce, grazie alla morte di Messalina, a tornare a Roma, Agrippina, nel ’49, nuova moglie di Claudio, decide che il figlio Nerone debba essere educato da Seneca, suo futuro amante, fine al ’54 Nerone vive sotto il controllo di Seneca; Agrippina mette a morte il marito e nel ’54, a soli 17 anni, Nerone sale al potere. Nei primi anni di regno Seneca e Agrippina regnano quasi al posto di Nerone. Seneca pensa di poter organizzare a Roma un governo di saggi, cercando di trasmettere a Nerone i suoi principi stoici. I primi 5 anni furono anni tranquilli ma quando poi la madre iniziò a imporgli amicizie e matrimoni, Nerone iniziò a sentire il peso di Seneca e della madre. Iniziò cos’ ad assumere atteggiamenti tipici da monarca orientale, sembra che Seneca abbia tentato di distogliere l’attenzione dai delitti di Nerone, ma nel ’62 all’incendio di Roma da parte di Nerone, si allontana dalla corte. Era a conoscenza della congiura dei Pisoni nel ’65 contro Nerone, questo ne viene a conoscenza e condanna a morte Seneca, che però preferisce uccidersi.
LE OPERE:
“I Dialoghi”,costituito di 12 libri: 3: “Consolatio ad Elviam matrem”, dove consola la madre al suo esilio in Corsica, “Consolatio ad Marciam”, Marzia era la figlia di Cremuzio Corno al quale era morto un figlio molto piccolo, “Consolatio ad Polyvium”; “De vitia beata”, dove si discolpa dall’accusa di esser molto ricco e quindi di non praticare gli insegnamenti dello stoicismo che non condivideva la ricchezza dei beni materiali; “De breviate viate”, è una riflessione sul tempo e sulla necessità dell’uomo di non sprecare nessun momento della sua vita; “De ira”, in 3 libri, dedicati a Nerone, dovq spiega quanto l’ira sia un sentimento bestiale, cerca di insegnare la moderazione; “De tranqullitate animi”, dove spiega come raggiungere la tranquillità mediante la contemplazione; “De otio”, dove si parla del vivere nella riflessione e nella meditazione, in modo da trovare la vera felicità; “De constatia sapientis”, il vero sapiente è colui che segue i principi stoici; “De providentiae”dove si chiede perché all’uomo buono accadono tanti mali. Seneca ritiene che in realtà sono tutte prove che Dio ci manda per vedere quanto sia forti e coraggiosi.
Scrisse poi le “Epistole morales ad Lucinium”, una raccolta di 20 libri di lettere destinate alla pubblicazione, sempre di tema filosofico, “Le naturales quaestiones”, in 7 libri, sui fenomeni naturali, crede che le leggi della natura debbano essere conosciute dall’uomo, come Lucrezio, ma a sua differenza crede che ci sia una provvidenza divina che regoli la vita dell’uomo e dell’universo, “De clementia”, dove rifletta sull’importanza della clemenza da parte di un imperatore –è stato scritto nei primi anni di lavoro di Nerone-. Scrisse anche 9 tragedie, tutte coturnate –ambientazione greca- tranne una pretesa –ambientazione romana-, tutte le tragedie sono destinate alla reitationes: al tempio vi erano opere destinate alla rappresentazione mentre altre alla recitazione –ai banchetti-.

Esempio