Il decadentista Gabriele D'Annunzio.

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana

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Testo

L’INFLUENZA DELLE SCELTE ESTETICHE NELLA LETTERATURA
Abbiamo appena sottolineato che l’arte in questo periodo assume un’importanza sempre maggiore nella vita sociale, in quanto diffonde il concetto della bellezza come elemento di perfezione vitale. Colui che incarnò questo principio fu il decadentista Gabriele D’Annunzio.
Esteta nato, D’annunzio aveva una smania per tutto ciò che era gradevole e piacente. Questo stato d’animo lo portò ad un modo di vita quasi esagerato, inimitabile che solo lui poteva permettersi. La sua vita perciò la considerava quasi come un “opera d’arte” che sottraeva alle leggi del bene e del male, sottoponendosi solo alla legge del “bello”, non rinunciando a nessun godimento, a nessuna mancanza di capolavori artistici che raccoglieva nella sua villa la Capponcina, nei dintorni di Firenze, e poi nella villa di Gardone. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, specie quello lungo e tormentato che lo legò alla grande attrice Eleonora Duse.
Aveva perciò la cosiddetta maschera dell’esteta, cioè l’abitudine, la maniera di vivere nel modo più raffinato possibile: il fine era certamente il piacere, non nel senso volgare e comune della parola, ma nel senso più alto, nel suo significato più intenso, ossia un godimento da esteta.
Il suo estetismo, tuttavia, rappresenta una risposta ideologica alla crisi del ruolo dell’intellettuale; infatti, quest’ultimo, se fino a poco tempo prima dell’Unità d’Italia, era considerato come una guida ideologica in tutti i campi (morale, politico e sociale), ora, con la fine del periodo risorgimentale e con l’avvio di uno sviluppo moderno in Italia, questa condizione è messa in crisi, lasciando dei vuoti che la tradizione culturale propria dell’intellettuale sembra non riuscire a colmare. Il primo atteggiamento è quello di rifiuto che viene dal mondo della borghesia, raccolto da un D’Annunzio quasi insofferente, ma che già prefigurava una nuova immagine. Egli dispone la sua persona caratterizzando la figura dell’esteta, ponendosi fuori dalla società borghese, fa rivivere all’artista quella condizione di privilegio goduta in epoca passata. Ben presto, pero’, D’Annunzio si rende conto che l’intellettuale non è in grado di opporsi alla borghesia, avviata ormai verso l’industrializzazione e il capitalismo monopolistico, e di conseguenza l’esteta gli appare come una figura forzata e distruttiva. Tale conseguenza, si può notare soprattutto nel romanzo “Il Piacere”, nel quale il protagonista Andrea Sperelli, avendo smarrito idealità e valori, diventa il simbolo dell’uomo contemporaneo in crisi, alla continua ricerca di un piacere che si rivelerà illusorio.
Successivamente, influenzato dalle idee del filosofo Nietzsche, D’Annunzio si lascia suggestionare dal fascino ideologico del superuomo, o meglio dal mito della vita speciale, diversa da quella degli uomini comuni. Tutto ciò lo spinge al “vivere inimitabile” giacchè si comprende facilmente che tale sistema di vita non può essere di tutti, ma di pochi, anzi pochissimi, di coloro che si considerano superuomini, cioè eroi.
Anche sul piano letterario vi è un vero e proprio culto religioso dell’arte e della bellezza. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta, ma da altra letteratura. I versi dannunziani sono fitti di echi letterari che provengono da poeti classici, da quelli della tradizione italiana, dai contemporanei poeti francesi ed inglesi. La sua poesia è ricca di parole, verbi, sostantivi, aggettivi fuori dal comune; basti pensare a “La pioggia nel pineto”, colma di vocaboli ed espressioni rarissime che descrivono le mille “voci” dell’acqua che cade su di un corpo. Il poeta sa trovare così i mezzi espressivi più nuovi, più efficaci per presentare a noi, in modo mirabile, non solo un fenomeno banale, come la pioggia, ma il mistero di tale fenomeno naturale che lo induce a riflettere addirittura sulla favola della vita che gli sembra una “illusione”.
Quando D’Annunzio si spense, era quasi sopravvissuto a se stesso e a un tempo, quello della “belle èpoque”, conclusasi con il bagno di sangue della prima guerra mondiale: un tempo che egli seppe rappresentare ed incarnare come pochissimi.
La nuova generazione letteraria lo avrebbe dimenticato, anche se i migliori riconobbero il loro debito nei suoi confronti e gli altri, più o meno consapevolmente, cercarono di negare, fino al rifiuto, un’influenza che era oggettiva. Se, forse, nel percorso della poesia del novecento italiano la lezione di Pascoli incise con maggiore forza risultando più determinata nell’orientarne gli itinerari e gli sviluppi, si deve dare ragione ad Eugenio Montale quando non esitò ad affermare che, per superare D’Annunzio, era necessario “attraversarlo”. In effetti, nonostante il molto artificio, le troppo vuote sonorità e la diffusa assenza di un solido senso morale, sacrificato sull’altare di una irraggiungibile “favola Bella” e la sua opera contiene un carattere di vibrante vivacità da mettere sempre in relazione a quella complessa esperienza umana del primo Novecento, per cui l’ambito letterario deve fare i conti con la vita politica ed il costume della sua epoca.

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