Gabriele D'Annunzio

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

Gabriele D’Annunzio pag 88

La vita come opera d'arte La vita di D'Annunzio puт essere considerata una delle sue opere piщ interessanti: secondo i princмpi dell'estetismo bisognava fare della vita un'opera d'arte, e D'Annunzio fu costantemente teso alla ricerca di questo obiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da agiata famiglia borghese, i Rapagnetta, fu adottato dallo zio D’Annunzio poichй suo padre era un uomo collerico e amante dei vizi e delle donne. Studiт in una delle scuole piщ aristocratiche dell'Italia del tempo, il collegio Cicognini di Prato.
La vita mondana a Roma Raggiunta la licenza liceale, a diciotto anni, si trasferм a Roma per frequentare l'universitа. In realtа abbandonт presto gli studi, preferendo vivere tra salotti mondani e redazioni di giornali. Acquistт subito notorietа, sia attraverso una copiosa produzione di versi, di opere narrative, di articoli giornalistici, che spesso suscitavano scandalo per i loro contenuti erotici, sia attraverso una vita altrettanto scandalosa, per i princмpi morali dell'epoca, fatta di continue avventure galanti, lusso, duelli. A diciotto anni fugge con la giovane Maria Harduin di Gallese che и costretto a sposare perchи rimasta incinta. Da lei, sua unica moglie, avrа tre figli ma la tradirа sempre.
La maschera dell'esteta D'Annunzio si crea la maschera dell'esteta, dell'individuo superiore, dalla squisita sensibilitа, che rifiuta inorridito la mediocritа borghese, rifugiandosi in un mondo di pura arte, e che disprezza la morale corrente, accettando come regola di vita solo il bello.
II mito del superuomo Dopo aver attraversato una crisi lo scrittore cercт cosм nuove soluzioni, e le trovт in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito non piщ soltanto di bellezza, ma di energia eroica, attivistica.
Il «vivere inimitabile» D'Annunzio puntava a creare l'immagine di una vita eccezionale (il «vivere inimitabile»), sottratta alle norme del vivere comune. Colpiva soprattutto la fantasia del pubblico borghese la villa della Capponcina, sui colli di Fiesole, dove D'Annunzio conduceva una vita da principe rinascimentale, tra oggetti d'arte, stoffe preziose, cavalli e levrieri di razza. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, specie quello, lungo e tormentato, che lo legт alla grandissima attrice Eleonora Duse ma anche quello con la figlia del ministro Rudini. Le sue numerose storie dimostrano una sua sessualitа disturbata, poichи temeva moltissimo l’eterno femminino.
Le esigenze del mercato In realtа, in questo disprezzo per la vita comune ed in questa ricerca di una vita d'eccezione, D'Annunzio era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del suo tempo: con le sue esibizioni clamorose ed i suoi scandali lo scrittore voleva mettersi in primo piano nell'attenzione pubblica, per vendere meglio la sua immagine e i suoi prodotti letterari. Gli editori gli pagavano somme favolose, ma quel fiume di denaro non era mai sufficiente alla sua vita lussuosa. Quindi, paradossalmente, il culto della bellezza ed il «vivere inimitabile»,superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario, a ciт che D'Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del mercato: proprio lo scrittore piщ ostile al mondo borghese era in realtа il piщ legato alle sue leggi; proprio lo scrittore che piщ spregiava la
massa, era costretto a solleticarla e a lusingarla. E una contraddizione che D'Annunzio non riuscм mai a superare.
L'avventura politica Ma, in obbedienza alla nuova immagine mitica che voleva creare di sй, D'Annunzio non si accontentava piщ dell'eccezionalitа di un vivere puramente estetico: vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Per questo, nel 1897, tentт l'avventura parlamentare, come deputato dell'estrema destra, in coerenza con le idee affidate ai libri, in cui esponeva con veemenza il suo disprezzo per i princмpi democratici ed egualitari, il suo sogno di una restaurazione della grandezza di Roma e di una missione imperiale dell'Italia, del dominio di una nuova aristocrazia che ripristinasse il valore della bellezza contaminato dal dominio borghese. Ciт non gli impedм, nel 1900, di passare allo schieramento di sinistra («Vado verso la vita!»): ma non deve meravigliare, perchй questa ambigua disponibilitа и propria delle posizioni irrazionalistiche, estetizzanti e vitalistiche, che sono sempre attratte dalle manifestazioni di forza ed energia vitale, qualunque orientamento ideologico esse seguano.
Il teatro Cercando uno strumento con cui agire piщ direttamente sulle folle per imporre il suo verbo di "vate", D'Annunzio a partire dal 1898 si rivolse anche al teatro, che poteva raggiungere un piщ vasto pubblico che non i libri.
La fuga in Francia Nel 1910 D'Annunzio, a causa dei creditori inferociti, fu costretto a fuggire dall'Italia e a rifugiarsi in Francia, ad Archaon.
In guerra L'occasione tanto attesa per l'azione eroica gli fu offerta dalla prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto D'Annunzio tornт in Italia ed iniziт un'intensa campagna interventista, che ebbe un peso notevole nello spingere l'Italia in guerra, galvanizzando l'opinione pubblica. Arruolatosi volontario nonostante l'etа non piщ giovanile (52 anni), attirт nuovamente su di sй l'attenzione con imprese clamorose, la «beffa di Buccari» (un'incursione nel Carnaro con una flotta di motosiluranti, i MAS a cui riconduceva il motto memento ausare semper), il volo su Vienna per lanciare volantini. Anche la guerra di D'Annunzio fu una guerra eccezionale, non combattuta nel fango e nella sporcizia delle trincee, ma nei cieli, attraverso la nuovissima arma, l'aereo.
L'impresa fiumana Nel dopoguerra D'Annunzio si fece interprete dei rancori per la «vittoria mutilata» che fermentavano trai reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume, dove instaurт un dominio personale sfidando lo Stato italiano.
I rapporti col fascismo Scacciato con le armi nel 1920, sperт di proporsi come «duce» di una «rivoluzione» reazionaria, che riportasse ordine nel caos sociale del dopoguerra, ma fu scalzato da un piщ abile politico, Benito Mussolini. Il fascismo poi lo esaltт come padre della patria, ma lo guardт anche con sospetto, confinandolo praticamente in una sontuosa villa di Gardone, che D'Annunzio trasformт in un mausoleo eretto a se stesso ancora vivente, il «Vittoriale degli Italiani».
L'influenza dannunziana sulla cultura e la societа D'Annunzio attraversт oltre un cinquantennio di cultura italiana, influenzandola profondamente in numerose fasi con la sua produzione sovrabbondante; un influsso altrettanto profondo esercitт sulla politica, poichй elaborт ideologie, atteggiamenti, persino slogan che furono fatti propri dal fascismo (il «Mare nostro», le «folle oceaniche»); influenzт anche il cinema, che ai suoi esordi, negli anni Dieci, fu profondamente dannunziano (lo scrittore stesso collaborт, per denaro, alle didascalie di un kolossal di ambientazione antica, Cabiria).

La fase della bontа pag 92
Dopo la crisi dell’estetismo, D’Annunzio attraversa quella che egli stesso definisce fase della bontа, anche se questa definizione si adatta piщ alla intenzioni dell’autore che alla realtа dei testi. In questa fase D’Annunzio scrive l’Innocente in cui esprime un’esigenza di rigenerazione e di purezza, attraverso il recupero del legame coniugale e della vita a contatto con la campagna, ma esplora anche una contorta psicologia omicida. Scrive anche la raccolta poetica del Poema paradisiaco in cui afferma di voler recuperare l’innocenza dell’infanzia e ritornare alle cose semplici, agli affetti familiari. Si tratta perт di intenzioni piuttosto superficiali e poco sincere.
L’Innocente il romanzo illustra un’altro personaggio decadente: quello del mostro, l’uomo sposato con una bella donna che lo ama, ma и portato continuamente a tradirla a causa di un disturbo celebrale, di un impulso irrefrenabile (ispirato alle opere mediche di Lombroso). Stanca dei continui tradimenti la moglie lo tradisce a sua volta ma, mentre si fa bella cantando L’Orfeo di Gruck, il marito intuisce il tradimento. La donna da alla luce il figlio avuto dall’amante, “l’innocente”, e il marito, volendo riavvicinarsi a lei ma vedendo il bambino come ostacolo, decide di uccidere il piccolo esponendolo al gelo (l’autore dimostra una forte vena di crudeltа e di sadismo nelle descrizioni). La coppia и riconciliata, ma fortemente turbata, da questo orribile segreto.
Il trionfo della morte pag 93
La malattia interiore e 1a ricerca di un senso alla vita L'eroe, Giorgio Aurispa, и un esteta, non dissimile da Andrea Sperelli. Travagliato da un'oscura malattia interiore, che lo svuota delle energie vitali, Giorgio va alla ricerca di un nuovo senso della vita, che permetta di attingere all'equilibrio e alla pienezza. Un breve rientro nella sua famiglia acuisce la crisi dell'eroe perchй reimmergersi nel groviglio di nevrosi della vita familiare, e soprattutto rivivere il conflitto col padre, figura dominatrice ma anche ignobile e ripugnante, contribuisce a minare le sue energie vitali: per questo и indotto a identificarsi con un'altra figura paterna, quella dello zio Demetrio, a lui simile nella sensibilitа e morto suicida. La ricerca porta Giorgio a tentare di riscoprire le radici della sua stirpe: insieme con la donna amata, Ippolita Sanzio, si ritira in un villaggio abruzzese sulle rive dell'Adriatico, e qui riscopre il volto primordiale della sua gente, i suoi arcaici costumi, le credenze magico-superstiziose, il fanatismo religioso esaltato. Da quel mondo barbarico e primitivo il raffinato esteta и perт disgustato e respinto, soprattutto dopo aver assistito agli orrori anche fisici del pellegrinaggio degli ammalati al santuario di Casalbordino, scene violente e ricche del furore del culto popolare: in quella direzione la sua ricerca fallisce. Fallisce egualmente la via del misticismo religioso.
La soluzione nietzschiana La soluzione gli si affaccia nel messaggio di Nietzsche, in un'immersione nella vita in tutta la sua pienezza, ma l'eroe non и ancora in grado di realizzare il progetto; si oppongono le forze oscure della sua psiche, che si oggettivano nelle sembianze della donna, Ippolita. Questa и brutta, scura, dai capelli crespi, ma dotata di un grande fascino, quello dell’eterno femminino. La lussuria consuma le forze di Giorgio, gli impedisce di attingere all'ideale superumano a cui aspira.
La «Nemica. e il prevalere della morte Prevalgono in lui, sull'aspirazione alla «vita» piena e gioiosa, le forze negative della «morte», come suggerisce il titolo; ed egli al termine del romanzo si uccide, trascinando con sй nel precipizio la donna amata definita «Nemica».

Le vergini delle rocce pag 94
Sdegno antiborghese e disegni imperiali L'eroe, Claudio Cantelmo, sdegnoso della realtа borghese contemporanea, del liberalismo politico e dell'affarismo dell'Italia postunitaria, vuole portare a compimento in sй «l'ideal tipo latino» e generare il superuomo, il futuro re di Roma che guiderа l'Italia a destini imperiali.. In questo scenario di decadenza, disfacimento e morte l'eroe cerca colei che dovrа essere la sua compagna fra le tre figlie del principe Montaga.
L'attrazione per la putredine e la morte Ma questa scelta и profondamente ambigua: dietro i propositi vitalistici, eroici, trionfali pare celare una segreta e piщ autentica attrazione proprio per la «putredine», la decadenza e la morte. Il vitalismo esasperato, l'attivismo eroico sembrano solo essere tentativi per esorcizzare l'immagine della morte che ossessiona e affascina inesorabilmente lo scrittore. L'eroe scende in questo inferno della decadenza, spirituale e fisica, sicuro di trarne vigore per la sua impresa, e invece finisce per restarne prigioniero. Ciт и rivelato dall'allusiva conclusione del romanzo. Si ripete abitualmente che Cantelmo non riesce a scegliere fra le tre principesse, e che il romanzo si chiude sulla sua perplessitа. In realtа l'eroe sceglie la sua compagna: и Anatolia, quella delle tre sorelle che ha la maestа e la forza interiore di una regina. Ma questa non puт seguire l'eroe nel suo cammino di gloria, perchй и legata al triste destino della famiglia, deve accudire la madre demente, i fratelli deboli e malati, il vecchio padre.
II fascino della donna fatale L'eroe soggiace quindi al fascino della bellezza di Violante, colei che si sta uccidendo lentamente coi profumi, inconfondibile incarnazione della cupa donna fatale: che и immagine non di feconditа creatrice, ma di un Eros perverso, distruttivo e crudele, un'immagine, in definitiva, di morte, affine a quella della «Nemica» nel Trionfo della morte. Ad onta delle loro velleitа attivistiche ed eroiche i protagonisti dannunziani restano sempre deboli e sconfitti, incapaci di tradurre le loro aspirazioni in azione. La decadenza, il disfacimento, la morte esercitano sempre su di essi, che dovrebbero essere gli eroi della vita e della forza, un'irresistibile attrazione.
Il ciclo "del giglio" И vero che Le vergini delle rocce doveva essere solo il primo romanzo di un ciclo «del giglio», e che nei due romanzi successivi l'eroe avrebbe dovuto raggiungere le sue mete: ma и significativo che questi romanzi non furono mai scritti.

Le Laudi pag 97
Nel campo della lirica D’Annunzio si propone di esprimere la sua visione totale della realtа a sette libri di Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Nel 1903 pubblica i primi tre, Maia, Elettra, Alcyone; il quarto libro, Merope, viene messo insieme raccogliendo le Canzoni della gesta d’oltremare, dedicate all’impresa in Libia; postumo fu aggiunto un quinto libro, Asterope, che comprende poesie ispirate alla prima guerra mondiale. I titoli dei libri derivano dai nomi delle Pleiadi.
Maia il primo libro и un lungo poema unitario in versi liberi. Il suo sottotitolo и Laus vitae, lode della vita. Il poema и la trasfigurazione mitica di un viaggio in Grecia realmente compiuto da D’Annunzio. L’“io” protagonista si presenta come eroe “ulisside” proteso verso tutte le esperienze. Il poeta inneggia poi ad aspetti tipici della modernitа quali il capitale, la finanza internazionale, i capitani d’industria, le macchine, poichи esse racchiudono in sй possenti energie, che possono essere indirizzate a fini eroici e imperiali.
Elettra nel secondo libro vi и la celebrazione della romanitа in chiave eroica, che si fonde con quella del risorgimento. Cantando questo passato glorioso il poeta si propone esplicitamente come vate di futuri destini imperiali, coloniali e guerreschi d’Italia.
Alcyone il tema del libro и la fusione panica con la natura: si presenta infatti come diario ideale di una vacanza estiva, dai colli fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia. La poetica dell’Alcyone и stata vista da molti come pura, sgombra dall’ideologia del superuomo e dalla retorica, rispondente solo all’ispirazione del rapporto sensuale con la natura.

La sera fiesolana pag 151
v. 1-14
Il poeta si augura che le sue parole siano fresche come il fruscio delle foglie del gelso che un contadino silenzioso raccoglie quando il fusto dell’albero sembra argentato per il riflesso della luna che и prossima ad emergere dalle soglie cerule del cielo. Il poeta e la sua donna contemplano il paesaggio della sera immersi in un sogno estatico. Il chiarore emanato dalla luna, ancora dietro l’orizzonte, si distende come un velo sulla campagna che si sente giа sommersa dal fresco notturno, refrigerio e ristoro dopo gli ardori del giorno.
v. 15-17
Sia lodata la sera dal viso di perla, dai grandi occhi umidi dove tace l’acqua del cielo(sinestesia).
v. 18-31
Le parole del poeta siano dolci nella sera come la pioggia che bruiva(verbo ripreso da Verlaine), accomiato della primavera che lascia posto all’estate. La pioggia cadeva su ogni cosa: sui gelsi, sugli olmi, sulle viti, sui pini le cui pigne novelle sembrano dita che giocano con il vento, sul grano non ancora maturo, sul fieno tagliato, sugli ulivi che danno ai clivi un ‘aura di santitа.
v. 32-34
Sia lodata la sera per le sue vesti aulenti(profumate) e per l’orizzonte che la cinge come il ramo del salice cinge il fieno.
v. 35-48
Il poeta descriverа come la voce del fiume risuoni di inviti d’amore, le cui fonti parlano di un mistero sacro, e dirа per quale segreto le colline si incurvino come labbra che vogliano parlare ma siano chiuse da un divieto. Il loro desiderio di parlare le rende bellissime e consolatrici, per cui ogni sera l’anima le ama sempre di piщ.
v. 49-51
Sia lodata la sera per la sua pura morte nella notte e per l’attesa che fa palpitare le prime stelle.

Note: la poesia и costituita da tre strofe intercalate da laudi. Ciт richiama le laudi francescane, ma d’altronde l’attrazione morbosa e un po’ blasfema per il misticismo e il francescanesimo и una nota tipica decadente, richiama al compiacimento nella ricerca della purezza. Il sogno ed il velo citati nella prima strofa alludono alla dimensione misteriosa della natura in cui l’uomo e la donna sono inseriti. L’amore и infatti il mistero piщ elevato quasi sacro. Il divieto di conoscere il segreto della natura и la condizione umana stessa. Accanto alle citazione mistiche e francescane si citano personaggi mitici pagani (le personificazioni di Sera e Luna, figure femminili fuggenti e misteriose) nell’intento di cogliere la spiritualitа in ogni suo aspetto.

Nella belletta pag 166
v. 1-8
Nella fanghiglia delle paludi i giunchi hanno l’odore di pesche troppo mature, quasi fradice, e delle rose appassite, del miele andato a male, della morte. Ad agosto il sole sembra cuocere tutta la palude, che sembra un fiore di fango, con una indescrivibile afa di morte. La rana tace se ci si avvicina, le bolle d’aria, dovute alla putrefazione del fondo, emergono in superficie silenziosamente.

Note: nella prima strofa emergono odori corrotti, amati dai decadenti. Nella seconda l’ineffabile, che Dante aveva provato per definire l’Altissimo, и sentito da D’Annunzio per l’infima palude. La poesia descrive la putredine dell’estate, argomento amato dai decadenti come il contrasto salute-malattia.

Stabat nuda aestas
v. 1-8
Anzitutto vidi il piede sottile sfiorare il suolo coperto di aghi di pino secchi,dove l’aria ardeva e sembrava tremare come una fiamma che si spande. Le cicale tacquero e i ruscelli si fecero piщ rochi. La resina scese piщ abbondante dai fusti. Dall’odore sentii la presenza della biscia.
v. 9-16
La raggiunsi nel bosco degli ulivi. Vidi l’ombra degli alberi sulla bella schiena, i capelli fulvi svolazzare senza suono in mezzo alle piante di ulivo. Piщ lontano nel campo pieno di stoppie l’allodola balzт per chiamarla. Anche io la chiamai per nome.
v. 17-24
Ella attraversт gli oleandri, e il falasco(pianta palustre) bronzeo che si richiudeva con strepitii dopo il passaggio della dea. Piщ lontano verso il lido cadde distesa tra la sabbia e l’acqua, con il vento di ponente che portava schiuma nei suoi capelli. Appare l’immensa nuditа.

Note: il titolo del componimento и tratto dalle Metamorfosi di Ovidio: “stabat nuda aestas et spicea serta tenebat” (nuda l’estate stava e portava ghirlande di spighe.). La poesia descrive l’inseguimento da parte del poeta dell’estate, donna bellissima, difesa dalla natura che si schiera contro il poeta ma invano. Intuiamo infatti che il poeta riuscirа nel suo stupro dell’estate, che come avviene secondo il principio del panismo, permette al poeta di godere tutto della natura.

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